Coronavirus, il disastro perfetto della Liguria: la “piccola Lombardia” di cui nessuno parla

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Nelle ultime settimane la Liguria ha creato le condizioni per il disastro politico e sanitario perfetto. Nel silenzio generale, ha scalato tutte le classifiche sul Covid, mentre il governatore Giovanni Toti, invece di invocare prudenza, è diventato un sostenitore di quel “liberi tutti” che rischia di trasformarsi in una nuova ecatombe. L’analisi di Lorenzo Tosa

Di Lorenzo Tosa

Pubblicato il 29 Mag. 2020 alle 16:33
Immagine di copertina

Coronavirus, la Liguria è un disastro perfetto ma nessuno ne parla

C’è una piccola regione italiana, schiacciata tra il mare e le grandi regioni del Nord ovest, in cui nelle ultime settimane si stanno creando le condizioni per il disastro politico e sanitario perfetto. Con tutti i media italiani troppo occupati (giustamente) a raccontare la catastrofe lombarda, è finita che abbiamo sottovalutato quello che stava accadendo pochi chilometri più giù, in quella ex Liguria rossa diventata in meno di cinque anni un feudo sovranista. E che oggi, nel silenzio generale, ha scalato tutte le classifiche sul Coronavirus, dove è costantemente sul podio, in alcuni casi sul gradino più alto. A raccontare la gestione fallimentare della Giunta Toti-Lega sono i numeri: impietosi. Ma anche un’antologia dell’orrore di dichiarazioni, gaffe, fake news da far concorrenza da vicino al duo Fontana-Gallera.

“SOLO UN’INFLUENZA”. Che le cose non sarebbero andate bene lo si era già intuito il 21 febbraio scorso, giorno del primo caso in Lombardia (il famoso Paziente 1 di Codogno), quando il dottor Matteo Bassetti, primario di Infettivologia dell’ospedale San Martino ed esperto scelto dalla Regione come uomo immagine dell’emergenza, dichiarava gioiosamente alle telecamere che “un virus così non ci fa paura” e di “andare d’accordo coi cinesi”. Che è un bel proposito, non c’è dubbio, ma non è esattamente quello che vorresti sentir dire da un medico agli esordi di una potenziale epidemia. Insomma, anche per Bassetti era una “semplice influenza”, nulla più. Un approccio ottimista che, in breve, lo aveva reso una star del web e – va detto – di larga parte della sinistra, in un momento in cui milioni di italiani non aspettavano altro di sentire un esperto che li rassicurasse. Meno di un mese dopo, Bassetti, il Gismondo ligure, ha cancellato con un colpo di spugna dal suo profilo Facebook tutti i link, gli articoli e le dichiarazioni in cui aveva sottovalutato la potenza del virus. E ha fatto bene perché, nel frattempo, la situazione è precipitata, in Liguria più ancora che nella maggior parte d’Italia.

RECORD NEGATIVI. Questa piccola regione, negli ultimi giorni, ha collezionato una serie di record negativi che cozzano drammaticamente con la propaganda entusiastica a cui il presidente Toti ci ha abituati. La fotografia arriva dall’ultimo report sull’emergenza Coronavirus per il mese di maggio diffuso dalla Fondazione Gimbe, che ha inserito la Liguria, insieme a Lombardia e Piemonte, tra le regioni che, allo stato attuale, non sono pronte alla riapertura.

TAMPONI. Ma a colpire di più sono i dati. Con 5,8 per cento, la Liguria è la seconda regione – appena dietro la Lombardia (6 per cento) – per percentuale di tamponi diagnostici positivi. Per trovare la terza regione classificata bisogna scendere addirittura fino al 3,8 per cento del Piemonte: un abisso. La media nazionale, tanto per essere chiari, si attesta al 2,4 per cento. Peccato che, a differenza di Lombardia e Piemonte, la Liguria esegua meno tamponi totali ogni 100mila abitanti rispetto alla media nazionale (1319 contro 1343). Tradotto? Pochissimi tamponi e un numero spropositato di positivi.

CONTAGI. Non va meglio quando ci spostiamo sull’incidenza di nuovi casi per 100mila abitanti, dove la Liguria, con 76, è sempre seconda dietro la Lombardia (96). La media italiana è di 32. E lo stesso copione si ripropone identico nella graduatoria riguardante il tasso di crescita medio settimanale dei contagi, dove, nella settimana tra il 18 e il 24 maggio, la Liguria aveva registrato lo 0,49 per cento (contro lo 0,38 per cento della Lombardia). Solo il Molise le era davanti, ma quello 0,72 per cento anomalo era legato alla vicenda di un unico, grande, focolaio.

DECESSI. Ma non finisce qui. La Liguria ha anche il triste record di decessi giornalieri in rapporto alla popolazione. Secondo i dati forniti dal Ministero della Salute, negli ultimi dieci giorni la Liguria è stata costantemente al primo posto con punte dello 0,72 per cento, contro un trend di poco superiore allo 0,5 per cento della stessa Lombardia. La media nazionale non raggiunge lo 0,4 per cento.

CASE DI RIPOSO. Come se non bastasse, anche in Liguria, come in Lombardia, è partita un’inchiesta per epidemia dolosa che ha messo nel mirino la gestione della pandemia all’interno delle case di riposo, dove si è registrato un tasso anomalo di mortalità: il 200 per cento in più, tra febbraio e aprile, rispetto alla media dei tre anni precedenti (fonte Open). Al punto che i consiglieri regionali di opposizione del Movimento 5 Stelle hanno richiesto l’avvio di una Commissione d’inchiesta per far luce sul caso.

LE APERTURE. Di fronte a una Waterloo del genere, qualunque governatore dotato di buon senso si preoccuperebbe di chiudere il più in fretta possibile ogni possibile porta d’accesso a potenziali nuovi focolai, in entrata e in uscita. Qui in Liguria, invece, Toti è stato, insieme alla governatrice della Calabria, il primo e il più agguerrito ad andare allo scontro col governo, anticipando al 18 maggio molte delle aperture che Roma aveva previsto per il 3 giugno: in particolare, negozi, bar, ristoranti, centri sportivi, parrucchieri ed estetisti. Risultato? La seconda regione più colpita in Italia, quella che avrebbe dovuto muoversi con maggiore prudenza, è diventata addirittura apripista di quel “liberi tutti” che rischia di trasformarsi in una nuova ecatombe. E solo il buon senso di centinaia di sindaci, che si sono opposti all’ordinanza regionale, ha evitato guai peggiori. Per ora.

EMERGENZA CORONAVIRS, LA LIGURIA MAGLIA NERA. Ormai è sotto gli occhi di tutti: la Liguria è ufficialmente maglia nera italiana Covid di maggio. Al di là degli Appennini, c’è una piccola Lombardia di cui quasi nessuno parla e in cui il combinato disposto di un’età media elevata, le carenze e i tagli orizzontali alla sanità regionale degli ultimi anni e l’imprudenza dell’attuale Giunta hanno prodotto i prodromi della tempesta perfetta. Nella Genova che celebra in pompa magna il nuovo ponte e il ritorno alla normalità, si contano sulle dita di una mano le voci critiche e i giornalisti indipendenti che, da settimane, denunciano la gravità della situazione (su tutti Genova Quotidiana e Liguri tutti: il blog di Marco Preve e Ferruccio Sansa), in un clima di narcosi collettiva da far spavento, mentre le elezioni regionali sono ormai alle porte.

