QUANDO UN PAESE SI MARTELLA LE GONADI PER COMPIACERE CHI GLI HA VENDUTO IL MARTELLO—– GAS PER TAFFAZZI

http://fulviogrimaldi.blogspot.com/2018/12/quando-un-paese-si-martella-le-gonadi.html

MONDOCANE

MARTEDÌ 4 DICEMBRE 2018


C’è chi martella chi se lo merita

Francia, specchio dei tempi e dello scontro di classe le cui nuove forme le cosiddette sinistre radicali non vogliono capire: quelle della guerra sociale, culturale e geopolitica dei popoli, pressochè tutti proletarizzati dal globalismo neoliberista, contro le élites. Lotta insurrezionale che presenta affinità stretta con quella del 1789, per la sovranità del popolo (lavoratore, operaio, contadino, intellettuale) contro la sovranità del sovrano e dei ceti alle sue fortune legati e dai suoi poteri beneficiati e che, ammaestrata dalla rivolte soprattutto contadine e dalle insubordinazioni dei barbari nel fine-impero, si accoppia al monopolio della forza. Sovranità e monopolio di cui i gruppi dell’accumulazione e della predazione, della menzogna e della cospirazione, sono tornati padroni, dopo che rivoluzioni e rafforzamento in varie forme della volontà, coscienza, conoscenza, forza, dei dominati se l’erano conquistata, o, quanto meno, l’avevano condivisa. Vedi, da noi, le costituzioni, dallo Statuto Albertino a quella antifascista del 1948. Vedi la cubana, quella di Thomas Sankara nel Burkina Faso e la venezuelana, la migliore in assoluto.

Lo strumento di corruzione psicologica impiegato dai gruppi di potere, oggi contestati in varie forme, è la criminalizzazione del termine sovranità, spesso deformato e, nelle intenzioni, vilipeso, in “sovranismo”. Poi si arriva alla separazione tra manifestanti buoni e cattivi, a volte sfruttando l’inserimento di provocatori di regime. Nel caso francese, tra i fermati non si sono trovati i famigerati Black Block, ma solo infermiere, camionisti, contadini e altra gente ridotta allo stremo dagli assiomi della globalizzazione. Di fronte hanno l’uomo di Goldman Sachs, cioè della cima della Piramide. Quello che avevamo noi, in sinergia con le mafie, con tutti i governi degli ultimi trent’anni, prima dell’attuale, non il migliore sognato, ma il meno peggio di tutti (almeno per la parte 5 Stelle). Come dice il collega Marco Cedolin, in Francia abbiamo un popolo di populisti antimondialisti contro il regime neoliberista; da noi siamo un passo avanti: abbiamo una canea euro-mediatica contro un governo populista. Ci siamo portati avanti col lavoro con il voto, anziché con la sollevazione di popolo. Quella era venuta prima, anche se più soft di quella dei fratelli francesi.

Souvranité, parolaccia o salvezza?
Il tema che affronto in questo articolo sta al cuore della questione. Per cui, senza se e senza ma, lunga vita ai Gilè Gialli e alla loro parola d’ordine: “Libertè, egalitè e souvranitè”.

Conoscendo qualche lingua, molti paesi europei, avendo vissuto in alcuni (Germania, Olanda, Regno Unito, Irlanda) credo di permettermi di valutare il sistema mediatico italiano il più sgarruppato dal punto di vista sociale, il più corrotto da conflitti d’interesse, e quello più degradato da coloro che ne condizionano la narrazione. Se ne ha dimostrazione quotidiana. Come vi spiegate che la quasi totalità della stampa-radio-televisione sosteneva con passione più o meno fervida i precedenti governi, quelli della tratta degli schiavi, dell’austerità, dei trattati capestro EU, della devastazione ambientale, del precariato, e oggi si abbatte con furia degna di miglior causa sull’attuale, che qualche latrato, o guaito, contro quei delitti lo emette? Come vi spiegate gli spazi chilometrici dati ai gabbiotti di lamiera, ai quattro mattoni in nero e alla piscina gonfiabile di papà Di Maio, non inquisito, e gli spazi ristretti come un golfino di pessima lana regalati a papà Renzi plurinquisito? 

Come vi spiegate che su alcuni accadimenti, per loro natura meritevoli di dibattito e pluralismo di analisi, tipo il caso Giulio Regeni, la stessa, neanche più quasi, totalità esprima un giudizio uniforme e del tutto apodittico? Non è sintomatico che coloro che contro i pentastellati (e il finto nemico Salvini) mettono in campo pressioni, gazzettieri, minacce di obliterazione del paese, siano gli stessi che in questi termini affrontano ogni opposizione all’eurogangsterismo, compresa la rivolta dei Gilet Gialli il cui urlo è souvranité? Non vi dice nulla, a vantaggio e onore dei gialli nel Gialloverde, che l’apparato padronale italiano abbia fatto ricorso ad un’adunata, mai vista prima, di tutti i vertici a Torino, per attivare catapulte di ferro e fuoco sui 5Stelle e non solo per il Tav? E nella scia di questo gesto volutamente drammatico, l’ancor più drammatico grido di dolore dei più grossi cementific tori italiani, Condotte, CMC, Tecnis, Astaldi, Grandi Lavori e altri, che proprio nel momento della messa in discussione di appena una grande opera o due lamentano di trovarsi all’orlo del default e del rischio di decine di migliaia di licenziamenti. Puzza di ricatto, o no?

Treni e catorci di riserva

A fianco di questa locomotiva globale, che ha invertito la marcia di Guccini e si sta lanciando contro chiunque non le fornisca carbone, corre (si fa per dire) in analoga direzione un nostro trabiccolo locale. Succede che, con l’atomino dell’estrema “sinistra radicale” in costante bilico tra scissione dello stesso, ricomposizione, o epifania di una nuova, inedita, micro-unità da un lato e, dall’altro, una destra confindustriale, sedicente centrosinistra, da questo pulviscolo sorga il taumaturgo, il messia rosso da lunga pezza atteso. 

Potrebbe chiamarsi Giggino o’ sindaco, oppure Robertino o’ presidente. Il primo amoreggiava con i 5 Stelle, ma s’è ricreduto. Il secondo è la mina vagante dentro i 5 Stelle, fa il presidente della Camera, ma anche il ministro degli Esteri quando rompe con l’Egitto, ma anche il catalizzatore di nano particelle. Un po’ Pizzarotti, un po’ forse Scilipoti. Ha ottenuto il master dalla cattedra “Come ti sposto i popoli” dei luminari Boldrini e Bonino. Si è laureato a pieni voti e lode con una tesi “Per un globalismo dalla faccia umana, fondato sul lancio del cuore verso il Global Compact Migrazioni e il guanto di sfida in faccia al presidente egiziano Al Sisi”.

Grida e sussurri

C’è stato in questi giorni un susseguirsi e un sovrapporsi frenetico di avvenimenti di grande portata per tutti, ma parzialmente oscurati da episodi come il totalmente inconsistente festino G20 a Buenos Aires, riuscito a rilegittimare uno psicopatico assassino seriale in dishdash con tanti pozzi di petrolio, o la captatio benevolentiae dei suoi militi nazisti e degli armaioli Usa che Poroshenko ha messo in atto nello stretto di Kerch. La Merkel, con il gasdotto North Stream, che sta per unire Russia e Germania attraverso il Baltico, è stata messa per l’ennesima volta sul banco degli imputati di filo-russismo. Per quanto la poveretta abbia sostenuto l’aggressività Usa e Nato mettendole a disposizione tutto il suo paese, ella cerca almeno di parare qualche ulteriore abbandono di elettori grazie a un’energia a basso costo. Che è quella del gas russo e non di quello liquefatto e da scisti statunitense che le imporrebbe altro che gli aumenti di Macron.

Poi, quatta quatta, come una talpa che fa capolino dalla tana, è sbucata la notizia dell’EastMed Pipeline, il gasdotto che dovrebbe collegare i giacimenti del Mediterraneo Orientale alla solita bistrattata Puglia, passando per Cipro e Grecia. Si affiancherebbe al TAP, quello dall’Azerbaijan amerikano al Salento, che già aveva compensato il blocco del South Stream, dalla Russia all’Italia e all’Europa centrale, blocco ordinato al cliente bulgaro. I quattro paesi coinvolti lo stavano negoziando in gran segreto da un paio d’anni, ma Israele, giorni fa, ha infranto il pissi pissi bau bau, annunciandolo all’universo mondo. Per Italia, Grecia e Cipro, l’EastMed, come già il TAP, è la classica mazzata di Taffazzi sulle parti molli, da non più indurirsi. 

Fornendo, secondo il costruttore IGI Poseidon, appena 10 miliardi di metricubi di gas, molto meno del meno costoso gas russo in arrivo da più vicino, il TAP è già una formidabile fregatura. Figuriamoci l’EastMed, che sarebbe il più lungo e profondo del mondo e, date queste caratteristiche, più il rischioso passaggio sui fondomare vulcanici tra Cipro e Grecia, sarebbe anche di gran lunga il più costoso, pur fornendo la stessa modesta quantità del TAP o STC. Ma, ovviamente, non sono i costi il problema. La questione è al cento per cento politica e, lì, dollari o euro non contano, anche perché escano dalle tasche dei Gilet Gialli e di tutti noi. 

EastMed, i suoi padrini, le sue vittime

Da chi partono da questi meravigliosi progetti che promettono di fare dell’Italia, sismica soprattutto là dove passa la rete di tutti questi gasdotti, impianti di depressurazione, liquefazione, stoccaggi, per un gas che non ci serve ma che viene venduto all’estero dalle compagnie? Domanda oziosa: l’input è ovviamente degli Usa, il progetto è dell’UE e del suo “Connecting Europe Facility Program”. Ed è l’UE che ci mette gran parte dei soldi, nostri. Vuoi che non ci dia addosso sui deficit da impiegare per la pappa dei bambini di 5 milioni di poveri assoluti, anziché far fare soldi a Snam e Shell con la vendita del gas a Vienna e Amsterdam?

Si ciancia di monopolio russo del gas europeo, una specie di garrota sul cranio del continente. Non è vero. La Russia fornisce all’Europa tra il 30 e il 40% del suo fabbisogno. E lo fornisce ai prezzi più bassi di tutti gli altri fornitori. Ma i gas di Tap e EastMed daranno utili solo una volta che quello russo, e magari quello arabo, saranno ridotti ai minimi termini e le nostre tasse ai massimi. A proposito di solidarietà europea, della quale abbiamo già conosciuto i benefici nella distribuzione delle vittime della tratta, edificante il confronto tra la Germania che avrà il ricco gas a basso prezzo del North Stream, checché gli Usa si agitino, l’Italia quello costoso da lontano per il quale fungerà da inquinatissimo hub per i potenti del Nord. La Merkel ne gode quanto della cancellazione della Grecia dai registri d’Europa. Controllare l’energia, per parafrasare Kissinger che, umanamente, parlava di cibo, significa controllare gli altri. In ispecie, il Sud Europa. Merkel e Macron, cioè per l’UE “Italia delenda est”, finchè ci sono questi “cialtroni” a governarla.

