Mercenari nello Yemen: la complicità degli Stati Uniti

Gli yemeniti e bahreniti non sono umani. Questo deve essere il pensiero dell’Onu e delle miriadi di ong finanziate dall’Onu, per loro la tragedia di questi popoli non merita attenzione, né una petizione, un sit in, uno striscione…i petroldollari piacciono molto a costoro
Sempre più mercenari latino-americani si dimettono dai ranghi che ricoprivano nei rispettivi eserciti nazionali, per andare a combattere nel deserto dello Yemen, con l’uniforme degli Emirati Arabi Uniti. Sono stati arruolati da compagnie private americane e, in alcuni casi, direttamente dal governo arabo che, grazie alle sue enormi riserve di petrolio, è la seconda maggiore economia della regione.
Un articolo del New York Times ha rivelato come siano stati dispiegati nello Yemen 450 soldati latino-americani, fra cui Colombiani, Panamensi, Salvadoregni e Cileni. I mercenari, prima di essere mandati in prima linea, vengono addestrati negli Emirati Arabi Uniti, in parte anche da personale americano.
La presenza di soldati di ventura latino-americani in Medio Oriente non è una novità. Sono anni che i mezzi di informazione colombiani intervistano mercenari di ritorno dal Medio Oriente. Tutti raccontano di essere stati reclutati da compagnie transnazionali con la promessa di paghe molto al di sopra di quelle che avrebbero potuto ricevuto in patria. In ogni caso, sembra che il conflitto nello Yemen sia quello in cui i mercenari latino-americani sono stati per la prima volta usati in combattimento.
La Colombia contribuisce con il numero maggiore. Secondo il New York Times, gli Emirati Arabi Uniti reclutano i Colombiani per la loro esperienza nel combattere il Fronte Armato Rivoluzionario Colombiano (FARC) nelle giungle e nelle montagne della loro nazione. Ma c’è un altro motivo.
 
Fin dagli inizi del “Piano Colombia”, gli Stati Uniti hanno speso, fra il 2000 e il 2015, almeno 7 miliardi di dollari per addestrare, formare ed equipaggiare le forze di sicurezza della Colombia. Negli ultimi anni, il governo degli Stati Uniti ha seguito la strategia di preparare i Colombiani per l’avvento di un nuovo tipo di industria: “l’esportazione della sicurezza”.
Quindi, un modo per esportare sicurezza è quello di diventare un mercenario addestrato dagli Americani per le guerre di Washington in tutto il resto del mondo.
Le truppe colombiane, addestrate alle tecniche di anti-terrorismo e anti-ribellione, invece di esportare sicurezza, esportano il progetto geopolitico americano della guerra eterna. Finiscono a fare il lavoro sporco per il loro alleato del nord, che in questo modo evita di mettere in pericolo le proprie truppe e di essere accusato di interventismo.
Secondo l’analista William Hartung, il governo degli Stati Uniti ha addestrato in totale 30.000 uomini delle quattro nazioni che forniscono le truppe mercenarie latino-americane nello Yemen. In un recente rapporto investigativo da El Salvador, una fonte del Ministero della Difesa afferma che nello Yemen operano circa 100 Salvadoregni. Mentre i Colombiani asseriscono di essere stati arruolati direttamente dall’esercito degli Emirati, la fonte salvadoregna dichiara invece che (da loro) i contratti vengono subappaltati ad una compagnia locale dalla Northrup-Grumman.
La Northrup-Grumman ha una lunga storia nel business dei mercenari in Medio Oriente. Forbes riporta l’acquisizione di una sconosciuta compagnia di nome Vinnelli che, fin dal 1975, aveva un contratto da 819 milioni di dollari per la fornitura di personale alla Guardia Nazionale Saudita.
La stessa fonte salvadoregna riporta come nello Yemen ci siano anche Messicani. Il Messico non era incluso nel servizio del New York Times, ma questa nazione ha stretti contatti con le agenzie di sicurezza americane per via della guerra alla droga.
Non si sa per certo se queste centinaia di mercenari latino-americani siano stati addestrati negli Stati Uniti o nelle loro nazioni da personale americano. Il governo degli Stati Uniti non rivela i nomi dei soldati o dei poliziotti che ha addestrato. E neanche esiste un pubblico registro dei mercenari. Anche se questa attività può essere legale in certe situazioni, fa comunque parte di quel mondo sotterraneo collegato alla guerra, in cui i poteri occulti decidono le nostre condizioni di vita, e alle volte, di morte.
Quello che è certo è che l’arruolamento di mercenari latino-americani è nella logica del nuovo stile di guerra disegnato dal Pentagono. Questa strategia riduce i rischi per le truppe americane, aumenta le perdite civili e i profitti di guerra. I droni, velivoli senza pilota, uccidono migliaia di civili senza che l’aggressore rischi anche una sola vita umana. Sono lontani dal sangue delle loro vittime e dall’orrore delle loro grida.
Se da un lato la tecnologia rende possibile i conflitti da remoto, un altro aspetto della guerra per procura è quello di far combattere agli altri le proprie battaglie. Il reclutamento di mercenari stranieri, una triste rappresentazione di violenza patriarcale e disuguaglianza economica, è un aspetto centrale del modo di combattere moderno.
mercenarios-colombianos-2Mercenari colombiani in azione nello Yemen
Nel caso dello Yemen, le popolazioni dei paesi coinvolti nel conflitto, o che da esso si sentono minacciate, come gli Emirati Arabi Uniti, non hanno nessuna voglia di andare a combattere. Negli ultimi mesi, gli EAU hanno subito sul campo perdite sempre maggiori, mentre gli altri membri della coalizione, Sauditi ed Americani, si limitano a fornire copertura aerea.
Gli Stati Uniti hanno forti interessi nella regione, ma non sono disposti a pagarne il prezzo politico riportando a casa i propri soldati dentro i sacchi di plastica. La soluzione? Arruolare mercenari dalle nazioni povere dell’America Latina.
Reclutare giovani dai paesi dell’America Latina fa prosperare l’industria bellica degli Stati Uniti. Compagnie americane, come la Blackwater, che ha cambiato nome, ma rimane l’impero della morte di Erik Prince e la Northrup Grumman, che ha sede in Virginia, riescono a ricavare ancora di più dai loro lucrosi contratti governativi riducendo la paga ai soldati. Secondo fonti colombiane, i loro mercenari ricevono meno della metà di quanto viene pagato ai soldati europei o americani. Nonostante la disparità di trattamento, i sudamericani guadagnano in media cinque volte di più di quello che otterrebbero nelle loro rispettive nazioni.
La terza caratteristica, molto spesso ignorata, di queste nuove guerre fatte con il telecomando è il traffico delle armi. La vendita degli armamenti made in USA è alle stelle, e sta facendo affluire milioni di dollari all’industria della difesa americana, una potentissima lobby congressuale. Gli strateghi americani riconoscono che la vendita di armi può effettivamente cambiare una situazione geopolitica, modificando l’equilibrio delle forze in campo nei conflitti strategici.
L’amministrazione Obama ha contribuito ad incrementare i bombardamenti da parte dei governi dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti, e ha sviluppato un rapporto molto stretto con gli EAU, che condividono il suo zelo nell’eliminazione dello Stato Islamico. L’amministrazione ha appena deciso di vendere a queste nazioni, per ricostituire la loro scorte, armi per altri 1.3 miliardi di dollari. Anche se gli aiuti militari agli alleati (e in non pochi casi ad entrambe le parti di un conflitto armato) sono sempre stati un mezzo per garantirsi l’egemonia, le vendite di armi sono ora diventate di fatto una strategia dominante.
Il Pentagono e i suoi promotori al Congresso parlano apertamente dei vantaggi dell’uccisione a distanza. I critici citano invece i molti attacchi letali ai civili, compreso il gran numero di donne e bambini, che sono la caratteristica di questo tipo di guerra. L’ONU stima che il conflitto nello Yemen abbia già causato la morte di 2500 civili, fra cui donne e bambini; almeno 500 sono stati uccisi dagli attacchi dei droni americani.
Quanti ne moriranno per mano dei mercenari latino-americani?
E quanti giovani Colombiani, Messicani, Salvadoregni, esaleranno il loro ultimo respiro in un deserto, dall’altra parte del mondo, combattendo una guerra non loro?
Tradotto da Mario per Saker Italia

Il socio della UE, il turco Erdogan, promette di “seppellire”tutti gli oppositori curdi

I due pesi e due misure della società civile: Saddam gasa i  curdi, Iraq devastato e 6 milioni di iracheni morti- Erdogan vuole sterminare i curdi, grande alleato che si merita di entrare in quel mattatoio chiamato europa ed incaricato di sovvenzionare tagliagole per combattere Assad il despota che viola i diritti umani
 
Dic 22, 2015
Turcos-soldados-en-Kurdistan
Soldati turchi in Kurdistan
 
Il presidente dell Turchia, Recep T. Erdogan ha assicurato di aver ordinato al suo esercito di continuare tutte le operazioni militari fino allla eliminazione completa del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK).
“L’organizzazione terroristica ed i suoi affiliati saranno seppelliti nelle trincee che loro stessi si sono scavate”, ha promesso il presidente turco, alludendo ai militanti del PKK. Dallo scorso Luglio, il governo di Ankara ha messo fine ad una tregua che durava da due anni e si stanno registrando ogni giorno scontri tra i miliziani curdi ed i soldati dell’Esercito turco nelle regioni al sud del paese.
 