Da oggi esiste un nuovo caso: il caso Liguria. Lo strano caso di una regione in piena emergenza e di un presidente che taglia nastri e invita a “riaprire tutto, altrimenti, invece di morire di Covid, moriremo di fame.” Una frase che abbiamo sentito ripetere ciclicamente in questi ultimi due mesi a destra e a sinistra. Sappiamo già com’è andata a finire.

Il commento di Toti

Il presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, ha replicato a questo articolo con un post su Facebook, che riportiamo integralmente di seguito.

Oggi a fotografare in modo catastrofico la situazione in Liguria è un ex portavoce dei grillini del M5S, ora “influencer” della sinistra. Peccato che i dati dell’Istituto Superiore della Sanità invece dicono esattamente il contrario. E lo dicono analizzando centinaia di migliaia di dati e non facendo delle sterili somme con la calcolatrice dello smartphone. Lo fanno con virologi, infettivologi, professori e ricercatori. Qui non stiamo giocando a farci vedere, in ballo ci sono la salute e il futuro di milioni di persone e non possiamo più stare in silenzio a subire questi attacchi vergognosi. L’ufficio legale della Regione Liguria sta studiando come difenderci da tutti coloro che, con dati non ufficiali, fanno del terrorismo, mettendo in dubbio la professionalità dei nostri scienziati, dei nostri tecnici e di quelli del Ministero della Salute.

Ci dispiace perché questi articoli, creati ad arte per tifoseria e per pure ragioni politiche, fanno solo del terrorismo generando un allarmismo pericoloso tra i cittadini! Perché volete che vada tutto male? Basta cavalcare le paure della gente, basta tifoserie su temi così delicati, basta insinuare il dubbio che le istituzioni, a tutti i livelli e di tutti i colori, vogliano ingannare la gente. Per cosa poi? Noi siamo stati i primi ad aver chiuso le scuole quando era il momento e se non ci fossero le condizioni saremmo i primi a non voler mettere a rischio i nostri cittadini e quelli delle altre regioni.

Sì, siamo tutti italiani, anche se molti ultimamente lo dimenticano. Usare le parole “catastrofe” ed “ecatombe” nei giorni in cui la presa del virus si sta effettivamente allentando è veramente vergognoso e irrispettoso nei confronti di chi ha perso la vita, di chi ha lottato e sta lottando per sconfiggere il virus, di chi sta ripartendo con preoccupazione e di chi ancora deve ritornare alla normalità. Questo terrorismo sta creando una guerra sociale, distruggendo anche l’empatia. Come quella che si dovrebbe provare per chi ha gli affetti lontani da 3 mesi e sente il naturale bisogno di rivederli. Facile attaccare con i propri cari nella stessa regione! Facile attaccare per ottenere dei click! Facile dare dati diversi dal Ministero per ottenere visibilità! Non creiamo danni peggiori di quelli già ottenuti da questo maledetto virus!

La risposta di Lorenzo Tosa per TPI

Un bel giorno di fine maggio il governatore della Liguria Giovanni Toti si sveglia e si accorge che qualcuno ha osato mettere in discussione la sua propaganda stile MinCulPop in cui la regione che lui governa è stata una delle più efficienti in Italia nell’affrontare il Covid, in cui i tamponi non servono, il virus è sotto controllo ed è arrivato il momento di riaprire tutto, altrimenti moriremo non di Coronavirus ma di fame.

Io capisco che il Presidente Toti non sia abituato, non dico alle critiche, ma anche solo alle domande dei giornalisti, in una regione in cui tre quarti dei media locali sono entrati, di fatto, a far parte della sua squadra della comunicazione allargata; una regione in cui in cinque anni i finanziamenti alla prima emittente privata ligure, tramite una società partecipata controllata politicamente, sono lievitati di 112 volte, dai 4.000 euro della vecchia amministrazione agli attuali 450.000, come racconta Elisa Serafini nel suo libro “Fuori dal comune”; una regione in cui le uniche voci critiche rimaste sono un eroico quotidiano locale e il blog indipendente di due giornalisti.

Per il resto: buio, silenzio, applausi in pubblico e mugugni in privato. Perciò capisco che il Presidente Toti sia rimasto oltremodo sorpreso di ritrovarsi messi lì, nero su bianco, su un quotidiano nazionale da oltre 12 milioni di contatti unici, la reale situazione dell’emergenza Covid in Liguria. Non attraverso opinioni personali, attacchi o insulti (di cui la sua tifoseria social ha invece ricoperto il sottoscritto, senza la minima moderazione da parte di una pagina istituzionale, come sempre avviene ogni volta che qualcuno osa contestarlo), ma attraverso dati, cifre, numeri e, soprattutto, fonti.

Nessuno – NESSUNO – dei dati riportati nell’articolo arriva da personali elucubrazioni dell’autore, che non avrebbe neppure le competenze per farlo, ma da studi, report e grafici realizzati da istituti autorevoli e indipendenti (vedi la fondazione Gimbe) o, addirittura, – tenetevi forte – dal Ministero della Salute. Sì, proprio quel Ministero della Salute che Toti cita giustamente come fonte ufficiale e autorevole. Ebbene, è proprio il Ministero della Salute a indicare, nel periodo preso in esame, la Liguria ai primissimi posti sia come nuovi casi che come decessi in rapporto al numero della popolazione.

Noi – come sempre – parliamo coi fatti. Altri preferiscono minacciare querele, senza tuttavia contestare nel merito uno solo dei dati riportati nell’articolo. E, se scriviamo, se raccontiamo, è proprio perché siamo preoccupatissimi per la salute di milioni di persone, che tanti, troppi, rappresentanti politici sembrano aver sacrificato in nome di altri interessi più forti. Lo abbiamo fatto per la regione Lombardia con una lunghissima e documentata inchiesta che c’è valsa gli attacchi feroci dell’assessore Gallera e un premio per il giornalismo d’inchiesta a Ischia.

Continueremo a farlo anche per la Liguria e ovunque la propaganda politica e gli interessi elettoralistici franino sui dati e sulla realtà. Si chiama giornalismo. È un mestiere che Toti dovrebbe conoscere abbastanza bene, e di cui ormai sembra essersi tristemente dimenticato. Noi parliamo coi dati e con le inchieste, qualcun altro con le minacce di querela. Ognuno ha la sua forma di comunicazione. Poi c’è la realtà, i numeri: che, a differenza dei giornalisti (per fortuna non tutti), hanno un brutto difetto: non si piegano alla propaganda.

Spazio: confermata l’esistenza di Proxima b, il ‘gemello’ della Terra

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 ASTRONOMIA

 21:54 29 Maggio 2020
 

Il corpo celeste a ”soli” 4 anni luce dalla Terra.

Proxima b, il pianeta gemello della Terra, esiste realmente ed è a soli 4 anni luce dalla nostra posizione. Orbitante nella zona abitabile della sistema planetario, l’oggetto presenta la condizioni ideali per ospitare l’acqua allo stato liquido e probabilmente forme di vita extraterrestri. A confermare la presenza del pianeta, molto simile alla Terra, è una ricerca pubblicata su Astronomy & Astrophysics e condotta da un team internazionale a cui partecipano anche gli esperti italiano dell’Istituto Nazionale di Astrofisica. La squadra guidata da Alejandro Suarez Mascareno, dell’Istituto di Astrofisica delle Canarie, ha confermato la presenza di Proxima b, un oggetto dalla massa pari a 1,17 volte quella della Terra. Scoperto 4 anni fa, solo oggi si è avuta la conferma della massa e dell’esistenza stessa del pianeta.