Pensate che la vicenda EastMed finisca qui? Gli israeliani pescano da un gigantesco giacimento che si estende dalle coste libiche fino alla Turchia. Qualcosa pertiene alla Turchia, grazie alla sua occupazione di Cipro Nord (ricordate la nave ENI presa a schiaffi dai turchi?), qualcosa a Cipro, parecchia alla Palestina davanti a Gaza e la massima parte all’Egitto dove opera l’ENI. Ed ecco che vi si accende una lampadina quando tutte queste cose le mettete accanto al furibondo rilancio della campagna Regeni contro l’Egitto. E un assordante sbattere di sciabole alle porte della Russia. Un Egitto potenzialmente massimo concorrente di Israele e una Russia troppo pacifica, ma resistente, con troppo buon gas a buon prezzo, ecco le pompe di carburante da abbattere.

Perché Giulio Regeni?

Riassumiamo. Giulio Regeni, dopo aver frequentato studi di intelligence negli Usa, si arruola alla Cambridge University e, intanto lavora per due anni per Oxford Analytica, multinazionale potentissima, 4000 dipendenti in tutto il mondo, specializzata in spionaggio, specie industriale, diretta da personaggi con tratti gangsteristici come John Negroponte, inventore degli Squadroni della Morte in Nicaragua e Iraq e altri grandi bonzi dello spionaggio. Arriva in Egitto con visto turistico per sviare dal suo ruolo di ricercatore in rapporto con l’Università Americana e alla ricerca di contatti con oppositori. Trova un sindacalista che ritiene di opposizione. Ma Mohamed Abdallah è un agente dei servizi e registra una conversazione del tutto compromettente. Abdallah gli chiede soldi per la moglie ammalata di cancro, per sondarne la solidarietà umana. Regeni rifiuta e gli promette invece 10mila dollari (da quale fonte?) in cambio di un non meglio precisato “progetto”. Subito dopo, il 25 gennaio 2016, il giovane ricercatore sparisce. Ne vien ritrovato la salma, con i segni della tortura lungo uno stradone, il 3 febbraio, lo stesso giorno in cui la ministra Guidi e una serie di industriali italiani si incontrano con il presidente Al Sisi per chiuder contratti miliardari, anche relativi ai giacimenti di idrocarburi. L’università di Cambridge si avvolge nella sua tunica e tace.

A chi è convenuta questa zeppa tra i piedi dell’Egitto, risollevatosi a furor di popolo dalla tirannia integralista dei terroristi Fratelli musulmani, e del suo partner privilegiato Italia? Uno Stato dai servizi segreti più temuti della regione araba si fa scoprire con le mani nel sacco non avendo saputo disfarsi di un ingombrante cadavere? O piuttosto dei mandanti, visto che il loro delegato è stato bruciato dal controspionaggio nemico, hanno rimediato il risultato della missione – demolire il nemico dei loro amici Fratelli Musulmani – gettandolo tra i piedi di Al Sisi, concorrente importuno sia per la Libia, con Haftar, amico dei russi, sia per il gas, con Israele. Via libera a EastMed, per la soddisfazione del taffazzismo italiota e delle quinte colonne tipo “manifesto”. 

Fico, fatti una domanda e datti una risposta

Roberto Fico, che hai deciso per lo Stato italiano di rompere i rapporti tra la Camera dei Deputati italiana e quella egiziana, costringendo a rincorrerti il vero ministro degli Esteri, Moavero Milanesi, non vuoi farti una domanda e darti una risposta? Ci sono sul tavolo almeno due ipotesi, una però più fondata dell’altra. Allora, un minimo di cautela, prima di tagliare ad Al Sisi il filo delle Moire no? La tratta dei migranti che si va ad organizzare globalmente a Marrakesh con il Global Compact e la menomazione dei diritti e interessi italiani con il gioco del gas, imposto dai vampiri, tra chi è vicino e ci costa poco e chi è lontano e ci costa un botto, sono un giusto prezzo per remare contro un movimento che difende la nostra sovranità?

Quanto alla decisione della Procura di Roma di inquisire funzionari dello Stato egiziano e di pretendere un processo “entro sei mesi”, sulla base esclusivamente di illazioni scaturite da una campagna di stampa forsennata, con in testa “il manifesto”, beh, si chiama colonialismo. E quando si tratta di quella Procura, il pensiero corre a Virginia Raggi. E alla sentenza che “Mafiacapitale” non è mafia.

 

ATTAQUE CHIMIQUE TERRORISTE A ALEP : QUELLES RESPONSABILITES TURQUE, FRANCAISE ET OCCIDENTALES ?

 

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE/

Flash Vidéo Géopolitique/ Geopolitical Flash Video/

2018 11 29/
syriachemattack

Le Flash Vidéo du jour …

Le géopoliticien Luc MICHEL dans le DEBAT du 28 octobre 2018 sur PRESS TV (Iran)

J’ai débattu (débat consensuel) ce mercredi sur la Télévision d’Etat iranienne francophone des responsabilités françaises, mais aussi turques et occidentales, dans l’attaque chimique d’Alep par les djihadistes du Jabbat al-Nosra (ex al-Qaida en Syrie, aujourd’hui rebaptisé Hayat Tahrir al-Cham) …

Sources :

* Voir sur PCN-TV/

PRESS TV DEBAT AVEC LUC MICHEL :

LA FRANCE IMPLIQUEE DANS L’ATTAQUE CHIMIQUE CONTRE ALEP ?

(28 OCTOBRE 2018)

sur https://vimeo.com/303998717

* L’article sur :

« La France impliquée dans l’attaque chimique contre Alep? (débat) »

https://www.presstv.com/DetailFr/2018/11/28/581422/La-France-implique-dans-lattaque-chimique-contre-Alep

* Que dit PRESS TV :

« Les terroristes liés au Front al-Nosra (rebaptisé Hayat Tahrir al-Cham) ont pilonné plusieurs quartiers de la ville d’Alep avec des obus remplis de gaz toxique. Selon des témoins oculaires, ce sont les quartiers de la banlieue ouest d’Alep qui ont été touchés par des obus au chlore, où au moins 107 civils ont été blessés et transférés aussitôt dans deux hôpitaux de la ville.

Pour de nombreux analystes, la France semble s’être engagée sur la voie de la provocation à l’endroit de la Russie. Le ministère russe de la Défense a récemment annoncé que des preuves existaient sur la préparation des terroristes à une nouvelle attaque chimique en Syrie et plus particulièrement à Idlib.

Luc Michel, géopoliticien, intervient sur ce sujet. »

CE QU’ON SAVAIT AVANT CETTE ATTAQUE CHIMIQUE TERRORISTE :

« HAYAT TAHRIR AL-CHAM ÉQUIPE LES TERRORISTES D’ARMES CHIMIQUES. LE SPECTRE D’UNE ATTAQUE CHIMIQUE PLANAIT SUR IDLIB » (MEDIAS RUSSES)

« Les terroristes ont remis une importante quantité d’agents chimiques aux experts français pour que ces derniers les placent dans les ogives de leurs missiles », avait-on appris de sources proches de commandants des groupes terroristes opérant à Idlib dès le 24 novembre. Les terroristes du groupe Hayat Tahrir al-Cham, principalement composé par des éléments du Front al-Nosra, ont transféré, ce 21 novembre, « une nouvelle cargaison d’agents chimiques à un lieu non identifié de la province d’Idlib, en provenance de la ville d’al-Dana, dans le nord de cette province ». Les sources confirment que « cette cargaison chimique comprenait cinq bonbonnes de gaz chlore ». Le même jour, les Casques blancs (organisation proche du MI6 britannique et des réseaux de Georges Sorös) « ont découvert cinq emballages contenant des agents chimiques dans un dépôt appartenant à Hayat Tahrir al-Cham, à Kafr Nabl, à l’ouest de Maarat al-Nouman, avant de les transférer vers un autre dépôt à l’intérieur de la ville d’Idlib. Ce dépôt sous-terrain se situe près de la prison centrale d’Idlib, occupée par les éléments du Hayat Tahrir al-Cham ».

Des sources proches des commandants des groupes terroristes opérant à Idlib confirment que « les dites substances chimiques ont été remises aux experts français qui viennent d’arriver à Idlib pour modifier les roquettes dont la portée reste indéterminée. Ces roquettes, accompagnées des rampes, ont été récemment transférées à l’intérieur du territoire syrien ». Selon les mêmes sources, les experts français ont « pour mission de placer des substances chimiques et toxiques à l’intérieur des ogives de ces missiles pour que les terroristes puissent faire avancer leur scénario chimique contre l’armée syrienne ».

Bien que l’accord de cessez-le-feu, signé à Sotchi entre les présidents russe et turc, prévoie le retrait des terroristes de Hayat Tahrir al-Cham de la zone démilitarisée à Idlib, ce groupe refuse non seulement de partir, mais en plus « il fournit des substances chimiques aux terroristes de Daech et d’autres groupes terroristes opérant sur divers fronts de la province d’Idlib. En réalité, Hayat Tahrir al-Cham se sert du cessez-le-feu pour se préparer à mener des attaques chimiques ».

A Hama, « une attaque chimique est en préparation ». « Des substances chimiques ont été transférées par les terroristes du Front al-Nosra et du Parti du Turkestan dans les zones démilitarisées à Hama en Syrie ». Les Casques blancs, eux aussi, « collaborent avec Hayat Tahrir al-Cham pour déplacer des cargaisons de chlore et de sarin à travers la zone démilitarisée à Idlib pour les remettre aux autres groupes terroristes opérant dans le nord et le nord-ouest de Hama, dans le nord-est d’Idlib et le nord-est de Lattaquié ». Les Casques blancs sont une organisation terroriste « qui contribue largement au renforcement des terroristes depuis 2013 », disent les médias russes. « Cette organisation, qui prétend aider les civils syriens, est financée par le Royaume-Uni et les Etats-Unis ». Les Casques blancs et les éléments du Hayat Tahrir al-Cham « disposent de moyens logistiques nécessaires à une attaque chimique dans l’objectif d’en lancer une à tout moment à Alep, à Hama ou à Idlib pour ainsi imputer la responsabilité de l’attaque à l’armée syrienne. De tels scénarios chimiques visent à rendre le terrain propice à une agression militaire de l’Occident contre le territoire syrien ».

QUELLE RESPONSABILITE DE PARIS :

« LES EXPERTS FRANÇAIS SONT IMPLIQUÉS DANS L’UTILISATION DE SUBSTANCE CHIMIQUE DANS LES MISSILES D’AL-NOSRA » (FARS NEWS)

Des sources proches des commandants des groupes armés opérant à Idlib ont annoncé que « les terroristes ont livré une grande quantité de substances chimiques aux experts français afin que ces derniers les mettent dans leurs missiles. » La coalition Hayat Tahrir al-Cham, dont le Front al-Nosra est le principal membre, « a transféré de nouveau des substances chimiques vers le nord de la Syrie », a rapporté le jeudi 22 novembre ‘Fars News’. Cette fois-ci, Hayat Tahrir al-Cham « a transféré sous haute sécurité une nouvelle cargaison de substances chimiques de la ville d’al-Dana dans le nord d’Idlib vers un endroit inconnu dans cette province », a ajouté ‘Fars News’. Selon des sources dignes de foi dans le Rif d’Idlib, « cette cargaison comprend cinq bonbonnes de gaz chlore ».

