Archivi giornalieri: 25 dicembre 2015
Il socio della UE, il turco Erdogan, promette di “seppellire”tutti gli oppositori curdi
Vengono a galla le frodi fiscali ed i veri interessi tutelati dai massimi responsabili dell’Unione Europea
Antitrust: per ministro Boschi nessun conflitto di interessi
Francia: massoneria “sfacciata” a scuola e nelle istituzioni
ORO DI DONGO ORO DEL POPOLO? – A MUSSOLINI VENNE SEQUESTRATO UN TESORO DA 8 MILIARDI DI LIRE


CINQUE DEI PARTIGIANI CHE HANNO AVUTO A CHE FARE CON IL TESORO SONO STATI UCCISI – MA IL PROCESSO NON SI FECE MAI E I SOLDI SPARIRONO NEL PCI MILANESE. PER FARE LA RIVOLUZIONE?
Il tentativo di portare a termine un’inchiesta arrivò fino al 1957, ma il giudice del processo si tolse la vita e tutto si fermò. A distanza di settant’anni non si sa con certezza dov’è finito il tesoro di Mussolini e non c’è una verità su quei cinque omicidi della primavera del ‘45 –
Fabrizio d’Esposito per il “Fatto Quotidiano”
Il 28 aprile 1945 è l’ultimo giorno di vita di Benito Mussolini. Ma anche la prima notte che il dittatore fascista trascorre con Claretta Petacci, la sua amante da dieci anni. Lui ha 62 anni, lei 33. La cascina dei De Maria, famiglia povera di contadini, si trova a Bonzanigo di Mezzegra, a una quindicina di chilometri da Moltrasio, vicino a Como. Sono ormai le tre di mattina quando i due prigionieri, il duce e la sua donna, arrivano alla cascina.
GIANNI OLIVA
La camera da letto ha solo una finestra, a otto metri da terra. La fuga è impossibile. Poi un treppiede con bacinella e asciugamano, due sedie, un attaccapanni, due comodini e una cassapanca. Sopra alla testiera del letto, c’è un quadro che raffigura la Madonna di Pompei. I due si coricano. Parlano sottovoce.
Fa freddo, nonostante la primavera, e lui prende una coperta militare per coprire lei. La Petacci, invece, chiede ai due partigiani un altro cuscino per il suo “Ben”. Tra sonno e veglia si fanno le undici di mattina. Mussolini e Claretta si alzano e vanno alla finestra. Nel cortile c’è Lia De Maria, moglie di Giacomo. Vede la coppia che apre la finestra e si appoggia coi gomiti sul davanzale per guardare il lago di Como.
DUE RAFFICHE ALLE 16.10
Alle sette di mattina del 28 aprile, da Milano, su una Fiat 1100 nera con il parafango dipinto di bianco partono Walter Audisio, il “colonnello Valerio”, e Aldo Lampredi. Sono stati scelti dal comunista Luigi Longo, che è il responsabile delle formazioni garibaldine dei partigiani, per prendere in consegna Mussolini.
Il duce è stato infatti arrestato dalla 52ª brigata Garibaldi il giorno precedente, poco dopo le 15 e 30 del 27 aprile. In fuga da Milano dalla sera del 25 aprile, senza una destinazione precisa sulla sponda occidentale del lago di Como, il dittatore viene scoperto su un camion di soldati tedeschi fermo nella piazza di Dongo, borgo lacustre.
PETACCI E MUSSOLINI
L’autocolonna fascio-nazista partita da Milano è stata dapprima bloccata a Musso, poi dopo una trattativa coi partigiani i tedeschi, ma non i repubblichini italiani, ottengono la ritirata. Di qui il travestimento di Mussolini, che indossa un largo cappotto da sergente della Luftwaffe. Ma nella piazza di Dongo un calzolaio partigiano che sale sull’ultimo camion teutonico, il quinto, s’insospettisce per quel soldato con gli occhiali scuri e il bavero rialzato. Il duce viene messo a morte 24 ore dopo l’arresto.
Il “colonnello Valerio” e Lampredi, in compagnia di due partigiani della 52ª brigata Garibaldi, il “capitano Neri” e il commissario politico Moretti, arrivano alla cascina De Maria verso le 15 e 45. Prelevano i due prigionieri e ripartono. Percorsi un centinaio di metri in discesa, lungo il muro di Villa Belmonte, l’auto si ferma. Mussolini e la Petacci vengono giustiziati alle 16 e 10 con due raffiche del Mas 38 calibro 7,65 impugnato dal “colonnello Valerio”.