Spazio: confermata l’esistenza di Proxima b, il ‘gemello’ della Terra

Proxima b è un pianeta molto interessante, con caratteristiche simili alla Terra, ma probabilmente troppo vicino alla turbolenta stella madre, una nana rossa in grado di produrre devastanti tempeste magnetiche. Secondo i calcoli Proxima b riceve circa 400 volte più radiazioni rispetto alla Terra; una condizione estrema e che potrebbe provocare la ”fuga” di elementi come l’ossigeno, fondamentali per lo sviluppo della vita.

L’ISTITUTO SUPERIORE DI SANITA’ (ISS) RACCONTA UN’ALTRA STORIA SUL COVID-19

L’ISTITUTO SUPERIORE DI SANITA’ (ISS) RACCONTA UN’ALTRA STORIA SUL COVID-19

In attesa che il presidente Conte e i suoi 450 esperti delle varie Task Force governative bollino come «bufala» o «complottista» l’ultimo rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), massimo organo sanitario italiano, emerge un quadro che ribalta completamente la narrativa terroristica fatta sinora dai media di regime.

I dati sono aggiornati al 14 maggio 2020, meno di una settimana fa, e subito resi pubblici dal quotidiano «Italia Oggi». E di certo solleveranno non poche polemiche contro il lockdown e l’uso politico che ne è stato fatto dal governo e dai suoi «consulenti scientifici», con i giganteschi danni economici e i limiti arbitrari imposti alla libertà dei cittadini.

Innanzitutto va rilevato che la base statistica presa in esame dall’ISS e ISTAT è ampia e riguarda l’86% della popolazione italiana residente.

Di conseguenza, le tabelle e i grafici sono numerosi. Ma il dato che più colpisce è questo: i deceduti per Covid-19 che non avevano patologie pregresse sono stati appena il 3,9% dei morti complessivi, meno delle vittime di incidenti stradali.

Il focus dello studio si concentra poi su 2.848 deceduti per i quali, precisa l’ISS, «è stato possibile analizzare le cartelle cliniche».

In questo modo si è potuto accertare se gli italiani deceduti di questo campione, e positivi al Covid-19, fossero stati affetti in precedenza da altre patologie, e quali, in un range che comprende: cardiopatie, ipertensione, diabete, cancro, epatite, insufficienza renale, dialisi, Hiv e obesità.

Proiettando su scala italiana i risultati di questo campione di 2.848 deceduti, si può stimare che in Italia vi sono stati 1.150 morti da Covid-19 senza patologie pregresse, e poco più di 6mila con una sola patologia pregressa.

Dati inferiori di molto non solo ai circa 3mila morti l’anno che si registrano, in media, per gli incidenti stradali, ma anche agli 8mila decessi, tra diretti e indiretti, causati di solito dalle influenze stagionali.

Ma è evidente che i dati che più si prestano alle inevitabili polemiche politiche e scientifiche sono il 3,9% dei deceduti senza patologie pregresse, dato oggettivamente basso, e i numeri dei contagi e dei decessi che nella maggioranza delle regioni sono stati molto contenuti rispetto all’unica vera zona rossa, cioè di fatto le provincie di Bergamo, Brescia e nel piacentino, dove vi è stato il 51% dei deceduti totali.

Una ecatombe dove i fattori che meritano di essere indagati a fondo, possibilmente da scienziati veri e non solo dalla magistratura, sono numerosi: l’origine del virus, l’incidenza dei vaccini antinfluenzali sui morti attribuiti al Covid-19, lo zig-zag dei politici locali e governativi, i proclami «antirazzisti» dei burocrati PD che hanno fatto perdere tempo preziosissimo, il ritardo e la scarsa sintonia degli interventi sanitari, il divieto governativo – ricalcato pari pari sul modello cinese – a praticare autopsie per comprendere le cause di mortalità dei pazienti, con punte di colpevole leggerezza nelle residenze per anziani e picchi di eroismo medico nelle terapie intensive.

Il tutto per tentare di redigere un protocollo sanitario valido per l’immediato futuro, facendo a meno dei virologi da salotto tv.

Ora però, statene pur certi, assisteremo a un grottesco balletto di rimpalli e diversivi del saltimbaco che siede alla presidenza del consiglio col suo team di 450 esperti per depistare e sminuire l’impatto dei dati emersi dalla ricerca dell’ISS.

Oppure i 60mila «assistenti civici» per farvi rispettare quella ridicola pagliacciata che è il «distanziamento sociale», nato da una falsa «pandemia» ora certificata anche da numeri ufficiali.

Una falsa pandemia che però ha bloccato il mondo in attesa che scoppi un’altra falsa pandemia il prossimo autunno, come già i tromboni politico-televisivi annunciano di continuo grazie alla loro sfera di cristallo.

Ma tranquilli, perché qualsiasi cosa di razionale possiate dire loro vi risponderanno con le uniche parole che conoscono: complotto e/o bufale! Sicuri che, al solo evocare queste due paroline magiche, vi tapperanno la bocca!

«Rapito da crudele morbo…»: l’epidemia di spagnola a Torino e le disposizioni per limitare il contagio

https://www.farestoriainperiferia.org/rapito-da-crudele-morbo-lepidemia-di-spagnola-a-torino-e-le-disposizioni-per-limitare-il-contagio/

Come tenere sotto controllo un contagio che, comparso come un’apparente forte influenza, colpisce soprattutto le giovani generazioni, già decimate dalla guerra mondiale ancora in corso?

Torino, Colonia profilattica di Lucento Maria Laetitia presso la cascina Continassa, 1918. La foto è scattata in occasione della visita della delegazione della Croce Rossa Internazionale. La colonia, aperta nel 1913, ospitava i bambini di Torino per proteggerli dai focolai famigliari di tubercolosi. La prevenzione contro questa malattia assumeva una particolare importanza nel contesto sanitario precario dovuto alla pandemia di influenza Spagnola. (fonte: American National Red Cross photograph collection, Library of Congress, https://www.loc.gov/item/2017673496/)

La guerra mondiale è entrata nel suo ultimo anno, quando inizia silenziosamente a diffondersi, in diverse parti del mondo, una malattia particolarmente contagiosa. Nel maggio 1918, se ne registrano alcuni focolai anche in Italia, tra cui uno in Piemonte, a Domodossola. Un mese dopo anche Torino risulta colpita da quella che appare come un’anomala forma di influenza, la grippe, come la chiamano i più anziani, o anche “febbre dei tre giorni”, violenta ma quasi mai letale. Alla fine di agosto, l’ondata epidemica estiva sembra attenuarsi. Sottotraccia, però, la curva dei contagi sta tornando a salire e il virus – che forse è mutato – si ripresenta in forma aggressiva e letale, con un decorso breve. Nel corso del settembre 1918, i decessi giornalieri tra i torinesi incrementano giorno dopo giorno fino a raggiungere a fine mese il 300%. L’alta mortalità sembra colpire soprattutto i giovani con un ulteriore angoscioso risvolto, ossia la morte dei bambini più piccoli: negli ultimi cinque giorni di settembre sono una settantina i morti in città sotto i 6 anni, tre-quattro volte in più della media. È forse anche in relazione a questo aspetto che viene rinviata a data da destinarsi l’imminente riapertura delle scuole, prevista per il 1° ottobre.

«La Stampa», 30 ottobre 1918. Particolare della pagina dedicata alle notizie di Torino con i necrologi. Sempre più numerosi nel corso dei mesi, possono essere considerati il riflesso delle dimensioni e dell’aggressività dell’epidemia che colpisce in prevalenza giovani (Archivio storico La Stampa).