Interfax (Russie) a rapporté de son côté ce 22 novembre que « les terroristes des Casques blancs ont transféré hier cinq colis de substances chimiques toxiques d’une usine appartenant au Front al-Nosra, située dans la cité de Kfar Nabl à l’ouest de la ville de Maarat al-Numan, vers une autre usine dans la ville d’Idlib ». Cette usine est construite sous le sol à proximité de la prison centrale d’Idlib, qui est occupée par les terroristes d’al-Nosra. Des sources proches des commandants des groupes armés opérant à Idlib ont annoncé que « les paquets en question avaient été livrés aux experts français dans une usine souterraine ».

Les experts français sont, eux,  « récemment arrivés à Idlib pour modifier des missiles dont la portée est inconnue. Ces missiles et leurs rampes de lancement ont été récemment transférés en Syrie », ont ajouté ces sources. « Ces experts ont l’intention de mettre des substances chimiques dans les ogives de ces missiles afin de les utiliser contre l’armée syrienne ».

Depuis la conclusion de l’accord de Sotchi sur Idlib, conclu entre la Russie et la Turquie (et où la duplicité d’Erdogan s’étale), le groupe terroriste Front al-Nosra, « au lieu de quitter la zone démilitarisée, a fourni des substances toxiques à Daech et à d’autres groupes terroristes présents dans divers endroits de la province d’Idlib, notamment aux alentours de la zone démilitarisée ». Le Front al-Nosra a en effet « violé le cessez-le-feu instauré dans la zone démilitarisée en préparant des attaques chimiques ».

Tout cela avec la complicité de Londres et de Paris. Les Casques blancs « coopèrent avec le Front al-Nosra. Ils ont mis des cargaisons de gaz chlore et sarin à la disposition des autres groupes terroristes opérant dans différents endroits de la zone démilitarisée, dans les rifs nord et ouest de Hama, le rif nord-est d’Idlib et le rif nord-est de la province de Lattaquié ». Les Casques blancs sont des éléments d’un groupe terroriste soutenu par le Royaume-Uni et les États-Unis. Depuis 2013, « ils jouent un rôle important dans le soutien apporté aux terroristes, tout en prétendant secourir les civils ». Les Casques blancs et les éléments du Front al-Nosra « tentent d’accuser l’armée syrienne d’une attaque chimique qu’ils auront eux-mêmes mise en scène ». A noter que le chef d’état-major des armées de la France, le général Lecointre, proche du Pentagone, a averti qu’elle attaquerait la Syrie si cette dernière utilisait des armes chimiques.

QUELLE RESPONSABILITE D’ANKARA :

« A ALEP LES EXPERTS TURCS DE CONNIVENCE AVEC LE FRONT AL-NOSRA » (PARS TODAY)

Des experts turcs en armes chimiques et biologiques se sont rendus dans les zones du nord-ouest d’Alep qui ont été frappées le 25 novembre par une attaque chimique du Front al-Nosra. Le groupe terroriste du Front al-Nosra a mené une attaque chimique dans la ville d’Alep, un drame qui a provoqué une centaine de cas d’asphyxie et entraîné dimanche des raids de représailles de l’allié russe. Des sources proches des insurgés, qui ont requis l’anonymat, ont fait état de « l’arrivée dans les zones frappées d’une équipe d’experts en armes chimiques et biologiques en provenance de Turquie. Ils ont été accueillis pendant 24 heures dans un motel par les membres d’al-Nosra », ont-elles annoncé. L’objectif de leur mission serait d’éliminer toutes les traces d’une attaque chimique autour du village de Barakiyat al-Arman avant l’arrivée de l’équipe de l’Organisation pour l’interdiction des armes chimiques (OIAC).

Ces mêmes sources ont demandé à ce que « des positions fermes soient prises à l’encontre du Front al-Nosra », qui est en litige avec la coalition du Front de libération nationale (FNL) soutenue par la Turquie. Depuis l’accord de Sotchi sur la zone démilitarisée à Idlib, le Front al-Nosra ne s’est pas retiré de la région et continue de fournir des substances chimiques mortelles à Daech et d’autres groupes terroristes étrangers. Des sources d’information ont rapporté que « les terroristes d’al-Nosra auraient transféré 50 missiles trafiqués par les experts français dans une base près de la prison centrale d’Idlib » (nord-ouest de la Syrie). « Des dizaines de missiles seraient à la disposition du groupe terroriste Ajnad al-Kavkaz dans le rif sud-est d’Idlib, et du groupe Jaich al-Izza dans le district de Kafr Zita au nord-ouest de Hama. Plusieurs autres auraient été transférés au groupuscule Tanzim Hurras al-Din dans la ville de Murak, au nord de Hama » …

# LES ANALYSES DE REFERENCE SUR

LUC MICHEL’S GEOPOLITICAL DAILY :

* GUERRE MEDIATIQUE OCCIDENTALE EN SYRIE :

LES PROVOCATIONS AUTOUR DES SOI-DISANT ARMES CHIMIQUES SONT DE RETOUR !

sur http://www.lucmichel.net/2018/08/28/luc-michels-geopolitical-daily-guerre-mediatique-occidentale-en-syrie-les-provocations-autour-des-soi-disant-armes-chimiques-sont-de-retour/

* L’EMISSION QUI COMPLETE L’ANALYSE :

LA SYRIE, LA RUSSIE ET LES SOI-DISANT ‘ARMES CHIMIQUES’

(GUERRE MEDIATIQUE OCCIDENTALE EN SYRIE II)

sur http://www.lucmichel.net/2018/08/29/luc-michels-geopolitical-daily-lemission-qui-complete-lanalyse-la-syrie-la-russie-et-les-soi-disant-armes-chimiques-guerre-mediatique-occidentale-en/

(Sources : Interfax – Fars News – Pars Today – Interfax – Press TV – PCN-TV –EODE Thk Tank)

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE

(Flash Vidéo Géopolitique/

Complément aux analyses quotidiennes de Luc Michel)

* Avec le Géopoliticien de l’Axe Eurasie-Afrique :

Géopolitique – Géoéconomie – Géoidéologie – Géohistoire –

Géopolitismes – Néoeurasisme – Néopanafricanisme

(Vu de Moscou et Malabo) :

PAGE SPECIALE Luc MICHEL’s Geopolitical Daily

https://www.facebook.com/LucMICHELgeopoliticalDaily/

________________

* Luc MICHEL (Люк МИШЕЛЬ) :

WEBSITE http://www.lucmichel.net/

PAGE OFFICIELLE III – GEOPOLITIQUE

https://www.facebook.com/Pcn.luc.Michel.3.Geopolitique/

TWITTER https://twitter.com/LucMichelPCN

* EODE :

EODE-TV https://vimeo.com/eodetv

WEBSITE http://www.eode.org/

TAV, NO GRAZIE

http://www.controsservatoriovalsusa.org/166-tav-no-grazie-appello

Controsservatorio Valsusa. Presidiare la Democrazia

Dieci cittadine e cittadini torinesi del mondo accademico, del lavoro, della cultura e della scienza hanno promosso un appello in cui vengono individuate le priorità e le scelte che possono risollevare la città e il paese dal declino e dalla crisi.
Il documento richiama le ragioni dell’opposizione al progetto TAV Torino-Lione e si conclude con l’invito a partecipare alla manifestazione di Sabato 8 Dicembre 2018.
All’appello hanno aderito in poche ore, insieme a centinaia di cittadine e cittadini torinesi delle più diverse estrazioni, anche personalità di rilievo nazionale. Di seguito il testo dell’appello e le prime 100 adesioni


TAV, no grazie

La Nuova Linea Ferroviaria Torino-Lione è stata progettata quasi 30 anni fa per far fronte a un aumento di traffici definito insostenibile e rivelatosi, negli anni, in costante calo. Da allora tutto è cambiato (sul piano delle conoscenze dei danni ambientali, nella situazione economica, nelle politiche dei trasporti, nelle prospettive dello sviluppo) e oggi essa viene confermata con motivazioni ancora più inconsistenti, sostenuta con slogan tanto suggestivi quanto impropri, imposta senza tenere in alcun conto la volontà e i diritti delle popolazioni interessate.

Ridotta di fatto al solo tunnel di 57 km sotto il Moncenisio, la Torino-Lione non aprirebbe nuovi orizzonti continentali di traffico ma sostituirebbe semplicemente l’attuale collegamento tra Italia e Francia, utilizzato per meno di un quarto delle sue potenzialità. Non migliorerebbe la situazione ambientale ma, con uno scavo ventennale in una montagna a forte presenza di amianto e con i connessi ingenti consumi energetici produrrebbe un inquinamento certo, a fronte di un recupero successivo del tutto incerto (mentre gli obiettivi internazionali per contenere il mutamento climatico globale richiedono una drastica riduzione delle emissioni nell’immediato). Inciderebbe in maniera ridotta, date le brevi percorrenze dei traffici commerciali tra Italia e Francia, sulla riduzione dei Tir in autostrada, che si otterrebbe invece, in tempi brevi e a costo pubblico zero, con politiche tariffarie mirate a incentivare lo spostamento su rotaia e a penalizzare quello su strada. Creerebbe lavoro in misura modesta dato che le grandi opere sono investimenti ad alta intensità di capitale e a bassa intensità di mano d’opera (con pochi posti di lavoro per miliardo investito e per un tempo limitato) mentre gli interventi diffusi di riqualificazione del territorio e di aumento dell’efficienza energetica – di cui il Paese ha un disperato bisogno – producono un’alta intensità di manodopera a fronte di una relativamente bassa intensità di capitale (con creazione di più posti di lavoro per miliardo investito e per durata indeterminata).

La realizzazione della nuova linea avrebbe costi ingenti (per la costruzione di 10 metri occorrono 1.587.120 euro, oltre un milione e mezzo!) che graverebbero sulla collettività a scapito del soddisfacimento di bisogni fondamentali (scuole, ospedali, welfare, trasporti pubblici efficienti e via elencando). Inoltre i lavori del tunnel sotto il Moncenisio non sono ancora iniziati (a differenza di quanto sostenuto da una martellante campagna di stampa che confonde il tunnel con opere geognostiche finalizzate ad analizzare le caratteristiche della montagna eventualmente da scavare) e, in caso di rinuncia all’opera, non sono previste penali (come hanno infine riconosciuto gli stessi promotori).

Torino e il Paese hanno bisogno di ben altro per risollevarsi dal declino e della crisi in atto (una crisi che, a Torino, ha distrutto, non per caso ma per insipienza e incapacità, un quarto della struttura industriale e della connessa occupazione). Hanno bisogno di una accurata messa in sicurezza del territorio, di una rete di trasporti pubblici efficienti, di un rilancio produttivo in settori strategici e mirati, consapevole che il progresso non si identifica con macchine, cemento, velocità, ponti e gallerie. Hanno bisogno di sostituire il sistema che ha prodotto il declino (e che propone, per uscirne, le stesse ricette che lo hanno determinato) con una stagione fondata sull’innovazione, sulla creatività, sull’impegno di operatori capaci di investire sul futuro e sulle proprie capacità invece di pietire eventi e opere quali che siano purché alimentino flussi di denaro concessi da Roma o dall’Europa.

Le risorse non sono illimitate e occorre scegliere.

Il progetto sottostante al Tav Torino-Lione è parte della crisi, non la sua soluzione. Dire di no alla sua realizzazione significa tutelare l’ambiente e la salute e, insieme, aprire un nuovo capitolo di ripresa sobria, sostenibile e duratura.