I CORPI DI BENITO MUSSOLINI E CLARETTA PETACCI
UNA VENTINA DI VERSIONI
In settant’anni di studi e ricostruzioni, gli ultimi giorni e le ultime ore di Benito Mussolini hanno avuto decine e decine di versioni. Un altro grande mistero è poi quello del famoso tesoro di Dongo, dal valore di otto miliardi di lire dell’epoca, che era nascosto in valigie e borse dell’autocolonna fuggiasca di tedeschi e gerarchi fascisti. All’oro del duce è dedicato il nuovo libro dello storico Gianni Oliva, che esce oggi per Mondadori: Il tesoro dei vinti.
I SOLDI DELLA REPUBBLICA DI SALÒ
Sono stati gli americani, scrive Oliva, a fare la valutazione del tesoro di Dongo: “A titolo di riferimento, si possono indicare i calcoli di John Kobler, funzionario amministrativo dei servizi segreti americani, e Edmund Palmieri, ufficiale della Commissione alleata di controllo in Italia. La loro ricostruzione è fatta incrociando testimonianze dirette, tracce di prelievi bancari, inventari parziali fatti sul campo.
CLARETTA PETACCI, AMANTE DEL DUCE MUSSOLINI – IN COSTUME AL MARE
La somma totale ammonta a 66.259.590 dollari, pari a circa 8 miliardi di lire dell’epoca. In particolare, i due analisti statunitensi calcolano 61 milioni del ‘Fondo riservato’ della Repubblica sociale, l’equivalente di 1.210.000 dollari tra franchi svizzeri, pesetas, sterline e franchi francesi del fondo personale di Mussolini, 49mila dollari di anelli nuziali offerti dalle donne italiane per la campagna d’Etiopia, 4 milioni di fondi dell’esercito e dell’aeronautica del Reich requisiti sugli automezzi della Flak”.
Una quantificazione precisa però è impossibile ed è per questo che anche sul tesoro dei vinti elenchi e ricostruzioni sono varie. Quella degli americani offre un riferimento, in ogni caso. Ci sono poi i 33 milioni in biglietti da mille lire che vengono scaricati a Domaso dai tedeschi in ritirata.
L’INVENTARIO IN MUNICIPIO
MUSSOLINI
Nell’autocolonna dei repubblichini non ci sono solo i gerarchi e il clan della Petacci. Un altro centinaio di italiani è in fuga verso la Svizzera. Il tesoro è disperso in troppe valigie. Le perquisizioni cominciano il 27 aprile, ma nel clima di confusione generale sono in tanti che riescono a trafugare gioielli e banconote. Arrivano così le prime lettere anonime sugli improvvisi arricchimenti di alcune famiglie lariane.
Oltre al tesoro, c’è la documentazione segreta del duce, in tre borse. Altro mistero che dura da settant’anni. Il punto di raccolta delle perquisizioni, in quei giorni, è il municipio di Dongo. A fare l’inventario provvisorio di banconote e preziosi sono due partigiani dalla fama travagliata e controversa: Luigi Canali, il “capitano Neri”, e Giuseppina Tuissi, “Gianna”. I due si amano e il “Neri” si fida solo di lei.
Interrotto dall’esecuzione di Mussolini e dei gerarchi, l’inventario viene comunque terminato e firmato dai vertici della 52ª brigata il 28 aprile. Nessuno ricorda il numero dei fogli dattilografati. Quattro o cinque. Forse di più. Dopo varie riunioni, si decide di affidare il tesoro alla federazione di Como del Partito comunista. Il segretario della federazione di chiama Dante Gorreri. La partigiana “Gianna” riempie cinque o sei valigie di cuoio giallo. I viaggi in auto per trasferirlo in auto da Dongo a Como sono due. Il primo è del 29 aprile.