Il sindaco Frola, intanto, con un manifesto alla cittadinanza detta un severo decalogo contenente le norme individuali d’igiene da «osservarsi particolarmente in questi giorni», mentre il prefetto Taddei, dietro parere del Consiglio sanitario provinciale, decreta l’immediata chiusura di tutti i locali pubblici della provincia e la riduzione dell’orario di apertura dei negozi. I cortei funebri sono vietati e le funzioni religiose ridotte solo a «quelle essenziali». Mentre l’epidemia appare inarrestabile, le notizie diffuse dai giornali, sottoposti alla censura di guerra, risultano scarse e rassicuranti e i torinesi non sembrano fidarsi. L’attenzione di molti si sposta sui bollettini dello Stato civile pubblicati dai quotidiani e sui numerosi necrologi che dietro giri di parole raccontano la drammatica realtà del momento: «colpita da inesorabile morbo…», «dopo breve ignota malattia…» Per il solo mese di ottobre, si possono stimare in circa 1.300-1.500 i torinesi deceduti a causa dell’epidemia, che ora viene chiamata “spagnuola”.
L’insieme dei provvedimenti attuati, che non prevede però forme di confinamento per i cittadini, sembra dare qualche risultato alla fine di ottobre, quando la Prefettura inizia a valutare una data per l’avvio dell’anno scolastico e l’allentamento dei divieti per i locali pubblici. Un’accelerazione viene dall’annuncio della vittoria contro l’Austria-Ungheria con la conseguente fine della guerra, evento che rovescia per diversi giorni nelle piazze folle festanti. Il 7 novembre, intanto, riaprono caffè-concerto e teatri – con alcune limitazioni come il distanziamento e la disinfezione – e dal 18 novembre iniziano le attività scolastiche.

Seattle, Durante la pandemia di influenza Spagnola non era consentito salire sui mezzi pubblici senza indossare la mascherina (Fonte: American National Red Cross photograph collection, Library of Congress, https://www.loc.gov/item/2017668638/)

I momenti di festa collettiva e la ripartenza prematura presentano però il conto dopo circa un mese con la rapida risalita dei contagi: alla Vigilia di Natale l’epidemia è ritornata alle dimensioni viste in ottobre. Agli inizi del gennaio 1919, mentre in città giunge in visita il presidente americano Wilson, le scuole continuano la pausa natalizia per altre tre settimane, tra le polemiche per il mancato contestuale fermo anche di teatri, cinematografi e osterie. Le proteste di una parte della popolazione e la recrudescenza dell’epidemia sono all’origine di una nuova ordinanza con cui il prefetto, il 16 gennaio, impone limitazioni per i locali pubblici, vietando inoltre le feste da ballo nei circoli privati. Ai medici è fatto obbligo di denunciare i casi di influenza con complicanze e ogni caso registrato in alberghi, istituti e collettività.
Nelle borgate di periferia della zona Nord di Torino la situazione sembra essere particolarmente difficile. In un prossimo intervento si esaminerà l’impatto dell’epidemia in una delle borgate del territorio dell’attuale Circoscrizione 5, ossia Lucento-Ceronda.

Approfondimenti
Per una disamina a livello nazionale: E. Tognotti, La spagnola in Italia. Storia dell’influenza che fece temere la fine del mondo (1918-19), FrancoAngeli, Milano 2015 (1a ed. 2002).

I dati puntuali sulla vicenda torinese sono tratti dalla consultazione di “La Stampa”, per il periodo agosto 1918-gennaio 1919 (www.archiviolastampa.it).


Autori dell’articolo Nicola Adduci e Giorgio Sacchi

La Torino-Lione potrà favorire nuove epidemie

https://torino.pro-natura.it/torino-lione-epidemie/?fbclid=IwAR0tw17fErA_E3YZHcQ0itpr_Xe1tDrdCRTIhfJvBFdnjat29hNWfrEx6e8

Il titolo potrebbe sembrare provocatorio o strumentale.

Ma partiamo dalla “Relazione circa l’effetto della importanza del particolato atmosferico e la diffusione di virus nella popolazione” di cui ha dato notizia il TG2 della sera del 29 aprile scorso, e che Pro Natura di Cuneo ha ripreso nel suo ultimo notiziario: “Una solida letteratura scientifica descrive il ruolo delle particelle atmosferiche quale efficace vettore di trasporto e di diffusione per molti contaminanti chimici e biologici, inclusi i virus. Il particolato atmosferico costituisce un substrato che può permettere al virus di rimanere nell’aria in condizioni vitali per un certo tempo, di ore e di giorni.”

I veleni dell’aria. Si può aggiungere che lo studio Tosca, pubblicato poi in un eccellente opuscolo sui “Veleni dell’aria”, diffuso dal “Corriere della Sera” nel gennaio del 2013, calcolava che ogni metro cubo dell’aria di Milano, in una situazione di ordinaria concentrazione di PM 10 -oppure PM 2,5 (cioè di polveri sottili sino ad una dimensione massima di 2,5 o 10 millesimi di millimetro), contenesse 20.000 batteri. I virus non furono contati ma, supponendo una biomassa equivalente, si possono valutare da 10 a100 volte tanto. Come vettori dei batteri, lo studio esemplifica, al primo posto, le microparticelle di terra.

In questo trasporto che li fa veleggiare nell’aria, quasi come fossero dei gas, i virus, rispetto ai batteri, hanno il vantaggio di non avere metabolismo e quindi, di non essere legati obbligatoriamente alle famose goccioline di acqua che escono con il respiro od un colpo di tosse.

Ma anche loro patiscono il degrado del rivestimento lipidico che li protegge.

Particolato sottile e virus. Il legame tra particolato sottile e l’attuale infezione virale è sottolineato da tre altri aspetti.

a) Tra i primi, la concentrazione e la precocità delle infezioni nella Pianura Padana. Uno studio dell’Agenzia Europea dell’Ambiente, dell’ottobre 2018, rilevava che il 95% degli europei a rischio di smog vive nella Pianura del Po. Non è colpa di chi la abita, dal momento che non ci sono neppure le centrali a carbone che continuano ad esistere in altri stati europei, ma della conformazione geologica. Si tratta sostanzialmente di un bacino chiuso da montagne su tre lati: l’aria si stratifica facilmente e gli inquinanti restano intrappolati entro poche decine di metri dal suolo. Le brezze, quando ci sono, servono a trasferire l’inquinamento anche nelle valli con il loro movimento di va e vieni, ed a peggiorare la situazione anche lì.

b) Una carta dell’Europa, pubblicata su “Le Scienze” a settembre 2019, mostra in modo evidente la prevalenza dell’inquinamento padano nel contesto europeo e la radicale differenza rispetto alle regioni del Sud.

c) Un altro indizio è la complicazione patologica che genera la polmonite interstiziale acuta, detta “bilaterale” in quanto si diffonde su tutta la superficie dei polmoni. Il sopra citato opuscolo del “Corriere della Sera” sottolineava che “la conseguenza fisiopatologica della esposizione al particolato atmosferico è uno stato infiammatorio continuo della parete dei vasi arteriosi” che tappezzano l’alveolo polmonare. Si tratta della stessa localizzazione della polmonite interstiziale, la cui conseguenza più nefasta è la infiammazione della parete (endotelio) degli alveoli che impedisce al sangue di circolare e di assorbire l’ossigeno dell’aria, a volte con la conseguenza secondaria e non letale di micro trombi.

