SINERGIE: COVID 19 – SEMPLIFICAZIONI DISFATTI GLI ITALIANI SI DISFA L’ITALIA

https://fulviogrimaldi.blogspot.com/2020/07/sinergie-covid-19-semplificazioni.html

MONDOCANE

GIOVEDÌ 9 LUGLIO 2020 

Uno che è nato quando il Futurismo insegnava al mondo come rinnovare la rappresentazione di cose, pensiero e azione; quando ancora c’erano Pirandello e il Vate e gli unici rapporti non corpo a corpo, non occhio nell’occhio, non mano nella mano, o lettera a lettera, erano per telefono e, raramente, per telegrafo; uno che ha avuto la fortuna di vivere quasi tutta la sua vita di scapestrato prima dell’apocalisse della smaterializzazione-digitalizzazione dell’umanità e perciò oggi si rifugia tra le zampe del suo bassotto a cui, come a tutti gli animali, questo abominio non può essere inflitto, costui può ben avere i titoli per dire una cosa incontrovertibile. 
Si perde nelle nebbie di una memoria a momenti centenaria, forse addirittura in evi lontani, l’esistenza di un regime più nefasto, infausto e letale di quello che, al servizio di orchi stranieri, globali e composto da sciagurati apprendisti orchi, sta cancellando il paese e il popolo di Virgilio, Dante, Michelangelo, Pisacane, Garibaldi, le sue camicie rosse e le bandiere rosse della sua Brigata. 
Rinchiuso, imbavagliato, annichilito e in parzialmente liquidato il popolo, togliendo di mezzo i diritti e le salvaguardie che esso si era guadagnato a forza di secoli e sangue, questo regime è passato ora a raccoglierne i frutti sul territorio.
Il principio guida essendo che, annientati i produttori di ricchezza e bellezza, si può completare l’opera appropriandosi della residua ricchezza mediante la distruzione di una bellezza fisica, naturale e storica di cui nessuno, nell’era del vaccino e dell’identità digitale, ha più bisogno.
Questo è il decreto PDCM (a conferma che di un parlamento non sentono più il bisogno neppure i parlamentari) chiamato, nel solito stile magliaro-mafioso, Semplificazioni, Sblocca cantieri, Rilancio.
Ci sarebbe da ridere, una volta strappattici tutti i capelli, a vedere come ciò che neanche a Prodi e neanche a Berlusconi era riuscito in termini di devastazione, ora si farà alla grande grazie al patto 5Stelle-Italia Viva. Un’altra tacca sul lancia-napalm dello stregone Grillo e del suo patetico garzone (e anche uno sputo in faccia ai loro elettori).
I dettagli di questo spaventoso deragliamento da una cura del territorio che ha impiegato millenni per donarci il “Bel paese”, li potete trovare solo in rete, estrema ridotta, o, parzialmente, nei media delle cosche che si sentono deprivate del loro boccone. Qui basti dire che, se per anni, a forza di Sardine, Grete e fasulloni vari dipinti di verde, ci hanno scassato la minchia con la farsa del “green new deal”, e se da decenni questo paese si sbriciola e affoga, tra i regali a tipi come quelli del MOSE, o delle mafie, o delle grandi consorterie delle Grandi Opere, non c’è neanche una lira per la lotta al dissesto idrogeologico. Ma c’è il “tana liberi tutti” per 130 Opere deregolamentate: semplificate sul percorso di una devastazione di vite e territori, ma verso i dividendi di manager, azionisti e boss. Dei quali solo questi ultimi possiamo vantare come connazionali.
130 abominii stradali e di alta velocità-capacita’, del tipo che non hanno mai portato progresso, sviluppo, ma solo crescita… degli spazi pieni nei caveau. Una minoranza elitaria arriverà 15 minuti prima a destinazione, quelli delle Audi potranno sfrecciare a 200 all’ora, ma i pendolari si schiacceranno addosso le loro fetide mascherine, affollate di germi, meglio che mai. E le città strizzate dai distanziamenti e strozzate dal traffico privato? Grande rilancio, grandi cantieri per tram e metro? Gli stanziamenti per questa roba retrograda stanno a quelli per il trasporto der ricchi e delle merci fantasma (che qui nessuno produce più, ma che importeremo dalla Germania), come il miliardario Tav Terzo Valico sta a un porto di Genova che ormai basta appena per qualche cacicco del Qatar. 
Sotto i 150mila euro, l’appalto lo puoi rifilare tranquillamente al soggetto dei tuoi affetti, o delle tue tangenti, o dei tuoi voti elettorali. Quelli sopra quel livello li spacchetti in tanti da 150 ed è fatta. Quando vai sui milioni, ci pensa il Commissario Straordinario, di nomina politica, cioè inequivocabilmente l’amico degli amici. Dicono, sbandierando la foglia di fico, che trattasi del Modello Genova. Figurarsi, quello aveva addosso gli occhi del mondo e non potevi sgarrare. Macché, è il modello Expo, il modello frittura di pesce, il modello Mose, il modello Lunardi di berlusconiana memoria.
E, per sommo coronamento del sogno a 5 Stelle, è perfino il nuovissimo “modello Tav”. Primo della lista. Tanto per sfottere. 
E a sfottere, con grande eleganza troikiana, serviranno i 36 miliardi del Mes, già “Salvastati”, nel senso che prima te li da e poi ti si piglia. Sbavano tutti per averli, anche, vedrete, i 5 Stelle. Come rifiutarlo? Sono gratis (come quelli di Ciccio il cravattaro) e servono tutti alla nostra (?) sanità! Già, come faremmo altrimenti a pagare i 400 milioni di vaccini ordinati a Bill Gates &Co e gli altri, per i tubi di ventilazione che servono a far morti “da virus ” con i polmoni bruciati, in occasione della seconda ondata e della terza e della quarta. Che festeggeremo in digitale, parlando come Al.
 

Nota stampa – Cunial (Misto): Sostegno ai magistrati antimafia, processo ‘ndrangheta stragista è emblema della storia del nostro Paese

Roma, 11 lug. – “Dov’erano il Governo, il Ministro della Giustizia e il presidente della Repubblica? Ieri a Reggio Calabria, a fianco dei cittadini che hanno partecipato al sit-in in appoggio al procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, non c’era nessuno. Non una presenza, né una parola, per uno dei processi più rappresentativi della storia politica, economica e sociale del nostro Paese. Un processo fondamentale che mette ancora una volta bene in chiaro quanto la questione mafiosa ci riguardi tutti molto da vicino. Io, che vengo dal Veneto e che da due anni siedo in Parlamento, lo so molto bene. Per questo ho deciso di esserci, al fianco dei ragazzi di Our Voice e dei tanti cittadini italiani che di fronte a questo sistema criminale hanno deciso di alzare la testa”. Ad affermarlo è Sara Cunial, deputata del Gruppo Misto.  

“Questo è un processo scomodo perché unisce i puntini – continua – mafie, parti della politica, della finanza, dell’imprenditoria e delle più torbide affiliazioni riunite in un unico, e sempre più chiaro, disegno criminale. Un disegno che si ripete da anni, sulla bocca e nelle azioni di quel sistema che, da nord a sud, ha deciso di sacrificare la vita delle persone e il futuro di questo Paese a un manipolo di interessi privati e tossici. Il sistema del patto Stato-Mafia, quello delle stragi di Capaci e di Via D’Amelio, dell’ascesa di Berlusconi, Dell’Utri, Forza Italia e della Lega Nord come costola nuova di una andreottiana DC deviata e collusa. Il sistema delle Grandi Opere come Mose, Tap, Tav e Pedemontana, ovvero i regali che in questi decenni i vari governi hanno fatto alle mafie. E ancora – prosegue – il sistema della privatizzazione della sanità, delle colate di cemento, della gestione dei rifiuti, dell’incenerimento e del voto a pagamento. Un metodo che impone scelte scellerate ai territori, distruggendo la nostra terra, la nostra casa e la nostra dignità, senza alcuna considerazione per il volere dei cittadini e per il Bene Comune. È tempo di dire basta. Sempre più persone stanno agendo per contrastare tutto questo – aggiunge – cittadini onesti, magistrati capaci, amministrazioni locali sane, tutti osteggiati da una parte della politica marcia e collusa. Purtroppo, ancora una volta, i veri servitori dello Stato, coloro che stanno dedicando la loro vita alla ricerca della giustizia e della verità, andando così a toccare gli interessi degli alti livelli del potere, vengono delegittimati e isolati – spiega Cunial – per questo motivo ho reputato importante essere presente per seguire e sostenere da vicino l’ultimo giorno di requisitoria di Lombardo. Proprio ora che con il Dl semplificazioni si sta stendendo l’ennesimo tappeto rosso ai boss mafiosi verso la scarcerazione e che la mafia è stata fatta sedere al tavolo di gestione della Ricostruzione e del Rilancio del nostro Paese, dopo l’indegna gestione della cosiddetta emergenza Covid di cui ancora non abbiamo coscienza delle conseguenze economiche e sociali. Non è più tempo di delegare – conclude – è tempo di esserci, ben presenti e saldi nei propri valori e nella propria moralità”. 