MUSSOLINI CON RACHELE
Il secondo avviene dopo l’arresto della “Gianna”, da parte degli stessi partigiani. I due, il “Neri” e la donna, sono sospettati di collaborazionismo. In realtà, l’accusa è falsa. Canali è giudicato troppo autonomo dalla linea stalinista del partito. Una volta nella federazione di Como, il tesoro svanisce, diretto al partito di Milano, dove ci sono Luigi Longo e Pietro Vergani, “Fabio”. Le divisioni tra gli antifascisti suggeriscono ai comunisti di custodire l’oro per le necessità del futuro democratico. C’è chi pensa, poi, che i soldi possano servire a completare la Resistenza con la rivoluzione comunista in tutto il Paese.
MUSSOLINI E PETACCI – PIAZZALE LORETO
Canali e la Tuissi vengono fatti sparire nella prima decade di maggio. Dopo tocca ad altri tre “testimoni”. Tutti ammazzati dalla “polizia del popolo” di orientamento comunista. L’inchiesta sul tesoro di Dongo comprende le accuse di omicidio premeditato e concorso in peculato, oltre a peculato, malversazione, estorsione, furto aggravato, ricettazione. Il percorso dell’inchiesta è tortuoso.
La magistratura ordinaria e quella militare si rimpallano le indagini. Il processo, trasferito da Como a Padova, si apre nel 1957, nel clamore generale. Ma un giudice popolare della Corte d’assise si sente male e il processo viene sospeso. Quando poi questo giudice si suicida, tutto viene azzerato. Ma il processo non si farà più. Gorreri sarà parlamentare del Pci fino al 1972, Vergani fino al 1970, anno della sua morte. Sull’oro di Dongo e sui cinque omicidi della primavera del ‘45 non c’è mai stata verità, né giustizia.
MUSSOLINI PIAZZALE LORETO
La Cnn invia un filmato di un campo di addestramento dell’isis e…ecco un dettaglio inquietante
La CNN manda in onda un campo di addestramento dell’ISIS,ed ecco che emerge un dettaglio inquietante che spiega molto,o per meglio dire tutto…IL VIDEO
Il video seguente mostra un campo di addestramento dell’Isis in un filmato mandato in onda dalla CNN, che rappresenta le varie tipologie di addestramento effettuate dai terroristi. Ma inoltre esso presenta un dettaglio molto importante. Infatti all’inizio dello stesso, nella prima scena, breve e tagliata, atta solo a mostrare un particolare tipo di addestramento, si può notare il marchio “US” sulle tende dell’accampamento.
Questo particolare sarà sfuggito alla CNN? Oppure è stato inviato “apposta” per far notare tale dettaglio?
Una cosa è certa, quelli che si definiscono esportatori di democrazia oltre le armi forniscono pure gli accampamenti ai terroristi. Come possiamo credere che vadano a combatterli?
Ecco l’ ulteriore prova del coinvolgimento degli Stati Uniti nell’addestramento dei terroristi dello Stato Islamico.
NON SOLO LE BANCHE: ANCHE LE COOP FANNO CRAC
http://www.dagospia.com/rubrica-4/business/non-solo-banche-anche-coop-fanno-crac-dopo-disastro-115577.htm
23 DIC 2015 13:43
– DOPO IL DISASTRO DELLE COOPERATIVE FRIULANE, INSABBIATO POLITICAMENTE E SUI GIORNALI DA RENZI E SERRACCHIANI, MOLTI TEMONO PER I RISPARMI INVESTITI – BANKITALIA COME AL SOLITO SI È SVEGLIATA TARDI E HA PERMESSO CHE UNICOOP TIRRENO RACCOGLIESSE 1,2 MLD TENENDO IN CASSA SOLO 200 MLN
Da un giorno all’altro, gli oltre 20mila soci prestatori delle Coop friulane hanno appreso di non poter ritirare le somme depositate nei cosiddetti “prestiti sociali”. Un deposito che molti soci considerano un “investimento”, piuttosto che un “finanziamento”. Ed è proprio questo l’equivoco di fondo che non consente ai soci di percepire i rischi…
1. TRA GLI SCAFFALI DELLE COOP
A cura di Gianfranco Ursino per ”Il Sole 24 Ore”
Dopo le tristi vicende di due Coop friulane, vorrei sapere come socio che ha sottoscritto i libretti di risparmio di una Coop quali rischi corro qualora dovesse entrare in crisi?