I più esposti. Questo quadro spiega altri due aspetti altrimenti difficilmente interpretabili di questa malattia: la prevalenza delle infezioni in soggetti oltre i 65 anni, che potrebbe esser dovuta al fatto che sino alla fine degli anni 60 le normative sull’inquinamento urbano consentivano il riscaldamento a nafta ed a carbone che coprivano di un polvere nera ogni centimetro quadrato delle città, cosa che ha certamente lasciato traccia nei polmoni di coloro che sono vissuti in quel periodo; poi la prevalenza delle infezioni a carico degli uomini che sono i due terzi dei deceduti mentre, in base alla consistenza demografica, ci si dovrebbe aspettare quasi il contrario. L’unica spiegazione possibile è nelle differenze delle abitudini di vita degli anni 1945-1970 in cui le donne erano prevalentemente casalinghe e quindi meno esposte alle polveri sottili che annerivano l’esterno delle città e delle fabbriche. Un caso di differenza di genere legato a diverse abitudini, è stato dimostrato in Australia per la prima volta, circa 30 anni fa.

L’effetto degli scavi della Torino-Lione. Tutto questo serve a segnalare un fenomeno ed un pericolo: la diffusione e la gravità del virus è stata aggravata dalle polveri sottili. Queste polveri sono generate anche da scavi lontani perché sono facilmente trasportate dalle brezze. In questo quadro, lo scavo di 18 milioni di metri cubi di rocce della Torino Lione, (pari a 18 delle vecchie “torri gemelle” di New York o, se vogliamo, a un edificio grande quanto 10 campi di calcio e alto 500 metri) lungo il tratto da Susa/Salbetrand a Settimo, che saranno da frantumare, macinare, vagliare, caricare e scaricare, comprometterà sicuramente la qualità dell’aria e la salute della popolazione dell’area metropolitana. Qualsiasi sistema di contenimento è inutile: non si parla delle polveri grossolane, ma di quelle non visibili ad occhio nudo che di fatto, si comportano come un gas e la cui pericolosità è proprio nel poter arrivare sino agli estremi degli alveoli polmonari. Vengono depositate con la pioggia, ma si risollevano ad ogni minimo alito di vento.

Nella sostanza, anche senza considerare le polveri di amianto e quelle radioattive, per cui è necessario un discorso a parte, la nuova linea Torino-Lione è un problema di salute pubblica. “Un crimine sanitario” si potrebbe dire con una espressione giornalistica. Del resto confermato dall’opuscolo pubblicato e diffuso in 10.000 copie nella primavera del 2011 da 300 medici, farmacisti e personale sanitario della cintura torinese e delle valli, che è stato dimenticato troppo presto.

Mario Cavargna, Presidente Pro Natura Piemonte

CACCIA AL MORTO —– BRUTTI, SPORCHI E CATTIVI——- E BELLI, PULITI E BUONI

https://fulviogrimaldi.blogspot.com/2020/05/caccia-al-morto-brutti-sporchi-e.html

MONDOCANE

VENERDÌ 22 MAGGIO 2020

Il bene dell’umanità è sempre l’alibi dei tiranni” (Albert Camus)

Inciso incidentale: Riccardo Ricciardi, deputato Cinque Stelle, soggetto-oggetto della gazzarra leghista in parlamento per due ottime ragioni: essersi reso colpevole di un del tutto ingiustificato servo encomio nei confronti del Torquemada d’Italia, Conte Pippo, ed essersi reso meritevole di coraggioso oltraggio all’indirizzo di un ceto politico lombardo,  che ha reso i propri cittadini i più inquinati d’Europa, i più elettromagnetizzati dal 5G e, anche per questo, i più  colpiti da quello che si vuole sia la pandemia del coronavirus.

Di buono, per Conte a padrini, hanno però di aver fornito l’alibi al trucco della lombardizzazione dell’Italia intera, fin lì dove l’ultimo virus s’era visto all’epoca di Renzo e Lucia.

La Germania com’è e come è vista dal Fatto Quotidiano

Siamo il popolo, Obbedienza = dittatura, Fermate la pazzia Corona, Proteggete la Costituzione, mai vaccinazioni di massa, Fermate la Merkel

Titolo di Marco Travaglio

Ieri tedeschi tutti nazisti, oggi tutti nazisti coloro che manifestano per la libertà. Dal confronto, si vede come siamo messi noi e come, per la rabbia di Travaglio, sono messi altri. In ispecie in Germania che, secondo la vulgata post-1945, è tutta una passione per autorità e disciplina. Invece no, è Brecht, Marx, Engels, Hegel, Goethe, Adorno, Mann, Sophie Scholl. Non solo Merkel, Bundesbank, Monsanto-Bayer, ecologisti guerrafondai e Schaeuble. Nel video che qui riproduco ve ne farete un’idea: https://youtu.be/yKIRgZ8uhO4  E solo uno degli episodi che si succedono da settimane.

“Ora basta!” Stoccarda contro il lockdown.

E’ la stampa al tempo del virus, bellezza

 Come un’idea vi potete fare, stomachevole, del quotidiano un tempo visto come tracimante di Catoni impegnati nella fustigazione del malcostume, politico e mediatico e, ora, eccellenza suprema dello stesso malcostume, in versione terrorismo a scopo di annientamento sociale, unito a quotidiano panegirico della cricca di untori cui è stato demandato il nostro destino.

 Travaglio, principe della categoria che ogni giorno, da direttore di un giornale davvero “Indipendente”, si inebria delle imprese di un governo che avrebbe scandalizzato Attila e trasuda anatemi contro gli sporchi, brutti e cattivi che non ne invocano la santità subito, si è aggiunta ieri un’eccellenza femminile procuratasi una certa visibilità pop, un po’ con la posta del cuore e un po’ col mestiere ad alto punteggio di giurata negli studi del meglio trash televisivo. Ieri, avvertita dell’ira di Burioni per chi rischia di annichilire il suo vaccino con altra terapia, ha alzato il tasso della sua ingiustificata spocchia, aggredendo il Prof De Donno. De Donno, dell’ospedale Poma di Mantova, è colui a cui dobbiamo, assieme ai colleghi di Pavia, il recupero di una vincente terapia anti-virus da sangue immune e, dunque, la possibilità di scampare al vaccino cum global dictatura di Bill Gates.

Selvaggia Lucarelli e Rocco Siffredi

Quello del FQ è un affannoso inseguimento, da parvenu delle Professionali, dei giornaloni dal più accademico atlanto-bilderberghismo, quali “La Repubblica”, del fido talmudista Molinari, o “La Stampa”, dell’insuperabile giannizzero della Sublime Porta, Massimo Giannini.

Di male in peggio, con un trio di VIP che, diversamente da quelli cui alludo nel titolo, sono pulitissimi, bellissimi, e buonissimi.

Gestapizzazione regionale

Penso che sia dalle incursioni di certi signori, puliti, belli e buoni, nei villaggi abissini e libici, o tra le leghe operaie e contadine qualche anno prima, che non si sia più visto un tale cranio e udite tali parole: https://youtu.be/rezRcw3rgIU .

Siccome il modello è la Kristallnacht, la Notte dei Cristalli, dal 9 al 10 novembre 1938, un pogrom anti-ebraico in Germania, condotto dalle SA (Sturmabteilung) con la distruzione di oltre mille sinagoghe, c’è solo da augurarsi che ad analoghi esiti non porti il metodo Bonaccini di “andare e prendere casa per casa e rinchiudere” i simil-ebrei emiliani, forse, molto forse, più probabilmente no, affetti da coronavirus. Comunque la sorpresa, qui, è fuoriluogo. Avremmo dovuto capire tutto del personaggio fin da quando imperversava contro l’ambiente e la sanità dell’Emilia-Romagna e, ancora meglio, quando si circondava di sardine andate a male, imperdonabile offesa ai nobili pesci omonimi.