Per questo aderiamo alla manifestazione No Tav di Torino dell’8 dicembre

Torino, 3 dicembre 2018

Alessandra Algostino (costituzionalista, Università di Torino)
Linda Cottino (giornalista di montagna e di viaggio)
Elisabetta Grande (giurista, Università del Piemonte orientale)
Edi Lazzi (segretario provinciale Fiom Torino)
Luca Mercalli (climatologo e giornalista scientifico) 
Valentina Pazè (docente di filosofia politica, Università di Torino)
Livio Pepino (già magistrato, direttore Edizioni Gruppo Abele)
Teresa Piergiovanni (studentessa, presidente del Consiglio degli studenti, Università di Torino) 
Marco Revelli (storico e politologo)
Ugo Zamburru (psichiatra, Caffè Basaglia, Torino) 

Prime adesioni:

Margherita Accornero (studentessa, consigliera d’Amministrazione presso Cda EDISU, Torino)
Marco Aime (Università di Genova)
Giorgio Airaudo (Fiom Torino) 
Cristina Alziati (poetessa e traduttrice)
Ugo Annona (studente, consigliere presso Assemblea regionale per il diritto allo studio, Torino)
Giorgio Barberis (Università del Piemonte orientale)
Federico Bellono (Fiom Torino)
Cesare Bermani (storico)
Ezio Bertok
 (coordinatore Centro di documentazione Emilio Tornior)

Chiara Bertone (Università del Piemonte orientale)
Piero Bevilacqua (storico e saggista, Officina dei Saperi, Roma)
Maria Luisa Bianco (Università del Piemonte orientale)
Sandra Bonsanti (giornalista e scrittrice) 
Luigi Botta (studente, consigliere presso Cda Università Torino)
Michelangelo Bovero (Università di Torino)
Roberto Burlando (Università Torino)
Sandro Busso (Università di Torino)
Grazia Caligaris (presidente Circolo Maurice Lgbtq)
Enrico Camanni (scrittore, giornalista e alpinista)
Claudio Cancelli (Politecnico di Torino) 
Stefano Capello (coordinatore CUB Piemonte)
Massimo Carlotto (scrittore)
Mario Cavargna (presidente di Pro Natura Piemonte)
Marina Clerico (Politecnico di Torino)
Vittorio Cogliati Dezza (ambientalista)
Valeria Cottino (architetta, Torino)
Amedeo Cottino (Università di Torino)
Gastone Cottino (Università di Torino, già preside della Facoltà di Giurisprudenza)
Chiara d’Adamo (studentessa, consigliera presso Senato Accademico Politecnico Torino)
Erri De Luca (scrittore)
Vezio De Lucia (urbanista)
Danilo De Marco (fotoreporter)
Giuseppe De Marzo
 (economista, coordinatore della Rete dei Numeri Pari, Roma)

Emilio Delmastro (segretario Pro Natura Piemonte)
Angela Dogliotti (presidente Centro Culturale Sereno Regis, Torino)
don Michele Dosio
Fabio Dovana (presidente Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta)
Piergiorgio Duca (Università di Milano, presidente di Medicina democratica)
Vincenzo Enrichens (avvocato, Torino)
Sebastiano Ferrero (studente, consigliere presso Assemblea regionale per il diritto allo studio, Torino)
Jacopo Fo (scrittore, attore e regista)
Chiara Foà (insegnante, Torino)
Sergio Foà (Università di Torino)
Mauro Furlani (presidente Federazione nazionale Pro Natura)
Nadia Fusini (scrittrice e critica letteraria)
Daniele Gaglianone (regista)
Daniel Gallano (studente, consigliere presso Senato Accademico Università Torino)
Enrico Garello (studente, consigliere presso Cda Università Torino)
Elio Germano (attore)
Piero Gilardi (scultore, direttore artistico del Parco Arte Vivente di Torino)
Paul Ginsborg (storico)
Valter Giuliano (giornalista e ambientalista)
Sabina Guzzanti (attrice e regista)
Pino Iaria (esecutivo Cobas Torino)
Roberto Lamacchia (avvocato, Torino)
Domenico Lucano (sindaco di Riace) 
Alberto Lucarelli (Università di Napoli)
Paolo Maddalena (giurista, già vicepresidente della Corte costituzionale)
Alessandro Mancuso
 (studente, consigliere presso Senato Accademico Politecnico Torino) 

Franco Marcoaldi (poeta) 
Giacomo Marramao (Università di Roma Tre) 
Enzo Martino (avvocato, Torino)
Valerio Mastandrea (attore e regista)
Giuseppe Mastruzzo (direttore dell’International University College of Turin)
Ugo Mattei (Università di Torino e Università della California)
Luca Mirabile (studente, consigliere presso Senato Accademico Università Torino)
Tomaso Montanari (storico dell’arte, presidente Libertà e giustizia)
Andrea Morniroli (operatore sociale, cooperativa Dedalus, Napoli) 
Gabriele Moroni (presidente Arci Piemonte)
Marta Morra
 (studentessa, consigliera presso Senato Accademico Università Torino)

Alessandro Mortarino (cofondatore Forum nazionale “Salviamo il paesaggio”)
Roberto Musacchio (già parlamentare europeo)
Anna Nadotti
 (traduttrice)
Luca Nivarra
 (Università Palermo)
don Fredo Olivero

Francesco Pallante (Università di Torino) 
Giovanni Palombarini (già magistrato, avvocato generale presso Corte di cassazione, Padova)
Claudio Papalia (Trancemedia.eu)
Pancho Pardi
 (Università Firenze)
Riccardo Pavia
 (geologo, Torino)

Luca Vito Perazzone (presidente MAG4 Piemonte – Finanza etica e economia solidale),
Tonino Perna (Università di Messina e Reggio Calabria)
Riccardo Petrella (Università cattolica di Lovanio – promotore dell’Agora degli Abitanti della Terra)
Gilberto Pezzoni (coordinamento USB Piemonte)
Anna Pizzo (giornalista)
Alberto Poggio (Politecnico di Torino)
Andrea Polacchi (presidente Arci Torino)
Alessandra Quarta
 (Università di Torino)

Gianfranco Ragona (Università di Torino)
Christian Raimo (insegnante e scrittore)
Andrea Ranieri (sindacalista e politico)
Michele Riondino
 (attore)

Tiziana Ripani (Trancemedia.eu)
Guido Rizzi
 (Politecnico di Torino)

Marco Rondina (studente, consigliere presso Cda Politecnico Torino)
Jacopo Rosatelli (insegnante, giornalista e scrittore, Torino)
Carla Maria Ruffini (Università Invisibile, Reggio Emilia) 
Federico Salvatore (studente, consigliere presso Senato Accademico Università Torino)
Luigi Saragnese (insegnante e saggista)
Matteo Saudino
 (insegnante, Torino)
Patrizia Sentinelli
 (presidente Altramente)

Giuseppe Sergi (Università di Torino)
Salvatore Settis
 (archeologo e storico dell’arte)

Sergio Simonazzi (Università invisibile, Reggio Emilia)
Daniela Steila (Università di Torino, presidente Unione Culturale Franco Antonicelli)
Pierluigi Sullo (giornalista)
Francesca Tampone (studentessa, consigliera presso Assemblea regionale per il diritto allo studio, Torino)
Angelo Tartaglia (Politecnico di Torino)
Gianni Tognoni (medico, segretario Tribunale permanente dei popoli)
Sergio Ulgiati (professore di analisi del ciclo di vita Università Parthenope Napoli e Università Pechino) 
Margherita Vaccaneo (studentessa, consigliera presso Comitato Paritetico per Didattica Politecnico Torino)
Wu Ming (scrittori)
Alessandro Zianni (studente, consigliere presso Senato Accademico Università Torino)

Dopo la pubblicazione dell’appello al raggiungimento delle 100 firme sono arrivate centinaia di adesioni. Tra le ultime arrivate segnaliamo:
Roberto Albano (sociologo, Università di Torino),  Marco Caldiroli (Presidente Medicina Democratica), Massimo Zucchetti(Politecnico di Torino), Furio Chiaretta (giornalista di montagna), Valentina Rappazzo (Politecnico di Torino), Domenico Gattuso(Università Mediterranea di Reggio Calabria), Paolo Mottana (Università di Milano Bicocca), Giovanni Del Ponte (scrittore), Roberto Perdoncin (Gruppo Cattolici per la Vita della Valle), Alberto Ziparo (urbanista, Università di Firenze), Lorenzo Armando(editore), Luciana Castellina (già europarlamentare)

IRAK 2018. LA FAILLITE DE LA STRATEGIE AMERICAINE

 

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE/

Flash Vidéo Géopolitique/ Geopolitical Flash Video/

2018 11 30/vignette LMirak

Le Flash Vidéo du jour …

Le géopoliticien Luc MICHEL (en Duplex audio depuis Addis-Abeba) dans REPORTAGE du 29 novembre 2018 sur PRESS TV (Iran)

J’ai analysé pour la Télévision d’Etat iranienne francophone la situation en Irak, où la stratégie américaine (élaborée par les idéologues neocons du Régime Bush II dans les Années 2001-2003 et suivie par les administrations Obama et Trump) est en faillite …

Sources :

* La Video sur PCN-TV/

PRESS TV (IRAN) INTERROGE LUC MICHEL :

IRAK. LA FAILLITE DE LA STRATEGIE AMERICAINE

Sur https://vimeo.com/304002588

* L’article sur :

« Les USA cherchent à venger Daech. Sanctions US contre les deux principaux piliers des Hachd al-Chaabi »

https://www.presstv.com/DetailFr/2018/11/29/581517/Les-USA-cherchent–venger-Daech

* Les interrogations de PRESS TV (la Télévision d’Etat iranienne francophone) :

« Le Congrès américain a finalisé, le mardi 27 novembre, un projet de loi sanctionnant et gelant les fonds des membres des mouvements de deux groupes qui font partie des Unités de mobilisation populaire (Hachd al-Chaabi), lesquelles ont soutenu les forces gouvernementales irakiennes dans la lutte contre le groupe terroriste Daech.

Les unités des Hachd al-Chaabi ont été officiellement intégrées aux forces de sécurité irakienne l’année dernière, après la défaite des terroristes de Daech sur le sol irakien.

Quelle signification peut avoir l’adoption de sanctions contre les deux principaux piliers des Hachd al-Chaabi, qui ont joué un rôle crucial dans l’éradication de Daech et dans l’élimination de la menace terroriste en Irak ?

Luc Michel, géopoliticien, partage son analyse sur ce sujet. »

COMMENT EN EST-ON ARRIVE LA ?

UN SIECLE DE POLITIQUE ANGLO-SAXONNE CONTRE L’IRAK …

Le Géopoliticien Luc MICHEL nous dit que « le dossier irakien est un cas exemplaire de la façon dont la géopolitique se construit et s’analyse sur des cycles longs ». « Le chaos irakien de 2018 est l’aboutissement d’un cycle géopolitique qui a tout juste un siècle.

