8 Dicembre. Ritorno a Venaus

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VALSUSA NOTIZIE

Voci indipendenti dalla Val Susa

Un ennesimo grande corteo No Tav per dire no alla pacificazione e a sottolineare la situazione di stallo tra le forze in campo.

Inserito il 9 dicembre 2015

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di Fabrizio Salmoni

foto di Leonardo Capella

Migliaia di No Tav hanno rifatto il percorso di dieci anni fa quando la forza dei numeri e della determinazione cacciò le Forze dell’Ordine dai terreni destinati a ospitare il cantiere Ltf per il tunnel geognostico. Fu uno dei pochi casi nella storia dell’ordine pubblico in Italia in cui polizia e carabinieri, schierati a difesa di obiettivi della protesta, dovettero ritirarsi pressati da vicino dalla folla (l’ultimo a memoria fu la devastazione della sede torinese del Msi nell’aprile 1975).

E’ stata, quella di oggi, non soltanto una celebrazione: non poteva esserlo visto che i più infidi governi di centrosinistra hanno intorbidato le acque con l’imbroglio dell’Osservatorio Tecnico e con l’allestimento di un cantiere-fortino difeso permanentemente da contingenti militari in un luogo impervio, la Val Clarea alle spalle di Susa, autosecluso dal resto del territorio, per evitare che la “liberazione” da parte delle forze popolari si ripetesse. Le cose sono andate avanti fino all’attuale stallo: da una parte una resistenza diffusa, mai domata seppur oggetto di attacchi giudiziari senza precedenti da parte di una cellula deviata della magistratura che pare rispondere più al potere politico che al diritto; dall’altra, una lobby devastatrice, trasversale all’imprenditoria clientelare e alle istituzioni che procede nel progetto a testa bassa, sprezzante di ogni norma e alimentata da contributi pubblici a fondo perduto. Con risultati deludenti rispetto ai tempi e agli obiettivi prefigurati (dopo tre anni sono a due terzi dello scavo di una discenderia) ma fiduciosa nella costante iniezione di fondi (anche ridotti, ma va bene lo stesso) e nel  tentativo di rendere l’opera irreversibile. In mezzo, il fallimento della campagna di criminalizzazione del movimento da parte della magistratura con l’elmetto a seguito delle quattro ripetute sentenze che hanno escluso dai processi in corso l’aggravante del terrorismo, indiscrezioni da dentro Telt e, non ultimo, un malcontento delle Forze dell’Ordine che comincia a filtrare per canali non ufficiali (non è un caso che Virano si sia spinto nei mesi scorsi a chiedere una tregua sul campo in cambio di una forte riduzione di truppe).

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Con la marcia del decennale, i No Tav fanno sapere che non c’è la pacificazione insinuata a mezzo stampa dal Pd (il partito che si è preso la responsabilità maggiore della devastazione e del progetto e che ne è ormai prigioniero), che non si vogliono le compensazioni, che la lotta contro grandi opere e sprechi è proliferata anche fuori della Val Susa (oggi in corteo c’erano delegazioni del Terzo Valico, dei No Triv marchigiani, dei No Tav veneti e trentini) e che si mantiene una forte pressione politica sui sindaci del territorio ad evitare sbandamenti opportunistici. Non è una novità che, a seguito del recente incontro con il ministro Delrio, i comportamenti del sindaco di Susa e di alcuni altri vicini al Pd abbiano dato adito a sospetti e ad accuse di ambiguità (respinte sdegnosamente) accettando un ennesimo “tavolo di lavoro” senza porre le precondizioni annunciate (sospensione dei lavori e Opzione Zero). C’erano quasi tutti i sindaci di Valle oggi, con fasce e gonfaloni; c’erano anche, particolarmente festeggiati, quelli di Venaria e Rivalta che hanno sfilato dietro lo striscione Amministratori No Tav, non a caso alternativo a quello più generico Amministratori Valle di Susa. Ma l’attenzione era concentrata maggiormente su Sandro Plano. “Perchè non se ne va dal Pd se è No Tav?” è la domanda più ricorrente su un’appartenenza che per i valsusini non è una garanzia. Nei giorni prossimi si prevede di monitorare ancora più strettamente le mosse dei sindaci in occasione del primo incontro al “tavolo” del governo.

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Tangibile è stata la presenza nel lungo corteo del Movimento 5 Stelle: tutti gli eletti del Piemonte in Parlamento e gli amministratori locali con special guest Alessandro Di Battista a cui si vuole ricordare di citare la Torino-Lione tra le opere da cancellare per recuperare risorse qundo va in Tv. E’ infatti il M5S la forza politica a cui gran parte dei valsusini rivolge le speranze di risolvere lo stallo attuale: perchè si può resistere sul terreno (è già pronta la nuova generazione di No Tav) ma ci vorrà un governo che dica definitivamente basta al progetto. Un impegno a cui i Cinque Stelle non potranno sottrarsi, già a partire dalle prossime elezioni per il sindaco di Torino, se vorranno mantenere credibilità e il vasto serbatoio di voti della Valle.

(F.S. 8.12.2015)

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I No Tav festeggiano. Il PD in difficoltà e il M5S porta Di Battista.

8 dicembre 2005 – 8 dicembre 2005 I No Tav festeggiano con una marcia tra Susa e Vanaus la ricorrenza con la partecipazione dei sindaci.

di Davide Amerio.

Erano davvero in tanti a marciare questo 8 dicembre. Il numero? Poco importa. Chi c’era ha visto la fiumana di gente che ha occupato  e tutta la statale 25 dal cimitero all’incrocio con la deviazione per . Gente della Valle, ma anche da fuori. Un lungo corteo pacifico con i bambini in prima fila.

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Presenti numerosi  con i gonfaloni dei comuni portati dai vigili urbani o esposti sul camion che teneva il passo della marcia. Tanti gli striscioni a ricordare la lotta di una Valle che resiste alla politica dello sperpero del denaro pubblico e all’aggressione dell’ambiente. Tantissime le bandiere che sventolavano e persino i cani portavano il fazzoletto  al collo.

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Il corteo ha occupato e bloccato pacificamente Susa; qualche applauso dalle finestre da parte di cittadini che osservavano il popolo festoso con canti e musica. Non è mancato il “saluto” dei No  davanti all’Hotel Napoleon, l’albergo delle Forze dell’Ordine. Ma era tempo di festa e arrivati a Venaus, al presidio, migliaia di persone si sono riversate nei prati per trascorrere una giornata insieme; per ricordare la vittoria del 2005 quando la popolazione obbligò i militi ad abbandonare il cantiere (qui un estratto della storia).

Ma la giornata evidenza anche la crisi politica del  in Valle. Matteo Renzi, quando era in corsa per le primarie del , si dichiarava contrario al Tav perché inutile; poi vittorioso e portato agli onori della Presidenza del Consiglio senza il voto popolare, cambiava idea e l’opera tornava a essere “strategica”. Proseguiva la politica delle “compensazioni” (ovvero il “ricatto” dello Stato nei confronti delle amministrazioni: ti dò i fondi per fare ciò che dovresti normalmente fare solo se li accetti come compensazione per il Tav), della “pacificazione”, dei tavoli inutili con il ministro Del Rio, dell’ipocrisia dell’osservatorio sul Tav per il quale è in corso una emorragia di comuni che escono.