MATTEO RENZI E DEBORAH SERRACCHIANI JPEG
I rischi sottostanti ai libretti di risparmio Coop sono emersi in tutto il loro fragore con l’approdo nelle aule dei tribunali dei dissesti delle Cooperative operaie Trieste e di Coop Carnica. Da un giorno all’altro, gli oltre 20mila soci prestatori delle due Coop hanno appreso di non poter ritirare le somme depositate (fino a un massimo di 36mila euro) nei libretti di risparmio Coop, ovvero nei cosiddetti “prestiti sociali”.
Un deposito che molti soci considerano un “investimento”, piuttosto che un “finanziamento”. Ed è proprio questo l’equivoco di fondo che non consente ai soci di percepire i rischi che si assumono: depositando le somme sui prestiti sociali l’unica garanzia per loro è rappresentata dal patrimonio della cooperativa.
RENZI INSTAGRAM GUERINI SERRACCHIANI
Da tempo la regolamentazione prevede l’attivazione di uno schema di garanzia per i soci prestatori sulla falsariga dei fondi di tutela interbancari (Fidt e Fgd), ma finora è rimasta lettera morta. Attualmente è in corso una pubblica consultazione di Bankitalia che richiama la necessità di rafforzare le tutele. Nel frattempo ai soci non rimane che valutare la solidità patrimoniale delle Coop a cui prestano i loro risparmi.
COOP TRIESTE COOPERATIVE OPERAIE FRIULI
Oggi è previsto solo un limite prudenziale nella raccolta delle Coop: l’ammontare dei prestiti sociali non deve superare il triplo del patrimonio, ma possono spingersi oltre (fino a un quintuplo) se accendono una costosa fidejussione con qualche banca per offrire ai soci una minima garanzia di ottenere almeno il rimborso del 30% del prestito. Multipli che vanno tenuti quindi sotto controllo.
2. COSA RISCHIA CHI INVESTE NELLE COOP
COOP TRIESTE COOPERATIVE OPERAIE FRIULI
Sono tempi durissimi per i risparmiatori italiani, già traditi con le obbligazioni subordinate e il successivo decreto salva-banche per Banca Etruria, CariChieti, Banca Marche e CariFerrara che ha bruciato milioni di euro di pensionati e piccoli azionisti. Ma ad andare in fumo ci sono stati anche migliaia di piccoli risparmiatori che hanno deciso di mettere da parte un tesoretto considerevole nelle casse di alcune cooperative rosse. In tutto nelle coop ci sono circa 15 miliardi di euro, di cui 12 solo nelle novi grandi cooperative di consumo, come riporta il Sole 24 ore.
FAZIO E IGNAZIO VISCO
In queste hanno depositato il proprio denaro 1 milione e 300mila italiani, portando il colosso del prestito sociale ad essere idealmente la ventiquattresima banca in italia. La differenza con gli istituti di credito, però, è che le coop non sono soggette alle stesse regole di vigilanza, non ci sono ispezioni della Banca d’Italia e rischi di commissariamenti. Il risultato è che non esiste la minima tutela per chi ha messo i propri i soldi e vede andare in crac la coop in questione.
IGNAZIO VISCO RESIZE
Il caso – Uno dei tonfi più recenti è stato quello di Cooperative Operaie e Coop Carnica in Friuli Venezia Giulia, travolte da un terremoto finanziario e giudiziario che ha fatto perdere a 20mila soci pensionati circa 130 milioni di euro di libretti e azioni. L’unica reazione finora pervenuta dalla Banca d’Italia è stata una consultazione pubblica, in modo da arginare la raccolta con regole poco chiare dei soldi dei risparmiatori a favore del prestito sociale.
Il trucco – Forti dell’immagine sempre più pulita e apparentemente solida, le coop hanno saputo convincere i risparmiatori che a farsi scegliere, rendendosi più appetibili come un deposito bancario con plus di rendita, piuttosto che un investimento con capitale a rischio. Dai volantini diffusi al banco dei salumi del negozio Coop sotto casa non sembravano emergere particolari pericoli nel depositare i propri risparmi.