Ou comment l’Irak a émergé des ruines de l’Empire ottoman pour finir détruit entre 1991 et 2003 sous les coups de la superpuissance américaine » …

* Voir la Video de référence sur EODE-TV/

 LUC MICHEL :

IRAK – DEPUIS 2003, QUELLE PLACE DANS LA GEOPOLITIQUE MONDIALE ? (08 JUIN 2018)

Sur https://vimeo.com/279359108

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE

(Flash Vidéo Géopolitique/

Complément aux analyses quotidiennes de Luc Michel)

* Avec le Géopoliticien de l’Axe Eurasie-Afrique :

Géopolitique – Géoéconomie – Géoidéologie – Géohistoire –

Géopolitismes – Néoeurasisme – Néopanafricanisme

(Vu de Moscou et Malabo) :

PAGE SPECIALE Luc MICHEL’s Geopolitical Daily

https://www.facebook.com/LucMICHELgeopoliticalDaily/

________________

* Luc MICHEL (Люк МИШЕЛЬ) :

WEBSITE http://www.lucmichel.net/

PAGE OFFICIELLE III – GEOPOLITIQUE

https://www.facebook.com/Pcn.luc.Michel.3.Geopolitique/

TWITTER https://twitter.com/LucMichelPCN

* EODE :

EODE-TV https://vimeo.com/eodetv

WEBSITE http://www.eode.org/

TUTTO IL POTERE ALLE ONG. TUTTI I SOLDI DAL TRILIARDARIO SOROS.—– MARRAKESH, GLOBAL COMPACT PER UN COLONIALISMO ARMA FINE DEL MONDO

http://fulviogrimaldi.blogspot.com/2018/12/tutto-il-potere-alle-ong-tutti-i-soldi.html

MONDOCANE

SABATO 1 DICEMBRE 2018


Salvini come Caligola e Nerone

Ogni tanto può anche succedere l’incredibile. Che Salvini, per quanto oberato degli stereotipi delle Ong, degli accoglitori universali e del loro organetto sorosiano “il manifesto”, possa dire una cosa giusta. E’ successo anche a Hitler, quando ha detto “bravo” al suo pastore alsaziano, a Hillary Clinton quando ha ammesso di aver creato Al Qaida, a Caligola quando, a un senato di strozzini e latifondisti, ha imposto un cavallo, a Nerone quando ha cantato una ballata sulle fiamme che toglievano di mezzo la parte più fatiscente, paludosa e ammorbata della capitale. Al “capitano” della Lega, rappresentante del business nelle sue forme più vampiresche nel governo detto gialloverde, è occorso poche volte, ma significative: quando è intervenuto contro i sicari marittimi della migrazione forzata, chiamati Ong; quando ha fatto “cento” per demolire la legge dell’ammazzavecchietti Fornero; e quando ha detto a Marrakesh, al Global Compact Migration, non ci andiamo. 

Non ci sarei andato neanch’io. Sono d’accordo per non andarci moltissimi Cinque stelle del Parlamento e del territorio. Salvo quel nuovo Pizzarotti che è Roberto Fico, ora spesosi anche per l’imbroglio Regeni. Rifiutano paesi intesi come democratici, tipo Svizzera, Austria, Cechia, la stessa Ungheria della quale, prima di ripetere le calunnie dei risentiti dall’espulsione della banda Soros da quel paese, va constatato sul luogo di quanta stampa d’opposizione ci sia e di quanto regolari siano le elezioni. Tutti razzisti, xenofobi, sciovinisti? Troppo facile, ragazzi. Aderiscono al Compact – già quel termine (non vi ricorda niente; magari un cappio che ci si stringe al collo da quando c’è l’euro?) – Russia e Cina? Me’ cojoni! Non credo che si tratti di paesi sui quali si riverserà lo tsunami di 250 e passa milioni che, secondo l’ONU, hanno già il fagotto in spalla. Se lo possono permettere. E poi, che facciamo, ne subiamo l’input? lo Stato Guida, la Chiesa Madre, l’editore geopolitico di riferimento sono conforti che lasciamo ai nipotini sopravvissuti di Cossutta.

A Marrakesh, dove se no?

E’ una vera zozzeria, quella che verrà lanciata dal Marocco, a incoraggiamento particolare, dicesi push factor, dei marocchini che, sotto il tacco ferrato di una monarchia democratica più o meno alla saudita, si vedono offerta un’Europa delle libertà, licenze e compiacenze. Come questi, tutti i Sud del mondo, in fuga perchè il nostro modello di vita, lavoro, economia, ecologia, gli ha sottratto il loro, quello nel quale erano sistemati da secoli, a volte millenni. Si tratta dell’universalizzazione, sulla base del consenso di 192 governi (non paesi), della più feroce arma di dominio imperial-colonialista inventata dalle élites dopo quella dell’ “evangelizzazione”. Basta vedere quali lo sostengono, di amici del giaguaro, e quali si tira dietro, di utili idioti. Tutti nemici dichiarati di quello che, considerandolo un’ ingiuria, chiamano “sovranismo” e che non è altro che il primo diritto dell’uomo e di ogni comunità, l’autodeterminazione. Nel Sud conquistata dopo secoli di schiavitù e ora riaggredita dagli stessi di prima.

L’ONU e gli altri: l’Esercito della Salvezza
Il padrino del progetto che vuole unificare – seppure senza vincoli, su base volontaria (ahahah: aspetta di vedere cosa ti capita in termini di riprovazione ed ostracismo se sgarri!) – la gestione del fenomeno “strutturale” (copyright Mattarella. Ti pare che poteva mancare?) è dunque l’ONU. Che è, alla faccia dei progressisti, che gli attribuiscono terzietà e di quelli addormentatisi settant’anni fa, l’artiglio geopolitico degli Stati Uniti e di coloro, in alto, nell’ombra, che degli Usa fanno buon uso. Ricordare i nulla osta, la partecipazione diretta, o il silenzio-assenso per Vietnam, Jugoslavia, Grenada, Panama, Cile, Afghanistan, Iraq, Libia, Siria, Somalia, Yemen….. Senza parlare delle cosiddette “missioni di peacekeeping”, formula neocoloniale mascherata, di solito mirata a impedire la vittoria del giusto e a cui partecipiamo in forze, anche col “governo del cambiamento”. Mal gliene incolse a quei due segretari, Waldheim e Boutros Ghali, che tentarono di divincolarsi dalle camicie di forza a stelle e strisce e a stella di David.

Insieme all’ONU, che è la testa di legno che è, si sono lanciati a capofitto nella promozione dell’impresa l’Atlantic Council, un covo di generaloni i cui quarti di nobiltà sono la totale adesione al verbo neocon della conquista del mondo a forza di guerre; l’UE a propulsione franco tedesca: che gli frega, l’esercito industriale di riserva siriano se lo sono già creato e mo’ basta: tocca ai mandolinari del Meridione; il WTO e il FMI che già si leccano i baffi sui succhi di frutta (di coltan, petrolio, oro, eroina…) che potranno succhiare da posti come Honduras, Congo, Afghanistan. 

Avremo i canali legali, con cui i governi sosterranno linee di navigazione e di volo, Caritas e Santi Egidi, e quelli privatizzati, in sinergia tra push factor alla partenza e pull factor all’arrivo, in entrambi i casi Ong (quasi tutte, tranne quelle dei dilettanti allo sbaraglio di cui abbiamo visto recentemente gli effetti in Kenya, a libro paga di governi e Soros), con in mezzo gli spalloni di merce umana, tutti dotati di mezzi al coltan per l’interconnessione di rete.

A che serve il Global Compact?


Del Global Compact dicesi che serve a regolare i flussi e far condividere dai firmatari mezzi, principi e oneri. Tutto questo era già iscritto in vari accordi all’interno dell’UE. Con i risultati che conosciamo Per alcuni servirebbero a rimpolpare le zone che i governi hanno desertificato, rianimare i borghi distrutti dal terremoto e abbandonati per mancata ricostruzione, a fornire manodopera a basso costo, sicuramente costo di dignità, sicurezza e anche vita, al grande capitale agroalimentare e della distribuzione, a dare a Baobab e simili il pretesto per tenere in condizioni allucinanti gente disperata, a cui si consiglia di non farsi intrappolare dalle offerte di alloggi regolari della sindaca Raggi.

Per coloro che pensano e gestiscono questa cosa è inutile, ma ai buoni, gonzi e moralmente ipovedenti vorremmo suggerire, per una sola santa volta, di astenersi dall’occuparsi delle cose vicine, in basso,degli effetti, e di levare lo sguardo alle cose lontane, in alto,alle cause. Sapete cosa ha scritto uno sull’inserto del “manifesto”? Che siccome in Africa e in Europa, quindi in Italia, ormai l’industria agroalimentare s’è presa tutte le terre fertili, ne ha allontanato i contadini finiti nelle suburbanità, ne trae, a forza di fertilizzanti ed erbicidi tossici, superproduzioni per l’esportazione, ecco che le genti che, in Africa, ma anche in Asia, hanno perso habitat e relativo sostentamento, radici, comunità, cultura, civiltà, possono venire da noi a valorizzare le terre abbandonate e inaridite. Chè, tra economia salvambiente di montagna abbandonata e lande terremotate lasciate lì, ne abbiamo tante.

Strutturale la migrazione, o il colonialismo?

Allora ecco che il discorso sul Global Compact Migrazioni rivela il suo sottofondo strategico. Del tutto parallelo a quello che dice “dove non puoi sgomberare, a forza di terroristi e bombe, territori ricchi di risorse e utili per le rotte di merci e persone, fai muovere il culo ai sedentari, nel senso di seduti su quanto occorre a noialtri per mandare avanti il business e il dominio. Terre del cibo, nostro monopolio, dei minerali, nostro monopolio, dell’acqua, dell’energia, dei tubi, tutti nostri monopoli. Come lo fai? Prima ti compri i governi di partenza, a forza di trenta denari, poi quelli di arrivo a forza di regole, di Ong e di sensi di colpa per le malefatte del primo colonialismo. Con questo sistema, globale quanto tutto il resto della globalizzazione imperiale, a forza di monopolio anche mediatico sinistro-destro, convinci il colto e l’inclita che è tutto a fin di bene. Strutturale, ragazzi, non è l’emigrazione, quella è provocata a vantaggio di alcuni e a detrimento di milioni. Strutturale è il colonialismo. Implacabile da secoli, a dispetto dell’epocale sconfitta subita a metà ‘900.

Grazie a guerre dall’interno o dall’esterno, terroristi qua e là, multinazionali del cibo, delle estrazioni/costruzioni, si sposta un sacco di gente da un continente all’altro, si fa una cofana di soldi e si radono al suolo quelli che si erano azzardati a farti concorrenza. Vuoi che l’UE, cioè Merkel, Macron e il loro compare allegrotto alla testa della Commissione,che per le stesse multinazionali ha fatto del Lussemburgo un porto franco, esentasse, non vi vogliono a Marrakesh. Vuoi che il papa non benedica il tutto.

In coincidenza con le pazze feste delle Ong per il Compact, delle celebrazioni a televisioni ed edicole unificate, sono usciti nuovi fiancheggiatori. Ora abbiamo anche, con tanto di paginone comprato sui giornale, le “Famiglie Accoglienti”, nuovo virgulto spontaneo nato a fianco dei sempre più rigogliosi virgulti dell’Open Society Foundation di George Soros che, con lieto ossimoro, titola il suo inno all’integrazione “Più accoglienza= Più sicurezza”. La mafia nigeriana che si sta prendendo tutto lo spaccio e tutta la prostituzione in Italia ne è garante. La manovalanza a casa sua faceva il contadino, ma anche l’infermiere, l’operaio Shell, l’imam. Ora, venuto per lavorare e vivere, grazie alla nostra accoglienza, o è spiaggiato sotto la stazione di Milano, o entra in quella statistica che assicura agli stranieri (l’8,3%) una media tra il 35 e il 50% dei più gravi reati commessi nel paese.