Il governo di Erdogan viene accusato da varie organizzazioni umanitarie di procedere ad una “pulizia etnica” della regione, con la finalità di eliminare la presenza della minoranza curda, che invece resiste e si oppone alla deportazione attuata dalle autorità di Ankara. Vedi: si legge coprifuoco si scrive pulizia etnica.
Il governo turco ha ricevuto un finanziamento di oltre tre miliardi dall’Unione Europea per la sistemazione dei profughi che provengono dalle zone del confine con la Siria. La Turchia è un membro della NATO e riceve appoggio militare dall’Organizzazione Atlantica nelle sue operazioni militari, tanto che il segretario generale della NATO, Stoltenberg, ha disposto ultimamente di inviare forze aereonavali della NATO per aiutare la Turchia a “proteggere” il confine meridionale ed in appoggio alle sue operazioni militari contro curdi ed Esercito siriano.
 
L’Unione Europea, sempre molto sensibile alle questioni dei “diritti umani” (nei paesi ostili all’Occidente come l’Iran, la Siria o la Corea del Nord) , finge di non vedere e di non sapere nulla di quanto accade in Turchia, in quanto interessata ad integrare quanto prima la Turchia nell’ambito dell’Unione Europea e utilizzare le forze turche per fermare l’esodo di profughi che si sta verificando dalla Turchia verso l’Europa per causa dei conflitti e della destabilizzazione di paesi come Siria ed Iraq.
 
Da notare che questi conflitti e queste destabilizzazioni sono state prodotte in buona parte anche dalle stesse nazioni europee, con la complicità della NATO, mediante il massiccio invio di armi e sostegno ai gruppi terroristi che operano in quei paesi per rovesciare i governi (come quello in Siria) non conformi agli interessi occidentali. Il sostegno a questi gruppi è stato persino rivendicato come un “merito” dal governo del presidente Hollande e dal suo ministro degli Esteri Laurent Fabius, (vedi: François Hollande confirme avoir livré des armes aux rebelles en Syrie)  salvo adesso dover affrontare le conseguenze in termini di terrorismo ed immigrazione incontrollata di masse di profughi in fuga verso l’Europa.
 
Fonti: HispanTV
 
Traduzione e note di Luciano Lago

Vengono a galla le frodi fiscali ed i veri interessi tutelati dai massimi responsabili dell’Unione Europea

Dic 22, 2015
Junker-e-lOlandese
Jean C. Junker con Jeroen Dijsselbloem
di Luciano Lago
 
I sostenitori della UE dichiarano una illimitata fiducia nelle istituzioni comunitarie proprio nel momento in cui in tutto il continente cresce la ribellione e la contestazione alle politiche economiche ed al sistema di regole imposto dall’Unione Europea.
Viene detto che, per curare le carenze delle varie situazioni di crisi e di sfiducia generate dalla politica neoliberista attuata dalle istituzioni comunitarie e fatta propria dai governi, “occorre più Europa”, ovvero maggiore sottomissione all’oligarchia tecnocratica europea e cessione di sempre maggiori quote di sovranità.
 
Sono i discorsi che in Italia facevano ad ogni piè sospinto i Giorgio Napolitano, i Mario Monti, i Letta ed ogni giorno ce lo ripete la Laura Boldrini e tanti altri, accompagnati dal coro dei grandi media e dei loro opinionisti (a libro paga delle centrali finanziarie) salvo qualcuno che adesso inizia a vergognarsi di questo servilismo verso le istituzioni europee.
 
Non è permesso dissentire dal “pensiero unico” eurosostenitore del neoliberismo e della preminenza dei mercati, prova ne sia che, quando in un paese emerge un partito o un movimento con una forte connotazione sovrana di anti eurocrazia ed anti immigrazione, immediatamente tutte le altre forze si coalizzano fra di loro per sbarrare il passo a quelli che vengono definiti “populisti”, nazionalisti “retrogradi” ed antiglobalisti. E’ successo in Francia con il Front National della Le Pen ed è analogo a quanto accaduto in precedenza in Portogallo come a quanto sta per avvenire in Spagna, con le dovute differenze. Di fronte al pericolo rappresentato dalle forze anti eurocrazia ed al risorgere del nazionalismo, cadono tutte le maschere che facevano la differenza fra conservatori e socialisti, fra socialdemocratici e liberisti e le forze del sistema di coalizzano fra loro in una unica coalizione. Questo rende l’idea di come i vecchi schemi destra e sinistra siano del tutto obsoleti e funzionali al sistema di potere eurocratico.
 
L’interrogativo che molti si pongono è quello di chiedere perchè mai i cittadini vengono trattati alla stregua del popolo bue da una classe politica e tecnocratica di persone che, una volta ottenuti i posti di comando nelle Istituzioni europee, lavora in modo opaco in commissioni ristrette e prende tutte le decisioni alle spalle delle esigenze reali delle popolazioni e sulla base di interessi esterni ed estranei alle nazioni ed alla stragrande maggioranza dei cittadini comuni. Si tratta di interessi che sono appannaggio di grandi organismi finanziari, di grandi multinazionali (corporations) che, grazie alle direttive ed alle normative emanate dalla UE, riescono a capitalizzare enormi profitti ed a trarre benefici dal mercato dell’Unione Europea, mentre questo avviene quasi sempre a scapito dei paesi più deboli e delle imprese locali di piccola e media dimensione che non sono in grado di competere con i grandi colossi multinazionali.
Si potrebbe andare a verificare quali sono i personaggi che occupano le poltrone più importanti nella Commissione Europea ed allora forse qualche cosa si capirebbe dai trascorsi e dai conflitti di interesse che hanno questi personaggi e dal seguito delle loro carriere che, in buona parte dei casi, passano per le porte girevoli che, dalla Commissione Europea, portano ad occupare incarichi direttivi, ben remunerati, in grandi multinazionali o entità bancarie e finanziarie.
 
Si può esaminare il caso ad esempio dell’attuale presidente della Commissione Europea, il lussemburghese Jean Claude Junker, come anche quello del presidente dell’Eurogruppo, l’olandese Jeroen Dijsselbloem. Personaggi che siedono ai vertici delle massime istituzioni della UE.
Entrambi questi illustri personaggi, quando ricoprivano alte cariche di governo nei loro paesi (rispettivamente ministro delle finanze del Lussemburgo uno e dell’Olanda, l’altro) risulta che si sono adoperati personalmente per proteggere le grandi corporations (multinazionali) ed aiutarle ad evadere le imposte, con pregiudizio degli altri paesi della UE ed a beneficio del Lussemburgo e dell’Olanda (dove avevano una imposizione di comodo allo 0,1% degli utili dichiarati) e successivamente avevano bloccato tutti i tentativi fatti dalle precedenti autorità europee per correggere il sistema impositivo che aveva fatto sottrarre migliaia di milioni di euro dalle casse pubbliche degli altri Stati Europei.
 
Juncker y Dijsselbloem, questi autorevoli dirigenti della UE non soltanto hanno mentito ma hanno anche fornito aiuto alle grandi multinazionali per frodare massicciamente i contribuenti di tutta Europa, realizzando il più grande reticolo di frode fiscale che abbia conosciuto l’Europa che ha permesso ad un numero di circa 300 grandi corporations transnazionali di evadere le imposte a larga scala con pregiudizio dei bilanci fiscali degli altri stati europei.
La loro ricompensa è stata quella di essere stati nominati alle più alte cariche della UE e sono loro che fanno parte della Troika ed impongono le misure draconiane alla Grecia, alla Spagna, all’Italia ed agli altri paesi, per obbligarli a pagare interessi
Si è scoperto il loro coinvolgimento in questa gigantesca trama, soltanto dopo la filtrazione di centinaia di documenti che mantenevano nascosti sotto varie chiavi; così come l’esistenza di queste operazioni è stata portata alla luce grazie alla confessione di un ex impiegato della PWC che ha fotocopiato e diffuso un centinaio di questi accordi (tax rulings) inconfessabili, suscitando lo scandalo denominato “Luxleaks”.
 