Decreto Semplificazione-Sblocca cantieri-Rilancio Italia

Sinergie: Covid 19 – Semplificazioni

DIFATTI GLI ITALIANI
SI DISFA L’ITALIA
Uno che è nato quando il Futurismo insegnava al mondo come rinnovare la rappresentazione di cose, pensiero e azione; quando ancora c’erano Pirandello e il Vate e gli unici rapporti non corpo a corpo, non occhio nell’occhio, non mano nella mano, o lettera a lettera, erano per telefono e, raramente, per telegrafo; uno che ha avuto la fortuna di vivere quasi tutta la sua vita di scapestrato prima dell’apocalisse della smaterializzazione-digitalizzazione dell’umanità e perciò oggi si rifugia tra le zampe del suo bassotto a cui, come a tutti gli animali, questo abominio non può essere inflitto, costui può ben avere i titoli per dire una cosa incontrovertibile. 
Si perde nelle nebbie di una memoria a momenti centenaria, forse addirittura in evi lontani, l’esistenza di un regime più nefasto, infausto e letale di quello che, al servizio di orchi stranieri, globali e composto da sciagurati apprendisti orchi, sta cancellando il paese e il popolo di Virgilio, Dante, Michelangelo, Pisacane, Garibaldi, le sue camicie rosse e le bandiere rosse della sua Brigata. 
Rinchiuso, imbavagliato, annichilito e in parzialmente liquidato il popolo, togliendo di mezzo i diritti e le salvaguardie che esso si era guadagnato a forza di secoli e sangue, questo regime è passato ora a raccoglierne i frutti sul territorio.
Il principio guida essendo che, annientati i produttori di ricchezza e bellezza, si può completare l’opera appropriandosi della residua ricchezza mediante la distruzione di una bellezza fisica, naturale e storica di cui nessuno, nell’era del vaccino e dell’identità digitale, ha più bisogno.
Questo è il decreto PDCM (a conferma che di un parlamento non sentono più il bisogno neppure i parlamentari) chiamato, nel solito stile magliaro-mafioso, Semplificazioni, Sblocca cantieri, Rilancio.
Ci sarebbe da ridere, una volta strappattici tutti i capelli, a vedere come ciò che neanche a Prodi e neanche a Berlusconi era riuscito in termini di devastazione, ora si farà alla grande grazie al patto 5Stelle-Italia Viva. Un’altra tacca sul lancia-napalm dello stregone Grillo e del suo patetico garzone (e anche uno sputo in faccia ai loro elettori).
I dettagli di questo spaventoso deragliamento
da una cura del territorio che ha impiegato millenni per donarci il “Bel paese”, li potete trovare solo in rete, estrema ridotta, o, parzialmente, nei media delle cosche che si sentono deprivate del loro boccone. Qui basti dire che, se per anni, a forza di Sardine, Grete e fasulloni vari dipinti di verde, ci hanno scassato la minchia con la farsa del “green new deal”, e se da decenni questo paese si sbriciola e affoga, tra i regali a tipi come quelli del MOSE, o delle mafie, o delle grandi consorterie delle Grandi Opere, non c’è neanche una lira per la lotta al dissesto idrogeologico. Ma c’è il “tana liberi tutti” per 130 Opere deregolamentate: semplificate sul percorso di una devastazione di vite e territori, ma verso i dividendi di manager, azionisti e boss. Dei quali solo questi ultimi possiamo vantare come connazionali.
130 abominii stradali e di alta velocità-capacita’, del tipo che non hanno mai portato progresso, sviluppo, ma solo crescita… degli spazi pieni nei caveau. Una minoranza elitaria arriverà 15 minuti prima a destinazione, quelli delle Audi potranno sfrecciare a 200 all’ora, ma i pendolari si schiacceranno addosso le loro fetide mascherine, affollate di germi, meglio che mai. E le città strizzate dai distanziamenti e strozzate dal traffico privato? Grande rilancio, grandi cantieri per tram e metro? Gli stanziamenti per questa roba retrograda stanno a quelli per il trasporto der ricchi e delle merci fantasma (che qui nessuno produce più, ma che importeremo dalla Germania), come il miliardario Tav Terzo Valico sta a un porto di Genova che ormai basta appena per qualche cacicco del Qatar. 
 Sotto i 150mila euro, l’appalto lo puoi rifilare tranquillamente al soggetto dei tuoi affetti, o delle tue tangenti, o dei tuoi voti elettorali. Quelli sopra quel livello li spacchetti in tanti da 150 ed è fatta. Quando vai sui milioni, ci pensa il Commissario Straordinario, di nomina politica, cioè inequivocabilmente l’amico degli amici. Dicono, sbandierando la foglia di fico, che trattasi del Modello Genova. Figurarsi, quello aveva addosso gli occhi del mondo e non potevi sgarrare. Macché, è il modello Expo, il modello frittura di pesce, il modello Mose, il modello Lunardi di berlusconiana memoria.
E, per sommo coronamento del sogno a 5 Stelle, è perfino il nuovissimo “modello Tav”. Primo della lista. Tanto per sfottere. 
E a sfottere, con grande eleganza troikiana, serviranno i 36 miliardi del Mes, già “Salvastati”, nel senso che prima te li da e poi ti si piglia. Sbavano tutti per averli, anche, vedrete, i 5 Stelle. Come rifiutarlo? Sono gratis (come quelli di Ciccio il cravattaro) e servono tutti alla nostra (?) sanità! Già, come faremmo altrimenti a pagare i 400 milioni di vaccini ordinati a Bill Gates &Co e gli altri, per i tubi di ventilazione che servono a far morti “da virus ” con i polmoni bruciati, in occasione della seconda ondata e della terza e della quarta. Che festeggeremo in digitale, parlando come Al.
Fulvio

Cure ignorate, denunciato il governo

Le cure c’erano, ma sono state ignorate». In sostanza: è stata l’ostinata negligenza del governo Conte a trasformare in una strage (35.000 morti) la comparsa del coronavirus?

Insieme al virologo Giulio Tarro e al magistrato Angelo Giorgianni, il medico ricercatore Pasquale Bacco presenterà una denuncia presso la procura della Repubblica di Roma e un ricorso alla Corte Europea di Giustizia contro i provvedimenti presi dal governo durante l’apice della pandemia in Italia. I tre esperti, annuncia il “Giornale“, lo faranno attraverso la loro associazione “L’Eretico”, di cui fanno parte circa 2.000 medici e giuristi.

Nell’esposto, come si legge in una nota stampa, si mettono in evidenza una serie di aspetti della malagestione dell’emergenza Covid-19 in Italia, in particolare sotto il profilo medico-scientifico, epidemiologico e giuridico. «Approcci diagnostici sbagliati, cure inappropriate, misure di contenimento del contagio e di sicurezza scriteriate, in vigore ancora oggi».

Per gli esperti dell’Eretico, «sono stati calpestati i diritti dei cittadini tutelati dalla Costituzione italiana e in sede internazionale», scrivono Tarro, Bacco e Giorganni nella nota. «Noi abbiamo ucciso le persone, anche se in buona fede, perché si era dinanzi ad una situazione nuova, ma in terapia intensiva è stata applicata una cura sbagliata». Accusano i sanitari: «Si diceva di non utilizzare gli antinfiammatori, che ora invece sono alla base della nuova terapia».

Oggi si sa che il protocollo terapeutico per contrastare il coronavirus era sbagliato: è stato quello – e non il virus – a provocare migliaia di decessi.

Il ministero della salute si è difeso sostenendo che poiché il virus era nuovo, non sapevano come affrontare l’epidemia? «In realtà, nella gestione della crisi sanitaria sono state violate le più elementari regole che in casi del genere sarebbe stato obbligatorio seguire», scrive il news magazine “Formazione Concorsi Magistratura”. «Non veniva utilizzata l’eparina ed è stata effettuata la ventilazione profonda». Accusa Bacco: «Io ho visto le basi dei polmoni di pazienti Covid, durante le autopsie, ed erano completamente ustionate perché l’ossigeno puro mandato ad una certa pressione ha creato una vera e propria ustione. Poi si creavano le trombo-embolie, perché l’ossigeno non circolava in quanto i polmoni erano occlusi». I medici, aggiunge Bacco, hanno seguito le linee-guida del governo utilizzando un protocollo completamente sbagliato: «È stato come curare un diabetico con lo zucchero». Non è finita. Sotto accusa, nell’esposto, c’è anche l’uso delle mascherine, «per il quale lo stesso ministero della salute prevede possibili controindicazioni».

Attenzione anche alla ventilata somministrazione del vaccino: può avvenire solo a patto che sia volontaria e trasparente. Il comitato legale dell’associazione “L’Eretico” ha già predisposto il modulo che i cittadini potranno utilizzare per chiedere al proprio datore di lavoro (o al dirigente scolastico, in caso di scuole) «di assumersi la responsabilità civile e penale per gli eventuali danni alla salute derivanti dall’uso del dispositivo». Un modulo analogo è stato preparato per l’assunzione di responsabilità del medico o del pediatra: si chiede di rispettare la “libera scelta” nei confronti del paziente (e nei confronti del medico, da parte dell’Asl) «laddove sia disposta la somministrazione di un vaccino obbligatorio». Precisa sempre Bacco: «Il consenso informato del paziente è richiesto per legge: eventuali controindicazioni derivanti dalla cura devono essere indicate dal medico, perché il paziente possa decidere se accettare o meno la cura e i suoi possibili danni». I moduli sono stati pubblicati sul sito dell’associazione, ed è già possibile scaricarli gratuitamente.

«La cosa più brutta – conclude il medico legale – è che nessuno ha chiesto scusa. Ora è un dato: sono state applicate le terapie sbagliate, e nessuno ha detto “abbiamo sbagliato”». Così, dopo una prima istanza in autotutela inviata già a maggio al governo, all’Istituto Superiore di Sanità e ai presidenti delle Regioni, l’associazione “L’Eretico” presenterà nelle prossime ore questa richiesta di valutazione penale. L’accusa: sono state mantenute misure palesemente errate, «nonostante i presupposti su cui erano fondate non abbiano trovato concorde la comunità scientifica». Misure che poi sono state «smentite da studi e ricerche di carattere internazionale, nonché dalla stessa realtà dei fatti», riassume il blog economico-finanziario “Il Denaro”. «In particolare, rispetto all’operato del Comitato tecnico-scientifico del governo, l’associazione rileva che non ha approfondito le indicazioni e le evidenze scientifiche alternative suggerite da alcuni esperti». Alla magistratura si chiederà dunque di verificare «se sussistano condizioni di conflitto di interesse tali da influenzare le decisioni assunte».