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Nessuna pacificazione in valle. Nessun popolo che si arrende o accetta compromessi. Sindaci, molti dei quali dello stesso PD, che si dichiarano contrari al Tav senza se e senza ma, nonostante alcuni loro predecessori siano stati silurati dal partito in anni non lontani per la loro posizione contraria alla linea ferroviaria. Se per il governo nazionale non esiste “l’opzione zero” sul Tav, in valle, per il popolo No Tav, esiste solamente l’opzione zero!

A ribadire questo concetto, in difesa del popolo valsusino, un ospite politico inaspettato: Alessandro Di Battista parlamentare del . L’abbiamo intervistato (vedi nella sezione interviste) e il suo messaggio è chiaro: il Tav è inutile, costoso e dannoso; uno spreco, mentre ci sono zone d’Italia nelle quali occorrono due ore e mezza per fare 50 chilometri in treno.

Il popolo No Tav si è ritrovato e si è riconosciuto più forte che mai; certo delle proprie ragioni nonostante la militarizzazione della valle e i processi che continua a subire nelle aule dei tribunali. Nonostante le richieste di risarcimenti da parte delle aziende che lucrano sui lavori e nonostante un’informazione nazionale servile e scorretta.

A sarà dura!

(D.A. 09.12.15)

AL BAGHDADI E’ STATO CURATO IN TURCHIA CON LA COPERTURA DI CIA E ERDOGAN. ORA SI TROVA IN LIBIA, A SIRTE

09/12/2015

SIRTE – LIBIA – Non solo alti dirigenti dell’Isis, ma lo stesso leader dello Stato islamico, Abu Bakr al-Baghdadi, sarebbe ormai in Libia. Il suo arrivo a Sirte, città natale dell’ex dittatore Muammar Gheddafi e oggi roccaforte Isis nel Paese, è stato confermato da fonti libiche all’agenzia di stampa iraniana Fars.

Interpellato oggi dalla stampa su queste notizie, il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, ha risposto: “Non so dove si trovi al Baghdadi, ma ci sono informazioni che l’Isis abbia cellule nelle milizie locali a Sirte e questo suscita preoccupazione”. E come non esserlo, visto che da Sirte a Roma basta meno di un’ora di aereo e volendo meno di 8 ore di nave?

Secondo l’iraniana Fars, l’autoproclamato califfo avrebbe lasciato la Turchia per riparare in Libia e sfuggire così alla caccia all’uomo lanciata dai servizi di intelligence riuniti a Baghdad dopo essere stato preso di mira in diverse occasioni in Iraq e in Siria. Questa fuga e l’evidente protezione ricevuta in Turchia peggiorano – se mai possibile – l’immagine del presidente-dittatore Erdogan, che non può certo dirsi all’oscuro di tutto ciò.

In base alla ricostruzione dell’agenzia iraniana, Al Baghdadi sarebbe stato trasferito in Turchia lo scorso ottobre a causa delle gravi ferite riportate nell’attacco messo a segno contro il suo convoglio dall’aviazione irachena nella provincia occidentale di Anbar. Poche ore dopo l’attacco, il portavoce delle forze congiunte irachene aveva riferito del ferimento di al Baghdadi, confermato alle autorità irachene da due jihadisti catturati dalle forze di Baghdad.

Il leader dell’Isis sarebbe stato subito trasferito a Raqqa, “capitale” del califfato in Siria, dove i medici gli avrebbero salvato la vita, ma senza potergli fornire le cure necessarie a causa della mancanza di adeguate attrezzature mediche. Per questo motivo, alcuni giorni dopo sarebbe stato trasferito in Turchia. “La Central Intelligence Agency si è coordinata con l’intelligence turca per trasferire al Baghdadi in Turchia”, ha denunciato la televisione libanese al-Manar TV. E questa denuncia è di una gravità estrema.

Ma il viaggio protetto del capo dei tagliagole Al Baghdadi in Turchia per ricevere cure adeguate non s’è fermato là. “Mentre tutti lo cercano in Iraq e Siria, nessuno si aspetta che sia a Sirte”, ha detto alla Fars un fonte libica, definendo la città portuale “l’ultimo posto sulla Terra dove la sua vita può essere in pericolo perchè è la roccaforte sunnita più sicura al mondo”.

A Sirte da settimane stanno arrivando decine di combattenti stranieri in fuga dai combattimenti, a fronte delle crescenti pressioni militari ed economiche per i jihadisti in Iraq e in Siria. Ancora oggi il sito libico Alwasat ha riferito dell’arrivo, la scorsa settimana, di almeno altri 40 combattenti.

In un colloquio telefonico, una fonte vicina all’Isis ha raccontato ad Alwasat che i combattenti sono arrivati a Sirte passando per Giofra, nel Sud del Paese. I nuovi arrivati sarebbero tunisini, yemeniti, palestinesi e africani di diverse nazionalità, arrivati a bordo di un convoglio di 12 pickup Toyota guidato da alti dirigenti Isis provenienti proprio da Iraq e Siria.

La presenza di un nucleo così forte di membri dell’isis a Sirte, tuttavia, non va letto solo come l’arrivo in un luogo sicuro mentre l’isis in Siria e ora anche in Iraq sta subendo colpi militari tremendi dalla Russia e dai suoi alleati, primo dei quali l’Iran sciita.

Alcune fonti d’intelligence che preferiscono rimanere anonime citano la possibilità che l’isis stia preparando qualcosa di “clamoroso” contro l’Italia.

 

No Tav, dieci anni di resistenza

Venaus. Splende il sole sul corteo di ventimila persone che ricorda l’inizio della protesta della valle. Una scuola di politica che promette di durare un minuto di più della grande opera

 TORINO

09.12.2015

8.12.2015, 23:59

Gli stessi passi, la stessa lotta, solo con qualche ruga in più. Dieci anni dopo, il movimento No Tav torna a Venaus dove, l’8 dicembre del 2005, liberò il presidio da cui era stato cacciato a manganellate. Fu il giorno in cui una comunità prese consapevolezza della propria forza e della propria storia. Una comunità che diceva no a un’opera inutile e dannosa e rivendicava il diritto a contestarla e anche a fermarla. E che dimostrava tutta la sua natura popolare. Testimoniata ancora dallo striscione in piemontese «Dai nonu ai cît» (dai nonni ai bambini), che ha aperto uno degli spezzoni della marcia.

Ieri, in ventimila hanno percorso la strada da Susa a Venaus: un corteo coloratissimo fino a quel prato che doveva essere il cantiere dell’alta-velocità e grazie al movimento non lo è diventato. «Abbiamo resistito dieci anni e giuriamo di poter resistere altri dieci anni», ha detto Lele Rizzo, uno dei leader della protesta. «Ma soprattutto possiamo giurare — ha aggiunto — che lotteremo e resisteremo per tutto il tempo necessario per cacciarli via uno per uno, portandosi dietro tutte le viti, le reti e il filo spinato che ci sono dentro quel cantiere, con le ingiustizie che quotidianamente vengono commesse per realizzare un’opera che ancora oggi sfidiamo chiunque a ritenere utile».