E fuori uno. Anzi, dentro uno, se solo la magistratura italiana, salvo poche eccezioni, non fosse quell’eccellenza di trasparenza e legalità che lo sconfinato giro di clienti di Palamara (compreso il procuratore nazionale Antimafia che aveva segato Di Matteo dal Pool Stragi!) ha rivelato e che l’ordine dall’altissimo al ministro della Giustizia, di soprassedere alla nomina di Nino Di Matteo alla direzione delle carceri (DAP) e, quindi, dei rapporti criminali dentro-criminali fuori, ha confermato.

Rockizzare Bilderberg

Agli ordini!

Dentro un altro (al gabbio, s’intende), sempre che, a comandare in Italia e in almeno metà dell’universo mondo, non ci fossero proprio quei pulitissimi, bellissimi e buonissimi che ogni tanto si riuniscono molto discretamente in alberghj a una dozzina di stelle, spesso svizzeri, e solo tra loro e relativi cortigiane e chierichetti, pifferai e violinisti. Abbiamo assistito con intima soddisfazione al lavaggio più bianco del bianco, da parte di Bonino e Lilli-Bilderberg-Gruber, del filantropo George Soros, insozzato da ogni genere di oltraggio e insolenza da parte, appunto degli sporchi, brutti e cattivi. Abbiamo goduto come scimmie con Formigli, quando Gad Lerner si è arrampicato a forza di encomi e inni sull’altissima statura morale del miliardario che abbatte i cattivi a forza di ONG e di colpi di Stato.

Non ci resta ora, dopo avergli perdonato la leggera sventatezza della devastazione di ambienti marini e montani col suo megaconcerto dello scorso anno, che rendere grazie e incensi al più puro dei giullari musicali alla corte dei puliti, belli e buoni, dell’incontro con la cui eletta cuspide (Bilderberg? Trilateral? Aspen? Davos?) ci narra felice in questo filmato:

  https://www.youtube.com/watch?v=MDEmI62X1c0  (estratto), e in quest’altro: https://www.dailymotion.com/video/x439vq7 (intero, e vale la pena),

E se a Bonino-Gruber-Lerner-Formigli è bastato il solo George Soros da riporre nel tabernacolo, il canarino nella gabbia dorata dell’élite si è fatto celebrante e agiografo dei meglio paperoni dei cinque continenti, con particolare dedizione a farmaceutici e digitali. Proprio quelli all’opera nella congiuntura fortunata in cui, liberi e felici, noialtri, brutti, sporchi e cattivi asintomatici, verremo prelevati dai nostri covi e finiremo nelle varie Villa Triste, o Via Tasso, dalle parti di Bologna. Hanno dischiuso un mondo affascinante al nostro canarino. Il mondo in cui la politica, rappresentante il popolo e da esso eletta, e destinata agli stessi inceneritori in cui sono finiti alcune migliaia di “morti da coronavirus” Il mondo da cantare e decantare, invece, è quello in cui ogni cosa è diretta dai farmaceutici e digitali. Quelli che decidono vita, morte e connessione.

La sgorbizzazione della satira

Dopo quello del monatto ai tortellini e l’altro del rock per polli nel nome delle volpi, abbiamo un campione della satira invertita, che è oggi quasi tutta: anziché contro i potenti, dalla loro parte: c’est plus facile.

Stefano Di Segni (che si mimetizza da “Disegni”) traccia col cacciavite delle orrende strisce sul giornale di Selvaggia Lucarelli, degne di lei e del suo direttore. Al tempo della guerra Nato alla Serbia, mi chiese di mandare reportage da Belgrado per il giornale satirico “Cuore”. Sia “Cuore” che gli altri farlocchi di “Radio Popolare” di Milano, mi segarono quando si accorsero che contro i serbi e Milosevic non lanciavo le attese contumelie di accompagnamento alle bombe di D’Alema. Ecco l’ultima striscia, di servizio ai suoi riferimenti e correligionari Bill Gates, Soros, Rockefeller, all’OMS, con abusivo reclutamento anche di Gandhi. La satira invertita consiste nella furbata-paradosso di rappresentarli come assurdamente li vedrebbero, diffamandoli, quei cialtroni di complottisti. Ora, nobilitare un bucaniere golpista come Soros è già impresa fumanbolica. Ma riabilitare il tipo che ha sterilizzato migliaia di giovani donne in Africa e India, nel nome della depopolazione, facendone morire un bel po’, va al di là di quanto è successo a Gesù tre giorni dopo Pasqua.

Notizie di reato. Lo diciamo a Palamara?

Pendagli da forca no, siamo contro esiti punitivi di quel tipo, ma pendagli da gogna di sicuro, per l’appassionato impegno al servizio dei nemici della patria e di tutte le patrie. Ma, prima che si faccia davvero la rivoluzione, ormai unica via di scampo, non succederà. Governi infetti di coronavirusite hanno la magistratura corrotta che si meritano. E ministri della Giustizia dimostratosi alla fine in perfetta continuità con predecessori che, in sintonia con scale gerarchiche varie, hanno regolarmente garantito il consociativismo società civile (politica e non) – società criminale. Quel connubio ideologico-operativo che morti defunti e morti in cammino, come Chinnici, Falcone, Borsellino e Di Matteo, hanno svelato. Di conseguenza certuni – politici, “giornalisti”, canarini, imbrattatori di schermi e carta e rispettivi mandanti – meritevoli di anni di galera per averci rovinato la vita e il mondo, imprigionato 60 milioni di innocenti su falsi presupposti, inesistenti minacce e delitti immaginari, i dovuti anni al gabbio non li faranno. Anzi, verranno lasciati e incoraggiati a proseguire nella loro missione di intorcinamento della verità a maggiore gloria, denaro e potere dei burattinai, appesi ai cui fili fanno la loro danza macabra.

 Sono provati i reati di circonvenzione di incapace, di favoreggiamento, di apologia di reato, di violazione della Costituzione, di minacce, di procurato allarme e procurata morte, di induzione al suicidio, di provocato disastro ambientale, sanitario, sociale, economico, di in-incitamento all’odio… Ma figurati se uno Stato capace di imprigionare tutti i suoi cittadini per due mesi e più, di inseguirli in tutti i loro comportamenti e in tutti i loro momenti di vita, alla ricerca di colpe da punire, per poi iniettargli qualcosa preparato da chi vuole ridurre la popolazione, si preoccupa di simili colletti dal bianco abbagliante.

Quali reati? Mascherine-bavaglio e ricettacolo di virus e agenti patogeni tuoi e altrui, riduttori di ossigeno nel sangue e perciò di difese immunitarie, oltre a strumento di sociocidio. Guanti che soffocano la pelle, il suo ph, non la lasciano interagire con l’aria, la luce, il sole, che raccattano agenti patogeni e li trasmettono da un soggetto all’altro, ma non si lavano, come si lavano le mani (vedi “American Society of Microbiology”, giugno 2016). Tamponi che al 60-80% falsano il risultato. Distanze idiote che servono solo come pretesto per punizioni (calciatori che non si devono stringere la mano, o scambiare gagliardetti, ma poi si scontrano o s’intrecciano rotolando per terra).

Ma non gli bastavano i morti da ventilazione sfascia-polmoni, ora in disuso per mancanza di soggetti da terapia intensiva, o piuttosto perché la malattia e, quindi, il rimedio, erano altri? A fine anno annegheremo in otto miliardi di mascherine che, assieme ai guanti, produrranno 450 mila tonnellate di spazzaturai da Covid, tutti nei rifiuti differenziati e, da lì, in discarica, o inceneritore (1.700 euro a tonnellata). Una pacchia per il territorio da risanare.