Una ricetta per la tratta

Beneficiari dell’operazione Compact sono, nell’immediato, gli intermediari chiamati Ong. Ne parla in un libro irrinunciabile Sonia Savioli (“ONG, il cavallo di Troia del capitalismo globale”, Zambon editore). Noi, esemplificando, parliamo di quella più nota e più glorificata, Medicins Sans Frontieres. Senza frontiere anche per quanto riguarda i finanziamenti, tra i quali, quelli di Soros. I Medici senza Frontiere sono una delle tante Ong alla cui presenza in Africa è legata la pazzesca proliferazione della medicina occidentale e, con essa, quella dei farmaci. Solo in Mozambico si vantava di somministrare vaccini a 50.000 asdulti e bambini. Glaxo e Wellcome, Big Pharma, usavano gli africani come cavie per vaccini e farmaci sperimentali. Ultimamente, la livrea cucitagli addosso dai corifei si è considerabilmente macchiata: secondo la Procura dia Catania (subito la viperina reazione del “manifesto”), che ne ha sequestrato la nave “Aquarius”, ci hanno rifilato, dopo 44 sbarchi, tra il 2017 e il 2018, come “rifiuti solidi urbani”, per i quali si paga poco, 24 tonnellate di rifiuti pericolosi e infetti composti da materiale sanitario, vestiario contaminato e cibo avariato, che si sarebbero dovuto pagare molto: risparmio 460mila euro. Alla salute!

MSF sempre dalla parte giusta…

Li ho regolarmente trovati presenti nel campo fiduciato dall’Occidente. In Somalia in quello di Ali Mahdi, fantoccio messo su da Usa e UK, che insieme alla Nato combatteva Farah Aidid, il liberatore della Somalia dal despota filo-Usa Siad Barre; in Siria tra i jihadisti e gli Elmetti Fasulli Bianchi di Aleppo, dove denunciavano distruzione di ospedali poi trovati intatti dai liberatori siriani; a Misurata, sede della più sanguinaria milizia mercenaria della Nato nell’assalto alla Libia di Gheddafi. In Africa MSF erano protagonisti delle gigantesche campagne antiretrovirali: trattamento anti-Aids ampiamente screditato (“Azt”) per curare gente che aveva perso le difese immunitarie, mica per aver fatto sesso a gogò, ma per mancanza di cibo, acqua, igiene. A loro volta, i salvatori di bimbi “Save the children” (ahimè sponsor sulla maglia viola della mia Fiorentina), quelli che hanno agevolato la distruzione della Libia e il linciaggio di Gheddafi raccontando che forniva viagra ai suoi soldati, libici, perché stuprassero le donne libiche (sic!), nei campi profughi dei Rohingya, come intervenivano sulle drammatiche condizioni igieniche e sanitari? Installando docce e toilette? No, bombardando le masse con antibiotici e provvedendo a una gigantesca campagna di vaccinazioni. Oltretutto serviva a sostenere la bufala kolossal del martirio dei musulmani del Myanmar. Se Save the Children avesse speso i milioni utilizzati per non impedire che, come trent’anni fa, cinque bambini morissero di fame ogni minuto, anziché per traghettare profughi allettati dall’esilio, un tantino la mortalità sarebbe calata.

Chiamala, se vuoi, disinvoltura, tanto le emozioni dei buonisti la volteranno in eroismo, ma quella dei posizionamenti geopolitici e dei farmaci non è l’unica ombra che ne offusca il blasone. Due volte la Aquarius 2 si è fatta pizzicare per abuso di bandiera, prima di Gibilterra, poi di Panama, da cui registri marittimi ha dovuto essere cancellata, con conseguente divieto di navigare. Su tutto questo viene poi steso il velo scintillante dei numeri inverosimili e mai controllati da terzi di naufraghi salvati (o trasbordati da altre imbarcazioni???).

MSF è in Africa, in mare, in Medioriente, in Bangladesh, tra Bosnia e Croazia, dappertutto. Solo per curare e far trasmigrare? Dopo lo scandalo degli abusi sessuali dell’Oxfam, qualcosa si è mosse e sono venute fuori le magagne di tante altre Ong care a Soros. Per MSF, nel solo 2017, ci sono state 146 denunce di abusi di potere, discriminazioni, molestie sessuali e altri comportamenti delittuosi e l’organizzazione, licenziando alcuni suoi funzionari, ha dovuto ammettere che il fenomeno è largamente sottostimato e, aggiungiamo, anche oscurato dalla fama di eccellenza e abnegazione che a questi missionari sanitari dell’imperialismo viene attribuita. Ma poi, può un medico mentire, a rischio di provocare distruzione e morte? Non può. Perché MSF lo fa?

Il vizio di nascita, un papà guerrafondaio

Il vizio d’origine di questi negatori delle ragioni degli aggrediti e delle atrocità da loro subite e sostenitori ovunque degli interessi geostrategici occidentali, sta nel fatto che vennero fondati da Bernard Kouchner, promotore della guerra alla Jugoslavia, ministro degli Esteri di Sarkozy, sostenitore dell’imperialcolonialismo francese in Africa. Cos’altro ci si poteva aspettare? E’ così difficile immaginare che il suo operare nel Mediterraneo, come quello di tutte le altre Ong, serva a rafforzare le aspettative, le illusioni, di gente che la guerra innescata o il modello di “sviluppo” predatore imposto dall’Occidente costringe a lasciare la terra, la comunità, la Storia, la patria, il SUO jus soli? Come scrive Sonia Savioli nel suo straordinario libro: “Una trasformazione globale, complessiva dell’Africa in zona agricolo-industriale del capitalismo mondiale è ciò che queste e molte altre Ong si stanno sforzando di facilitare”. Il Global Compact Migration, non per nulla allestito in Africa, ne è l’apoteosi. E Roberto Fico, che si risente dell’assenza dell’Italia da Marrakesh, come del presunto assassinio egiziano di Regeni, o non ha capito niente. O è l’ennesima quinta colonna insereita in un movimento antisistema.

L’ultima della notte è, ovviamente dal “manifesto”, il grido di dolore per accogliere la “Nuestra Madre Loreto”, nave spagnola che ha preso a bordo 12 migranti e rifiuta di sbarcarli in Libia, nota porta dell’inferno secondo la mitologia dei filo-Ong. Lo firmano europarlamentari nella lista dei fiduciari di Soros, come Sergio Cofferati, Elly Schlein e altri.

Ultimissima invece è di altro segno. Un missionario statunitense, penetrato nei territori di una tribù isolata nell’arcipelago indiano delle Andamane, per convertirla al cristianesimo al grido di “Dio vi ama”, è stato fulminato da una freccia. I suoi accompagnatori sono stati arrestati. Ci pensassero, gli africani sotto Global Compact.

 

POURQUOI LE PROJET D’INDUSTRIALISATION ET D’EMERGENCE DE LA GUINEE EQUATORIALE EST UN MODELE ALTERNATIF POUR L’AFRIQUE !?

 

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE/

Luc MICHEL pour EODE/

Quotidien géopolitique – Geopolitical Daily/

2018 12 02/

PUB LM.GEOPOL DAILY - Pub industrialisation ge (2018 12 02) FR 1

I- L’ACTU – CE DIMANCHE 1er JUILLET 2018 SUR AFRIQUE MEDIA/

DANS ‘LE DEBAT PANAFRICAIN’ AVEC LE GEOPOLITICIEN LUC MICHEL :

INDUSTRIALISATION DE LA GUINÉE ÉQUATORIALE

En direct vers 14h00 (Douala/Yaoundé/Malabo/Bruxelles/Paris/Berlin)

Multiplex de Douala – Yaoundé – Ndjaména – Bruxelles

Présentation de Bachir Mohamed Ladan

Luc Michel en multiplex EODE-TV depuis Bruxelles

Rediffusion ce lundi …

PUB LM.GEOPOL DAILY - Pub industrialisation ge (2018 12 02) FR 2

>>> Le géopoliticien Luc MICHEL :

nous expliquera sur quel projet industriel repose l’émergence de la Guinée Equatoriale, comment il a été élaboré, et pourquoi ce projet est un modèle pour toute l’Afrique …
* AFRIQUE MEDIA

Rediffusion prochaîne sur la WebTV AFRIQUE MEDIA

sur http://www.afriquemedia-webtv.org/

II – QUEL EST CE « MODELE EQUATO-GUINEEN » :

La Guinée Equatoriale est un pays en pleine émergence et un gigantesque chantier ! La Guinée Equatoriale, qui propose son modèle alternatif de développement et d’émergence, est le nouveau centre du Panafricanisme et son président Obiang Nguema Mbasogo l’héritier de Mouammar Kadhafi. Je le confirme, moi qui bien connu la Jamahiriyah. Le pays et son président ont les capacités à reprendre le flambeau du panafricanisme, après la chute de la Jamahiriya libyenne.

On connaît mal la Guinée équatoriale, pays important dans l’Afrique de l’Ouest, « nouvel eldorado pétrolier » qui entend incarner aujourd’hui un nouveau modèle de développement pour l’Afrique. Dans une Afrique qui va mal, où les interventions et les manipulations occidentales déstabilisent le continent – Libye, Mali, Centrafrique, sans oublier le « laboratoire » somalien -, la Guinée Equatoriale est un contre-exemple de stabilité. Depuis 2011, un processus de reconstruction de l’Etat et de développement de la vie démocratique de la République est en marche. Derrière toutes ces réalisations, il y a une Afrique qui gagne : celle du modèle équato-guinéen. Et l’homme qui l’a construit : le président Obiang Nguema Mbasogo.

Je souligne que la Guinée Equatoriale est un Etat en reconstruction, où un processus élaboré de développement de la vie démocratique de la république est en cours. Dans un livre pourtant très dur pour le gouvernement, Samuel Denantes Teulade évoquait déjà en 2009 à propos de Malabo la possibilité d’« un nouveau modèle de développement pour l’Afrique ». Le président Obiang Nguema, qui définit son pays comme “un état social et de droit”, développe aujourd’hui incontestablement une vision pour son pays. Ce qui lui vaut inévitablement la haine des régimes occidentaux. La Guinée Equatoriale et son président sont l’objet de la haine permanente de l’Occident, France en tête, car Obiang Nguema gêne les restes de la Françafrique, repliée sous la protection de l’Africom et de l’OTAN. Et l’empire néocolonial du Franc CFA. Campagnes de dénigrement, manœuvres de déstabilisation. Une haine qui rappelle celle qui entourait la Jamahiriya libyenne de feu Kadhafi !

C’est l’œuvre d’un homme au service de son peuple, le Président Obiang Nguema Mbasogo, l’alternative équato-guinéenne, qui sert de référence déjà notamment à son voisin camerounais. Mais la Guinée Equatoriale ce n’est pas uniquement Malabo, Sipopo ou Bata. Partout le pays émerge. Nous avons été sur les routes, au cœur du pays, dans les villages et la forêt équatoriale. Partout c’est aussi le spectacle de l’émergence : routes modernes, infrastructures, services, logements sociaux…

Comment ce modèle fonctionne-t-il économiquement et socialement ?