Attualmente, dopo oltre un anno dalla scoperta dello scandalo, l’unica persona che ha pagato è stato l’auditor Antoine Deltour, colui che aveva denunciato lo scandalo.
 
Quello che adesso è filtrato tramite informazioni diffuse da alcuni grandi media (Der Spiegel e Le Monde) sono gli atti delle riunioni a porta chiusa che hanno svolto nel corso degli anni il Gruppo di Codice di Condotta (Business Taxation) ed i l Gruppo di Lavoro sulle questioni Impositive, entrambi appartenenti alla Commissione Europea. Il contenuto di questi atti non solo è stato negato agli europarlamentari che lo hanno richiesto, ma si continua ad occultarlo anche alla stessa Commissione Speciale TAXE, creata precisamente per indagare sulle ramificazioni del LuxLeaks.
 
Ernest Urtasun, europarlamentare del Grupo Verde e membro di questa comissioneTAXE, sottolinea che “la pubblicazione di queste informazioni, fino ad ora confidenziali e quelle a cui i deputati europei non hanno tenuto accesso, costituisce una importante caduta in questo capitolo dei negoziati segreti sulla fiscalità”. Queste nuove rivelazioni implicano direttamente a Juncker y Dijsselbloem, come titolari delle Finanze dei propri rispettivi paesi, per cui adesso dovranno risponderne davanti al Parlamento Europeo.
 
Quello che viene rivelato dal contenuto di questi atti è che i due massimi responsabili della UE si erano dedicati per anni ad ostacolare tutti i tentativi per portare alla luce la trama della massiccia frode fiscale, grazie alla quale centinaia di multinazionali pagavano imposte bassissime al Lussemburgo ed all’Olanda per gli utili che avevano realizzato in altri paesi dalla fiscalità molto elevata. Entrambi avevano negato di essere implicati personalmente in questa macchinazione, tuttavia risulta che detti documenti dimostrano il contrario, visto che il gruppo del Codice di Condotta -creato nel 1998-, ma la cui esistenza non era stata scoperta dagli eurodeputati fino al 2014- lavorava in totale segretezza e stava sotto il diretto controllo dei ministri delle Finanze dei paesi membri.
 
Sia Junker che Dijsselbloem erano titolari del Ministero delle Finanze (Junker era anche primo ministro) quando bloccarono ripetutamente il lavoro di questo gruppo e tutti i tentativi di modificare la massiccia frode fiscale in corso. Di più, Belgio, Olanda e Lussemburgo ostacolarono le iniziative degli altri paesi per porre fine a questa trama. Inoltre, mentre Dijsselbloem era stato già nominato a capo dell’Eurogruppo (l’organismo che coordina le politiche fiscali e finanziarie dei paesi UE), l’Olanda oppose una “riserva di natura politica “, nel corso di una riunione segreta per bloccare un piano di riforma britannico e tedesco, approvato da esperti fiscali della OCDE, che avrebbe posto fine alla trama. Il che significa che l’olandese operava in segreto contro gli interessi dei paesi membri che lui stesso presiedeva.
 
Nessuno dei plenipotenziari europei fece nulla per fermare questo comportamento, nonostante le riunioni continue che si svolsero nel corso degli anni, mentre alcuni paesi traevano vantaggi enormi a scapito degli altri membri dell’Unione Europea.
Nonostante fosse emerso già in buona parte questo comportamento , Junker è stato eletto come presidente della Commissione Europea (l’incarico più importante della UE) con i voti della Grande Coalizione (popolari, socialisti e liberali ). Junker a suo tempo aveva sostenuto che si assumeva la responsabilità dei fatti come capo del Governo ma che non era stato lui a tesere la trama e non la conosceva.
 
I documenti tuttavia adesso svelano che egli era al corrente di tutta la trama, per cui emerge chiaramente il perchè lo stesso Junker aveva ordinato di occultare tutta la documentazione agli stessi eurodeputati.
 
Sven Giegold, un anziano europarlamentare tedesco dei Verdi, aveva cercato di consultare questi documenti delle riunioni dell’Eurogruppo ma aveva trovato ostacolato qualsiasi tentativo di accedere ad una sala blindata dove non era permesso di entrare nè tanto meno di consultare i documenti. Successivamente lo stesso Junker è stato segnalato come direttamente implicato nei negoziati svolti con le multinazionali dall’ex capo delle questioni fiscali del gigante multinazionale Amazon, Bon Confort, che ha rivelato di aver avuto due riunioni personali con Junker per risolvere le questioni fiscali della sua azienda ed ha dichiarato che, l’attuale presidente della Commissione, si era comportato allora come un “socio di affari”, aiutando la società a risolvere i sui problemi fiscali.
Tanto era vantaggoso per le multinazionali stabilire la sede in Lussemburgo che la società di consulting statunitense “Ernst&Young” raccomandava ai suoi investitori tanto americani che russi e di altri paesi, di fare business in Lussemburgo perchè “i funzionari del governo di quel paese sono accessibili ed implicano una relazione molto stretta con le società”. Impossibile essere più chiari.
Questo spiega perchè le più grandi multinazionali avevano scelto di porre la loro sede in Lussemburgo.
 
Tralasciando i molti altri particolari, queste rivelazioni, che sono pubblicate con molti dettagli, lasciano in chiaro quello che si sospettava da lungo tempo: che le politiche finanziarie e fiscali delle autorità europee erano dirette ad avvantaggiare le grandi corporations ed i grandi gruppi finanziari transnazionali, che alcuni paesi si sono beneficiati di queste politiche e del dumping fiscale ed hanno sempre bloccato ogni possibile forma di armonizzazione fiscale in ambito europeo da cui avrebbero perso le loro posizioni di vantaggio a danno delgi altri paesi.
 
Si comprende da queste rivelazioni anche il fatto incontrovertibile che l’oligarchia europea ha sempre lavorato per favorire gli interessi dei grandi gruppi monopolistici e transnazionali, creando gravi pregiudizi concorrenziali ai settori industriali locali dei paesi europei più esposti, come l’Italia, la Spagna ed il Portogallo, non soltanto in ambito industriale ma anche nell’ambito agricolo, delle produzioni alimentari, dell’artigianato, della pesca, ecc…
Questo dimostra che l’opposizione dei molti movimenti sorti in questi anni contro lo strapotere dell’Eurocrazia di Bruxelles e di Francoforte ha ben ragione di esistere e di mettere a nudo il sistema di potere e di groviglio di interessi che tiene in piedi l’Unione Europea, una congregazione  predisposta e pianificata per sottomettere i popoli europei,  espropriare  la sovranità degli Stati, trattare i cittadini come un parco buoi,  incapace di risolvere i problemi reali  delle nazioni  europee, da quelli dello sviluppo, della giustizia sociale , impotente di fronte a fenomeni  come le questioni sull’immigrazione,  oltre alla dimostrata e  totale  subordinazione  agli interessi nord americani.

Antitrust: per ministro Boschi nessun conflitto di interessi

ovviamente, il Pd, il partito moralmente superiore per fortuna è tutelato da ogni organo che controlla, chi non è del Pd è una bestia..
Il Pd combatte il conflitto di interessi, ora si comprende COME. Il Pd è la banca.
Fonti qualificate dell’Authority rispondono così a una sollecitazione venuta dal deputato M5s Alessandro Di Battista
boschi renzi
Redazione ANSA
24 dicembre 2015
 
Il ministro Maria Elena Boschi non ha alcun conflitto di interessi sulla vicenda del salvataggio della Banca Etruria. A sostenerlo è l’Antitrust, riferiscono fonti qualificate dell’Authority, in una risposta al deputato del movimento cinque stelle Alessandro Di Battista, che aveva sollecitato un pronunciamento sulla vicenda. Di Battista aveva sollevato la questione in una lettera inviata all’Antitrust lo scorso 22 dicembre. L’esponente dei cinque stelle chiedeva se esistessero gli estremi di un conflitto di interessi in capo al ministro Boschi e ai suoi familiari per la vicenda del salvataggio della Banca Etruria. L’Autorità, sulla base delle competenze ad essa assegnate dalla legge Frattini, ha esaminato la posizione della Boschi per verificare in primo luogo la presenza del ministro alle riunioni decisive sul salvataggio delle banche, poi se gli atti (o le eventuali omissioni) del ministro abbiano avuto un “incidenza specifica e preferenziale” sul suo patrimonio (e su quello del coniuge o dei parenti fino al secondo grado) e infine se vi sia stato un danno per l’interesse pubblico. Nella risposta a Di Battista, l’Antitrust esclude che il comportamento della Boschi possa rientrare nei due casi previsti dalla legge. Sul primo punto, quello riguardante l’incidenza sul suo patrimonio, l’Antitrust osserva che la Boschi partecipò solo alla riunione del consiglio dei ministri del 10 settembre, quando fu approvato lo schema preliminare del decreto legislativo 180 da inviare alle commissioni parlamentari per il parere previsto dalla legge.
 