Fonte: https://www.libreidee.org/2020/07/cure-ignorate-ecco-la-strage-covid-denunciato-il-governo/

(ListaNoNato) Epidemia e Slovenia: ottime notizie e terrorismo

Buone, ottime notizie sul tema “epidemia Covid-19” in Slovenia.
Ciò si rileva dalle notizie riportate dai media sloveni ed italiani, come sappiamo molto attenti alla questione del rischio della “porta balcanica” come possibile vettore di una “seconda ondata” epidemica, ben pompata dai media, con conseguenti pronunciamenti di amministrazioni e virologi vari minaccianti provvedimenti drastici che vanno da TSO e denunce penali per chi, “pescato” positivo ma asintomatico ad un esame tampone di dubbia affidabilità, osasse rifiutare un ricovero coatto per una “cura” da una malattia assolutamente non presente (e c’è soprattutto da chiedersi in cosa consisterebbe questa cura coatta ovvero Trattamento Sanitario Obbligatorio contro una malattia non in atto: forse psichiatrico?).
In Slovenia, a fronte delle poche migliaia di contagiati dal virus in questi 4 mesi di allarme, e del numero di decessi legati ad esso (concomitanti nel 99% dei casi con altre gravi patologie) che, su una popolazione di 2.100.00 abitanti, conta poco più di un centinaio di casi, in gran parte dovuti a negligenze imputabili alle residenze per anziani non dovutamente protette ad inizio epidemia, i numeri forniti in questi giorni sono ulteriormente confortanti: il virus è presente in Slovenia in minimi termini. E ciò pure considerando i recenti allentamenti delle prescrizioni sanitarie e all’apertura dei confini sia Shengen che extra UE.
Nei giorni scorsi sono stati registrati 21 (ventuno) casi di tamponi positivi al Covid, su oltre un migliaio di test effettuati (Il Piccolo, 6 luglio 2020). Dei 21 casi nella quasi totalità asintomatici, 9 si sono registrati in una residenza per anziani di Vipava (Aidovščina), ripartiti tra 5 operatori sanitari e 4 anziani residenti, due soltanto dei quali rivelavano qualche sintomo ristretto a febbre moderata e moderati sintomi influenzali, nessuno dei due bisognosi di terapie emergenziali. Per i restanti 19, nulla da dichiarare se non la positività da tampone (ibid).
A fronte di questi evidenti ottimi dati, pur riportati in modo chiaro da istituzioni e media, la campagna terroristica su Covid-19 ha provveduto a lanciare allarmi sia tramite dichiarazioni dei governi sloveno e italiano, sia sui rispettivi media (Il Piccolo di Trieste e testate nazionali, RTV Slovenia etc., 6-7 luglio 2020), di una “ripresa della pandemia”, si è parlato di ri-chiusure di confini, di rinnovo di provvedimenti restrittivi, di emergenza sanitaria, di virus che autonomamente svolazzarebbe nell’aria, di assenza di metodi di cura (falso madornale) per chi si ammala, ovvero il 5% dei tamponi-positivi (Il Piccolo, 7 luglio). Tutto ciò senza riportare alcuna evidenza, prova, dato scientifico. Mero terrorismo.
Tutto ciò rivela che sta a noi cittadini, col nostro discernimento e dati alla mano, valutare la situazione e darci il compito di comprendere le ragioni che portano governi e media (e questo sia a livello locale, statale, europeo e mondiale) a tale comportamento terroristico, sia pregresso che attuale, e futuro. E comportarci di conseguenza sia rispetto i nostri simili vicini e lontani, i nostri familiari, i nostri vicini, i nostri colleghi di lavoro, che verso i decisori delle nostre vite e del nostro futuro. E una volta compreso l’inganno, spiegarlo, diffondere consapevolezza, ed agire.

Jure Eler

La piccola (ma libera) Repubblica dei Mulini. Un racconto della nuova onda No Tav e di come si è formata

https://www.infoaut.org/approfondimenti/la-piccola-ma-libera-repubblica-dei-mulini-un-racconto-della-nuova-onda-no-tav-e-di-come-si-e-formata?fbclid=IwAR07PzCthuucn80P84pp07s5vWhrgmK_i_M_IW3GZtQQ77BBJuammM-PQ_c

07 LUGLIO 2020 

di Wu Ming 1 *

La piccola (ma libera) Repubblica dei Mulini. Un racconto della nuova onda No Tav e di come si è formata
 

La sera del 5 luglio, tornando dalla “battitura” al cancello della zona rossa, il pensiero: qualcuno avrebbe dovuto scriverne, di quella nuova generazione No Tav. Ventenni e anche adolescenti che avevano imparato a stare insieme e organizzarsi nei campeggi del festival Alta Felicità, s’eran fatti le ossa nelle grandi mobilitazioni per il clima del 2019, nella primavera 2020 avevano partecipato ai flash mob planetari seguiti all’uccisione di George Floyd, e al principio di quell’estate erano i protagonisti della rinascita del movimento valsusino. L’ennesima rinascita, dopo alcuni anni difficili.

Chi seguiva le vicende in Valsusa aveva già visto un grosso spezzone «Giovani No Tav» aprire la marcia da Susa a Venaus dell’8 dicembre 2019. Che era stata un successo: perfino La Stampa aveva dovuto scrivereaveva dovuto scrivere «gli organizzatori […] sono riusciti a portare nella borgata simbolo della lotta No Tav una marea di persone».

Quel giorno Alberto Perino aveva dedicato il suo discorso ai «ragazzi in prima linea».

E adesso erano anche più avanti. Da due settimane tenevano un estremo avamposto in val Clarea: il presidio permanente ai Mulini.

Ai Mulini c’era passato chiunque, dal 2011 in poi, fosse andato a vedere coi propri occhi come andava la lotta No Tav. Era un borghetto abbandonato, lungo la via a mezzacosta che da Giaglione portava al famigerato cantiere, quello che la controparte voleva allargare.

Il nuovo presidio non solo richiamava antichi fasti, ma li citava in modo esplicito: quasi dieci anni dopo lo sgombero della Libera Repubblica della Maddalena, in val Clarea erano tornate le case sugli alberi, usate come torri d’osservazione.

Anche l’Entità osservava i presidianti, ventiquattr’ore al giorno, e spesso li tormentava, tanto che dormire era un’impresa. Nel cuore della notte le guardie suonavano allarmi, o accendevano un faro all’improvviso, illuminando con violenza tende e sacchi a pelo. E se qualcuno s’allontanava di pochi passi dai Mulini per pisciare, poteva incontrare il guanto dei Biechi Blu. Eppure, oltre alla giusta rabbia, nei resoconti di chi era stato al presidio c’era gioia.

presidio

E ormai c’erano stati in parecchi. I presidianti riuscivano a darsi il cambio ogni giorno, a gruppi di trenta-cinquanta, aggirando l’assedio dall’alto dei boschi, con la copertura di una «passeggiata solidale». Si partiva da Giaglione in duecento e a un certo punto la banda del cambio-turno s’infrattava e saliva per sentieri, portando con sé viveri, acqua e adrenalina in corpo. Il resto del corteo andava al cancello, a battere il ferro coi sassi e gridare slogan. Quel 5 di luglio, avevo appena assistito alla scena. L’età media dei battitori non superava i 22 anni, ed erano in gran parte giovani donne.

Oltre al presidio, la nuova generazione era stata in prima fila nelle recentu iniziative di lotta, alcune delle quali clamorose, come le contestazioni del 24 e del 27 giugno davanti al ristorante di Susa dove pranzavano le forze dell’ordine. La seconda volta, subissati di fischi e slogan, i celerini erano scappati dal paese imboccando un vicoletto, le code tra le gambe.


La notte tra l’1 e il 2 luglio c’era poi stato un cacerolazo – concerto diffuso per tegami e padelle – di fronte all’Hotel Ninfa di Avigliana, dove la polizia alloggiava. «In questo hotel», diceva un comunicato, «alcune truppe d’occupazione pernottano per poi fare blocchi, controlli e intimidazioni lungo tutta la valle durante il giorno. Noi qui non vi vogliamo, voi da qui ve ne dovete andare!».

Come la riapparizione delle case sugli alberi, anche la ripresa di quelle tattiche di disturbo, tipiche del periodo 2012-2014, segnalava che il movimento aveva riafferrato diversi fili della propria storia e li stava dipanando.

Sì, qualcuno avrebbe dovuto raccontarla, l’ennesima e per molti sorprendente nuova vampata di conflitto in valle. I media mainstream fingevano di non essersene accorti. Gli azionisti di riferimento volevano tenere il profilo basso: dopo anni a spacciare wishful thinking del tipo «la lotta No Tav è finita, il movimento è in crisi, l’opera è necessaria ed è a buon punto, indietro non si torna», era spiacevole e difficile fare i conti con certi dati di fatto: la lotta era viva eccome, il movimento si stava rinnovando, la Grande Opera era ferma come al solito, e la sua presunta utilità contestata più che mai – anche dalla nuova amministrazione di Lione e perfino dalla Corte dei Conti europea.

Chi aveva creduto alla propaganda e dato la lotta per morta, avrebbe faticato a capire come – facendo leva su cosa – il movimento avesse superato gli ostacoli del 2018-2019.