COOP TRIESTE COOPERATIVE OPERAIE FRIULI
Il rimedio – Eppure ora qualcosa da via Nazionale sembra muoversi, visto che Bankitalia ha detto quanto sia necessario: “rafforzare i presidi normativi, patrimoniali e di trasparenza a tutela dei risparmiatori che prestano fondi a soggetti diversi dalle banche, specie con riferimento a forme che coinvolgono un pubblico numeroso composto da consumatori”. Qualche timido giro di vite sembra arrivare come l’obbligo per le coop di non superare il limite del triplo del patrimonio per la raccolta. Possono però arrivare a cinque volte se vengono accese delle fideiussioni, in modo da garantire ai soci un rimborso del 30% dei loro prestiti.
COOP COOPERATIVE
A rischio – I chiarimenti di Bankitalia potrebbero aprire scenari ben più gravi di quelli già avvenuti sulla pelle dei pensionati friulani. Nel definire i parametri e le soglie di sicurezza, Bankitalia ha sottolineato che: “il valore del patrimonio da assumere a riferimento dovrà essere quello risultante dal bilancio consolidato”, cioè quello che materialmente rappresenta il situazione reale di un’azienda. Stando così le cose, in Toscana e in Umbria potrebbero tremare due colossi come Unicoop Tirreno, che vanta 122mila prestatori per 1 miliardo di euro in fondi e un rapporto prestito-patrimonio di 6,22 volte; e Coop Centro Italia, con 73mila soci e 582 milioni di euro in fondi per un rapporto di tre volte.
3. UNICOOP TIRRENO NEL MIRINO DI BANCA D’ITALIA: TROPPI PRESTITI SOCIALI E POCO PATRIMONIO
Emanuele Scarci per il suo blog sul ”Sole 24 Ore”,http://emanuelescarci.blog.ilsole24ore.com/
Unicoop Tirreno apre all’ipotesi dell’adesione agli schemi di garanzia dei prestiti sociali o, in alternativa, a un aumento di capitale sottoscritto dai soci finanziatori, le Coop emiliane. La catena commerciale di Piombino ha un evidente squilibrio tra finanziamento dei soci e patrimonio, con un rapporto che dovrà “sanare” alla luce delle nuove norme di vigilanza elaborate da Banca d’Italia. Allo scorso dicembre 2014 la catena commerciale registrava una raccolta soci di 1,19 miliardi a fronte di un patrimonio netto consolidato di 191,2 milioni (215 l’esercizio precedente) e della capogruppo di 240 milioni. Il prestito sociale è attivato da 122mila unità.
UNICOOP TIRRENO COOP
Multiplo oltre il tetto
Il rapporto sul consolidato (come indicato da Banca d’Italia) dà un multiplo di 6,2. Fernando Pellegrini, direttore finanza e bilancio di Unicoop Tirreno, calcola invece il dato patrimoniale del civilistico. «Lo squilibrio è rimasto quello segnalato da Banca d’Italia per il 2013. A fronte di 1,1 miliardi di raccolta abbiamo un patrimonio netto di 240 milioni». Cioè di 4,6.
La situazione difficile di Unicoop Tirreno è la conseguenza di una crisi economica profonda che ha colpito in particolare i negozi in Campania, la controllata Ipercoop Tirreno. I ricavi sono in picchiata: l’anno scorso sono calati del 4,6% a 1,1 miliardo. Negli ultimi sei esercizi ha cumulato perdite per circa 100 milioni che hanno finito con l’erodere il patrimonio. Solo l’anno scorso la catena commerciale Coopjha perso 17 milioni e quello prima 24 milioni. Sono stati ceduti due punti vendita (Afragola e Guidonia), fonti di pesanti perdite. Nel 2014 sono intervenute in soccorso di Unicoop Tirreno due Coop emiliane.
IPERCOOP AFRAGOLA COOP CAMPANIA
Al momento non so
«Al momento non ho la risposta – aggiunge Pellegrini – e abbiamo ancora circa 60 giorni per soppesare e discutere le varie opzioni. L’obiettivo è chiaro: dobbiamo rimane nel rapporto di 5 e potremmo optare per uno schema di garanzia dei prestiti sociali o aprire la strada a un aumento di capitale da parte dei soci finanziatori». E se le perdite non si fermassero?