Il ministro non partecipò invece alle riunioni del 6 e 13 novembre nel corso delle quali il governo esaminò e approvò il decreto. E non avendo preso parte alle riunioni, stando alla legge sul conflitto di interessi al ministro non può essere imputato un comportamento volto ad accrescere il proprio patrimonio. Anche sul secondo punto, l’Antitrust “assolve” la Boschi: per parlare di danno pubblico, si osserva nella risposta a Di Battista, bisognerebbe che il ministro avesse compiuto atti idonei “ad alterare il corretto funzionamento del mercato”, circostanza che per l’Antitrust è palesemente non rinvenibile in questo caso. Un eventuale danno, sottolineano le fonti dell’Antitrust, potrebbe derivare unicamente dall’inerzia dei commissari speciali chiamati dal decreto legislativo approvato dal consiglio dei ministri a risanare le banche.
 
Nella risposta al deputato M5s, l’Antitrust dà conto delle presenze del ministro Boschi nelle riunioni del consiglio dei ministri dove sono stati esaminati i provvedimenti legati al sistema bancario. Sulla base dei dati ricevuti da Palazzo Chigi, l’Autorità segnala che Maria Elena Boschi non è stata presente alla riunione del 20 gennaio 2015 che ha dato il via libera al decreto numero 3/2015 sul sistema bancario; è stata invece presente nella riunione del 10 settembre 2015 che ha approvato lo schema preliminare del decreto legislativo numero 180 sulle banche (ma non ha poi partecipato alle riunioni del consiglio dei ministri del 6 e del 13 novembre nel corso delle quali quel decreto legislativo è stato esaminato e poi approvato); e , infine, non ha partecipato alla riunione del consiglio dei ministri del 22 novembre che ha approvato il decreto cosiddetto “salva-banche”. Per quanto riguarda invece la dichiarazione sulle attività patrimoniali del ministro Boschi e dei suoi familiari, l’Antitrust segnala che essa fu presentata il 21 maggio 2014 e non riportano il possesso di azioni bancarie della Banca Etruria (ma il questionario impone l’obbligo di dichiarare il possesso di azioni solo sopra i 50 mila euro).

Francia: massoneria “sfacciata” a scuola e nelle istituzioni

ma che belle personcine, poi si parla di corporazioni e mafia…..loro cosa mettono al primo posto, la loro loggettina o le leggi del proprio stato? I tribunali dei non affiliati lo chiamano per i profani e loro si ergono al di sopra di questi….fortuna che credono nell’eguaglianza…Organizzeranno le gite dei ragazzi al templio?
 
Dic 21, 2015
 
Massoni-di-Francia
Sfilata di esponenti massoni a Parigi
 
Si scrive laicità, si legge massoneria. Sempre più scoperto il gioco di connivenze ed intrecci tra istituzioni e grembiulini, impiantato in Francia. O meglio, non solo in Francia, sebbene qui, dove i “poteri occulti” si sentono evidentemente più “forti”, escono maggiormente allo scoperto.
 
Quella che l’agenzia Médias-Presse-Info chiama esplicitamente una «collusione tra il potere socialista ed il Grand’Oriente di Francia» non si limita più a grandi manovre politico-economiche-finanziarie degne del gioco Monopoli, bensì anche in scambi di cortesie e strizzatine d’occhio.
 
Ad esempio, invitando graziosamente i seguaci di squadra e compasso all’inaugurazione della nuova sistemazione di Piazza della Laicità, a Parigi, nel XV arrondissement (nella foto, il volantino). Ciò, su invito personale del Sindaco della capitale, Anne Hidalgo, ovviamente targata Ps, partito affiliato all’Internazionale socialista.
 
La chiamata a raccolta è avvenuta lo scorso 9 dicembre nei pressi del parco Citroën. Non a caso. André Citroën (1878-1935), ingegnere e fondatore della nota marca automobilistica a lui intitolata, fece parte della massoneria: vi fu iniziato nel 1904 in una loggia parigina. Certo, ne fu radiato nel 1919, ma insomma è pur sempre uno “di casa”.
 
Anche la data non è per niente casuale: la cerimonia si è svolta in occasione dell’annuale Giornata della Laicità, per celebrare contemporaneamente l’anniversario della legge del 9 dicembre 1905, che sancì la definitiva separazione tra Chiesa e Stato. Erano presenti Daniel Keller, Gran Maestro del Grand’Oriente di Francia, il primo cittadino di Parigi oltre a folte rappresentanze di tutte le obbedienze massoniche, giunte anche da altre regioni per i festeggiamenti.
 
Non un gesto episodico, questo, né una semplice cerimonia, bensì un tassello organico di un preciso piano politico: non a caso proprio in tale circostanza è stata presentata e diffusa la “Guida della laicità”, destinata ai 5.600 funzionari comunali. L’indottrinamento istituzionale verrà garantito poi da una serie di stage di formazione, prossimi a partire. Intanto, questo “condensato” di secolarizzazione, in una decina di pagine dense di consigli pratici, propone sei diverse situazioni, specificando alla virgola come comportarsi, in base alle leggi vigenti ed in base ai consigli giunti dall’Osservatorio parigino della laicità.
 
laicità-Journee-de-la-laicite_largeur_760
Manifesto per la laicità
 
Ad esempio, «che fare se, durante un colloquio di lavoro, l’interlocutore ostentasse un abito o un simbolo religioso», come una croce? Certamente questo fatto, in quanto tale, da solo «non giustificherebbe l’esclusione da un’eventuale assunzione. Tuttavia, se, nel corso della conversazione, il candidato dichiarasse di voler mantenere questo abito o questo simbolo anche dopo esser stato assunto, il funzionario avrebbe il diritto di ricordargli l’incompatibilità del proprio proposito con le regole vigenti nell’ambito del pubblico impiego».
 
In nessun modo viene ritenuto, infatti, possibile “tollerare” – precisa il documento – «qualsivoglia forma d’incitamento religioso sul luogo ed in orario di lavoro», ricordando il principio di «neutralità» degli uffici.
 
Secondo i vertici comunali, tale guida «colmerebbe una lacuna» ed i sindacati, con l’euforia alle stelle, han già fatto sapere che «su questi temi sensibili, i funzionari han bisogno di istruzioni chiare».
 
Anche alle scuole è stato peraltro ordinato di festeggiare la Giornata della laicità. Gli studenti sono stati preparati con lezioni di educazione morale e civica “ad hoc”. Tutto questo s’inscrive nell’ambito della «grande mobilitazione per i valori della Repubblica», proclamata da François Hollande già dopo gli attentati dello scorso gennaio contro Charlie Hebdo e l’Hyper Cacher. Figuriamoci ora… (M.F.)
 

ORO DI DONGO ORO DEL POPOLO? – A MUSSOLINI VENNE SEQUESTRATO UN TESORO DA 8 MILIARDI DI LIRE

dago
14 APR 2015 18:29

CINQUE DEI PARTIGIANI CHE HANNO AVUTO A CHE FARE CON IL TESORO SONO STATI UCCISI – MA IL PROCESSO NON SI FECE MAI E I SOLDI SPARIRONO NEL PCI MILANESE. PER FARE LA RIVOLUZIONE?

