Privatizzazione FS: solo un avanzamento dei “lavori in corso” (di perdita della sovranità)

Di , Valerio Lo Monaco
prodi
Quella delle Ferrovie dello Stato è solo l’ultima, in ordine di tempo, tra le privatizzazioni che i vari governi succedutisi dopo la fine della seconda guerra mondiale portano a compimento. Non stupisca se indichiamo così lontana nel tempo la data di “inizio lavori” per queste operazioni, perché è esattamente lì, in quello spartiacque storico non solo per l’Italia ma anche per l’Europa intera e, indirettamente, per tutto il mondo, che si situa la svolta del percorso relativo alla vera originaria svendita degli Stati. Prima di allora, in Italia, il processo era stato esattamente inverso: lo Stato prima di ogni altra cosa (sino alle volontà autarchiche che, seppure allora in qualche caso ingenue, sono guarda caso esattamente quelle, oggi, cui si riferiscono buona parte delle teorie sulla Decrescita e sul bio-regionalismo).
 
Da quando gli Stati Uniti si adoperarono per la colonizzazione di ritorno sulle terre europee intervenendo in quella guerra, l’invasione dei territori e delle menti del pensiero unico commercialistico ebbe un effetto su tutto il globo terracqueo. In Italia attraverso il piano Marshall (con ulteriore concessione di suolo pubblico per la sosta permanente delle basi militari Usa). In Europa per simili situazioni e in Medio Oriente in ordine alla volontà di contenimento della Russia (Israele in primis) e per lo sfruttamento degli idrocarburi. I fatti odierni in Ucraina, Iran e Siria, a  livello geopolitico e militare, ne sono una diretta conseguenza (e conferma).
 
Tornando al lato economico le cose sono ormai chiare e non più opinabili. In quanto fatti certi e provati si sottraggono per ciò stesso al campo delle opinioni. Attraverso il mercantilismo e il commercio, e quindi attraverso la sua estensione naturale alla finanziarizzazione, ciò che prima era pubblico doveva passare il più rapidamente possibile in mani private. Ogni asset, ogni bene, doveva essere sottratto al pubblico e determinare un rendimento per chi ne sarebbe diventato proprietario. Dalle cose inanimate (terre, aziende, strutture) all’anima stessa dei lavoratori, votata vita natural durante a creare il necessario per poter pagare capitali e interessi a chi poteva permettersi di obbligarli a farlo. È ciò che ogni lavoratore sperimenta su di sé ogni giorno.
 
Al di là del giudizio sui regimi autoritari “tradizionali” che erano presenti sino ad allora, giudizio che lasciamo volentieri alla Storia e ai nostalgici di ogni lato, si può però evidentemente prendere in esame un fenomeno, oggi, che in quanto ormai storicizzato non è più in alcuna discussione. Per quanto riguarda l’Italia, lo Stato Sociale messo in piedi sino a quel momento, e in tempi tanto rapidi da far impallidire qualsiasi regime di democrazia rappresentativa – letteralmente mattone su mattone, oltre che norma su norma – è stato abbattuto colpo su colpo. Passo dopo passo. E i responsabili checché se ne dica sono facilmente identificabili, poiché hanno nomi e cognomi. Così come sono identificabili, anche se non capillarmente e nome per nome per via del voto segreto, tutti i cittadini che nei vari Paesi, di volta in volta, attraverso il loro voto, hanno permesso l’ascesa al governo di forze politiche ed esponenti che poi si sono macchiati di tale infamia (qualcuno suppone, non del tutto a torto, anche di Alto tradimento nei confronti dello Stato).
 
Le cambiali in bianco firmate agli Stati Uniti dai governi negli anni post conflitto furono solo il primo passo, ma completarono il quadro d’attacco degli Usa al resto del mondo: quelle firme gettarono le basi per il dominio della loro way of life nel Vecchio Continente in seguito alle mosse strategiche che presero il via dalla (loro) crisi del 1929. A quel punto, si resero conto, per continuare a crescere si doveva necessariamente tornare a Est dell’Atlantico (con cultura & armi). Ciò che è venuto dopo, a conti fatti, ne è stata solo la diretta conseguenza. Ed è sintetizzabile con la semplice evidenza del fatto che ciò che una volta era pubblico, ovvero di proprietà di ognuno di noi, in quanto cittadini di questo Stato, un istante dopo la firma sulla privatizzazione diviene di proprietà altrui, ovvero ne è di suo esclusivo beneficio. Una perdita secca, totale. E definitiva.
 
Per quanto attiene all’Italia le privatizzazioni più evidenti, in quanto mediatiche, cioè rese note (inutilmente, visti i risultati in termini di reazione) al “grande pubblico” attraverso la televisione e i media che gli si sono aggiunti, sono state certamente quelle dei governi Berlusconi, anche se nel complesso riguardano solo una piccolissima parte del tutto. Le vere e più grandi responsabilità sono del tutto altrove, e in massima parte portano la firma dei governi di Centrosinistra, con il sigillo di Romano Prodi, bisogna pur ricordarlo. E bisogna pur rammentarlo a chi, obnubilato dall’anti-berlusconismo, non si accorse che il più grande furto proveniva proprio dagli esponenti politici e dai governi che mandava in Parlamento per arginare quel “nemico” creato ad arte e fomentato per ottenere lo scopo opposto.
 