La nebbia è rimasta in pianura, a Venaus splendeva il sole; e sono rimasti a bocca asciutta anche gli uccelli del malaugurio che fotografavano un movimento stanco ed egemonizzato da presunti estremisti. Non è così, e non lo diciamo per una strenua difesa, bastava percorrere i prati di Venaus per farsene un’idea tra teste bianche e ciocche colorate che ieri hanno composto un mosaico di storie di resistenza nell’estremo Nord d’Italia, a due passi dalla Francia.

Le ragioni della protesta restano immutate.

«Continueremo a far girare le scatole», ha ribadito Alberto Perino. In marcia anche numerosi amministratori locali capitanati da Sandro Plano, sindaco di Susa, presente anche il primo cittadino di Rivalta e quelli di Alpignano e Venaria Reale, comuni che da poco hanno deciso di lasciare l’Osservatorio Tav, nato nel 2006 come tavolo di confronto istituzionale, ma che presto perse la sua ragion d’essere e la sua autonomia.

«Sono cambiate tantissime cose, ma il sistema politico-istituzionale non è riuscito a smontare le ragioni della nostra opposizione alla Torino-Lione», ha spiegato il sindaco di Venaus Nilo Durbiano. «Non dico che si possa ancora pensare alla cosiddetta “opzione zero”, ma si deve puntare, e resta tempo per farlo, sul potenziamento massiccio della linea storica esistente, evitando di realizzare la stazione internazionale a Susa, un vero schiaffo in tempi di crisi». Presente al corteo anche il deputato M5s Alessandro Di Battista.

Dieci anni per un movimento possono essere un’eternità, i No Tav smentiscono l’assioma: sono stati e rimangono la più grande realtà di opposizione popolare in Italia, sono stati una scuola di politica, quando la militanza e l’attivismo diventavano tabù, e calamita per molte altre esperienze: ieri sono arrivati in Val di Susa da Alessandria e Genova (i No Terzo Valico) e i comitati contro l’alta velocità Brescia-Verona.

Nei prossimi giorni la protesta si sposterà in tribunale, dove venerdì riprenderà il processo d’appello a quattro attivisti, Chiara, Claudio, Mattia e Nicolò, condannati in primo grado a tre anni e mezzo per il «sabotaggio» al cantiere di Chiomonte nel maggio 2013. Il procuratore generale Marcello Maddalena ha ripresentato l’accusa di terrorismo da cui erano stati assolti. Dovrà tenere conto della sentenza della Cassazione che ha recentemente rigettato il ricorso avanzato dalla procura nei confronti di altri militanti coinvolti in quell’assalto. Per la Suprema Corte l’azione non fu terrorismo.

Polonia: risultati delle elezioni e panorama dell’Est europeo

L’Est Europa negli ultimi 200 anni ha dovuto sopportare gli errori delle politiche estere ed interne delle potenze europee e lo ha fatto a sue, ingentissime, spese. Dovremmo guardare con più interesse a quelle nazioni per capire meglio le nostre.

di Fabrizio Bertolami.

In  si sono appena svolte le  nazionali e il partito Diritto e Giustizia (PiS) le ha vinte con il 39% dei volti. Il governo uscente ha preso il 24%. Ovviamente è già stato etichettato come “partito ultranazionalista, populista ed euroscettico” dalla stampa italiana ed internazionale secondo un ben noto clichè. L’eurocrazia vede come fumo negli occhi qualsiasi forma di nazionalismo, anche la più blanda. L’accusa di populismo viene di conseguenza. Sull’accusa di euroscetticismo non c’è invece nulla da eccepire visto che la Polonia non adotta l’Euro e non sembra neanche tentata più dal farlo. La Polonia viene già affiancata alla “terribile” Ungheria di Orban ma presto altre nazioni potrebbero seguirle in questa nuova lista di proscrizione compilata a Washington e Bruxelles. Inoltre manifesta una comunanza di vedute anche con Serbia, Croazia e Slovenia sulla questione dei migranti. Sebbene infatti la Polonia non sia interessata dal flusso diretto dei profughi e dei migranti è però investita dalla richiesta europea affinché si faccia carico di una quota di essi.

È comunque tutta l’area centro-europea ad essere più che mai al centro di tensioni geopolitiche di cui le carovane di migranti provenienti dal medio oriente e dalla Turchia sono più un effetto che una causa. L’area ha diversi punti fermi di natura militare, economica e politica che la rendono rigida e fragile allo stesso tempo. Un po’ come accade alla ghisa, capace di resistere a notevoli pressioni ma anche di andare in frantumi sotto un colpo ben assestato. E’ rigida nella sua impostazione filo-atlantista e antirussa dettata dalla partecipazione alla NATO di quasi tutte le nazioni che la compongono.

È rigida anche nei confronti dell’Unione Europea con la quale ha il maggior interscambio commerciale e della quale segue le decisioni politiche, anche se non sempre del tutto convinta. E’ fragile in quanto ancora troppo dipendente dalla  in campo energetico ed economico, come testimoniano i danni arrecati dalle contro-sanzioni russe al commercio della Polonia o della Repubblica Ceca. Ha però un’enorme punto di forza: la sovranità economica. A parte Slovacchia e Slovenia le altre nazioni dell’ex blocco socialista hanno mantenuto la propria moneta sebbene alcune di esse abbiano intrapreso le procedure per adottare l’Euro. In un epoca di governo economico, i diktat politici si possono anche sfidare se si ha un’alternativa. Se però da una parte c’è l’Euro, con le sue dure leggi di austerità e pareggio di bilancio, dall’altra parte l’alternativa può essere il Rublo? Da tempo Mosca cerca di aggirare l’uso del dollaro nelle transazioni internazionali ed inoltre la recente minaccia di espellere la  dal circuito SWIFT ha portato ad un ritorno alle transazioni in rubli con paesi extra UE. La svalutazione della moneta russa ha avuto un però un forte impatto e la sua instabilità crea un elemento di incertezza nei rapporti economici con l’est . Per tutti questi motivi quest’area è quindi il vero crocevia d’, o per dirla con il celebre geografo Sir Harford Mackinder, dell’Eurasia. Fu infatti il geopolitico inglese nel 1919 ad affermare “ Chi controlla l’ dell’Est, comanda l’Heartland, chi comanda l’Heartland comanda l’isola mondo, chi comanda l’Isola Mondo comanda il Mondo”. L’area che va dal Mar Baltico all’Adriatico e al Mar Nero è infatti al contempo una cerniera tra l’occidente cattolico e l’est ortodosso, tra un sud musulmano ed un nord cristiano. La cultura slava e quella latina coabitano ma per la maggior parte delle nazioni di questa parte d’ il trait d’union è ancora la matrice mitteleuropea retaggio dell’impero austroungarico.