Il tentativo di portare a termine un’inchiesta arrivò fino al 1957, ma il giudice del processo si tolse la vita e tutto si fermò. A distanza di settant’anni non si sa con certezza dov’è finito il tesoro di Mussolini e non c’è una verità su quei cinque omicidi della primavera del ‘45 –

Fabrizio d’Esposito per ilFatto Quotidiano

 Il 28 aprile 1945 è l’ultimo giorno di vita di Benito Mussolini. Ma anche la prima notte che il dittatore fascista trascorre con Claretta Petacci, la sua amante da dieci anni. Lui ha 62 anni, lei 33. La cascina dei De Maria, famiglia povera di contadini, si trova a Bonzanigo di Mezzegra, a una quindicina di chilometri da Moltrasio, vicino a Como. Sono ormai le tre di mattina quando i due prigionieri, il duce e la sua donna, arrivano alla cascina.

GIANNI OLIVA

GIANNI OLIVA

La camera da letto ha solo una finestra, a otto metri da terra. La fuga è impossibile. Poi un treppiede con bacinella e asciugamano, due sedie, un attaccapanni, due comodini e una cassapanca. Sopra alla testiera del letto, c’è un quadro che raffigura la Madonna di Pompei. I due si coricano. Parlano sottovoce.

Fa freddo, nonostante la primavera, e lui prende una coperta militare per coprire lei. La Petacci, invece, chiede ai due partigiani un altro cuscino per il suo “Ben”. Tra sonno e veglia si fanno le undici di mattina. Mussolini e Claretta si alzano e vanno alla finestra. Nel cortile c’è Lia De Maria, moglie di Giacomo. Vede la coppia che apre la finestra e si appoggia coi gomiti sul davanzale per guardare il lago di Como.

DUE RAFFICHE ALLE 16.10

Alle sette di mattina del 28 aprile, da Milano, su una Fiat 1100 nera con il parafango dipinto di bianco partono Walter Audisio, il “colonnello Valerio”, e Aldo Lampredi. Sono stati scelti dal comunista Luigi Longo, che è il responsabile delle formazioni garibaldine dei partigiani, per prendere in consegna Mussolini.

Il duce è stato infatti arrestato dalla 52ª brigata Garibaldi il giorno precedente, poco dopo le 15 e 30 del 27 aprile. In fuga da Milano dalla sera del 25 aprile, senza una destinazione precisa sulla sponda occidentale del lago di Como, il dittatore viene scoperto su un camion di soldati tedeschi fermo nella piazza di Dongo, borgo lacustre.

PETACCI e MUSSOLINI

PETACCI E MUSSOLINI

L’autocolonna fascio-nazista partita da Milano è stata dapprima bloccata a Musso, poi dopo una trattativa coi partigiani i tedeschi, ma non i repubblichini italiani, ottengono la ritirata. Di qui il travestimento di Mussolini, che indossa un largo cappotto da sergente della Luftwaffe. Ma nella piazza di Dongo un calzolaio partigiano che sale sull’ultimo camion teutonico, il quinto, s’insospettisce per quel soldato con gli occhiali scuri e il bavero rialzato. Il duce viene messo a morte 24 ore dopo l’arresto.

Il “colonnello Valerio” e Lampredi, in compagnia di due partigiani della 52ª brigata Garibaldi, il “capitano Neri” e il commissario politico Moretti, arrivano alla cascina De Maria verso le 15 e 45. Prelevano i due prigionieri e ripartono. Percorsi un centinaio di metri in discesa, lungo il muro di Villa Belmonte, l’auto si ferma. Mussolini e la Petacci vengono giustiziati alle 16 e 10 con due raffiche del Mas 38 calibro 7,65 impugnato dal “colonnello Valerio”.

I CORPI DI BENITO MUSSOLINI E CLARETTA PETACCI

I CORPI DI BENITO MUSSOLINI E CLARETTA PETACCI

UNA VENTINA DI VERSIONI

In settant’anni di studi e ricostruzioni, gli ultimi giorni e le ultime ore di Benito Mussolini hanno avuto decine e decine di versioni. Un altro grande mistero è poi quello del famoso tesoro di Dongo, dal valore di otto miliardi di lire dell’epoca, che era nascosto in valigie e borse dell’autocolonna fuggiasca di tedeschi e gerarchi fascisti. All’oro del duce è dedicato il nuovo libro dello storico Gianni Oliva, che esce oggi per Mondadori: Il tesoro dei vinti.

I SOLDI DELLA REPUBBLICA DI SALÒ

Sono stati gli americani, scrive Oliva, a fare la valutazione del tesoro di Dongo: “A titolo di riferimento, si possono indicare i calcoli di John Kobler, funzionario amministrativo dei servizi segreti americani, e Edmund Palmieri, ufficiale della Commissione alleata di controllo in Italia. La loro ricostruzione è fatta incrociando testimonianze dirette, tracce di prelievi bancari, inventari parziali fatti sul campo.

Claretta Petacci, amante del Duce Mussolini - in costume al mare

CLARETTA PETACCI, AMANTE DEL DUCE MUSSOLINI – IN COSTUME AL MARE

La somma totale ammonta a 66.259.590 dollari, pari a circa 8 miliardi di lire dell’epoca. In particolare, i due analisti statunitensi calcolano 61 milioni del ‘Fondo riservato’ della Repubblica sociale, l’equivalente di 1.210.000 dollari tra franchi svizzeri, pesetas, sterline e franchi francesi del fondo personale di Mussolini, 49mila dollari di anelli nuziali offerti dalle donne italiane per la campagna d’Etiopia, 4 milioni di fondi dell’esercito e dell’aeronautica del Reich requisiti sugli automezzi della Flak”.

Una quantificazione precisa però è impossibile ed è per questo che anche sul tesoro dei vinti elenchi e ricostruzioni sono varie. Quella degli americani offre un riferimento, in ogni caso. Ci sono poi i 33 milioni in biglietti da mille lire che vengono scaricati a Domaso dai tedeschi in ritirata.

L’INVENTARIO IN MUNICIPIO

MUSSOLINI

MUSSOLINI

Nell’autocolonna dei repubblichini non ci sono solo i gerarchi e il clan della Petacci. Un altro centinaio di italiani è in fuga verso la Svizzera. Il tesoro è disperso in troppe valigie. Le perquisizioni cominciano il 27 aprile, ma nel clima di confusione generale sono in tanti che riescono a trafugare gioielli e banconote. Arrivano così le prime lettere anonime sugli improvvisi arricchimenti di alcune famiglie lariane.

Oltre al tesoro, c’è la documentazione segreta del duce, in tre borse. Altro mistero che dura da settant’anni. Il punto di raccolta delle perquisizioni, in quei giorni, è il municipio di Dongo. A fare l’inventario provvisorio di banconote e preziosi sono due partigiani dalla fama travagliata e controversa: Luigi Canali, il “capitano Neri”, e Giuseppina Tuissi, “Gianna”. I due si amano e il “Neri” si fida solo di lei.

Interrotto dall’esecuzione di Mussolini e dei gerarchi, l’inventario viene comunque terminato e firmato dai vertici della 52ª brigata il 28 aprile. Nessuno ricorda il numero dei fogli dattilografati. Quattro o cinque. Forse di più. Dopo varie riunioni, si decide di affidare il tesoro alla federazione di Como del Partito comunista. Il segretario della federazione di chiama Dante Gorreri. La partigiana “Gianna” riempie cinque o sei valigie di cuoio giallo. I viaggi in auto per trasferirlo in auto da Dongo a Como sono due. Il primo è del 29 aprile.

MUSSOLINI CON RACHELE

MUSSOLINI CON RACHELE

Il secondo avviene dopo l’arresto della “Gianna”, da parte degli stessi partigiani. I due, il “Neri” e la donna, sono sospettati di collaborazionismo. In realtà, l’accusa è falsa. Canali è giudicato troppo autonomo dalla linea stalinista del partito. Una volta nella federazione di Como, il tesoro svanisce, diretto al partito di Milano, dove ci sono Luigi Longo e Pietro Vergani, “Fabio”. Le divisioni tra gli antifascisti suggeriscono ai comunisti di custodire l’oro per le necessità del futuro democratico. C’è chi pensa, poi, che i soldi possano servire a completare la Resistenza con la rivoluzione comunista in tutto il Paese.

Mussolini e Petacci - Piazzale Loreto

MUSSOLINI E PETACCI – PIAZZALE LORETO

Canali e la Tuissi vengono fatti sparire nella prima decade di maggio. Dopo tocca ad altri tre “testimoni”. Tutti ammazzati dalla “polizia del popolo” di orientamento comunista. L’inchiesta sul tesoro di Dongo comprende le accuse di omicidio premeditato e concorso in peculato, oltre a peculato, malversazione, estorsione, furto aggravato, ricettazione. Il percorso dell’inchiesta è tortuoso.