2018-2019: un biennio di crisi e nuovi inizi
«Nomi separatori e nomi omologanti»

Contro il movimento No Tav, nel corso degli anni, si erano usate due strategie retoriche: una incentrata sui «nomi separatori» – concetto proposto dal filosofo francese Alain Badiou –, l’altra su quelli che avevo proposto di chiamare «nomi omologanti».

Per poter usare contro un movimento un nome separatore, occorre fare riferimento a un oggetto identitario fittizio: il «cittadino onesto», la «gente normale», «gli italiani»… Chi non somiglia abbastanza all’oggetto identitario fittizio viene marcato con un nome che «permette allo Stato di separare dalla collettività un certo numero di gruppi e giustificare il ricorso a particolari misure repressive» (Badiou, Il risveglio della storia, 2011).

Esempi alla rinfusa di nomi separatori: «i violenti», «gli estremisti», «gli autonomi», «i black block» (scritto proprio così, con l’errore di ortografia), «gli immigrati», «i musulmani, «gli zingari», «gli ebrei», «i terroristi»…

Il ricorso a nomi separatori per diffamare il movimento No Tav e isolarlo dalla popolazione non aveva mai funzionato. L’emblema di quel fallimento era la maglietta «Siamo tutti Black Bloc» indossata da madame in pensione, che la compravano anche in formato bebè per i nipotini. E che dire dell’anziana manifestante in sedia a rotelle con il cartello «Anarco-insurrezionalista valsusina»?

 anarcoinsurrezionalista

Sin dall’inizio, però, contro il movimento No Tav si erano usati anche nomi omologanti, epiteti che lo avvicinavano all’oggetto identitario fittizio, cioè la maggioranza degli italiani, ma dando a quest’ultima una connotazione negativa, come quando si dice: «la solita cosa fatta all’italiana». Il ricorso a nomi omologanti serviva a presentare la lotta contro la Grande Opera come la solita faccenda di egoismi locali, campanilismi, pastette… Roba da «uomo medio», insomma.

Il primo nome omologante era stato «nimby»«nimby», ma nemmeno quello aveva funzionato. Anzi, nel corso degli anni il lemma «No Tav» aveva acquisito significati plurimi, ben oltre la vertenza territoriale specifica. Aveva acquisito un carattere di universalità. Essere «No Tav», come aveva fatto notare Serge Quadruppani nel suo Le monde des grands projets et ses ennemis (La Découverte, Parigi, 2018), significava essere contro il Tav e il suo mondo, il mondo capitalistico la cui logica imponeva – tra le molte altre cose – le Grandi Opere Inutili. Rifiutare il sistema delle Grandi Opere era tutto fuorché «nimby». Not in anyone’s backyard.

Contro i nomi omologanti, tuttavia, bisognava stare in guardia. Potevano essere più pericolosi di quelli separatori, perché potevano ottundere e smorzare, smussare e dilavare il conflitto.

«Grillini»: trappola contro l’autonomia No Tav

Dal 2005 alla seconda metà degli anni Dieci la lotta no tav aveva anticipato direzioni e impresso svolte alla politica nazionale, curvando più volte lo spazio-tempo, costringendo tutte le forze in campo a posizionarsi sulla questione: o di qua o di là. Tutto questo le era stato possibile perché aveva tenuto il punto di un no incondizionato, e aveva tenuto quel punto perché era sempre stata una lotta autonoma.

Il progetto a cui il movimento si opponeva non era altro che il risultato della lotta stessa, della continua pressione No Tav. Senza la lotta, si sarebbe realizzato il progetto sulla sinistra idrografica della Dora, quello ritirato a fine 2005 dopo la riconquista del presidio di Venaus. La controparte aveva poi riconosciuto che quel progetto era sbagliato, troppo impattante, dispendioso, e ne aveva proposto uno suppostamente «low cost». Quello che dal 2010 continuava a perdere pezzi e subire varianti.

In Valsusa era stato il capitale a dover rispondere alla lotta. La lotta aveva costretto il capitale al rattoppo, al rabberciamento, a tagli e ridimensionamenti continui. Ogni volta si riconosceva, implicitamente, che prima il progetto non andava bene, adesso invece… Su ciascun singolo punto si recepiva la critica No Tav, ma senza ammetterlo, perché ai No Tav non si potevano riconoscere ragioni. La risposta alla pressione dal basso era dunque presentata come iniziativa presa dall’alto, riconsiderazione, «intelligente rivisitazione» (così il ministro Delrio sulla rinuncia a ben sessanta chilometri di nuova linea, 1 luglio 2016).

Il movimento aveva ottenuto tanti più risultati quanto più era percepito come alieno al teatrino della politica. Evitando di smarrirsi nelle nebbie luccicanti della cronaca partitica spicciola, la lotta aveva saputo rifuggire la «politica politicata», con la sua superficie increspata da polemiche fittizie e il suo fondo di intese trasversali a tutela del sistema.

In quel modo, il movimento No Tav aveva fatto politica vera. Si era anche riappropriato di nessi amministrativi territoriali – in parole povere: aveva fatto eleggere sindaci e giunte – ma sempre concependoli come strumenti e senza credere che una vittoria elettorale fosse già un esito, che ora si potesse «lasciar fare ai nostri eletti». Al contrario, il rapporto tra amministratori No Tav e comitati era una corda tesa.

Nel corso degli anni Dieci, si era definita una nuova strategia normalizzante fondata sull’epiteto «grillini», usato come nome omologante per ricondurre il movimento No Tav a una delle forze partitiche in campo, rappresentarlo come forza subalterna nella cornice stereotipata del presunto scontro tra «progressisti» e «populisti».

L’ostentato ma ambiguo appoggio del Movimento 5 Stelle alla lotta No Tav aveva causato discussioni interne e polemiche, e fornito ai nemici buoni appigli, ma finché il partito di Grillo e Casaleggio era rimasto all’opposizione, il movimento era riuscito a non farsi ghermire né dividere.

A partire dal giugno 2018, invece, con l’approdo del M5S al governo e l’insediamento del governo Conte I, la strategia aveva pagato. Il movimento No Tav era stato messo in difficoltà come mai prima.

In parte, ci si era messo da solo, con l’iniziale apertura di credito al governo da parte di alcune sue anime e il prevalere di una linea «attendista»: vediamo se fermano l’opera. Così la soggettività No Tav era rimasta intrappolata nella narrazione delle «tensioni tra forze politiche»: tensioni interne alla coalizione «gialloverde», e tensioni tra il governo e l’opposizione-per-modo-di-dire, cioè il PD, che su Tav e Grandi Opere aveva la stessa posizione della Lega e in fondo, come si sarebbe visto una volta dispersa la fuffa, del M5S.

Quest’ultimo aveva a lungo ostentato il proprio sostegno a svariate battaglie sociali e lotte territoriali. Con l’andata al governo, le pose barricadere avevano presto lasciato il posto ai completi Gucci o Ermenegildo Zegna, e l’opposizione alle Grandi Opere era evaporata come urina sotto il sole, lasciando solo un lezzo pungente. Nel giro di pochi mesi, i ministri e leader grillini avevano dato il benservito ad almeno tre lotte territoriali affini a quella No Tav: No Terzo Valico, No Tap e No Passante di Bologna.

Tuttavia, il nodo valsusino aveva tardato a sciogliersi. Una certa «desistenza» si era prolungata, e le compagne e i compagni di strada del movimento No Tav – incluso il sottoscritto – si erano trovate in difficoltà. Avevamo sentito il movimento meno vicino, impacciato nel prendere parte alla lotta contro quel governo, che pure era il governo della repressione, dei decreti sicurezza, del razzismo sistematico, degli attacchi ai diritti civili e sociali.

Tra l’estate 2018 e il febbraio 2019 si erano registrati un calo di autonomia nell’immagine della lotta e un calo di universalità del significante «No Tav». Quest’ultimo aveva oscillato pericolosamente verso la caricatura che della lotta aveva sempre fatto il nemico: una vertenza locale e particolaristica.

L’immagine del movimento No Tav aveva perso una parte di autonomia anche perché si era parlato più dell’iter dell’opera che della lotta per fermarla. O meglio: la lotta era parsa dipendere dell’iter anziché, come era accaduto fino ad allora, viceversa.

Ovviamente era giusto e indispensabile parlare dell’iter, fare le pulci anche sul piano tecnico-procedurale: fin dai primordi del comitato Habitat, quella era stata una delle buone pratiche del movimento No Tav. Ma non erano state le «barricate di carta» a rendere «No Tav» un significante per tutte le lotte territoriali: era stata la riconoscibilissima autonomia della soggettività No Tav.

Le barricate di carta funzionavano solo se c’erano anche quelle vere. La “normalizzazione” del movimento No Tav era consistita nell’impantanarlo, nello spingerlo a concentrarsi solo su aspetti procedurali, costringerlo a focalizzare sul rinvio dei bandi, ad attendersi chissà cosa dalla nuova analisi costi-benefici, e quant’altro.

Se i nomi separatori nulla avevano potuto contro la libera repubblica dei No Tav, un nome omologante – «grillini» – aveva rischiato di disgregarla.

Ma non c’era riuscito.

L’ultimo tentativo di usare un nome omologante contro i No Tav lo avevano compiuto proprio le schiere di troll del M5S, dopo che la rottura s’era consumata e il partito di Di Maio non poteva più chiedere ai valsusini alcuna desistenza.

Il nome omologante, in quel caso, era stato «leghisti». Alla panzana sui No Tav che alle Europee del 2019 avevano «votato Lega», Davide Gastaldo e il sottoscritto avevano dedicato una disamina su Giap.

L’autonomia riconquistata e il ritorno dei «violenti» (alla buon’ora)

Persino in quella fase di parziale confusione il movimento aveva dato prove di forza, come la manifestazione oceanica dell’8 dicembre 2018, a Torino, in risposta alle «madamine» sìTav.