Quanto sono importanti le nazioni dell’est per l’Unione Europea ,e sottinteso per gli Stati Uniti? Quanto lo sono per la Russia? Quanto ancora si potrà sperare nella benevolenza turca nel trattenere i profughi che attraversano il suo territorio con il desiderio di andare in Germania o in Svezia? La geopolitica è tornata in forze nelle analisi sull’attuale situazione nell’est Europa, poiché non vi è , e non potrebbe esservi, una chiave di lettura univoca per ciò che sta accadendo politicamente. Nei confronti di alcuni paesi, come i Baltici o la Polonia , si sta agitando lo spettro russo, con annesso panorama ucraino fatto di invasioni e partizioni. Dall’altra però ungheresi e, probabilmente dai prossimi mesi in avanti, polacchi gradiscono l’interpretazione “sovranista” data da Putin all’intervento in Siria. Secondo quest’ultimo, infatti, Bashar Al Assad rappresenta il legittimo governo siriano, quindi la Russia interviene per ripristinare la legalità dietro sua esplicita richiesta. Il governo uscito dalle urne è perciò l’unico autorizzato a governare e non ci sono rivoluzioni colorate che tengano. Una bella assicurazione sulla vita per quei governi che anche in Europa vogliono continuare a mantenersi il più possibile indipendenti dal pensiero unico econo-tecnocratico. C’è poi il fattore G. La Germania è il vero dominus dell’area e probabilmente se oggi non esistesse l’Euro sarebbe il Marco la moneta da Stettino ad Atene. I tedeschi tengono particolarmente al loro “giardino di casa” forse più che al resto d’Europa.

I disaccordi con gli  circa la gestione della questione ucraina e le aperture a Putin sull’intervento in Siria stanno segnalando la volontà tedesca di non cedere alla volontà di Washington di isolare la Russia. La Germania è il primo esportatore in quel paese e non vuole certo perderlo così come non vuole perdere l’influenza che ha nei paesi dell’est Europa. Anche l’Italia, per voce del suo primo Ministro, ha fatto notare che le sanzioni alla Russia danneggiano particolarmente il proprio commercio  ma la linea dura di Washington non permette deviazioni. Al momento le sanzioni europee sono garantite fino al gennaio 2016 ma è già in vista un prolungamento. Le controsanzioni russe termineranno a giugno dell’anno entrante. Al momento, quindi, l’area che va dalla Germania alla Grecia, se non alla Turchia, è parzialmente separata economicamente dalla Russia a causa di sanzioni e controsanzioni e contemporaneamente molti dei paesi che la compongono hanno frizioni con l’UE sia in merito alla gestione dei profughi sia per quanto attiene a materie economiche. Pensiamo a Grecia, Ungheria, Polonia, Slovenia, Croazia.

La svolta nazionalista della Polonia dopo quella ungherese e quella, estrema, dell’Ucraina, è parte di una reazione delle opinioni pubbliche est europee di fronte ai problemi posti dall’appartenenza all’Unione Europea da un lato e dal risveglio della ricerca identitaria di fronte all’invasione che proviene dal meridione islamico dall’altro. La Russia ha ancora una forte influenza in tutta l’area e gradisce le rivendicazioni nazionaliste ed i partiti che le propugnano. In 25 anni i cittadini delle nazioni est-europee sono passate dal comunismo al liberalismo, dal Patto di Varsavia alla NATO dal Rublo all’Euro, dall’Unione Sovietica all’Euro. Ovviamente ognuno di questi passaggi ha lasciato perlomeno qualche dubbio nelle opinioni che questi cittadini si sono fatti circa il percorso fatto sinora. In Repubblica Ceca alle ultime elezioni del 2013 il secondo partito dopo quello Socialdemocratico, primo con il 20,46 dei consensi è stato il “Partito dei cittadini insoddisfatti” con il 18,66. Più chiaro di così.

(F.B. 09.12.15)

AVETE PERSO I SOLDI NELLE BANCHE? CHIEDETEVI PERCHE’ IL GOVERNO HA VOLUTO IL BAIL OUT.

dicembre 6, 2015 posted by 

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Oltre 5000 obbligazionisti di Banca Marche, Banca dell’Etruria e del Lazio, Cassa di Risparmio di Ferrara e Cassa di Risparmio di Chieti e  che vedranno i loro risparmi andare in fumo ,”Bruciati” dal BAIL OUT deciso dal governo, per un totale di circa 730 milioni di euro distrutti. Famiglie sono state rovinate, vedendo scomparire il proprio patrimonio, ma  conservando i propri debiti nei confronti delle banche fallite: sappiamo benissimo come in Italia sia diffuso quel malcostume per cui, se si vuole un mutuo, bisogna sottoscrivere titoli dello stesso istituto di credito, spesso anche con rendimenti non in linea con il mercato.

A queste perdite dei creditori bisogna aggiungere quelle degli azionisti, in massima parte le Fondazioni territoriali che possedevano le quote degli istituti bancari. Anche se amministrate quasi sempre male, in balia dei vari poteri politici, queste Fondazioni comunque erano entità vive del territorio, spesso impegnate nello sviluppo dell’economia locale ed in opera di beneficenza. Tutto spazzato via dall’oggi al domani.

Il governo Renzi, con un decreto discusso in 15 minuti, in tutta fretta, ha voluto creare una strana forma di salvataggio, il “Bail Out”, opposto al “Bail In ” che entrerà in azione dal primo gennaio 2016. Tutti bei termini in inglese, ma cosa significano in realtà ?

Il “Bail Out” è la forma più radicale di salvataggio bancario prevista dalla normativa renziana , dopo l’amministrazione straordinaria e la possibilità di vendere parte, o tutto , l’attivo bancario. Con il bail out italiano :

  • La Banca d’Italia divide la banca in crisi in una Bad Bank e in un Nuovo istituto bancario. Alla Bad bank va l’attivo in sofferenza (le perdite su crediti), al nuovo istituto va la clientela “Buona”, affidabile.
  • Azionisti ed obbligazionisti, partendo da quelli più esposti, i cosiddetti “Junior”, si assumono tutte le perdite dell’istituto in crisi. Quindi sono loro la “Bad Bank”…..
  • Lo Banca d’Italia ricapitalizza la “Nuova Banca” con i fondi del nascente fondo interbancario, a cui, su base volontaria, partecipano gli altri istituti di credito. Questa nuova banca proseguirà creditizia.

Come sarebbe stato il salvataggio con il “Bail In” europeo ? Attenti….

  • Gli obbligazionisti, per ordine di privilegio ed i correntisti oltre i 100 mila euro avrebbero visto convertito il proprio credito in capitale.
  • Tutti assieme avrebbero ripagato le perdite .
  • Successivamente avrebbe potuto intervenire la ricapitalizzazione dello stato.

La finalità del sistema di Bail In della BCE è non far pagare direttamente agli stati le perdite. Però alla fine i vantaggi del bail out italiano rispetto a quello europeo sono minimi. Rimangono invece una marea di dubbi. GLI OBBLIGAZIONISTI DOVEVANO VEDER DISTRUTTI I PROPRI RISPARMI IN MODO TOTALE ? NON SI POTEVA FARE DIVERSAMENTE ? PERCHE’ IL GOVERNO HA FATTO QUESTO BAIL OUT PASTICCIATO ?