La magistratura ordinaria e quella militare si rimpallano le indagini. Il processo, trasferito da Como a Padova, si apre nel 1957, nel clamore generale. Ma un giudice popolare della Corte d’assise si sente male e il processo viene sospeso. Quando poi questo giudice si suicida, tutto viene azzerato. Ma il processo non si farà più. Gorreri sarà parlamentare del Pci fino al 1972, Vergani fino al 1970, anno della sua morte. Sull’oro di Dongo e sui cinque omicidi della primavera del ‘45 non c’è mai stata verità, né giustizia.

MUSSOLINI PIAZZALE LORETO

MUSSOLINI PIAZZALE LORETO

La Cnn invia un filmato di un campo di addestramento dell’isis e…ecco un dettaglio inquietante

14/10/2015

La CNN manda in onda un campo di addestramento dell’ISIS,ed ecco che emerge un dettaglio inquietante che spiega molto,o per meglio dire tutto…IL VIDEO

Il video seguente mostra un campo di addestramento dell’Isis in un filmato mandato in onda dalla CNN, che rappresenta le varie tipologie di addestramento effettuate dai terroristi. Ma inoltre esso presenta un dettaglio molto importante. Infatti all’inizio dello stesso, nella prima scena, breve e tagliata, atta solo a mostrare un particolare tipo di addestramento, si può notare il marchio “US” sulle tende dell’accampamento.
Questo particolare sarà sfuggito alla CNN? Oppure è stato inviato “apposta” per far notare tale dettaglio?

Una cosa è certa, quelli che si definiscono esportatori di democrazia oltre le armi forniscono pure gli accampamenti ai terroristi. Come possiamo credere che vadano a combatterli?

Ecco l’ ulteriore prova del coinvolgimento degli Stati Uniti nell’addestramento dei terroristi dello Stato Islamico.

isistra

NON SOLO LE BANCHE: ANCHE LE COOP FANNO CRAC

 – DOPO IL DISASTRO DELLE COOPERATIVE FRIULANE, INSABBIATO POLITICAMENTE E SUI GIORNALI DA RENZI E SERRACCHIANI, MOLTI TEMONO PER I RISPARMI INVESTITI – BANKITALIA COME AL SOLITO SI È SVEGLIATA TARDI E HA PERMESSO CHE UNICOOP TIRRENO RACCOGLIESSE 1,2 MLD TENENDO IN CASSA SOLO 200 MLN

Da un giorno all’altro, gli oltre 20mila soci prestatori delle Coop friulane hanno appreso di non poter ritirare le somme depositate nei cosiddetti “prestiti sociali”. Un deposito che molti soci considerano un “investimento”, piuttosto che un “finanziamento”. Ed è proprio questo l’equivoco di fondo che non consente ai soci di percepire i rischi…

1. TRA GLI SCAFFALI DELLE COOP

A cura di Gianfranco Ursino per ”Il Sole 24 Ore

 Dopo le tristi vicende di due Coop friulane, vorrei sapere come socio che ha sottoscritto i libretti di risparmio di una Coop quali rischi corro qualora dovesse entrare in crisi?

MATTEO RENZI E DEBORAH SERRACCHIANI jpeg

MATTEO RENZI E DEBORAH SERRACCHIANI JPEG

I rischi sottostanti ai libretti di risparmio Coop sono emersi in tutto il loro fragore con l’approdo nelle aule dei tribunali dei dissesti delle Cooperative operaie Trieste e di Coop Carnica. Da un giorno all’altro, gli oltre 20mila soci prestatori delle due Coop hanno appreso di non poter ritirare le somme depositate (fino a un massimo di 36mila euro) nei libretti di risparmio Coop, ovvero nei cosiddetti “prestiti sociali”.

Un deposito che molti soci considerano un “investimento”, piuttosto che un “finanziamento”. Ed è proprio questo l’equivoco di fondo che non consente ai soci di percepire i rischi che si assumono: depositando le somme sui prestiti sociali l’unica garanzia per loro è rappresentata dal patrimonio della cooperativa.

RENZI INSTAGRAM guerini serracchiani

RENZI INSTAGRAM GUERINI SERRACCHIANI

Da tempo la regolamentazione prevede l’attivazione di uno schema di garanzia per i soci prestatori sulla falsariga dei fondi di tutela interbancari (Fidt e Fgd), ma finora è rimasta lettera morta. Attualmente è in corso una pubblica consultazione di Bankitalia che richiama la necessità di rafforzare le tutele. Nel frattempo ai soci non rimane che valutare la solidità patrimoniale delle Coop a cui prestano i loro risparmi.

COOP TRIESTE COOPERATIVE OPERAIE FRIULI

COOP TRIESTE COOPERATIVE OPERAIE FRIULI

Oggi è previsto solo un limite prudenziale nella raccolta delle Coop: l’ammontare dei prestiti sociali non deve superare il triplo del patrimonio, ma possono spingersi oltre (fino a un quintuplo) se accendono una costosa fidejussione con qualche banca per offrire ai soci una minima garanzia di ottenere almeno il rimborso del 30% del prestito. Multipli che vanno tenuti quindi sotto controllo.

 2. COSA RISCHIA CHI INVESTE NELLE COOP

Da www.liberoquotidiano.it

COOP TRIESTE COOPERATIVE OPERAIE FRIULI

COOP TRIESTE COOPERATIVE OPERAIE FRIULI

Sono tempi durissimi per i risparmiatori italiani, già traditi con le obbligazioni subordinate e il successivo decreto salva-banche per Banca Etruria, CariChieti, Banca Marche e CariFerrara che ha bruciato milioni di euro di pensionati e piccoli azionisti. Ma ad andare in fumo ci sono stati anche migliaia di piccoli risparmiatori che hanno deciso di mettere da parte un tesoretto considerevole nelle casse di alcune cooperative rosse. In tutto nelle coop ci sono circa 15 miliardi di euro, di cui 12 solo nelle novi grandi cooperative di consumo, come riporta il Sole 24 ore.

FAZIO E IGNAZIO VISCO

FAZIO E IGNAZIO VISCO

In queste hanno depositato il proprio denaro 1 milione e 300mila italiani, portando il colosso del prestito sociale ad essere idealmente la ventiquattresima banca in italia. La differenza con gli istituti di credito, però, è che le coop non sono soggette alle stesse regole di vigilanza, non ci sono ispezioni della Banca d’Italia e rischi di commissariamenti. Il risultato è che non esiste la minima tutela per chi ha messo i propri i soldi e vede andare in crac la coop in questione.

IGNAZIO VISCO resize

IGNAZIO VISCO RESIZE

Il caso – Uno dei tonfi più recenti è stato quello di Cooperative Operaie e Coop Carnica in Friuli Venezia Giulia, travolte da un terremoto finanziario e giudiziario che ha fatto perdere a 20mila soci pensionati circa 130 milioni di euro di libretti e azioni. L’unica reazione finora pervenuta dalla Banca d’Italia è stata una consultazione pubblica, in modo da arginare la raccolta con regole poco chiare dei soldi dei risparmiatori a favore del prestito sociale.

Il trucco – Forti dell’immagine sempre più pulita e apparentemente solida, le coop hanno saputo convincere i risparmiatori che a farsi scegliere, rendendosi più appetibili come un deposito bancario con plus di rendita, piuttosto che un investimento con capitale a rischio. Dai volantini diffusi al banco dei salumi del negozio Coop sotto casa non sembravano emergere particolari pericoli nel depositare i propri risparmi.

COOP TRIESTE COOPERATIVE OPERAIE FRIULI

COOP TRIESTE COOPERATIVE OPERAIE FRIULI

Il rimedio – Eppure ora qualcosa da via Nazionale sembra muoversi, visto che Bankitalia ha detto quanto sia necessario: “rafforzare i presidi normativi, patrimoniali e di trasparenza a tutela dei risparmiatori che prestano fondi a soggetti diversi dalle banche, specie con riferimento a forme che coinvolgono un pubblico numeroso composto da consumatori”. Qualche timido giro di vite sembra arrivare come l’obbligo per le coop di non superare il limite del triplo del patrimonio per la raccolta. Possono però arrivare a cinque volte se vengono accese delle fideiussioni, in modo da garantire ai soci un rimborso del 30% dei loro prestiti.