8dicembre2018

Torino, 8 dicembre 2018.

Nel frattempo, molto meno visibili delle polemiche, erano cominciate altre storie, si erano esercitate diverse influenze e sviluppate nuove tendenze.

Nel grande calderone del festival Alta Felicità – evento cresciuto di anno in anno fin quasi a “sbordare” e risultare gestibile con grande fatica – si erano avviati quelli che una certa tendenza teorica avrebbe chiamato «processi di soggettivazione». Detta più prosaicamente: nei giorni del festival la nuova generazione No Tav, troppo piccola ai tempi delle Libere Repubbliche, aveva vissuto esperienze formative e fondative.

Nel frattempo, gli exploit del movimento Fridays For Future facevano prendere coscienza a migliaia di giovani e giovanissime. In Valsusa, quella gioventù si era guardata indietro e intorno, rendendosi conto che lì non si era aspettata Greta Thunberg: la lotta contro il sistema ecocida e climaticida durava da trent’anni. Nell’ottobre 2019l’assemblea nazionale di FFF Italia aveva preso una posizione nettissima contro la Torino-Lione e altre Grandi Opere.

Intanto si svolgeva la gioiosa epopea della resistenza di Nicoletta Dosio, storia che avrebbe meritato un testo a parte, e che aveva fornito a molte giovani una vera e propria role model, esempio vivente di coerenza e determinazione.

 nicoletta

A Bologna, per tutta la fase dello #stareincasa e della paranoia da Covid, nelle strade era rimasta affissa, monito di resistenza, un’immagine di Nicoletta a pugno chiuso. Si trattava di un manifesto di solidarietà realizzato dall’Associazione Bianca Guidetti Serra.

Nei primi mesi del 2019, un rinnovato ricorso a nomi separatori aveva annunciato un’inversione di tendenza. In quel periodo, in un intervento intitolato «Fuori dalle secche», avevo detto che presto sarebbero tornare le accuse di violenza, e il senso era: «Ben vengano!».

Insomma, i semi del rinnovamento e della «ripartenza» No Tav erano germogliati proprio negli anni in cui il movimento era parso più in crisi. Se per vederne i frutti si era dovuta attendere l’estate 2020, era perché c’era stata l’emergenza Covid.

Nella fase dello #stareincasa molte e molti giovani avevano accumulato frustrazione nei confronti della vita «a distanza» – dalla finta didattica agli affetti impossibili – e molta collera per una gestione dell’emergenza «adolescentofobica», in generale aggressiva nei confronti dei più giovani (lo spauracchio della «movida») e soprattutto perbenista (i lapsus su «congiunti» e «affetti stabili»). Tra chi aveva appena scoperto l’attivismo, durante la reclusione domestica era cresciuta, invisibile a molti radar, la voglia di agire, di tornare a lottare mettendoci il corpo, i corpi. Come al presidio permanente ai Mulini.

[Notazione en passant: l’iniziale “desistenza” No Tav nei confronti del governo Conte I era stata niente se paragonata al vero e proprio collateralismo di altre aree «di movimento» nei confronti del Conte II durante l’emergenza Covid.]

Tornando al giugno-luglio 2020

Il 16 giugno 2020 una relazione della Corte dei Conti Europea aveva espresso seri dubbi sulla Torino-Lione, sul suo iter, sui suoi costi in perenne levitazione e sui suoi supposti benefici ambientali. Il passaggio più interessante era questo:

«[…] vi è un forte rischio che gli effetti positivi multimodali di molte [infrastrutture di trasporto] siano sovrastimati. Ad esempio, nel 2012 il gestore dell’infrastruttura francese ha stimato che la costruzione del collegamento transfrontaliero Lione-Torino, insieme alle relative linee di accesso, avrebbe generato 10 milioni di tonnellate di emissioni di CO2. Secondo le sue stime, [l’opera] non produrrà un beneficio netto in termini di emissioni di CO2 prima di 25 anni dopo l’inizio dei lavori. Invece, sulla base delle medesime previsioni di traffico, gli esperti consultati dalla Corte hanno concluso che le emissioni di CO2 verranno compensate solo 25 anni dopo l’entrata in servizio dell’infrastruttura. Per di più, quella previsione dipende dai livelli di traffico: se i livelli di traffico raggiungono solo la metà del livello previsto, occorreranno 50 anni dall’entrata in servizio dell’infrastruttura prima che le emissioni di CO2 prodotte dalla sua costruzione siano compensate.»

Negli stessi giorni, quasi fosse una stizzita risposta a tali considerazioni, era giunta la notizia di un’imminente estensione del cantiere, con sbancamento del Clarea all’altezza dei Mulini e realizzazione di una passerella sul torrente. Lavori preliminari alla costruzione di un nuovo svincolo di servizio sull’autostrada A32.

Per contrastare quella mossa, il 20 giugno era nato il nuovo presidio. La sera dopo, un grosso dispiegamento di truppe aveva cercato di sgomberarlo, senza riuscirvi. Alcuni No Tav si erano incatenati alle baite, altri erano saliti sugli alberi. La sera di lunedì 22 si era svolta la prima marcia di solidarietà al presidio, durante la quale c’era stato il primo cambio-turno. La polizia aveva cercato di impedirlo, sparando anche lacrimogeni nei boschi.

Il 26 giugno, al PalaNoTav di Bussoleno, c’era stata una grande assemblea popolare, come non se ne vedevano da tempo.

Il 28 giugno le Fomne No Tav [Donne No Tav] si erano presentate in massa al cancello del cantiere e avevano eseguito la performance femminista internazionale «Un violador en tu camino», con parole adattate alla situazione in Valsusa.

L’1 luglio il nuovo sindaco di Lione, il verde, Grégory Doucet, aveva dichiarato, senza giri di parole, la propria netta opposizione al Tav.

Il giorno dopo era cominciato il campeggio itinerante No Tav, intorno al cantiere, in luoghi comunicati giorno per giorno, con iniziative varie.

Il pomeriggio del 4 luglio, tornato in Valsusa dopo lunghi mesi, avevo assistito a un’assemblea sotto il tendone del campeggio, su un prato lungo la statale 24 da cui si vedeva il forte di Exilles, e partecipato a un piccolo corteo spontaneo. La sera, cenando alla «Locanda del Priore» di Vaie, Maurizio mi aveva raccontato per filo e per segno le ultime settimane.

In cielo, proprio accanto alla luna piena, erano visibilissimi Giove e Saturno. Ero felice di essere di nuovo in valle, sia pure per un solo weekend.

La mattina dopo era domenica, e ci eravamo concessi un’escursione. Diretti al rifugio Avanzà e poi al Lago della Vecchia (che, avremmo scoperto, non si vedeva più: lo aveva riempito una frana), camminavamo proprio sopra la val Clarea. Volgendo lo sguardo a est potevo vedere l’intera Valsusa, stretta e lunga, con le sue vie di comunicazione serpeggianti fino a Torino. La città era visibile là in fondo, vaga ma punteggiata di riflessi.

Mentre eravamo lassù, i siti di informazione locale sparavano titoli allarmistici e smodati, perché di fronte all’uscita del cantiere qualcuno aveva seminato chiodi a quattro punte, i famosi «triboli», che avevano bucato qualche pneumatico.

Molti anni prima, operai e braccianti avevano usato regolarmente i triboli contro i mezzi motorizzati della Celere di Scelba. Nel 2020, di fronte a qualche gomma forata, si gridava scompostamente. La deputata renziana Silvia Fregolent parlava addirittura di «terrorismo» e «forze eversive». Nelle ore successive, la notizia sarebbe arrivata in cronaca nazionale.

Torino-Lione, parla Virano: “In corso ci sono gare per 4 miliardi di euro. Vogliamo lasciare i territori migliori di come li abbiamo trovati”

https://www.torinoggi.it/2020/07/03/leggi-notizia/argomenti/viabilita-1/articolo/torino-lione-parla-virano-in-corso-ci-sono-gare-per-4-miliardi-di-euro-vogliamo-lasciare-i-terri.html?fbclid=IwAR0uxE3LVJUUJgpOLDW45nmqMNLUYHF0MNl4rZThMUvO05UKjVgfyeYYHQ4

Il direttore generale di Telt fa il punto sulla situazione dopo le recenti tensioni tra No Tav e forze dell’ordine e le operazioni per ampliare il cantiere di Chiomonte

Torino-Lione, parla Virano: "In corso ci sono gare per 4 miliardi di euro. Vogliamo lasciare i territori migliori di come li abbiamo trovati"

Quattro miliardi di euro. E’ il valore delle gare d’appalto attualmente in atto per la realizzazione della Torino-Lione. A fare il punto è Mario Virano, direttore generale di Telt, la società responsabile delle operazioni. E lo fa attraverso una serie di video che arrivano proprio nelle ore in cui si riaccende la polemica tra chi è contrario all’opera e chi invece la sostiene, con tanto di disordini (limitati, fortunatamente) tra No Tav e forze dell’ordine.

Ma proprio nei giorni scorsi è arrivata anche dal nuovo sindaco di Lione, l’ecologista Grégory Doucet, una nuova fonte di polemiche, avendo rimesso in discussione l’utilità dell’opera. E i riflessi politici sono arrivati fin sul nostro territorio nel giro di qualche clic. Proprio stamattina, in piazza Castello, l’ultima manifestazione contraria al treno veloce.