  • Il Bail out “De noartri”, rispetto al bail in , garantisce i correntisti con depositi oltre i 100 mila euro. Seriamente, quanti risparmiatori tengono 100 mila euro su un conto corrente in Italia, con tassi pari a 0. Si doveva fare una normativa ad hoc , raffazzonata , per tutelare il nulla ?
  • ll Bail In  europeo trasforma gli obbligazionisti in azionisti. Se non perdono tutto, quello che rimane almeno è loro, avviamento compreso. Il BAil out italiano ESPROPRIA gli obbligazionisti. Questi NON CONTANO PIU? NULLA ! Perchè il governo ha voluto questa soluzione ? TEMEVA CHE GLI OBBLIGAZIONISTI ARRABBIATI ACQUISISSERO IL CONTROLLO DELLE BANCHE IN TERRITORI IN CUI IL PD E’ PREPONDERANTE ? Quindi alla base di tutto ci sarebbero i soliti giochetti politici. Del resto il Signor Boschi era alla direzione di Banca dell’Etruria non a caso.
  • Negli anni ’80  la Banca d’Italia, con una dirigenza ben diversa per spessore, salvò il Banco Ambrosiano a costo 0 per la comunità, usando solo la moral suasion per costituire un pool di banche che, volontariamente, se ne assunsero attivi e passivi. Gli azionisti ci rimisero (giustamente) le penne, ma obbligazionisti ed azionisti no. Perchè la Banca d’Italia non ha agito nello stesso modo ora ? O non ne ha il coraggio, oppure non è che il sistema bancario è più marcio di quanto sembri ?
  • Perchè i dirigenti di queste banche NON SONO INDAGATI ED ARRESTATI PER LA DISTRUZIONE DI RICCHEZZA ED I DANNI ALLA NAZIONE CHE HANNO CAUSATO?  Non sarebbe più utile per la sanità del sistema un approccio giustamente sanzionatorio verso chi gioca con i soldi e la vita delle persone ? NON SARA’  CHE I DIRIGENTI SONO SODALI DEL SISTEMA POLITICO , per cui si possono punire i risparmiatori, ma non chi causa i danni, alla faccia della Giustizia, della Costituzione etc. Magari dovremo aspettare che qualcuno riceva una telefonata da Berlusconi, prima di vedere qualche indagine dalle sollecite procure di Milano , Firenze etc…..
  • PERCHE’ L’ORGANO DI CONTROLLO, BANCA D’ITALIA , NON RISPONDE MAI PER IL MANCATO CONTROLLO ? La Banca d’Italia, se facesse il proprio mestiere, interverrebbe prima, non dopo, quando ormai i buoi sono scappati. Del resto se i Comitati di sorveglianza ed i collegi sindacali  sono chiamati a rispondere dei dissesti aziendali , perchè non dovrebbe risponderne il massimo organo di controllo ? Invece si sono assegnati ulteriori poteri a Banca d’Italia…
  • Il fatto di aver creato una moneta unica che è un “Debito” che non può essere variata per far fronte a crisi bancarie o sistemiche ci rende schiavi di un sistema creditizio fragile, sostanzialmente impazzito, i cui danni cadono direttamente sui cittadini. I nuovi programmi di controllo e garanzia europei, SRM – SRB -SRF , con i loro 55 miliardi previsti di capitalizzazione, sono RIDICOLI  rispetto alle esposizioni  delle banche europee. Deutsche Bank ha 56 mila miliardi di derivati, da solo 1000 volte il previsto fondo SRF. Aver creato BCE ed Euro, dando a “Nessuno” il governo della moneta, ha creato un mostro in grado di distruggere l’Europa con uno STARNUTO. Solo questo sarebbe un motivo sufficiente per uscire dalla moneta unica , riprendere il controllo della politica monetaria e creditizia ed iniziare a far le cose come dovrebbero essere fatte, punendo i banchieri e non i risparmiatori.


Tanto non vi potrà mai capitare quello che è successo ai poveri risparmiatori romagnoli e toscani….

L’energia nucleare non salva il clima

 

di Alfonso Navarra da Parigi .

Parigi, che si sveglia lepenista (grazie, credo, anche all’insipenza di Hollande ed ai suoi strumentali stati di emergenza per la guerra al terrorismo islamico”) gioca a fare la “capitale del mondo” durante la conferenza sul clima. E’ la logica dei grandi eventi calamita tutto, che abbiamo già visto dispiegarsi con l’EXPO di Milano: ogni realtà culturale e associativa riceve le sue briciole di finanziamento per partecipare alla celebrazione del tema retorico dominante, mentre la grande industria  (EDF, AREVA) sponsorizza.

Sono arrivato ieri notte (il 7 dicembre, una notte sorprendentemente non fredda) e, rimediata la RER dall’aeroporto di Orly, ho preso alloggio presso il Vintage, un dignitoso ostello per la gioventù (c’è persino la stanza con gli attrezzi per la ginnastica!), in rue Dunquerque, vicino alla Gare du Nord: siamo nel 10mo arrondissement.

La piccola camera a due letti, con bagno interno, telefono, TV, etc., l’ho occupata purtroppo in solitaria e mi costa 108 ero al giorno.  Nel prezzo è compresa la colazione: caffè, cornetto, scelta di burro e marmellate, succo di arancia. Nella sala in cui si fa breakfast è piazzato, lo giuro, un calcio balilla!

Lancio l’ennesimo appello a chi voglia prendersi il letto libero condividendo l’esperienza degli ultimi giorni della conferenza (e la spesa, che per il sottoscritto è alquanto gravosa)!

Mi è molto utile il servizio di Free wifi access, garantito dall’Ostello, per il quale avrò facilitato il lavoro, che spero risulti utile al movimento di base italiano, di prendere informazioni e di resocontare.

Tutte le municipalità di Parigi ovviamente partecipano alla COP 21 con un fitto programma di manifestazioni organizzate.

A mo’ di esempio, riporto quanto ha organizzato il quartiere dove mi sono stabilito sotto lo slogan: “Il clima cambia, noi pure”.

Gli eventi sono raccolti sotto titoli:

1- la sfida dell’energia positiva (una proposta rivolta alle famiglie su come ridurre i consumi di energia)

2- i film con la possibilità di interloquire con i realizzatori. Mercoledi 9 dicembre è in programma “Intox”, a cura dell’Associazione Bloom, seguito da un dibattito con Laure Ducos, la regista

3 – le mostre, una fotografica a cura della Fondazione Abbé Pierre, e un’altra, “DIXruption”, definita come interattiva e partecipativa

4- un dibattito di bilancio della COP 21 (previsto il 15 dicembre a cura dell’associazione 4D).

Il quartiere patrocina, in rue Dunquerque, “Place to B” (slogan: “Rinfresca il clima, riscrivi la storia!”) che si presenta come una “cassa di risonanza della società civile” ma anche per i media partecipativi (vai su: http://www.placetob.org).

Oggi, 8 dicembre, è in programma lo “spazio per ridere”, ma anche un “programma radio a porte aperte”, un gioco-quiz, l’incontro con esperti internazionali, trasmesso in diretta, che fa il punto della giornata dei negoziati, uno stage teatrale…

Place to B è ospitata da Belushi’s, una struttura aperta nel 2013, uno spazio molto ampio a disposizione della creatività giovanile, con biblioteca, laboratori, sala concerto, postazioni per co-working…

C’è anche posto per un ristorante “verde” con prodotti biologici ed equo-solidali…

Quanto finora ho scritto riguarda la programmazione di un solo quartiere di Parigi.  Dovete però tenere presente che ogni arrondissement – a Parigi sono ben 20! – ci ha messo del suo e presenta una analoga mitragliata di eventi.