Par une économie dirigée, par l’argent du pétrole mis au service du développement national, par un Etat social, appuyé notamment sur une politique de grands travaux (infrastructures, logements sociaux…). Obiang Nguema Mbasogo, c’est aussi le combat pour le panafricanisme, le refus des ingérences occidentales, la défense de Kadhafi et de son héritage panafricain …

* Cfr. sur EODE THINK TANK /

ANALYSE GEOPOLITIQUE / PANAFRICANISME :

UNE ALTERNATIVE EN GUINEE EQUATORIALE

Sur http://www.eode.org/eode-think-tank-analyse-geopolitique-panafricanisme-une-alternative-en-guinee-equatoriale/

III – VOIR AUSSI SUR L’EMERGENCE DE LA GUINEE EQUATORIALE :

LES ANALYSES VIDEOS :

1-

J’ai produit deux émissions spéciales avec EODE-TV et AFRIQUE MEDIA sur le modèle équato-guinéen. J’y ai diffusé des extraits d’un film-choc de nos excellents confrères de la TV de Guinée Equatoriale intitulé « Sur le chemin de l’émergence ». On connaît hélas trop bien cette Afrique dévalorisée, où tout va mal, des médias occidentaux … Voici l’Afrique qui gagne ! Un film décoiffant, avec des images que l’Occident dissimule totalement, de la RTVGE. Celle de la réussite du modèle guinéo-équatorien. D’un gigantesque chantier où l’argent du pétrole sert le peuple et ouvre la voie de l’émergence :

* Voir sur EODE-TV & AFRIQUE MEDIA /

GRAND REPORTER (3) :

GUINEE EQUATORIALE. L’AFRIQUE QUI GAGNE (PARTIE 1. MALABO II)

Sur https://vimeo.com/118856416

* Voir sur EODE-TV & AFRIQUE MEDIA/

GRAND REPORTER (4) :

GUINEE EQUATORIALE. L’AFRIQUE QUI GAGNE (PARTIE 2. PUNTA EUROPA)

Sur https://vimeo.com/123573420

2-

J’avais abordé dès 2014 ce « modèle équato-guinéen ».

Quel est ce modèle de la Guinée Equatoriale ? Comment fonctionne-t-il économiquement et socialement ?

Mais la Guinée Equatoriale ce n’est pas uniquement Malabo ou Sipopo. Partout le pays émerge. Nous suivons cette émergence sur les routes, au cœur du pays … Nous voilà dans les villages. ET partout c’est aussi le spectacle de l’émergence : routes modernes, infrastructures, services, logements sociaux … C’est l’Etat social guinéo-équatorien !

* A voir aussi :

EODE-TV & AFRIQUE MEDIA/

LUC MICHEL A MALABO (2) / LE MODELE EQUATO-GUINEEN

Sur https://vimeo.com/100808662

Photo :

Le président Obiang Nguema Mbasogo reçoit Luc Michel en audience à Malabo pour discuter du Panafricanisme entre panafricanistes en avril 2015.

# Avec le Géopoliticien de l’Axe Eurasie-Afrique :

Géopolitique – Géoéconomie – Géoidéologie – Géohistoire –

Géopolitismes – Néoeurasisme – Néopanafricanisme

(Vu de Moscou et Malabo) :

PAGE SPECIALE Luc MICHEL’s Geopolitical Daily

https://www.facebook.com/LucMICHELgeopoliticalDaily/

________________

* Luc MICHEL (Люк МИШЕЛЬ) :

WEBSITE http://www.lucmichel.net/

PAGE OFFICIELLE III – GEOPOLITIQUE

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TWITTER https://twitter.com/LucMichelPCN

* EODE :

EODE-TV https://vimeo.com/eodetv

WEBSITE http://www.eode.org/

8 dicembre Manifestazione Notav:  SI Cobas Insieme a chi lotta

sab 01/12/2018, 16:57

8 DICEMBRE A TORINO MANIFESTAZIONE NO TAV

A FIANCO DI CHI LOTTA CONTRO I DEVASTATORI, LI SPECULATORI E GLI SFRUTTATORI
https://www.sicobas.org/news/3339-torino-l-8-12-manifestazione-no-tav-unti-si-vince

Da anni in Val di Susa si sta coraggiosamente lottando contro un’opera inutile, devastante e speculativa: il TAV.
La crisi del sistema di accumulazione di ricchezza, ha accentuato lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, dei nostri beni, dei nostri territori e della nostra vita, mettendo in moto speculatori, sfruttatori e mafiosi di ogni genere che cercano ad ogni costo di accrescere i loro profitti.

Per questo stiamo vivendo una grave regressione delle nostre vite: territori devastati, ponti che crollano, scuole e istruzione decadenti, sanità e salute in continuo peggioramento, lavoratori italiani e immigrati sempre più precari, ricattati e sfruttati, sottopagati e vittime di mortali infortuni.
Da anni sono in corso lotte che stanno contrastando questa regressione sociale: da quelle nei territori della Val di Susa, nel salentino contro il TAP, in Sicilia a Niscemi contro il Muos, ecc… a quelle per il diritto all’abitare, a quelle dei lavoratori della logistica, a quelle delle donne, a quelle contro il razzismo e la repressione dei vecchi e nuovi governi.
Lotte che hanno tutte un filo conduttore: quello dell’opposizione a un sistema che ogni giorno schiaccia e sfrutta la vita di gran parte dei cittadini, lavoratori italiani e immigrati.

Lotte che, se unite, possono trovare più incisività contro i governi degli speculatori, dei padroni e della finanza.

Noi lavoratori siamo al fianco di chi, come noi, lotta ogni giorno contro l’appropriazione, lo spreco e le speculazioni delle risorse prodotte dal nostro sfruttamento.

UNITI SI VINCE!

Lavoratori SI COBAS Torino

CONFINDUSTRIA SI RIUNISCE A TORINO, CITTA’ NO TAV

Il Consiglio generale di Confindustria a Torino, Città No TAV, il 3 dicembre 2018

Nel giorno in cui si inaugura la COP 24 in Polonia

Le Opposizioni nei Territori Rilanciano il Bel Paese e Difendono il Futuro del Pianeta

La più grande opera pubblica è la manutenzione dei territori e delle infrastrutture, ponendo l’ambiente e il paesaggio al centro di un programma che sia all’altezza delle sfide poste dal cambiamento climatico


–     Le Ambizioni e gli Obiettivi di Confindustria

–     Sintetico Esame delle Necessità del Paese

–     Confindustria e la Torino-Lione

–     La Convenzione di Århus e il Diritto dei Cittadini

–     Incertezze nella Realizzazione dei Mega Progetti

–     I Costi Nascosti della Torino-Lione

–     Conclusione: La Scelta Inevitabile, Contributo alla Difesa del Paese


LE AMBIZIONI E GLI OBIETTIVI DI CONFINDUSTRIA

Perché il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia ha annunciato:

“Il 3 dicembre saremo a Torino, con molte altre categorie, con un Consiglio generale allargato a tutti i presidenti d’Italia”?

La risposta data pare banale:

“Porremo la questione delle infrastrutture a partire da Torino che diventa una città simbolo. Si parte dalla Torino-Lione e si parla dell’importanza delle infrastrutture”.

Ma in realtà il presidente di Confindustria intende lanciare, attraverso la convocazione del Consiglio generale e la dichiarazione sull’importanza delle infrastrutture in Italia, un programma che va esattamente contro le azioni che questo Paese dovrebbe portare avanti per contrastare il degrado del territorio e per fronteggiare le gravi conseguenze del cambiamento climatico.

È noto che il mondo “occidentale”, e le economie che ne stanno seguendo il modello, è iperinfrastrutturato.

Gli investimenti dovrebbero essere dunque diretti non verso nuove infrastrutture, ma verso la produzione di beni e servizi con elevata utilità sociale, in modo meno energivoro, con razionale uso e rigenerazione dell’esistente e delle risorse disponibili, senza l’ossessione della crescita infinita, risparmiando suolo, acqua, aria, riducendo le emissioni di CO2, usando energie rinnovabili alternative a quella derivante da combustibili fossili.

Chiedere più infrastrutture in Italia -a partire dalla Torino Lione- per continuare con il Terzo Valico, il TAP, ecc.- appare, alla luce dell’Accordo di Parigi del 2015 sul clima, sottoscritto dall’Italia, e dei visibili sconvolgimenti climatici, non solo un programma fuori dal tempo per la crescita del nostro Paese, ma un vero e proprio assalto alle sfinite casse dello Stato, che porterà solo ad aumentare il debito pubblico italiano.

Ricordiamo che proprio il 3 dicembre 2018 si apre a Katowice, Polonia la Conferenza COP 24 il cui obiettivo principale è la ricerca di un accordo sulle regole per attuare l’Accordo di Parigi del 2015: Confindustria ha considerato nei suoi piani questa sfida planetaria?

La richiesta di Boccia ha l’evidente scopo di accaparrare a favore di ristrette cerchie di settori privilegiati della società, cui sicuramente non sono estranei gli associati di Confindustria, e ancor meno banche e istituzioni finanziarie, imponenti risorse pubbliche, inevitabilmente a scapito di altri più utili impieghi.

Nei fatti questo è un programma che assegna all’imprenditorialità italiana una mera funzione parassitaria, di sussidio perenne.

È forse questo che vuole il Presidente Boccia?

SINTETICO ESAME DELLE NECESSITA’ DEL PAESE

Il prof. Alberto Ziparo, Docente di Pianificazione all’Università di Firenze, afferma che “La più grande opera pubblica è la manutenzione dei territori e delle infrastrutture, ponendo l’ambiente e il paesaggio al centro di un programma che sia all’altezza delle sfide poste dal cambiamento climatico”.

Occorre prevenire le catastrofi, non solo intervenendo su logore e vecchie infrastrutture come il Ponte Morandi di Genova, ma su tutto il costruito del Belpaese con monitoraggi costanti e programmazione certa degli interventi.

Questo obiettivo può essere ottenuto attraverso appalti assegnati alla moltitudine di piccole e medie imprese che, per fare manutenzione per il prolungamento della vita delle infrastrutture esistenti, trarrebbero linfa per sopravvivere invece di essere strangolate dai subappalti delle grandi imprese.

Sempre il prof. Ziparo sostiene che “in Italia negli ultimi 20 anni si sono spesi oltre 170 miliardi di Euro per nuove opere (130 solo per le linee ferroviarie ad AV), laddove per la manutenzione del più grande patrimonio infrastrutturale dell’occidente – stando al rapporto lunghezza delle reti/abitanti- si è investito meno del 10% di tale cifra. La spesa per manutenzione delle reti esistenti è calata di recente da 7,2 a 2,2 euro per chilometro all’anno, un’inezia.[1]

Al Paese occorrono investimenti per la scuola e l’università, l’innovazione e la ricerca, la creazione di posti lavoro sicuri, ben retribuiti, di elevato livello professionale, investimenti ad alto ritorno occupazionale, benessere e sicurezza sociale e servizi efficienti ai cittadini attraverso sanità, giustizia, mobilità collettiva alternativa, senso dello Stato nelle classi dirigenti e altro ancora sotto gli occhi di tutti ogni giorno.