Intanto, sottolinea Virano parlando di un’infrastruttura realizzata al 18%, “Telt è uno dei più grandi operatori che possono muovere l’economia in Italia e in Francia. Per quanto riguarda la tutela dell’ambiente, l’obiettivo non è quello dell’impatto zero, ma di creare valore aggiunto. E’ una grande sfida lasciare i territori in cui interveniamo migliori di quelli che abbiamo trovato: dal punto di vista ambientale, naturalistico e paesaggistico, ma soprattutto dal punto di vista sociale”.

“La Torino-Lione è un progetto necessario alla nostra rete – aggiunge Adina Valean, commissaria europea per i Trasporti – e lo consideriamo uno dei valori aggiunti dei corridoi europei, che non può mancare perché abbiamo l’esigenza di spostarci il più possibile con il treno. Quindi dobbiamo realizzare queste interconnessioni”.

Traduzione dell’intervista a Virgilio Bellone

Tra i fondatori del PCd’I nel 1921

N.B.: Il colloquio avviene in LINGUA piemontese.

(durante l’intervista Bellone dice di avere 94 anni, quindi dovrebbe essere stata effettuata nel 1974).

Lato A

Pochi minuti di ricordi di quando era a Milano, ricordi della madre, della moglie, del figlio Sergio della sua attività antifascista del 1938 e poi ad inizio resistenza. Nell’ultima parte, su richiesta dell’intervistatore – Gigi Richetto di Bussoleno –, esprime giudizi sul compromesso storico che non approva, ma dice di aver votato PCI al Senato e Democrazia Proletaria alla Camera.

Lato B

I primi dieci minuti sono ricordi di fine ‘800, quando racconta degli scontri e querele con il clero a livello locale nella Valle di Susa.

Poi prosegue sulla realtà operaia di fine ‘800 e sulla nascita del PCd’I.

Domanda

Questi operai che si alleavano al movimento socialista vivevano in condizioni durissime nelle fabbriche è da li che sentivano l’esigenza di organizzarsi, venivano a cercarvi o eravate voialtri che andavate davanti alle fabbriche. Come svolgevate la propaganda?

     C’era tanto analfabetismo, la gente viveva chiusa, gretta. Di politica non capivano niente, nei paesini su 100 persone 90 erano analfabeti. Io ero maestro a San Giorio facevo tre classi I-II-III in tutto erano 40 ma quasi nessuno veniva a scuola.

     Quando hanno fatto la fabbrica a Borgone (Cotonificio Valle Susa n.d.t.), i bambini di 10 anni partivano a piedi da San Giorio per andare a lavorare e prendere 8 soldi al giorno. Se di notte venivano presi a dormire la multa era di 4 soldi, e finiva che la giornata era di 4 soldi.

     Le ragazze avevano 20 soldi e gli uomini 24/25. Poi è arrivata la fabbrica di Chianocco (sempre il CVS n.d.t.), parliamo del 1884-85-86. Aveva aperto nel 1890 e avevano già fatto qualcosa ma a mezzogiorno andavano a mangiare fuori sulla strada e quando pioveva o nevicava andavano sotto il ponte della ferrovia per ripararsi perché non li lasciavano mangiare dentro e facevano 12 ore, entravano che era notte ed uscivano che era notte. Quando sono arrivate le 10 ore erano già in paradiso, ma lì avevano già fatto le leghe. E allora noi andavamo a parlare, ma erano tutti gelosi uno dell’altro perché c’era chi prendeva di più e chi di meno e spesso litigavano e sembravano i capponi di Renzo nei Promessi Sposi. Io quell’esempio lo portavo davanti alle fabbriche. Gli dicevo di non litigare, di unirsi perché quando il padrone ha da fare con tutti e non con uno solo le cose cambiano.

     Un altro esempio. Quando hanno fatto la fabbrica a Borgone era tutto un acquitrino e gli operai che la costruivano lavoravano estate e inverno scalzi nel fango per qualche soldo in più, e a 40 anni erano tutti ammalati o morti. Poi si è saputo che l’azienda pagava all’impresario 10 lire per operaio ma l’impresario che si chiamava Coda gliene dava solo 5. Oppure uno scalpellino di San Giorio che una pietra gli ha schiacciato la gamba, è stato licenziato e andava in giro a chiedere l’elemosina sulle grucce.

     E io che ero già stato in città e avevo girato la campagna romana dove c’erano già le leghe facevo propaganda ma non ero tanto creduto, la gente non si fidava diceva che ero solo un ciarlatano e facevo il maestro di paese perché nessuno mi voleva a lavorare. Ed è stata un po’ la mia fortuna perché sono andato in città e ho preso la laurea.

     Io cercavo di fare la lega, gli dicevo non importa se siete di chiesa o se bestemmiate, ricordate che lavorate tutti insieme. Poi quando ho fatto la prima sezione socialista, lì si faceva anche propaganda anticlericale.

     Ricordo che una volta per la festa di Santa Lucia ai Martinetti, quelli della Lega degli scalpellini vennero da me dicendo che gli scalpellini volevano far dire una messa e io gli risposi che se è quello che la maggioranza voleva era giusto farlo, l’importante era stare uniti.

     Prima si faceva la Lega e poi la sezione socialista e modestia a parte io in Valle di Susa ho fatto molto e dovessi tornare indietro lo rifarei anche se sono stati tanti sacrifici, mia mamma ha pianto spesso per me.

Domanda

In un articolo lei scrive che la maggioranza della Valle di Susa aderisce al Partito Comunista. Ci può raccontare qualcosa sulla scissione?

     Quando si è deciso per la scissione la riunione è stata fatta a casa mia a Milano a settembre. C’era Ljubarskij (si tratta di Nikolaj Markovič Ljubarskij, alias Carlo Niccolini n.d.t.), rappresentante della Terza Internazionale che era stato a Bucarest, c’era Bordiga di Napoli, Grieco che poi è diventato deputato, Fortichiari che era segretario federale di Milano, l’onorevole Belloni di Alessandria e nella sala della mia casa a Milano abbiamo gettato le basi del Partito Comunista, ufficiosamente.

     C’era anche Gramsci ma è arrivato l’indomani, quel giorno non è arrivato in tempo, è arrivato di notte e ha dormito sul sofà di casa mia. C’era anche Terracini che è ancora vivo e ha dormito su un materasso messo sul tavolo. Alla fine della riunione per celebrare abbiamo mangiato una torta e bevuto vermuth. Bordiga ha mangiato da me, ma lui aveva una stanza sua a casa mia. Fatta la riunione abbiamo iniziato subito a fare propaganda nelle sezioni per la scissione.

     Alla direzione centrale del Partito Socialista c’ero anche io, per il Piemonte c’era Terracini. Ma la riunione a casa mia è stata ufficiosa, Ljubarskij è restato in un paesino vicino a Milano fino al Congresso di Livorno e in quel periodo ha imparato l’italiano; parlava italiano come noi.

     Io giravo con Bordiga e altri per propagandare la scissione. Ravetto che era Bussoleno ed era ancora un giovanotto girava la Valle per noi, ecco perché era delegato a Livorno mentre io ero per la Lombardia.

L’ultima parte del nastro ripete nuovamente l’episodio di Graziadei e dello zucchero rubato (vedi A1)

Lato A1

Tutto il colloquio riguarda la scissione con i socialisti e l’occupazione delle fabbriche.

Domanda

Lenin conosceva bene la situazione italiana e seguiva attentamente il dibattito che c’era allora all’interno del partito socialista contro i riformisti e per la fondazione di un partito comunista realmente rivoluzionario e disciplinato. Lenin parla della mozione giusta dei compagni rivoluzionari dentro il Partito Socialista all’interno del comitato centrale di Milano, può dirmi qualcosa di questa mozione di Bellone-Terracini ?

     Vede in quella adunanza si è parlato a lungo, c’erano due tendenze quella rivoluzionaria capeggiata da Terracini, Gennari, Bellone e da altri membri del partito che adesso non mi ricordo.

     Il primo a parlare fui io sostenendo la necessità di separarsi nel partito da quelli che noi chiamavamo controrivoluzionari e che facevano capo a Turati, Treves, anche Serrati direttore dell’Avanti. Si diceva che Serrati aveva in mano una lettera di Lenin, noi l’abbiamo obbligato a leggerla.

Lenin diceva pressappoco quello che dicevamo noi. Il partito era diventato antirivoluzionario da un pò di tempo a questa parte poiché seguiva la linea dei grandi maggiorenti. Nel partito c’era Turati, nella confederazione del lavoro c’è D’Aragona che era un controrivoluzionario.

     Noi volevamo mettere un freno e chiedevamo alla “minoranza”, perché avevamo già fatto una prova nel partito e noi eravamo risultati la “maggioranza”: voi della minoranza accettate le 21 tesi della Terza Internazionale ed abbandonate la vostra propaganda riformistica, oppure noi siamo costretti a staccarci. C’è stata poi una lunga di discussione e poi si è fatta la votazione in favore della successione.     Prima ho parlato io che ero stato nominato segretario della riunione, un segretario che redige il verbale. Dovendo fare il verbale ho deciso di parlare per primo, dopo hanno parlato anche Terracini e Gennari poi alcuni meridionali ma non mi ricordo il nome mi pare ci fosse anche l’onorevole Belloni di Alessandria. Viceversa Bacci, D’Aragona, Sanarini e altri specialmente quelli del Mezzogiorno hanno votato contro ma noi abbiamo avuto la maggioranza.

     Serrati non era né con noi né con i riformisti. Serrati aveva deciso di dimettersi da direttore dell’Avanti ma noi abbiamo insistito perché restasse fino al Congresso per non creare uno scompiglio a pochi mesi dal congresso, però era rimasto con l’obbligo di non fare propaganda per la sua frazione sull’organo del partito e mantenesse la sua neutralità.

     Qui ci sarebbe poi qualche cosa da dire ma è un pettegolezzo.