La mappa di queste divisioni amministrative è bene che me la studi perché, per muovermi, ho da comprare il biglietto “turistico” del metrò, che copre solo 3 zone. Per quello che ho capito, sentendo la mia amica Giovanna che è parigina acquisita (insegna storia della matematica in una delle 13 Università che illustrano la “Ville Lumiere”), gli arrondissement si sviluppano a spirale in cerchi intorno al primo centrale, verso l’esterno, in senso orario.

Cosa andrò a seguire oggi? Per me la risposta parte dalla premessa che i negoziati farlocchi di Le Bourget li lascio volentieri ai “giornalisti”: da “antigiornalista” condivido l’opinione di Hermann Sheer, il profeta tedesco dell’energia solare, che si tratti solo di “minimalismo organizzato”? Se tutto – secondo le concezioni del WWF e simili – va bene, insomma, saremmo comunque (mezzi) rovinati!

Mi interessa in particolare, tra le azioni critiche in ballo, cosa fa Sortir du Nucléaire, rete di oltre 600 gruppi di base, che contrastano l’atomo, sia di guerra, sia quello presunto di pace, con la quale, LOC, Energia Felice, Accademia Kronos, Confederazione COBAS, etc., a Firenze 10+10 (novembre 2012) abbiamo cominciato a costituire il Network antinucleare europeo.

La Rete ha lanciato, in occasione della COP 21, una mobilitazione all’insegna dello slogan: “Il nucleare non salverà il clima”. L’obiettivo è, appunto, quello di contrastare la proposta del nucleare “civile” come soluzione al problema climatico.

Il 29 novembre c’è stata la catena umana con 10.000 persone che hanno sfidato il divieto di manifestare imposto dal governo (e che è stata disturbata dall’immancabile imbecillità dei Black Bloc: hanno offerto il pretesto per le cariche poliziesche e per gli arresti di massa indiscriminati, che ho già commentato).

La Rete ha poi partecipato al Villaggio delle Alternative, svoltosi a Montreuil il 5 e 6 dicembre.

Sortir du Nucléaire ha lanciato una petizione on-line contro le affermazioni menzognere di EDF: la corrispettivo francese di ENEL sostiene di produrre elettricità senza emettere C02.

Alla URL: http://www.sortirdunucleaire. org/WISE-nucleaire-climat troviamo un rapporto di esperti che sbugiardano questa affermazione.

Vi riferirò se ci sono novità da parte degli antinucleari francesi, a parte l’intenzione di confluire nella  ecopacifista del 12 dicembre, che pare il governo consentirà, anche se con molte limitazioni.

Per quanto riguarda la nostra iniziativa di “disarmisti esigenti” – emendare in senso antinucleare la Carta dei diritti dell’Umanità, che Hollande sta elaborando – ho da registrare le lettere che Luigi Mosca, il fisico di Armes Nucléaires Stop, ha indirizzato sia a Jean Marie Collin, presidente dell’Associazione dei Parlamentari per il , sia a Leila Aïchi, senatrice e vice presidente della Commissione degli Affari Esteri e della Difesa del Senato francese (Leila Aïchi, appartiene al partito EELV – Europe Ecologie Les Verts).

La mozione, da noi ispirata e  presentata dalla Sinistra Italiana, è bene precisarlo, non è stata l’unica approvata alla Camera il 26 novembre scorso:  ne sono passate altre cinque con il placet del governo Renzi (che ha “benedetto” tutti, tranne, se non ho capito male, una iniziativa proveniente dal Gruppo Misto).

Per sì e per no, sulla base della mozione approvata, e delle conclusioni del Seminario di Villar Focchiardo del 25 e 26 settembre scorsi, un incontro a Ban Ki-moon è già stato chiesto, per il momento scrivendo al sito ufficiale del Segretariato delle Nazioni Unite.

Aspetto notizie da Luigi Mosca sulla riunione che faremo per vedere come organizzare un coinvolgimento ed un sostegno internazionale al disarmo nucleare come “diritto dell’Umanità”.

Un punto di vista molto interessante che mi preme far conoscere è quello di Anna Lisa Milani della WILPF, che ha partecipato allaConferenza mondiale su Clima e Donne.

Parigi Conferenza Mondiale sul Clima e Donne
da Annalisa Milani – WILPF

Parigi-Sono qui da tre giorni  accreditata con un gruppo mondiale di donne a seguire la Conferenza mondiale sul Clima voluta dalle Nazioni Unite . Centonovantasei governi e migliaia e migliaia rappresentanti della società civile mondiale ,tra cui metà donne, per decidere che fare di un modello di sviluppo che sta provocando,in un accelerazione negli ultimi anni paurosa , un surriscaldamento climatico dalle conseguenze tra pochi anni disastrose su tutto il pianeta. A dir il vero dopo tante conferenze mondiali sullo sviluppo sostenibile,sull’ impoverimento umano e del pianeta, è la prima volta che percepisco anche nei rappresentanti dei governi la preoccupazione (sopratutto la coalizione dei 43 stati delle piccole isole che rischiano la sparizione!) di fare presto!ma tra il dire ed il fare c’è di mezzo il mare! Anche 5 anni fa a Coophenanghen ci si era accorti della situazione ma il documento finale uscito era “nullo”. Ora la Francia vuole che il documento finale che uscirà mercoledì rifletta impegni precisi per la riduzione già a partire dal 2020 del Co2 da raggiungere di meno 2°nel 2050.La febbre del pianeta va fermata!!!! Ora le ONGs di donne sono moltissime da tutte le parti del mondo e stamattina mi hanno chiesto di intervenire in un piccolo dibattito su “donne e cambiamenti climatici”. Mi pare importante riportarvi in poche linee le voci.

1-C’è preoccupazione tra tutte le donne perchè nel documento finale che dovrebbe uscire mercoledì prossimo ,non c’è menzione reale del legame tra “condizione di vita di milioni di donne al mondo ,che sono riconosciute come i soggetti che hanno in mano le risorse del ,e i cambiamenti climatici (inondazioni,siccità, etc) che le renderanno più vulnerabili ;

2-C’è preoccupazioni perchè molti paesi guidati da Arabia Saudita,Cina ,India non se la sentano ancora di porre limitazioni climatiche.(L’ Europa contrariamente a quanto pensavo ,con tutte le contraddizioni ,sta tentando di alzare la voce).

3-C’è preoccupazione perchè anche se le donne venissero riconosciute tra i soggetti più vulnerabili dei cambiamenti climatici ed ambientali conseguenti ,dovranno essere riconosciute anche come agenti  di cambiamento ed avere le risorse finanziarie necessarie per avere tecnologie che permettano di compiere azioni, progetti “green”.