SALVATORE ROSSI IGNAZIO VISCO
«Siamo andati avanti con il piano di ristrutturazione – risponde Pellegrini -. Abbiamo ceduto altri negozi, abbiamo ridotto i costi del personale e quelli generali, inoltre abbiamo stretto un’alleanza con le Coop emiliane. Poi aggiunga che in questi anni abbiamo dovuto mettere in bilancio oneri straordinari pesanti. Tutto questo in una situazione di ripresa dei consumi che non si concretizza». E il bilancio 2015? «Sono andate bene le vendite estive – conclude Pellegrini – . Alla fine, sarà un bilancio di tenuta».
Il piano per la fine dell’Europa: la nuova URSS
DI JOHN RAPPOPORT – jonrappoport.wordpress.com
“Se controlli il significato de “il bene” e possiedi illimitate risorse propagandistiche e il controllo sulla stampa, nonchè il controllo di forze armate e forze di polizia, puoi edificare una nuova società in tempi relativamente brevi. Puoi spazzare via secoli di tradizioni in poche decadi. Se hai pure il sistema dell’istruzione nelle tuie tasche poi, puoi persino cancellare la memoria di ciò che è esisitito. Nessuno ricorderà e a nessuno interesserà. Sta già succedendo in Europa, dove l’ignoranza è ormai forza” (John Rappoport, The Underground)
Uno dei principi cardine del globalismo elitario è: fine dei confini, cessare l’esistenza di nazioni separate e distinte.
L’Unione Europea fu concepita a tale scopo ed edificata, a piccoli passi, a partire dalle macerie della seconda guerra mondiale: una superburocrazia ed un sistema di gestione politica per l’intero continente.
Ma questo non era ancora abbastanza. Doveva esserci pure un modo di demolire nazioni diverse tra loro e sovrane fino a lasciare una tabula rasa, un modo di alterare radicalmente il paesaggio.
Aprire i confini, lasciare che i territori nazionali siano inondati da migranti. “sostituire le popolazioni”, flussi di gente che non ha la minima intenzione di accettare costumi e stili di vita in voga nelle loro nuove case.
Il risultato finale? Una riconfigurazione di fatto delle popolazioni nazionali, al punto che, guardando all’Europa tra vent’anni potremo dire: “Perchè mai parliamo di Germania, Francia o Inghilterra? Non esistono realmente. L’intera Europa è un miscuglio non omogeneo di vari migranti, l’Europa oggi è una sola nazione, è tempo di cancellare tutti questi confini artificiali“.
A un certo punto anche solo pronunciare parole quali “Svedesi, Norvegesi, Tedeschi, Francesi, Olandesi” sarà considerata una più o meno micro, o macro, aggressione contro “le genti d’Europa”.
Chiaramente una volta raggiunto questo stadio a ciò si accompagnerebbe un certo quantitativo di caos e violenza. La UE sta scommettendo sulla sua capacità di gestire il disordine, di reprimerlo quando necessario, e consolidare e mantenere lo status di unica forza di Governo effettiva in Europa.
Ad un livello culturale, nomi come Locke, Shakespeare, Goethe, Mozart, Beethoven, Bach, Lorca, Goya, Cezanne, Monet, Van Gogh, Michelangelo, Rembrandt, Dante, Galileo, Faraday e persino nomi “moderni” come Bartok, Stravinsky, Rimbaud, Orwell e Camus non resteranno che vaghi fantasmi polverosi in grado di provocare null’altro che sguardi di incomprensione. “Il passato è morto”.
“Ma non c’è nulla da temere, quel che conta è che ogni persona che vive in Europa è cittadino Europeo e gode dei benefici che ne derivano. E’ tutto molto umano, questo è il Bene, il trionfo dello Stato benevolo. Nient’altro conta”.
Tutte le lingue Europee cadranno progressivamente in disuso. Chi ha il diritto di esprimersi con parole che la maggioranza non è in grado di capire?
Questo schizzo che sto tracciando descrive la griglia che sta per essere lanciata sull’Europa.
E chiaramente, dal momento che l’automazione galoppa, molti “cittadini-lavoratori d’Europa” diventeranno inutili. Persino grandi multinazionali crolleranno, perchè non potranno più vendere i loro prodotti alle popolazioni impoverite. Non fanno che sperare che milioni di Asiatici, Cina ed India in testa, gli regaleranno nuovi mercati.
Su questo sfondo l’essere umano individuale sarà considerato, dall’alto, come una cifra, una astratta unità buona per “modelli e algoritmi”.