Erano ritornati i rappresentanti di partito da Mosca e c’era anche l’onorevole Graziadei che faceva parte della frazione rivoluzionaria. A un certo punto della discussione Graziadei sostiene la nostra tesi; D’Aragona presidente della confederazione del lavoro era molto a destra ha investito Graziadei con un pettegolezzo dicendo: “Stai zitto tu che tuo figlio a Mosca ci ha rubato tutto lo zucchero che avevamo portato dall’Italia”.

     In Russia non c’era niente e la commissione era andata a Mosca con dei bauli dove c’era pane salame e formaggio. Graziadei si era arrabbiato dicendo che non c’era e non aveva visto ma non ci credeva perché suo figlio era una persona seria.

     In quella discussione era intervenuto anche il Baldesi che era un vice di D’Aragona è ancora un po’ si prendevano a pugni. Siamo intervenuti e li abbiamo divisi. Dopo un’oretta Graziadei rientra col figlio e il figlio era pronto a prendere per il collo D’Aragona.

     La mattina sul Corriere della Sera appare tutta la scena precisa con tutto quello che era successo ed eravamo tutti stupiti. Serrati si alza e dice “ma qui c’è una spia” e visto che eravamo tutti di noi ci siamo chiesti come aveva fatto il Corriere della Sera a sapere queste cose. Si è poi saputo un mese dopo che era Baldesi della confederazione del lavoro, pagato dal Corriere della Sera. Pubblicato dal Corriere della Sera la cosa ha preso uno sviluppo enorme.

     Dopo la votazione dove abbiamo avuto la maggioranza si è stabilito che l’Avanti rimanesse ancora a Serrati fino al congresso e che il partito incominciasse a far propaganda verso le sezioni.

     E allora abbiamo combinato nei fatti che Bordiga pur non essendo nella direzione del partito ma era uno dei capi più influenti a favore della frazione rivoluzionaria ha incominciato lui a fare il giro per l’Italia a propagandare i principi dai 21 punti di Mosca e poi anche gli altri dalla parte inversa hanno cominciato a fare altrettanto.

     E così siamo andati avanti fino al 21 di gennaio dell’anno appresso al congresso di Livorno.

Domanda

Noi siamo andati a leggerci Ordine Nuovo di quel tempi; la rubrica “Vita di classe” riporta tutte le assemblee che si facevano nelle sezioni del Partito Socialista anche in Valle di Susa. In queste riunioni c’era Pietro Ravetto che andava e discuteva. Si ricorda qualcosa di questo dibattito in Valle di Susa.

     Questo lavoro l’ha fatto soprattutto il povero Ravetto, io ero a Milano ma Ravetto mi informava e aveva un grande ascendente sulle sezioni in contrasto con Barbieri di Condove che sosteneva la tesi minoritaria del partito e che diventerà poi podestà fascista.

     Ravetto invece sosteneva la tesi maggioritaria e rivoluzionaria e quasi tutte le sezioni hanno aderito alle tesi di Ravetto tranne a Condove e nei paesi limitrofi.

Tutti la alte sezioni scelsero la maggioranza. Ci chiamavamo Massimalisti mentre gli altri erano i Riformisti.

     A Livorno mi sono incontrato con Ravetto e anche con Barbieri e nella Valle di Susa era passata a grande maggioranza la frazione massimalista.

Domanda

In queste sezioni c’erano tanti operai? Gli operai sono passati alla frazione rivoluzionaria?

     Quasi tutti operai ma anche contadini. Per esempio a Bussoleno gli operai delle fabbriche, a San Giorio quasi tutti gli scalpellini e qualche contadino. Le sezioni che erano controllate da Ravetto diventeranno subito sezioni comuniste. I riformisti riescono a ricostruire solo la sezione di Condove e di Sant’Antonino. Erano sezioni di minoranze che non avevano più nessun credito presso gli operai.

Domanda

Il credito questi riformisti lo hanno perduto con l’occupazione delle fabbriche?

     Si, l’avevano già perduto li perché erano tutti arrabbiati perché avevano restituito le fabbriche.

Infatti le fabbriche le abbiamo restituite per la grande pressione dei D’Aragona, Baldesi, Colombino tutti riformisti. Quando ci siamo radunati il 13-14-15 settembre a Milano al Salone dell’Umanitaria la notte… noi la chiamavamo la notte tragica perché si trattava di restituire le fabbriche e le terre occupate. In Lombardia il Passalcqua aveva già requisito la meliga dai campi.

     Io avevo fatto un giro nelle campagne ed erano tutti pieni di entusiasmo. Quella notte in una saletta a fianco c’erano Fortichiari, Repossi, io e qualcun altro e quando abbiamo visto che D’Aragona e altri capi riformisti stavano per avere la maggioranza avevamo deciso di sequestrare D’Aragona, caricarlo su un auto e mandarlo a …. (non si capisce n.d.t.).

     Era già tutto organizzato, tanto più che il presidente della Banca Commerciale di Milano, l’ebreo Toeplitz è venuto da noi quella notte ad offrirci i soldi della Banca Commerciale perché la borghesia era ormai convinta che fossimo i padroni del paese e si trattava solo di cambiare il governo a Roma.

     Più di così! Avevamo i soldi, avevamo la maggioranza delle classi lavoratrici, dicevamo: tiriamo via questi capi riformisti, facciamo la votazione, siamo in maggioranza. Domani proclamiamo lo stato proletario d’Italia.

     Viceversa quando Serrati ha sentito parlare di sequestrare D’Aragona e Colombino ha incominciato a dire No, non facciamo questo, è una piazzata, una roba che sarà deplorata da tutti.

     Così abbiamo discusso fino al mattino e poi l’ordine del giorno di D’Aragona ha avuto la maggioranza. Tanto più che D’Aragona, lo abbiamo saputo poi, aveva avuto un colloquio con Giolitti che gli aveva promesso che se si restituivano terre e fabbriche ai legittimi proprietari lui non avrebbe fatto rappresaglie, avrebbe passato una spugna su tutto, anche sui più compromessi.

     E così ci fu una delusione generale e la maggior parte passò con il Partito Comunista. Per convincere a far restituire le fabbriche mi ricordo che Bozzi disse che durante l’occupazione alla Fiat non si lavorava più, che la fabbrica andava in perdita, che gli operai erano assenti altri dormivano, che avevano fatto delle ruote di treni che non resistevano al peso dei vagoni, che il lavoro era mal fatto, che era tutto un disastro, che se si va avanti ancora così 15 giorni l’Italia va a rotoli.

     E quello in parte era anche vero, io sul treno sentivo gli operai della Fiat che tornavano dal lavoro parlare tra loro e dire che dormivano, oppure giocavano a bocce. Lo stesso alla Pirelli o alla Breda e allora è stato buon gioco quella notte convincere tanti a restituire le fabbriche.

Lato B1

Nell’intervista si parla della fine dell’occupazione delle fabbriche, della delusione, del riflusso di una parte e del passaggio al Partito Comunista degli elementi più attivi. Il riflusso con la crescita del fascismo e delle vicende elettorali.

Bellone si candida alle elezioni politiche nel 1919 e nel 1921 ed in entrambe le elezioni risulta il primo escluso. Bellone viene eletto nel 1922 in provincia a Milano, ma vi resta pochi mesi in seguito a dissidi con il prefetto che blocca ogni sua iniziativa a favore della scuola dell’obbligo e dei sordo-muti – Bellone era direttore didattico di Milano – .

Domanda

Lei era nel Partito Comunista, quali erano le prime difficoltà che avete avuto con il fascismo per poter continuare a fare politica tra gli operai.

     Riunioni segrete, per cellule, per gruppi. Invece di radunarsi in tanti ci si riuniva in 10-12, poi con altri 10-12 e si lavorava clandestinamente. C’era una reazione feroce, io a Milano avrò avuto 100 perquisizioni. Mi hanno portato via tutti i libri, avevo le opere di Marx, di Engels e di tutti i grandi del passato.. io ho perso migliaia di libri, portavano via i miei appunti e perfino le cartoline.

Domanda

Ma poi lei è uscito o è restato nel Partito Comunista.

     Sono sempre restato nel Partito Comunista fino a qualche anno fa. Però dopo la guerra non sono mai stato considerato anche se mi sono presentato alle elezioni del 1948.

     Finche si viveva nella clandestinità io e mia moglie servivamo molto. La signora Pajetta, la madre, aveva da dare dei soldi ai perseguitati politici, li portava a mia moglie, che non era conosciuta, e lei li portava alle famiglie indicate con mariti in galera o all’estero.

     Durante la liberazione mio figlio era uno dei capi partigiani e prima era stato condannato a 14 anni insieme a Ravetto. Noi abbiamo sempre appoggiato e lavorato per il partito, ma dopo la liberazione ci hanno messo da parte.

Lato A2

     Prima della liberazione conoscevo bene la famiglia Pajetta dopo la liberazione sono spariti tutti.

Io ero iscritto al partito, frequentavo le assemblee della sezione 18 in Corso Regina Margherita dove abitavo. Un giorno arriva a casa mia un compagno, un certo Anselmi e mi dice: “domani trovati in sezione che distribuiamo le medaglie per il 25° della fondazione del Partito Comunista e diamo la medaglia ai fondatori”.

     Io ci vado: c’era il salone pieno e la musica suonava. Luciano Gruppi sale sul palco, fa il suo discorso e poi chiama per la premiazione e dà la medaglia a Clelia Montagnana che era una turattiana di sette cotte, avversaria dei comunisti, riformista e che ha avuto tante discussioni con me.

     Cosa c’entra lei con la fondazione del partito? Poi a tanti altri e a me niente. Io uno dei fondatori del partito niente medaglia, non è per la medaglia che è una sciocchezza ma è per il riconoscimento.