COOP COOPERATIVE

COOP COOPERATIVE

A rischio – I chiarimenti di Bankitalia potrebbero aprire scenari ben più gravi di quelli già avvenuti sulla pelle dei pensionati friulani. Nel definire i parametri e le soglie di sicurezza, Bankitalia ha sottolineato che: “il valore del patrimonio da assumere a riferimento dovrà essere quello risultante dal bilancio consolidato”, cioè quello che materialmente rappresenta il situazione reale di un’azienda. Stando così le cose, in Toscana e in Umbria potrebbero tremare due colossi come Unicoop Tirreno, che vanta 122mila prestatori per 1 miliardo di euro in fondi e un rapporto prestito-patrimonio di 6,22 volte; e Coop Centro Italia, con 73mila soci e 582 milioni di euro in fondi per un rapporto di tre volte.

3. UNICOOP TIRRENO NEL MIRINO DI BANCA D’ITALIA: TROPPI PRESTITI SOCIALI E POCO PATRIMONIO

Emanuele Scarci per il suo blog sul ”Sole 24 Ore”,http://emanuelescarci.blog.ilsole24ore.com/

Unicoop Tirreno apre all’ipotesi dell’adesione agli schemi di garanzia dei prestiti sociali o, in alternativa, a un aumento di capitale sottoscritto dai soci finanziatori, le Coop emiliane. La catena commerciale di Piombino ha un evidente squilibrio tra finanziamento dei soci e patrimonio, con un rapporto che dovrà “sanare” alla luce delle nuove norme di vigilanza elaborate da Banca d’Italia. Allo scorso dicembre 2014 la catena commerciale registrava una raccolta soci di 1,19 miliardi a fronte di un patrimonio netto consolidato di 191,2 milioni (215 l’esercizio precedente) e della capogruppo di 240 milioni. Il prestito sociale è attivato da 122mila unità.

UNICOOP TIRRENO COOP

UNICOOP TIRRENO COOP

Multiplo oltre il tetto

Il rapporto sul consolidato (come indicato da Banca d’Italia) dà un multiplo di 6,2. Fernando Pellegrini, direttore finanza e bilancio di Unicoop Tirreno, calcola invece il dato patrimoniale del civilistico. «Lo squilibrio è rimasto quello segnalato da Banca d’Italia per il 2013. A fronte di 1,1 miliardi di raccolta abbiamo un patrimonio netto di 240 milioni». Cioè di 4,6.

La situazione difficile di Unicoop Tirreno è la conseguenza di una crisi economica profonda che ha colpito in particolare i negozi in Campania, la controllata Ipercoop Tirreno. I ricavi sono in picchiata: l’anno scorso sono calati del 4,6% a 1,1 miliardo. Negli ultimi sei esercizi ha cumulato perdite per circa 100 milioni che hanno finito con l’erodere il patrimonio. Solo l’anno scorso la catena commerciale Coopjha perso 17 milioni e quello prima 24 milioni. Sono stati ceduti due punti vendita (Afragola e Guidonia), fonti di pesanti perdite. Nel 2014 sono intervenute in soccorso di Unicoop Tirreno due Coop emiliane.

IPERCOOP AFRAGOLA COOP CAMPANIA

IPERCOOP AFRAGOLA COOP CAMPANIA

 Al momento non so

«Al momento non ho la risposta – aggiunge Pellegrini – e abbiamo ancora circa 60 giorni per soppesare e discutere le varie opzioni. L’obiettivo è chiaro: dobbiamo rimane nel rapporto di 5 e potremmo optare per uno schema di garanzia dei prestiti sociali o aprire la strada a un aumento di capitale da parte dei soci finanziatori». E se le perdite non si fermassero?

salvatore rossi ignazio visco

SALVATORE ROSSI IGNAZIO VISCO

«Siamo andati avanti con il piano di ristrutturazione – risponde Pellegrini -. Abbiamo ceduto altri negozi, abbiamo ridotto i costi del personale e quelli generali, inoltre abbiamo stretto un’alleanza con le Coop emiliane. Poi aggiunga che in questi anni abbiamo dovuto mettere in bilancio oneri straordinari pesanti. Tutto questo in una situazione di ripresa dei consumi che non si concretizza». E il bilancio 2015? «Sono andate bene le vendite estive – conclude Pellegrini – . Alla fine, sarà un bilancio di tenuta».

Il piano per la fine dell’Europa: la nuova URSS

 

20/12/2015

DI JOHN RAPPOPORT – jonrappoport.wordpress.com

“Se controlli il significato de “il bene” e possiedi illimitate risorse propagandistiche e il controllo sulla stampa, nonchè il controllo di forze armate e forze di polizia, puoi edificare una nuova società in tempi relativamente brevi. Puoi spazzare via secoli di tradizioni in poche decadi. Se hai pure il sistema dell’istruzione nelle tuie tasche poi, puoi persino cancellare la memoria di ciò che è esisitito. Nessuno ricorderà e a nessuno interesserà. Sta già succedendo in Europa, dove l’ignoranza è ormai forza” (John Rappoport, The Underground)

Uno dei principi cardine del globalismo elitario è: fine dei confini, cessare l’esistenza di nazioni separate e distinte.

L’Unione Europea fu concepita a tale scopo ed edificata, a piccoli passi, a partire dalle macerie della seconda guerra mondiale: una superburocrazia ed un sistema di gestione politica per l’intero continente.

Ma questo non era ancora abbastanza. Doveva esserci pure un modo di demolire nazioni diverse tra loro e sovrane fino a lasciare una tabula rasa, un modo di alterare radicalmente il paesaggio.

Aprire i confini, lasciare che i territori nazionali siano inondati da migranti. “sostituire le popolazioni”, flussi di gente che non ha la minima intenzione di accettare costumi e stili di vita in voga nelle loro nuove case.

Il risultato finale? Una riconfigurazione di fatto delle popolazioni nazionali, al punto che, guardando all’Europa tra vent’anni potremo dire: “Perchè mai parliamo di Germania, Francia o Inghilterra? Non esistono realmente. L’intera Europa è un miscuglio non omogeneo di vari migranti, l’Europa oggi è una sola nazione, è tempo di cancellare tutti questi confini artificiali“.

A un certo punto anche solo pronunciare parole quali “Svedesi, Norvegesi, Tedeschi, Francesi, Olandesi” sarà considerata una più o meno micro, o macro, aggressione contro “le genti d’Europa”.

Chiaramente una volta raggiunto questo stadio a ciò si accompagnerebbe un certo quantitativo di caos e violenza. La UE sta scommettendo sulla sua capacità di gestire il disordine, di reprimerlo quando necessario, e consolidare e mantenere lo status di unica forza di Governo effettiva in Europa.

Ad un livello culturale, nomi come Locke, Shakespeare, Goethe, Mozart, Beethoven, Bach, Lorca, Goya, Cezanne, Monet, Van Gogh, Michelangelo, Rembrandt, Dante, Galileo, Faraday e persino nomi “moderni” come Bartok, Stravinsky, Rimbaud, Orwell e Camus non resteranno che vaghi fantasmi polverosi in grado di provocare null’altro che sguardi di incomprensione. “Il passato è morto”.

LEGGI  Crisi, imprenditore si spara col fucile da caccia

“Ma non c’è nulla da temere, quel che conta è che ogni persona che vive in Europa è cittadino Europeo e gode dei benefici che ne derivano. E’ tutto molto umano, questo è il Bene, il trionfo dello Stato benevolo. Nient’altro conta”.

Tutte le lingue Europee cadranno progressivamente in disuso. Chi ha il diritto di esprimersi con parole che la maggioranza non è in grado di capire?

Questo schizzo che sto tracciando descrive la griglia che sta per essere lanciata sull’Europa.

E chiaramente, dal momento che l’automazione galoppa, molti “cittadini-lavoratori d’Europa” diventeranno inutili. Persino grandi multinazionali crolleranno, perchè non potranno più vendere i loro prodotti alle popolazioni impoverite. Non fanno che sperare che milioni di Asiatici, Cina ed India in testa, gli regaleranno nuovi mercati.

Su questo sfondo l’essere umano individuale sarà considerato, dall’alto, come una cifra, una astratta unità buona per “modelli e algoritmi”.

La domanda è: quanti individui abboccheranno e accetteranno di vedere sè stessi come semplici parti interscambiabili nel sistema generale?

Quanti getteranno via ogni speranza e accetteranno il futuro solo come una funzione di quello che lo Stato è disposto a concedere e che dallo Stato possono ottenere gratis?

In quanti realizzeranno che il loro potere come individui è inconsequenziale, o meglio pura illusione?