La domanda è: quanti individui abboccheranno e accetteranno di vedere sè stessi come semplici parti interscambiabili nel sistema generale?
Quanti getteranno via ogni speranza e accetteranno il futuro solo come una funzione di quello che lo Stato è disposto a concedere e che dallo Stato possono ottenere gratis?
In quanti realizzeranno che il loro potere come individui è inconsequenziale, o meglio pura illusione?
Come mai ho avuto voglia di far salire a galla cose simili? Perchè, nonostante la prevalente mentalità collettivistica, propagandata, promossa e sfruttata al livello dell’elite, la repressione di Stato, a tutti i suoi livelli, colpisce ogni individuo.
Se il concetto stesso di individuo viene spezzato via, cosa ne resta?
Nel 1859 John Stuart Mill scrisse: “se ci fosse coscienza del fatto che il libero sviluppo dell’individualità è un fattore essenziale al benessere non ci sarebbe alcun rischio che l’importanza della libertà sia sottovalutata”.
Contrariamente, dove il libero sviluppo dell’individualità non è preoccupazione di nessuno, la libertà è destinata a morire.
Boris Pasternak, lo scrittore e poeta Russo, che certamente sapeva un paio di cosette sulla repressione politica, scrisse (nel 1960): “Loro (I burocrati Sovietici) non pretendono molto da te. Soltanto di odiare le cose che ami e amare le cose che odi”.
Questa inversione viene riproposta oggi, in Europa.
I dissidenti della vecchia URSS lo riconosceranno in un lampo, dal momento che ci sono già passati. La versione Europea ci tiene ad apparire più morbida e gentile, ma non è altro che questione di strategia. La cultura se la stanno cuocendo a fuoco lento.
Ma il semplice fatto che non abbiamo la polizia segreta che bussa alle nostre porte nel mezzo della notte per eseguire arresti di massa non è di per sè garanzia che la libertà individuale regna.
Parecchi politici Europei dicono ai loro elettori “non avete il diritto di opporvi in nessun modo alla marea di migranti in arrivo. Dichiarare pubblicamente ostilità ai migranti è offensivo”.
Suona familiare?
Il sogno segreto di ogni collettivista sta divenendo realtà. Tutto il potere accentrato al vertice; e totale conformità (definita “unità”) ad ogni altro livello. La nuova URSS.
Ai vecchi tempi la polizia della Germania Est aveva un fascicolo su ogni cittadino e seminava per la popolazione spie e informatori. Il moderno stato di sorveglianza ha rimpiazzato questi sistemi, cercando piuttosto i “nodi del discontento“.
I collettivisti possono, a parole, anche denunciare all’occorrenza i rischi di uno stato di polizia, ma ogni volta che questi sistemi sono usati per sbarazzarsi di qualcuno che possiede la visione di un mondo migliore di quello basato, tra le altre cose, sull’assenza di confini allora è soltanto “il Bene” imposto a chi non sa riconoscere il bene da solo.
Se un tale nobile scopo umanitario ha bisogno di qualche spintarella per essere inculcato, perchè no?
Per collettivisti fatti e finiti, la libertà non è solo un fastidioso blocco stradale, peggio, è una illusione irrilevante, non è mai esistita. Tutti gli esseri umani funzionano per come sono programmati a farlo, sin dalla nascita. Quindi, basta installare un programma migliore, inculcalo con ogni mezzo a disposizione, purchè si producano i desiderati “uomini-bambino”.
E’un imperativo sia politico che tecnologico.
Confini aperti ed immigrazione illimitata sono un ottimo caso-prova. Per la gente che pensa gli venga imposta la frammentazione delle proprie comunità, che si sentono personalmente minacciate, che abbiano la percezione che sia una operazione coperta per trasformare l’Europa in una nuova URSS, urge rieducazione al livello più profondo possibile. Per il loro bene, perchè certamente questa gente soffre di gravi disturbi. I loro circuiti sono bruciati, dev’esserci qualche difetto hardware del cervello, sono incapaci di vedere le cose correttamente.