     Torno a casa, ne parlo con mia moglie e voglio sentire Ravetto che era a Livorno se a lui l’hanno data. Qualche giorno dopo vedo Ravetto, che passava ogni tanto a casa mia e gli chiedo se a lui hanno dato la medaglia. Non ne sapeva niente. Allora mi sono arrabbiato, ho scritto al partito e ho restituito la tessera anche se ho sempre votato per il partito, fino a poco fa quando è uscita la porcheria del compromesso storico.

Domanda

Della svolta di Salerno, di quando Togliatti è tornato dalla Russia, cosa ne pensa.

     Io di Togliatti non ho mai avuto grossa fiducia. Quando è tornato dalla Russia voleva fare un alleanza con cattolici e socialisti. Io ero contrario e non la pensavo così. Togliatti lo avevo conosciuto in altri tempi ma era un po’ opportunista: prima era stalinista poi è diventato antistalinista.

Domanda

Lei ha conosciuto anche Gramsci, Bordiga e altri. Adesso il partito comunista cerca di fare vedere una continuità tra Gramsci, Togliatti e Berlinguer. Io penso che Gramsci fosse un grande rivoluzionario e Togliatti non c’entra niente.

     Lì chi era rivoluzionario, lavorava bene ed aveva una grande intelligenza era Bordiga.

Bordiga è stato a Milano e abitava a casa mia, un uomo di grande valore, con lui c’era anche Grieco che poi ha abbandonato. In una riunione che si è tenuta a Torino a novembre del ’20 con Bordiga, Terracini, Gramsci c’ero anche io e qualcun altro che non ricordo mi sembra anche un operaio della Fiat. Bordiga e Gramsci avevano le stesse idee che differivano molto da quelle di Togliatti.

Domanda

Di Gramsci cosa si ricorda anche dal lato umano.

     Gramsci l’ho frequentato assai poco, mi ha dato l’idea di un grande rivoluzionario e un uomo con delle idee chiare specialmente quando aveva fatto la proposta dell’unità degli operai del nord con i contadini del sud. Che ha lavorato molto anche con Bordiga su questo argomento. E stato a casa mia e ha dormito li anche qualche volta. Io di Gramsci avevo grande fiducia. Credevo che all’epoca i due migliori uomini del Partito Comunista fossero Bordiga e Gramsci.

     Bordiga l’ho riconosciuto grande quando c’è stato a Milano la strage del teatro Diana quando una bomba ha ucciso 20 o più persone al teatro. L’indomani a Milano sembrava un giorno di terremoto, uscivi per strada era tutto cupo, triste, la gente camminava a testa bassa.

     Bordiga è venuto a piedi a casa mia a scrivere un manifesto dove si prendeva lui la responsabilità, anche se non ne sapeva niente. A detto che questo fatto è avvenuto semplicemente per la repressione fascista, la divisione della classe operaia, ecc.. ecc.. che ha irritato talmente il proletariato che è arrivato a un punto che la classe operaia ha dovuto reagire. Allora cercavano Bordiga per metterlo in galera ma non ci sono riusciti perché è scappato. L’hanno poi messo dopo.

     Bordiga ha avuto il fegato di prendersi la responsabilità del Diana anche se lui non ne sapeva niente per dimostrare che il fatto era una conseguenza della reazione precedente.

Poi io fui chiamato in questura e il commissario mi diceva: “ lo so che lei non c’entra niente ma lei dovrebbe sapere chi ha promosso questa azione criminosa”. “Io non so niente, io non frequento gli ambienti anarchici. Io so che ogni azione ha una conseguenza.

     Anche l’uccisione di re Umberto a Monza il 29 luglio del 1900 è stata una conseguenza delle azioni del generale Bava Beccaris del ’98”. E’ andata così secondo me ogni cosa ha un’azione e una reazione ho visto dalla storia che è sempre stato così.

Domanda

Certamente durante l’occupazione delle fabbriche e anche prima e anche dopo vi ponevate come partito il problema della forza. Già i socialisti all’inizio si occupavano dei soldati cioè che i soldati fossero alleati della classe operaia…

     Abbiamo fatto qualcosa ma di superficiale, primitivo. Mi ricordo che ero stato a Roma ad una riunione di partito nel ’20 o nel ’21 e mi hanno caricato una valigia di opuscoletti antimilitaristi da buttare nelle caserme. Io li ho portati a Milano poi i nostri giovani li portavano clandestinamente sotto le porte dei quartieri. Mi ricordo che a qualche riunione segreta vedevi qualche soldato ma era una cosa primordiale, superficiale.

     Facevamo degli opuscoli di 3-4 pagine, alcuni li ho fatti anch’io ma bisognava distribuirli clandestinamente e non facevano presa.

Dal minuto 17.30 l’intervista volge su questioni religiose e di chiesa di minore interesse.

Lato B2

Domanda

Per concludere, che messaggio darebbe ai giovani in base alla sua esperienza.

     Bisogna fare un lavoro non sotterraneo ma meticoloso, lento, paziente per cercare di aprire lentamente la mente alla gioventù, adesso che la cultura si allarga con le scuole per tutti invitare questa gente a leggere. Io sarei sempre del parere mai abbastanza ascoltato di fare come una volta molti opuscoli semplici, facili come una volta che c’era “Il seme”. Io poi avrò fatto 100 opuscoli di propaganda.

L’intervista prosegue e si conclude sul dibattito che c’era in Valle sui giornali la Valsusa e La Valanga.

—————

FONTE: Istituto di studi storici Gaetano Salvemini di Torino, Fondo Sacco Sergio.

No Tav, il cuore è vivo e batte il ritmo della lotta…

https://contropiano.org/interventi/2020/07/04/no-tav-il-cuore-e-vivo-e-batte-il-ritmo-della-lotta-0129731?fbclid=IwAR0aL5jsEsijH7dWQsd2fJ7wvEro_Jn_9gr0oWBz7IqMXMZaLfHRWBc16sw

La lotta NO TAV si rimette in cammino lungo i sentieri della Clarea. Da giorni arrivavano scampoli di notizie su un’imminente ripresa dei lavori. Da tempo materiali si andavano ammassando oltre le reti, lungo il torrente, ai piedi dei piloni autostradali.

Intanto in Valle aumentavano i controlli; gli alberghi collaborazionisti si preparavano ad ospitare le truppe, ogni mattina si sentiva il rombo dell’elicottero che saliva da Torino.

Ieri il movimento NO TAV si è ritrovato a Giaglione e si è messo in marcia. E’ nato il presidio permanente ai Mulini di Clarea. Le foto ci raccontano la bella giornata di sole, la costruzione delle barricate, l’allegria che accompagna la vita anche nei momenti più duri, quando si attende e si sa che il difficile sta per venire, ma si è anche consapevoli che, nonostante tutto, non si può disilludere un sogno ed abdicare al senso di responsabilità verso il futuro

Sono arrivati, di notte, come sempre. Hanno circondato il presidio, alzato barriere sui sentieri, ma non sono ancora riusciti a piegare i resistenti, alcuni saliti sugli alberi, altri sui tetti dei mulini, qualcuno incatenato ai cancelli. Le bandiere NO TAV garriscono con le rondini, al vento della Clarea.

In Valle volano incessanti le notizie, gli appuntamenti del fare concretamente, gli appelli alle realtà solidali: come sempre si deve partire insieme, con una risposta che sia di tutti e per tutti.

La rabbia è tanta: non si può che provare odio per i lobbisti che, rinchiusi nel Palazzo, continuano a presentare come pubblica utilità la devastazione sociale e ambientale legata a questa e alle altre Grandi Opere, inutili, costosissime, mortali.

Questo è il CuraItalia messo in piedi dalla folle bulimia dei nostri nemici di sempre che siedono nelle istituzioni e non rinunciano a trasformare in oro per i loro forzieri aria, acqua, suolo, salute, cultura, bellezza… e la memoria del passato, la vita del presente, la speranza del futuro di tutti.

Care compagne, cari compagni, per la prima volta non sono con voi nei luoghi della resistenza. Questi arresti domiciliari mi pesano insopportabilmente e più che mai in questi momenti, quando tutte e tutti sarebbero indispensabili, anche chi come me ha ormai poco da dare in forza fisica… ma il cuore è vivo e batte il ritmo della lotta…

Ha violato divieto di dimora, finisce ai domiciliari storico leader No Tav

https://torino.repubblica.it/cronaca/2020/07/06/news/ha_violato_divieto_di_dimora_finisce_ai_domiciliari_storico_leader_no_tav-261092097/?fbclid=IwAR0qz9qzQkYQMNnOGVplI71qwlCv7v9IZpH4gytYXBf9LSomj8iaEBu8vIM

Scalzo identificato dalla Digos nei boschi della Clarea 

06 luglio 2020
 

Ha violato il divieto di dimora nei comuni  di Chiomonte e Giaglione che gli era stato imposto dopo gli scontri del 27 luglio di un anno fa. Ora è ai domiciliari. Emilio Scalzo, 65 anni, storico del Movimento No Tav valsusino  e residente a Bussoleno, è stato identificato dagli uomini della digos  di Torino mentre frequentava i boschi della Clarea, durante le manifestazioni che in queste settimane hanno riacceso la protesta in valle di Susa in occasione del nuovo ampliamento del cantiere di Chiomonte. Per questo motivo è stato disposto un aggravamento della misura cautelare disposta nei suoi confronti. Questa mattina la Digos lo ha arrestato e messo ai domiciliari.
A dicembre quando erano arrivate le prime disposizioni contro i registi e i responsabili delle proteste violente del 27 luglio 2019, erano state 14 le misure cautelari disposte dal gip ed eseguite dalla polizia