Come mai ho avuto voglia di far salire a galla cose simili? Perchè, nonostante la prevalente mentalità collettivistica, propagandata, promossa e sfruttata al livello dell’elite, la repressione di Stato, a tutti i suoi livelli, colpisce ogni individuo.

Se il concetto stesso di individuo viene spezzato via, cosa ne resta?

Nel 1859 John Stuart Mill scrisse: “se ci fosse coscienza del fatto che il libero sviluppo dell’individualità è un fattore essenziale al benessere non ci sarebbe alcun rischio che l’importanza della libertà sia sottovalutata”.

Contrariamente, dove il libero sviluppo dell’individualità non è preoccupazione di nessuno, la libertà è destinata a morire.

LEGGI  “Il Venezuela non è una minaccia, ma una speranza”. La lettera di pace di Maduro ad Obama

Boris Pasternak, lo scrittore e poeta Russo, che certamente sapeva un paio di cosette sulla repressione politica, scrisse (nel 1960): “Loro (I burocrati Sovietici) non pretendono molto da te. Soltanto di odiare le cose che ami e amare le cose che odi”.

Questa inversione viene riproposta oggi, in Europa.

I dissidenti della vecchia URSS lo riconosceranno in un lampo, dal momento che ci sono già passati. La versione Europea ci tiene ad apparire più morbida e gentile, ma non è altro che questione di strategia. La cultura se la stanno cuocendo a fuoco lento.

Ma il semplice fatto che non abbiamo la polizia segreta che bussa alle nostre porte nel mezzo della notte per eseguire arresti di massa non è di per sè garanzia che la libertà individuale regna.

Parecchi politici Europei dicono ai loro elettori “non avete il diritto di opporvi in nessun modo alla marea di migranti in arrivo. Dichiarare pubblicamente ostilità ai migranti è offensivo”.

Suona familiare?

Il sogno segreto di ogni collettivista sta divenendo realtà. Tutto il potere accentrato al vertice; e totale conformità (definita “unità”) ad ogni altro livello. La nuova URSS.

Ai vecchi tempi la polizia della Germania Est aveva un fascicolo su ogni cittadino e seminava per la popolazione spie e informatori. Il moderno stato di sorveglianza ha rimpiazzato questi sistemi, cercando piuttosto i “nodi del discontento“.

I collettivisti possono, a parole, anche denunciare all’occorrenza i rischi di uno stato di polizia, ma ogni volta che questi sistemi sono usati per sbarazzarsi di qualcuno che possiede la visione di un mondo migliore di quello basato, tra le altre cose, sull’assenza di confini allora è soltanto “il Bene” imposto a chi non sa riconoscere il bene da solo.

Se un tale nobile scopo umanitario ha bisogno di qualche spintarella per essere inculcato, perchè no?

Per collettivisti fatti e finiti, la libertà non è solo un fastidioso blocco stradale, peggio, è una illusione irrilevante, non è mai esistita. Tutti gli esseri umani funzionano per come sono programmati a farlo, sin dalla nascita. Quindi, basta installare un programma migliore, inculcalo con ogni mezzo a disposizione, purchè si producano i desiderati “uomini-bambino”.

LEGGI  Alberto Bagnai ad Italia Soprattutto (Video): “noi oggi siamo in guerra, una guerra non dichiarata”

E’un imperativo sia politico che tecnologico.

Confini aperti ed immigrazione illimitata sono un ottimo caso-prova. Per la gente che pensa gli venga imposta la frammentazione delle proprie comunità, che si sentono personalmente minacciate, che abbiano la percezione che sia una operazione coperta per trasformare l’Europa in una nuova URSS, urge rieducazione al livello più profondo possibile. Per il loro bene, perchè certamente questa gente soffre di gravi disturbi. I loro circuiti sono bruciati, dev’esserci qualche difetto hardware del cervello, sono incapaci di vedere le cose correttamente.

Tra le cose che non potrebbero vedere ad esempio ad esempio, è la saggezza in queste parole di Zbigniew Brzezinski, ovvero l’alter ego di David Rockfeller, che nel 1969 scriveva:

“Lo stato nazione, inteso come unità fondamentale nella vita organizzata dell’uomo ha cessato di rappresentare la principale forza creativa: le banche internazionali e le corporazioni multinazionali agiscono e pianificano in termini che scavalcano ed eludono i concetti politici delllo Stato-nazione”

Qui vediamo il tattico globalista in azione, un uomo che apparentemente odia la vecchia URSS ma che in realtà punta all’installazione del medesimo collettivismo attraverso altri mezzi.

Se Lenin fosse vivo oggi, guardando all’Europa sarebbe d’accordo che la sua agenda è in pieno corso e gode di ottima salute. Potrebbe obiettare solamente per il passo relativamente lento a cui procede. Potrebbe sostenere che serve maggiore violenza. Ma non potrebbe non riconoscere come i suoi successori hanno scoperto un bel pò di utili trucchetti nuovi.

Approverebbe dell’ “altruismo umanitario”, il modo in cui viene presentato e manipolato, in modo che l’edificio del “Bene” appaia come una luce che brilla nell’oscurità.

Gran film. Bel lavoro di produzione. Le lacrime sulle gote degli spettatori.

Le menti ridotte a una sola costante: dobbiamo interessarci a chi è meno fortunato di noi.

Milioni di migliaia di migliaia di dollari spesi per instillare il sentimento, indipendentemente dalle circostanze o dalle vere intenzioni malevole sottostanti, o le indicibili sinistre intenzioni degli artisti elitari della realtà.

Fonte: Come Don Chisciotte

Altre 9 banche a rischio in Italia. Ecco l’elenco

Da Rossana Prezioso | Trend Online – 
mer 9 dic 2015 08:00 CET
 

Il contestato salvataggio delle 4 banche che hanno evitato il bail in a spese degli obbligazionisti (CariChieti, Banca di Ferrara, Banca delle Marche e Banca Etruria) non ha però risolto il ben più complesso problema di chi nel sistema di credito italiano è ancora commissariato. L’elenco, infatti, non si esaurisce alle 4 sopracitate ma ne include altre 9 di cui 6 appartenenti al circuito delle Bcc (Shenzhen: 002455.SZ – notizie) , un settore che, a sua volta dovrà attraversare un’altra risoluzione per adeguarsi agli standard richiesti dall’unione europea. 

Le cifre sono di ordine ben inferiore a quelle viste per il salvataggio delle 4 in centritalia, ma quello che più resterà scottata da questa vicenda è la fiducia di chi pensa che le piccole realtà rurali, più vicine al territorio siano anche più sicure. 

L’elenco 

La prima ad essere in fase di salvataggio (si spera per il 31 dicembre salvo imprevisti) è la Banca di Folgoria : i suoi numeri parlano di 300 milioni di attivo e di un commissariamento (amministrazione straordinaria) che è lungo oltre un anno e 8 mesi, per la precisione dall’aprile del 2014 . Sullo stesso piano la Bcc di Cascina e la Banca Terra d’Otranto , anche loro in gestione straordinaria a causa di irregolarità amministrative dei vertici così come, anche loro, in via di risoluzione entro la fine del mese. Per loro si prevede una serie di fondi che, senza ricorrere ai risparmiatori, dovrebbero riuscire a ripianare i problemi più urgenti e a permettere agli sportelli di riaprire. Non accadrà questo invece per altre tre banche, anch’esse in gestione controllata ma che, a differenza delle altre, non torneranno operative pur non intaccando le risorse dei clienti. In questo caso l’elenco comprende la Bcc Romagna Cooperativa , a suo tempo liquidata alla banca Sviluppo. Discorso un po’ più articolato per la Bcc Padovana che prima di essere rilevata dalla Bcc di Roma dovrà riuscire ad alleggerire i suoi conti dalle numerose sofferenze: per lei si parla di 2 miliardi di attivo il che fa pensare a tempistiche piuttosto lunghe. Un’ipotesi potrebbe vedere l’entrata in scena del Fondo obbligatorio di categoria, ipotesi che l’Europa vietò per le 4 banche maggiori salvate recentemente ma che potrebbe essere ammesso per queste realtà più piccole grazie a un rapporto tra attivi e passivi. Ultime protagoniste dell’elenco la Bcc Irpinia di Avellino e quella della Banca Brutia , anche loro in cerca di acquirenti e in amministrazione straordinaria mentre in amministrazione straordinaria sono anche l’Istituto per il Credito Sportivo, la Cassa di Risparmio di Loreto . 

Per ulteriori notizie, analisi, interviste, visita il sito di Trend Online