Nel dibattito alcune parlamentari africane hanno iniziato un pò a “piangersi addosso ” portando avanti sempre il solito discorso della mancanza di risorse finanziarie . Finalmente devo dire  con grande soddisfazione mia e di altre , le stesse donne africane di alcune ongs le hanno contestate dicendo “basta , le risorse ci sono ..solo che non vengono spese per le donne nel terreno “

Mi piace riportarvi le parole di una battagliera del Burkina Fasu ,Zenabou Segda(Women Environmental Programme Burkina) che ha detto “Sono stanca di pensare che le donne povere del mio paese non sanno che fare con la sopravvivenza!Sanno come se “debrouillez”e la mia ong sta conducendo una battaglia anche sui comportamenti es: perchè si dice loro andate a prendere la conserva in tubetto che viene dalla Cina ..trasportata via aereo (inquinante quindi ..!!) e non andate a piantare voi i pomodori o a comperarli dalla vicina di mercato ?”…Brava …..se tutte le donne , Nord e Sud , avessimo la stessa consapevolezza ..forse il vero cambiamento inizierebbe subito!!!

Ho pensato perchè non iniziare??? E mi è venuto in mente piano, piano di creare una conferenza tra le donne a Treviso confrontandosi …in fin fine si tratta di lasciare un mondo migliore a figli e nipoti di ogni parte del mondo !!!!! Che ne pensate!???

(A.N. 08.12.15)

Venaus 2005-2015: dieci anni dopo, la Valle resiste ancora

Martedì 08 Dicembre 2015 06:24

Diretta dalla marcia Susa-Venaus (con notav.info)

[dirette audio da radioblackout]

ore 13.45: pochi minuti fa la testa del corteo è arrivata al presidio di Venaus! Dietro ancora tantissimi No Tav in marcia, 20.000 oggi a ribadire che oggi come ieri la resistenza continua.

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ore 13: il corteo ha sostato al bivio dei passeggeri per ricordare che proprio qui 10 anni fa la polizia provò a bloccare con le cariche l’avanzata dei No Tav verso Venaus: non ci sono riusciti allora, non ci riusciranno nemmeno oggi! Dal furgone si leva poi un lungo applauso e un saluto resistente a tutti/e i/le No Tav che oggi non possono essere alla marcia perché sottoposti a misure restrittive per aver preso parte attivamente alla battaglia contro l’alta velocità: liber* tutt*!

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ore 12.45:la marcia sta ripercorrendo la strada che 10 anni fa portò alla storica liberazione di Venaus. Una grossa parte del corteo non è ancora giunta al bivio dei passeggeri ma si trova ancora sui tornanti sopra Susa, a riprova del successo di partecipazione di questo 8 dicembre.

ore 12.30: dalle rocce che costeggiano la strada verso Venaus viene calato uno striscione di solidarietà con tutt* i No Tav arrestati e inquisiti, contro l’accusa di terrorismo (recentemente respinta per la seconda volta anche dalla Cassazione…).

ore 12.15: dopo una breve sosta di contestazione all’Hotel Napoleon di Susa che ospita le truppe d’occupazione, la testa del corteo è arrivata al bivio dei passeggeri, dove inizia la strada che conduce al presidio di Venaus. Si parla di 20.000 persone in marcia!

Una diretta con Gian Luca e qualche considerazione

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ore 12: il corteo è entrato poco fa nel centro di Susa. Qualche giornale mainstream schierato da sempre a difesa di un’opera inutile e indifendibile scrive di “un migliaio” di persone (sic!) ma le immagini e le voci che arrivano dalla marcia parlano chiaro: la Valle che resiste ancora una volta è un fiume in piena!

ore 11.45: è il popolo No Tav delle grandi occasioni quello che oggi riempie le strade della Valle di Susa: un serpentone lungo e partecipato sta marciando sulla statale verso i luoghi della resistenza di 10 anni fa, accompagnato dalle note della banda No Tav che suona canti di lotta. Da dentro il corteo non si riesce a vedere né la testa né la coda!

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ore 11.30: il corteo ha mosso i primi passi in direzione di Venaus, dietro lo striscione che ben racconta lo spirito di questa giornata di lotta: ora come allora la resistenza continua! Tante le realtà che in tutta Italia si battono in difesa del territorio presenti alla marcia.

Una diretta con Dana dal corteo

ore 11.00: alcuni pullman e No Tav in arrivo da molte città d’Italia sono ancora bloccati al casello di Avigliana, dove le persone vengono identificate e fotografate una per una. Tantissimi intanto riempiono il piazzale di Susa, aspettando l’arrivo di tutti la testa del corteo inizia a posizionarsi: la marcia è aperta dai bimbi No Tav!

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Susa – Dieci anni dopo la prima grande vittoria del movimento Notav, quando l’allora capo del governo Berlusconi decise la sospensione dei lavori previsti nei pressi di Venaus – dopo che quegli stessi terreni furono invasi da decine di migliaia di persone, rompendo le staccionate e buttando fuori le forze dell’ordine – il movimento Notav torna su quelle strade per ribadire, ancora una volta, le ragioni della propria storica opposizione ad un’opera inutile e dannosa.

Dopo 4 giorni di mobilitazioni, tra passeggiate notturne, assemblee e marce al cantiere, il popolo notav torna oggi alla grande marcia.

Fin dalle prime ore del mattino, tanti e fastidiosi i posti di blocco attuati dalla Questura ai caselli dell’autostrada A12 e sulle statali, non hanno remato un flusso costante di valligiani, torinesi e compagn* giunti da tanti territori in lotta del paese. Fermati pullman da Bergamo e del Terzo Valico. Controlli rigorosi, persone filmate e controllate approfonditamente. Dopo Avigliana, al momento (h 10.30) si scorre tranquilli.

Già tante le persone concentratesi a Susa, nei pressi del piazzale del cimitero

Una prima diretta con Maurizio di Vaie

 Vedi anche: intervista ad Alberto Perino che presenta la manifestazione di oggi (da radio blackout)

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 Grande come sempre la presenza inter-generazionale, “dai nonü… ai cît!”

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Pubblicato in NO TAV&BENI COMUNI

Da: “Cronaca qui” – La Repubblica” – “La Stampa” – “Ansa”

  • Cronaca qui: notav ritorno a Venaus 10 anni dopo ma a marciare sono soltanto in 6mila 
  • La Repubblica: la battaglia dell’alta velocità 10mila notav in marcia per ricordare il decennale di Venaus. processo per terrorismo, sei udienze natalizie 
  • La Repubblica: la pensione slitta a sorpresa per maddalena e guariniello 
  • La Stampa: notav, i sindaci ancora in marcia. Ora il cantiere da lavoro e contestare diventa più difficile 
  • La Stampa: la protesta e i giochi “per fortuna Torino non si è fermata” 
  •  
  • Ansa:
Tav: M5s, in 10 anni non è cambiata inutilità progetto (ANSA) – TORINO, 8 DIC – “Non abbiamo mai smesso di percorrere questi sentieri insieme al Movimento No Tav. E oggi, come dieci anni fa, abbiamo manifestato contro un’opera che uccide il futuro della Valle, danneggia il territorio e mette in pericolo la salute dei cittadini”. Così i parlamentari e gli eletti negli enti locali di M5s che hanno partecipato, oggi, alla marcia in Valle di Susa.