Il quotidiano on-line Lettera 43, qui, fa una sintetica cronologia delle privatizzazioni svoltesi in Italia, mentre per quanto riguarda nello specifico la figura del professore vi segnaliamo questa “Controstoria di Romano Prodi” pubblicata da CorrettaInformazione.it (qui). Con l’avvertenza, nella sua lettura, di tenersi a portata almeno un Malox, soprattutto per chi nel corso degli anni gli ha permesso, votandolo direttamente o indirettamente, di operare indisturbato.
 
E infine, o meglio sopra ogni altra cosa, c’è un particolare che in molti ancora non rammentano (né mettono a fuoco), e che riguarda la madre di tutte le privatizzazioni, ovvero quella della moneta, la quale poi ha determinato la quasi totalità del quadro generale di perdita della sovranità nel quale ci troviamo. A tal proposito non possiamo fare di meglio che segnalare ancora questa intervista, divenuta ormai storica, tanta la diffusione che ha ottenuto sul web, che abbiamo avuto l’onore di fare a Mario Consoli nel 2013: “Ecco come, e per colpa di chi, non siamo più sovrani sulla moneta”.

Stragi occasionali, stragi ideali

Di , Federico Zamboni
bandieraisis
Terrorismo q.b. . Terrorismo “quanto basta”. Sarà di certo un caso, ovvero una provvidenziale combinazione di circostanze, ma le stragi in grande stile compiute dagli estremisti islamici in Occidente rimangono episodiche. Sull’arco di quattordici anni, quanti ne sono trascorsi dal doppio attentato alle Torri gemelle di New York, se ne contano soltanto quattro all’interno della UE (a Madrid l’11 marzo 2004, a Londra il 7 luglio 2005 e le due di Parigi dell’anno in corso, prima a gennaio con l’assalto del 7 gennaio alla sede del settimanale Charlie Hebdo e poi con gli eccidi del 13 novembre), mentre non ne è avvenuta neanche una negli USA.
 
Decisamente troppo poche, per una strategia prettamente terroristica. La cui finalità dovrebbe essere, appunto, quella di determinare nelle popolazioni colpite uno stato psicologico di continuo allarme e di crescente prostrazione. Di paura per sé stessi e per i propri cari. Di sfiducia nelle pubbliche istituzioni. Di disponibilità ad accettare di ritirarsi definitivamente nel proprio guscio, pur di essere lasciati in pace.
 
La realtà, al contrario, ci dice che questi eccidi sono serviti allo scopo opposto. Passato il momento iniziale dello sbigottimento, che dipende innanzitutto dall’aver rimosso l’idea di conflitti cruenti e vissuti in prima persona, la generalità dei cittadini non solo non ha preso le distanze dai governanti, e men che meno dalle logiche del massimo profitto e del consumismo forsennato, ma si è rinsaldata nella convinzione di essere nel giusto. E, perciò, di ritrovarsi assalita senza alcuna ragione e senza alcuna colpa, a opera di fanatici pervasi da un odio incomprensibile e da una follia pseudo religiosa.
 
Dal punto di vista dell’establishment non si potrebbe chiedere di meglio. Nel perdurare di una crisi economica di eccezionale gravità, che ha spazzato via le precedenti aspettative in un futuro sempre più ricco e sicuro, l’antidoto allo sgretolamento sociale diventa quello di una rinnovata coesione. Imperniata su basi diverse. Su necessità diverse. Meno gratificanti per un verso, più pressanti per l’altro. Ed ecco allora che una minaccia esterna può fungere da collante per ricompattare quella legittimazione interna che correva il rischio di andare in frantumi, a causa dei contraccolpi intrecciati della speculazione finanziaria e della corruzione politica.
 
La chiave di volta, per le oligarchie che ci dominano, è evitare che nei popoli emerga un’esigenza insopprimibile di verità. Il bisogno di fare piena luce sui valori effettivi delle sedicenti liberaldemocrazie occidentali, sui loro obiettivi dentro e fuori dai propri confini, sui metodi con cui li si persegue. La messinscena deve srotolarsi imperterrita, intorno al mito di una società che per quanto perfettibile è comunque superiore a ogni altra. E che, quindi, resta sia per l’oggi che per il domani la migliore, la più promettente, la più desiderabile.
 
Dietro le evidenze, e la retorica, della tragedia collettiva, il terrorismo si riduce a unfastidiosissimo contrattempo, che mette a repentaglio le nostre pacifiche abitudini di rotelline produttive e di amanti dello svago. Gli estremisti islamici come una sorta di disturbatori, all’ennesima potenza, della quiete pubblica. La guerra all’ISIS come una soluzione auspicata solo a patto che si vinca in fretta e lasciando l’incombenza ai militari di professione, nel presupposto che pure loro se la possano cavare senza troppi danni, a colpi di raid aerei e di droni.
 
Siamo malati di comfort. Malati e assuefatti. E non vediamo l’ora di spargere ovunque la nostra stessa malattia, affratellandoci con tutti gli altri “cittadini del mondo” nelle corsie accoglienti – o almeno riparate – di un sempre più vasto Global Park Hospital.