Col tele, tutte formiche ammassate.

Morti che vengono, morti che vanno

Vabbè che tocca rilanciare l’economia, specie quella degli amici che si occupano storicamente di rifiuti, ma un reato di disastro ambientale non ci scappa? O, alla vista dei media di convenienza, uno di “falso di massa” (esempio: lo Stato di polizia chiama alla rappresaglia contro gli infami che passeggiano sui Navigli, o qua e là? Pronta l’astuzia tecnoscientifica: gente distanziata ripresa col teleobiettivo in modo da farla apparire tutta ammassata). E uno di strage, quanto meno colposa per tutti quei morti cremati istantaneamente, fuori dagli affetti, e soprattutto dalla vista, dei parenti. Falso in atto pubblico? Peccato che Nino Di Matteo è tutto assorbito dalla mafia. E dallo Stato.

A New York, dove regna il Democratico Cuomo, intimo di Bill Gates, si può forse parlare di strage dolosa. Così la chiamano certe gole profonde dell’ambiente ospedaliero. Di certo dolose sono le cifre diffuse da Cuomo e dal suo compare di Washington, il capovirologo Anthony Fauci, altro pupillo di Gates, detestato da Trump. Al 21 maggio i decessi “accertati” sarebbero stati 16.000, più 4000 “probabili”, cioè indebitamente presunti, come da noi. Con 51mila ricoverati in ospedale e circa 20.000 di questi deceduti (si dice anche di ventilazione), il tasso di mortalità risulta orrendo: dal 31 al 39%. Ma calcolando 1,8 milioni di contagiati su 8,4 milioni di abitanti, il vero tasso di mortalità scende a 0,9%

E a proposito di numeri, fino a fine febbraio in Italia i morti, pur in presenza del virus, ma senza clausura (!), erano parecchio sotto la media dei cinque anni precedenti (13 casi su mille, anziché 15). Poi qualcuno ha preso in mano la situazione, ci hanno chiusi e sono esplosi gli aumenti esponenziali. Quelli dei morti tutti di coronavirus, subito cremati e, assolutamente, senza autopsia. Quelli che, da Roma (INPS) a Berlino a New York, vengono messi in dubbio da colleghi virologhi, ed epidemiologhi più rinomati e meno omologati. Ma anche quelli che, stupefacentemente, sarebbero invece meno di quanto riferisce la Protezione Civile. Dal calcolo ne mancherebbero quasi 20mila. E chi mai potrebbero essere? Un’idea, da profano, incompetente e complottista, ce l’avrei. Visto che di covid-19 si muore di media a 81 anni, che tra quei 20.000 non ci siano tanti vecchietti “single” e non autonomi, abbandonati dalle loro badanti in fuga verso Romania, o Ucraina, o ristrette in casa, lasciati a marcire/morire senza cibo, igiene, moto, cure, conforto, come da DPCM del Pippo Conte e dei suoi suggeritori?

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 19:29

NEL 100° ANNIVERSARIO DELLA NASCITA DI SAN KAROL WOJTYLA

https://fulviogrimaldi.blogspot.com/2020/05/nel-100-anniversario-della-nascita-di.htmlMONDOCANE

MARTEDÌ 19 MAGGIO 2020

 
 
Scritto nell’aprile 2011, con l’attacco Nato alla Libia di Gheddafi in corso, in occasione della beatificazione del “Santo subito” polacco. Ribadito oggi, con dedica al suo successore attuale, meritevole di analoghi apprezzamenti per aver perpetuato la storica adesione della Chiesa alle migliori pratiche del potere temporale. In questo caso Covid-19.
 
Frenesia mediatica di distrazione di massa, parallela a quella di distruzione di massa per la grande rivincita del colonialismo alla Graziani (un terzo dei libici gassati, sparati, impiccati), attorno alla beatificazione del migliore degli ontologicamente eccellenti papi e al matrimonio del principotto anglomassonico William, collaudatosi degno erede al trono della sterminatrice Vittoria con la partecipazione in ghingheri da guardia scozzese nel mattatoio Nato dell’Afghanistan.
 
Soffermiamoci sulla prima, degna di collera quanto la seconda lo è di nausea. Anche perché a turlupinare, truffare, obnubilare e manipolare la gente sono stati quelli i santi cristiani ad insegnarlo per primi, meglio di tutti e per duemila anni, alle cricche del dominio, dello sfruttamento e della morte. Vediamoli, i meriti di Karol Woytila, papa vandeano  e restauratore da far vergognare  Pio IX.
  
 
Teologia della liberazione, di cui ho conosciuto i nobilissimi esponenti in Brasile, vituperata e rasa al suolo come l’impero laico amico comandava. Teologia che affiancava gli esclusi nella ricerca della vita e della dignità. Cospirazione, in combutta con Cia, mafia, P2 e reazione mondiale, contro la Polonia sovrana e socialista, alla cui sovversione offriva i denari sottrattici con l’8×1000 “per il sostegno della Chiesa e delle sue opere di carità”. Riabilitazione e connubio con la setta fascista-vandeana del vescovo Lefevbre. Assalto al Nicaragua rivoluzionario dei sandinisti in combutta con i briganti “contras” finanziati dalla CIA mediante traffici di droga.
 
Micidiale epifania sul balcone accanto al generale Pinochet, a sostegno della più stragista delle dittature latinoamericane; fraterna solidarietà e incarichi di massimo livello (Propaganda Fide) al delinquente cardinale Pio Laghi, sodale dei generali argentini dei desaparecidos unitamente all’attuale conducator atlantista Bergoglio.
Intima collaborazione e protezione al braccio squadrista del papa, la mafia cattolica dell’Opus Dei, cane da guardia del potere finanziario e contro le eresie laiciste; lancio degli speculatori e trafficoni di Comunione e Liberazione e della Compagnia delle Opere alla conquista di mercati, servizi e della spoliazione dei beni pubblici in consorteria con il peggiore malaffare nazionale e internazionale.
 
 
Sostenitore dei “Legionari di Cristo”, altra miliizia squadrista, in spregio – o per merito – dei suoi sodalizi con la criminalità politica e di un superiore generale pedofilo; occultatore fuorilegge di tutti gli episodi di pedofilia che infestano ranghi bassi e alti dell’edificio ecclesiastico; padrino e patrono del banchiere mafioso e piduista, probabile assassino di Papa Luciani, Marcinkus; beatificatore di serial killer come il vescovo croato Stepinac, stragista ustascia al servizio della Gestapo, e due missionari battistrada del genocidio colonialista in Messico; cappellano militare dei fascisti croati responsabili del genocidio di serbi in Slavonia e nelle Krajine.
 
Beatificazione a furor di un popolo vittima di circonvenzione di incapace e di successori che, in tal mondo, si assicurano identico trattamento post mortem, dopo una vita in stile di marketing religioso finalizzato ad accreditarsi come partner politico, culturale e belligerante delle élites occidentali impegnate nelle nuove crociate per lo sfoltimento dell’umanità e la dittatura sui sopravvissuti. Oggi il beatificatore non ha trovato, nel suo impegno  per il rilancio di millenarie superstizioni lobotomizzanti, mezzo minuto per apostrofare, nel giorno di Pasqua, i responsabili della strage degli innocenti in Libia. Ma ha trovato tempi e agi ed encomi da dedicare al presidente dell’Honduras, Porfirio Lobo, installato grazie ai golpisti attivati da Obama e protagonista quotidiano della repressione sanguinosa di un popolo, martire vero, ma dal lato sbagliato.
 