Tra le cose che non potrebbero vedere ad esempio ad esempio, è la saggezza in queste parole di Zbigniew Brzezinski, ovvero l’alter ego di David Rockfeller, che nel 1969 scriveva:
“Lo stato nazione, inteso come unità fondamentale nella vita organizzata dell’uomo ha cessato di rappresentare la principale forza creativa: le banche internazionali e le corporazioni multinazionali agiscono e pianificano in termini che scavalcano ed eludono i concetti politici delllo Stato-nazione”
Qui vediamo il tattico globalista in azione, un uomo che apparentemente odia la vecchia URSS ma che in realtà punta all’installazione del medesimo collettivismo attraverso altri mezzi.
Se Lenin fosse vivo oggi, guardando all’Europa sarebbe d’accordo che la sua agenda è in pieno corso e gode di ottima salute. Potrebbe obiettare solamente per il passo relativamente lento a cui procede. Potrebbe sostenere che serve maggiore violenza. Ma non potrebbe non riconoscere come i suoi successori hanno scoperto un bel pò di utili trucchetti nuovi.
Approverebbe dell’ “altruismo umanitario”, il modo in cui viene presentato e manipolato, in modo che l’edificio del “Bene” appaia come una luce che brilla nell’oscurità.
Gran film. Bel lavoro di produzione. Le lacrime sulle gote degli spettatori.
Le menti ridotte a una sola costante: dobbiamo interessarci a chi è meno fortunato di noi.
Milioni di migliaia di migliaia di dollari spesi per instillare il sentimento, indipendentemente dalle circostanze o dalle vere intenzioni malevole sottostanti, o le indicibili sinistre intenzioni degli artisti elitari della realtà.
Fonte: Come Don Chisciotte
Altre 9 banche a rischio in Italia. Ecco l’elenco
Il contestato salvataggio delle 4 banche che hanno evitato il bail in a spese degli obbligazionisti (CariChieti, Banca di Ferrara, Banca delle Marche e Banca Etruria) non ha però risolto il ben più complesso problema di chi nel sistema di credito italiano è ancora commissariato. L’elenco, infatti, non si esaurisce alle 4 sopracitate ma ne include altre 9 di cui 6 appartenenti al circuito delle Bcc (Shenzhen: 002455.SZ – notizie) , un settore che, a sua volta dovrà attraversare un’altra risoluzione per adeguarsi agli standard richiesti dall’unione europea.
Le cifre sono di ordine ben inferiore a quelle viste per il salvataggio delle 4 in centritalia, ma quello che più resterà scottata da questa vicenda è la fiducia di chi pensa che le piccole realtà rurali, più vicine al territorio siano anche più sicure.
L’elenco
La prima ad essere in fase di salvataggio (si spera per il 31 dicembre salvo imprevisti) è la Banca di Folgoria : i suoi numeri parlano di 300 milioni di attivo e di un commissariamento (amministrazione straordinaria) che è lungo oltre un anno e 8 mesi, per la precisione dall’aprile del 2014 . Sullo stesso piano la Bcc di Cascina e la Banca Terra d’Otranto , anche loro in gestione straordinaria a causa di irregolarità amministrative dei vertici così come, anche loro, in via di risoluzione entro la fine del mese. Per loro si prevede una serie di fondi che, senza ricorrere ai risparmiatori, dovrebbero riuscire a ripianare i problemi più urgenti e a permettere agli sportelli di riaprire. Non accadrà questo invece per altre tre banche, anch’esse in gestione controllata ma che, a differenza delle altre, non torneranno operative pur non intaccando le risorse dei clienti. In questo caso l’elenco comprende la Bcc Romagna Cooperativa , a suo tempo liquidata alla banca Sviluppo. Discorso un po’ più articolato per la Bcc Padovana che prima di essere rilevata dalla Bcc di Roma dovrà riuscire ad alleggerire i suoi conti dalle numerose sofferenze: per lei si parla di 2 miliardi di attivo il che fa pensare a tempistiche piuttosto lunghe. Un’ipotesi potrebbe vedere l’entrata in scena del Fondo obbligatorio di categoria, ipotesi che l’Europa vietò per le 4 banche maggiori salvate recentemente ma che potrebbe essere ammesso per queste realtà più piccole grazie a un rapporto tra attivi e passivi. Ultime protagoniste dell’elenco la Bcc Irpinia di Avellino e quella della Banca Brutia , anche loro in cerca di acquirenti e in amministrazione straordinaria mentre in amministrazione straordinaria sono anche l’Istituto per il Credito Sportivo, la Cassa di Risparmio di Loreto .
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