“A distanza di un decennio dai fatti di Venaus, – dicono gli esponenti pentastellati – si sono susseguiti Governi nazionali e regionali di diverso colore politico. Ciò che non è cambiato è l’inutilità del progetto ed i loschi affari che lo sostengono.
Oggi come ieri chiediamo, ancora una volta, la sospensione immediata dei lavori, la cessazione dell’occupazione militare e la riapertura di un autentico dialogo che preveda l’opzione zero. Come peraltro auspicato – conclude M5s – anche dalla recente sentenza del Tribunale Permanente dei Popoli”.
(ANSA).
 cronaca qui 09-12-2015 su marcia 8 dicembre
repubblica 09-12-2015 su marcia 8 dicembre e processi
repubblica 09-12-2015 su pensione maddalena padalino
LA STAMPA 09-12-2015 su marcia 8 dicembre e processi
La Stampa  (estratto)
La Stampa  (estratto)1
LA STAMPA 09-12-2015 su marcia 8 dicembre e processi2

La Finlandia vuole dare a tutti i cittadini 800 euro al mese

capisco che per i pennivendoli italioti, così come i politici parassiti di ogni schieramento (ma peggio per quello schieramento che si proclama essere dalla parte degli utlimi e che governa dal  colpo di stato effettuato dai banchieri alla monti) sia orribile pensare ad un reddito di cittadinanza che TOGLIEREBBE IL 47,6% (al tasso ufficiale di ca 11,8%  aggiungere il 35,8% gli “Inattivi” che sono ESSERE UMANI SENZA REDDITO che non vogliono farsi prendere per il culo dalle agenzie interinali) DEI DISOCCUPATI ITALIANI DALL’INDIGENZA ED EVITEREBBE LORO DI MENDICARE ALLA CARITAS E BANCHI ALIMENTARI, per la stampa italiota è orripilante CHE VENGA ISTITUITO UN SISTEMA CHE RIDONI DIGNITA’ ALLE PERSONE, COME IMPOSTO DALLA COSTITUZIONE PER ALTRO. UN PAESE ANCORA BASATO SULLE CASTE, se hai i soldi bene, altrimenti vivi in macchina per la quale equitalia esige pure il bollo, QUESTA E’ LA DEMOCRAZIA instaurata e protetta DA COTANTI DIFENSORI DEI DEBOLI E DEGLI ULTIMI. Per la stampa politically correct il 47,6% dei senza reddito SONO EVASORI, peccato che la loro amata UNIONE EUROPEA consiglia l’istituzione del reddito di cittadinanza che VIGE in tutti i paesi tranne Italia e Grecia e si vede
 
Il Paese scandinavo sta studiando l’introduzione del “reddito di base” che dovrebbe sostituire il sistema di benefici e sussidi attualmente previsto
 
di Elmar Burchia
Il governo finlandese guidato da Juha Sipilä si appresta ad introdurre un reddito base che potrà ricevere ogni cittadino maggiorenne. Una proposta finale non verrà presentata prima di un anno. Tuttavia, se tutto andrà secondo il programma che si è fissato il nuovo esecutivo (in carica da circa sei mesi), il Paese sostituirà il lungo elenco di assegni sociali, compresi quelli di disoccupazione, maternità o congedo parentale, distribuendo ottocento euro al mese – a tutti.
 
Incondizionato
Come gli altri Paesi nordici, anche la Finlandia (con una popolazione di circa 5,5 milioni) è una nazione parecchio costosa. Un esempio: per una colazione con brioche e cappuccino si arrivano a spendere più di 7 euro. La tassazione è piuttosto alta, ma i cittadini usufruiscono di numerosi servizi a prezzi molto vantaggiosi o gratuiti. Lo stipendio medio lordo si aggira sui 40.000 euro all’anno. Verrebbe da dire: qui non si vive male. Eppure, il Paese vuole introdurre il «reddito di cittadinanza», ovvero una somma garantita a tutti dallo stato. Esentasse e del tutto indipendente dalla situazione familiare, economica o lavorativa di chi lo riceve. Sull’esempio di alcune città olandesi che stanno già sperimentando l’erogazione di un beneficio economico senza alcun controllo e senza alcun obbligo ad accettare un lavoro, e di quello della Svizzera che si appresta a indire un referendum su questo tema, l’idea finlandese sta trovando sempre maggiori favori tra l’opinione pubblica e le forze politiche. Secondo un sondaggio commissionato dall’ente governativo responsabile per l’assistenza di base, il KELA (che gestisce una serie di servizi fra i quali i sussidi per i disoccupati o l’assistenza speciale per gli immigrati), il 69% degli intervistati si è detto d’accordo con un reddito di base.
 
La disoccupazione
«Per me vuol dire innanzitutto semplificare il sistema di previdenza sociale», ha spiegato il premier Sipilä. Per i non finlandesi, questo piano pone tre domande concrete: perché è una buona idea? Funzionerà? E come verrà attuato? La proposta vuole in primo luogo combattere la disoccupazione, rendendo ad esempio più appetibili i contratti a tempo determinato. A maggio, il tasso dei senza lavoro era infatti salito fino all’11,8% mentre ad ottobre si è attestato all’8,7%. Attualmente il cittadino finlandese non è incentivato ad accettare contratti di lavoro a breve termine o stipendi al di sotto di una certa soglia. Il motivo: ciò comporterebbe la perdita, per un periodo di tempo più o meno lungo, di alcuni benefici collegati al welfare. Il «basic income», spiegano i promotori, sostituisce questi benefit e potrebbe perciò agevolare la flessibilità. Inoltre, possono essere abbattute le spese di mantenimento del sistema burocratico: i tanti uffici e i programmi di elaborazione di richieste non serviranno più.
 
Quarant’anni fa i primi esperimenti
Già in passato alcuni esperimenti in tal senso hanno dimostrato che il reddito di base garantito per tutti può avere degli effetti positivi. Uno degli esempi più famosi è probabilmente Dauphin, una piccola città agricola nella provincia canadese di Manitoba. Dal 1974 al 1979 – anno in cui il progetto «Mincome» è stato cancellato – a tutti gli abitanti è stato infatti elargito un assegno mensile, cumulabile con altri redditi. Se qualcuno guadagnava qualcosa in più, il sussidio statale veniva dimezzato, e ciò era uno stimolo a lavorare. In quegli anni, la povertà è praticamente scomparsa, le visite mediche e negli ospedali sono diminuite, più adolescenti hanno completato gli studi, i valori all’interno della comunità stessa hanno iniziato a cambiare.
 
I costi
Uno dei principali aspetti negativi, ovviamente, è il costo. Liisa Hyssälä, direttore generale dell’Istituto finlandese per la previdenza sociale KELA, ha detto che il piano farà risparmiare milioni al governo. Tuttavia, calcola Bloomberg, un assegno mensile di 800 euro per tutti costerebbe allo stato oltre 52,2 miliardi di euro all’anno. Le entrate previste per nel 2016 sono invece stimate in circa 49,1 miliardi di euro. Inoltre, anche in Finlandia la crisi economica ha lasciato il segno: il Paese ha registrato una flessione del pil dello 0,6% nel terzo trimestre, con il rischio di chiudere in recessione per il quarto anno consecutivo. Dal 2008 Helsinki ha bruciato il 6% del pil. Eppure, il governo e alcune forze dell’opposizione sono decisi a mettere in pratica il piano. I primi pagamenti a titolo di prova potrebbero partire tra meno di due anni.
 
6 dicembre 2015 (modifica il 7 dicembre 2015 | 11:49)