Responsabile diretto di uccisioni, torture, sparizioni forzate, stupri, cacciata di contadini dalle loro terre a vantaggio di una banda di latifondisti e delle multinazionali, il narcofascista Lobo sarà ospite d’onore, insieme ad altri esponenti del crimine politico occidentale, alla beatificazione del facinoroso sodale dei suoi predecessori.
 
Poi è venuto Bergoglio, cresciuto e prosperato, muto, cieco e sordo, nell’Argentina dei Videla e Massera, dei figli dei desaparecidos rubati e i loro genitori torturati e poi gettati in mare dagli aerei. Con lui, a mettere a frutto i meriti conseguiti nel proprio passato venezuelano, il segretario di Stato Parolin, collaboratore del noto cardinale Berton e poi nunzio apostolico. Un fulgido campione della Chiesa latinoamericana più impegnata contro la rivoluzione bolivariana ed emancipatrice di Ugo Chavez.Tout se tien.
 

Coronavirus, in Francia il primo caso di contagio è avvenuto a fine dicembre

https://www.lastampa.it/esteri/2020/05/05/news/coronavirus-in-francia-il-primo-caso-di-contagio-e-avvenuto-a-fine-dicembre-1.38806937

Il 43enne Amirouche Hammar

Il 43enne Amirouche Hammar

Un caso di coronavirus si sarebbe registrato in Francia già a fine dicembre, prima ancora che l’allarme fosse lanciato dalla Cina. Lo sostiene il dottor Yves Cohen, capo dei servizi di rianimazione degli ospedali Jean Verdier a Bondy e Avicenne a Bobigny, nella banlieue parigina.

In un’intervista all’emittente Bfmt, rilanciata dai media francesi, il medico ha spiegato di aver riesaminato tutti i test Pcr effettuati su pazienti con polmoniti sospette a dicembre e gennaio. Su 24 pazienti, uno è risultato positivo al covid-19. L’uomo, il 43enne Amirouche Hammar, abitante di Bobigny nella periferia parigina e malato di diabete, si presenta al pronto soccorso: era stato ricoverato il 27 dicembre a Bondy. Il Pcr, un esame con tecniche di biologia molecolare usato per diagnosticare le infezioni virali, gli era stato fatto per vedere se aveva l’influenza.

L’uomo, oggi guarito, è stato subito ricontattato. “E’ stato malato 15 giorni e ha contagiato i due figli, ma non la moglie”, ha riferito Cohen. Nessuno dei famigliari è mai stato in Cina. Ma la donna lavora al banco del pesce di un supermercato, vicino al settore dei sushi, dove sono impiegate persone di origine cinese. L’ipotesi avanzata è che la donna si sia infettata attraverso i colleghi, ma sia rimasta asintomatica.

Cohen, che ha riesaminato i test su suggerimento del professore d’igiene della sua struttura, Jean Ralph Zahar, ha avvertito le autorità sanitarie della sua scoperta. Una relazione sul caso sarà pubblicata la settimana prossima sull’ “International journal of antimicrobial agents”.

Una volta verificato, il caso potrebbe riscrivere la storia dell’infezione in Francia e forse anche in Europa. I primi tre casi di coronavirus sono stati ufficialmente registrati in Francia il 24 gennaio: due erano arrivati a Parigi dopo essere stati a Wuhan e un terzo era un parente di uno di loro.

Coronavirus Francia, il primo caso Covid già a fine dicembre. La storia del 43enne Amirouche Hammar

https://www.corriere.it/esteri/20_maggio_05/coronavirus-francia-primo-paziente-covid-fine-dicembre-storia-amirouche-hammar-ab4bf7a4-8eb5-11ea-8162-438cc7478e3a.shtml

L’uomo, abitante di Bobigny malato di diabete, il 27 dicembre si presenta al pronto soccorso: da quattro giorni febbre alta, mal di testa, tosse secca e attacchi d’asma

Coronavirus Francia, il primo caso  Covid già a fine dicembre. La storia del 43enne  Amirouche Hammar

PARIGI – Il 27 dicembre 2019 Amirouche Hammar, 43 anni, abitante di Bobigny nella periferia parigina, malato di diabete, si presenta al pronto soccorso: da quattro giorni ha febbre alta, mal di testa, tosse secca e attacchi d’asma. Dopo le radiografie e le analisi del sangue l’uomo viene ricoverato in terapia intensiva all’ospedale di Bondy, messo sotto ossigeno e antibiotici. Due giorni dopo viene dimesso, resterà debole ancora per un paio di settimane ma la crisi è superata. Oggi i medici hanno scoperto che è il primo caso di Covid-19 conosciuto in Francia, ben prima che l’epidemia diventasse conclamata in Cina e poi nel resto del mondo.

La testimonianza

Hammar ha raccontato a Bfmtv che «alle cinque del mattino ho deciso di prendere l’auto e sono andato dritto all’ospedale. Avevo dolori al torace, mi mancava il respiro». I medici che lo hanno ricoverato non sospettavano niente del coronavirus, di cui a fine dicembre ancora non si parlava. «Mi hanno detto comunque che quel che avevo era una cosa seria». Una non meglio identificata infezione polmonare, che Hammar è comunque riuscito a superare senza apparentemente contagiare la moglie e i due figli.

Il test

Nei giorni scorsi il professor Jean-Ralph Zahar, capo del laboratorio di virologia dell’ospedale di Bondy, ha avuto l’idea di analizzare di nuovo tutte le analisi del sangue e i tamponi naso-faringei dei pazienti con sintomi simili a quelli del coronavirus dal 2 dicembre al 16 gennaio, e per i quali non era stato trovato il virus responsabile dell’infezione. All’epoca il Covid-19 non era stato ancora identificato e quindi il test non esisteva, ma adesso sì e quindi valeva la pena controllare. Sono stati analizzati i campioni di 14 pazienti, «e uno è risultato positivo al Covid-19», dice Yves Cohen, capo della rianimazione di Bobigny. Il test è stato ripetuto una seconda volta con una tecnica diversa, ma l’esito è stato lo stesso. I familiari sono stati sottoposti al test sierologico per vedere se hanno sviluppato anticorpi contro il Covid-19.

La trasmissione

Amirouche Hammar, nato in Algeria e residente da tempo in Francia, non ha idea di come possa avere contratto il coronavirus. «Quando me l’hanno detto non sono rimasto sorpreso più di tanto, visti i miei sintomi. Ma l’ultimo viaggio l’ho fatto molti mesi prima, nell’agosto 2019». Un’ipotesi, del tutto teorica, è che il virus possa essergli stato trasmesso dalla moglie, che lavora vicino all’aeroporto Charles De Gaulle, in un supermercato «dove qualche volta vediamo entrare passeggeri con la loro valigia», dice la donna.

Anteprima

La malattia di Hammar precede di molte settimane il primo focolaio di coronavirus finora conosciuto in Francia, quello del villaggio di Contamines in Alta Savoia a metà febbraio. Hammar si è presentato al pronto soccorso il 27 dicembre 2019, proprio il giorno in cui i medici di Wuhan hanno notificato al centro di sorveglianza delle epidemie l’esistenza di due pazienti affetti da una «polmonite atipica». Secondo la rivista scientifica Lancet il primo malato di Covid-19 identificato in Cina è un uomo che si è ammalato il 1° dicembre 2019, ma il vero «paziente zero», quello attraverso cui il virus è passato dall’animale all’uomo, non è ancora conosciuto. Il caso francese del 27 dicembre conferma il sospetto diffuso anche nel Nord-Italia, e cioè che l’epidemia di coronavirus si sia diffusa in Europa ben prima di febbraio 2020.