L’enorme fabbisogno di risorse impone la finanziarizzazione del comparto infrastrutturale, volutamente incentrato su sempre nuovi mega progetti privilegiati rispetto alla manutenzione e cura dei territori.

Ne consegue l’inevitabile esito di cementare blocchi di potere tra costruttori, grandi istituzioni finanziarie e politica, accomunate in un perverso vortice di consenso reciproco.

Con riferimento al crescente ruolo della criminalità organizzata, sempre pronta a dare una mano nel settore delle costruzioni, attendiamo di conoscere da Confindustria visibili iniziative contro il dilagare di questo “socio occulto” di molte, troppe imprese, come ha denunciato pochi giorni fa il Presidente della Commissione antimafia Nicola Morra.

Il prof. Ziparo ha ricordato che il MISE stimò qualche anno fa in 180 miliardi di euro circa la cifra necessaria per la messa in sicurezza sismica, idrogeologica e da altri danni del patrimonio urbanistico e territoriale nazionale: un programma ventennale a disposizione dell’imprenditoria italiana.

CONFINDUSTRIA E LA TORINO-LIONE

Se il Presidente Vincenzo Boccia desidera oggi collocare l’imprenditoria italiana sui binari della Torino-Lione, ricordiamo che mai è stato offerto un solo euro “privato” per questo progetto, nonostante che gli accordi tra Italia e Francia avessero previsto la mobilitazione di capitali privati al fine di limitare l’incidenza del progetto sulle finanze pubbliche (cfr. lAllegato n. 2 dell’Accordo di Roma 30.1.2012).

La Nuova Linea Ferroviaria Torino-Lione è stata progettata quasi trent’anni anni fa per far fronte a un aumento di traffici rivelatisi, nel tempo, in costante calo. L’infrastruttura esistente (linea e tunnel), completamente rinnovata, è oggi utilizzata tra sette e undici volte al di sotto delle sue potenzialità, a seconda delle valutazioni tecnico/economiche. Dagli anni novanta tutto è cambiato sul piano delle conoscenze dei danni ambientali, nella situazione economica, nelle politiche dei trasporti, nelle prospettive dello sviluppo.

Visibilmente i “capitani coraggiosi”, pur persuasi della bontà e dell’urgenza del progetto Torino-Lione, si sono resi conto che questa Grande Opera Inutile senza garanzie pubbliche e ulteriori benefici diretti o indiretti, non merita il loro intervento diretto con propri capitali di rischio.

Un’operazione di soccorso per fare la Grande Opera è stata offerta da un esponente politico piemontese che, con abile gioco delle tre carte, ha tuttavia previsto a questo scopo di utilizzare i fondi dei soli piemontesi al posto di quelli di tutti gli italiani.

LA CONVENZIONE DI ÅRHUS E IL DIRITTO DEI CITTADINI

È stato da tempo sottolineato l’indispensabile coinvolgimento dei cittadini nelle decisioni per la pianificazione del territorio e degli interventi, come previsto dalla Convenzione di Århus del 1998 che è legge dello Stato, perché essi sono capaci di proporre alternative valide in quanto portatori prioritari e diretti di interessi che non sono veicolati da mediazione politica e/o da processi istituzionali opachi e anti democratici.

Le opposizioni contro le Grandi Opere Inutili e Imposte e per la difesa dei territori rivendicano il loro ruolo positivo e propositivo attraverso la richiesta di molteplici alternative disponibili per contrastare la rovinosa aggressione al Pianeta, nostro unico spazio per vivere. Protagoniste del cambiamento, esse sono parte della soluzione, non il problema.

È dimostrato che le resistenze dei cittadini nei territori difendono e migliorano il Bel Paese e sono un alto argine contro le mafie. Siamo di fronte ad un impegno volontario e civile che andrebbe riconosciuto e premiato.

I cittadini esigono che gli investimenti pubblici siano fatti in opere che garantiscano il requisito fondamentale di “PUBBLICA UTILITÀ” a difesa del bilancio dello Stato che il Presidente Mattarella ha definito bene pubblico.

INCERTEZZE NELLA REALIZZAZIONE DEI MEGA PROGETTI

Circa le incertezze, il prof. Bent Flyvbjerg[2] lancia un allarme: “Ci sono sempre stati dei grandi progetti che sono falliti, la differenza oggi è che adesso ce ne sono molti di più, sono molto più grandi, e i fallimenti sono più spettacolari”.

È noto agli studiosi del settore che alla base delle crescenti difficoltà a portare a termine i mega progetti ci sono ragioni ecologiche, economiche e di resistenza sociale che rendono queste iniziative -che richiedono investimenti miliardari- più difficili e rischiose da realizzare. Anche perché la scala colossale della progettazione e della realizzazione dei mega progetti rende problematica l’impostazione delle attività e la valutazione dei costi.

Il tempo che intercorre tra la progettazione e la fine della costruzione è di dieci e più anni, un tempo sufficiente perché le condizioni di mercato cambino in modo significativo. Ormai ogni mega progetto si conclude dopo il tempo previsto, e con costi molto maggiori. Questo rende sempre più nervosi gli investitori.

È ancora Bent Flyvbjerg a spiegare che “il cambiamento climatico e la transizione da una economia da fonti fossili a un’economia basata sul rinnovabile hanno un grosso impatto sui mega progetti”.

Come memento per le decisioni degli imprenditori e dei finanziatori, Bent Flyvbjerg si è posto questa domanda: “Perché si realizzano i progetti peggiori e non i migliori? Ci si aspetterebbe che gli sforzi investiti in un’attenta pianificazione progettuale e nella stima dei costi aumentassero almeno in modo direttamente proporzionale al volume finanziario di un’iniziativa”.

Sorprendentemente, però, le analisi dei megaprogetti rivelano un risultato contrario alle aspettative; ovvero, i progetti di dimensione maggiore come la Torino-Lione sono quelli più soggetti a fallimenti gravi in materia di pianificazione, acquisti e costruzione rispetto a quelli più piccoli. Tra le cause del fallimento Bent Flyvbjerg ha individuato queste:

–     un’insufficiente cura nella fase di pianificazione preliminare,

–     valutazioni economiche approssimative e a volte palesemente falsate,

–     decisioni di (iper) progettazione in una fase iniziale di pianificazione, che costringono ad apportare successivamente cambiamenti significativi ai piani,

–     diffuse incapacità di gestire cambiamenti del contesto e rischi,

–     la ricerca di rendite da parte di imprese private inclini a lanciare offerte minime per appalti di fornitura e a gonfiare al massimo in tempi successivi le pretese supplementari,

–     competenze tecniche insufficienti da parte dei manager degli enti pubblici che gestiscono il progetto,

–     struttura inappropriata delle società di progetto e delle organizzazioni di controllo, studiate in modo da dare privilegi ad alleati politici.

Questa pare essere anche la situazione del progetto della Torino-Lione, confermata dall’Osservatorio Governativo nel Quaderno n. 10 nel quale a pagina 58 è scritto:

Non c’è dubbio che molte previsioni fatte 10 anni fa, in assoluta buona fede, anche appoggiandosi a previsioni ufficiali dell’Unione Europea, siano state smentite dai fatti.”

I COSTI NASCOSTI DEL PROGETTO TORINO-LIONE

Ma c’è un altro fatto sul quale desideriamo richiamare l’attenzione di Confindustria, ricordando nuovamente le parole del Presidente Mattarella: il bilancio dello Stato è un bene pubblico.

Gli accordi con la Francia statuiscono che l’Italia dovrà pagare la maggior parte dei costi della parte transfrontaliera della Torino-Lione: perché l’Italia deve finanziare la Francia?

La ripartizione asimmetrica dei finanziamenti tra i due Paesi prevista nell’Accordo del 2012 genera un costo al km del tunnel per l’Italia di €287 milioni, ben 4,8 volte più caro del chilometro francese di €60 milioni al km (cfr. il grafico al fondo).

E’ bene ricordare che questa asimmetria aveva portato i Commissari francesi che hanno redatto il Dossier dell’Inchiesta preliminare alla Dichiarazione di Utilità pubblica della sola parte francese del tunnel a scrivere: “L’operazione è positiva per la Francia a causa dell’assunzione della maggior parte dell’investimento da parte dell’Italia”.

La Francia, mentre continua ancora in questi giorni a dichiarare “a parole” di voler rispettare gli accordi con l’Italia, non ha mai aperto il rubinetto dei finanziamenti per il tunnel di base, nonostante debba mobilitare un piccolo investimento per la Torino-Lione (€2,68 Mld. per 45 km di tunnel) di fronte a quello dell’Italia che sarebbe ben più oneroso (€ 3,50 Mld. per soli 12,2 km).

Confindustria e il Governo in carica sono al corrente di questo futuribile trasferimento di ricchezza italiana alla Francia di circa €2,19 miliardi?

CONCLUSIONE: LA SCELTA INEVITABILE, CONTRIBUTO PER LA DIFESA DEL FUTURO DEL PAESE

Invitiamo quindi gli imprenditori italiani di convincersi che, come indicato dagli studi finora condotti anche dall’Osservatorio tecnico governativo, la Torino-Lione è un’opera inutile, dal futuro economico incerto quindi troppo rischioso per il Paese e per chiunque voglia sostenerlo.

Ci permettiamo di suggerire loro di non finanziare questo progetto ma di impegnarsi, di fronte al cambiamento climatico, e per difendere il futuro del Paese, a orientare da subito i loro programmi imprenditoriali verso la transizione ecologica e l’economia circolare, chiedendo allo Stato il sostegno per attuarli.

Invitiamo quindi gli imprenditori italiani di convincersi che, come indicato dagli studi finora condotti anche dall’Osservatorio tecnico governativo, la Torino-Lione è un’opera inutile, dal futuro economico incerto quindi troppo rischioso per il Paese e per chiunque voglia sostenerlo.

Ci permettiamo di suggerire loro di non finanziare questo progetto ma di impegnarsi, di fronte al cambiamento climatico, e per difendere il futuro del Paese, a orientare da subito i loro programmi imprenditoriali, e di conseguenza gli investimenti, verso la transizione ecologica e l’economia circolare, con un sostegno pubblico per attuarli.

La VII edizione 2018 degli Stati Generali della Green Economy ha concluso i suoi lavori con un forte messaggio: il rilancio dell’economia italiana deve partire dalla green economy.

A conferma di ciò vi è lo sguardo sul futuro dell’ILO, l’agenzia del lavoro dell’Onu che, mentre stima che il cambiamento climatico minaccia 1,2 miliardi di posti di lavoro, sostiene che sforzi comuni per arginare il global warming creerebbero 65 milioni di posti di lavoro  entro il 2030 e un indotto di circa € 23000 miliardi.


Costo del Tunnel di Base e Importi delle relative quote (11/2018)


Confronto tra la lunghezza delle tratte italiana e francese del tunnel di base e il relativo costo al km

Francia (km 45) € 60 milioni/km – Italia (km 12,5) € 287 milioni/km


[2] Bent Flyvbjerg, professore di Management delle Grandi Opere presso la Saïd Business School della Oxford University He is the most cited scholar in the world in megaproject planning and management and a leading international expert within the field of programme management and planning. His book “Megaprojects and risk: an anatomy of ambition” is considered essential reading for project managers, sponsors and those involved in megaprojects.

L’ACTUALITE QUI CONFIRME L’ANALYSE : TRUMP CRITIQUE THERESA MAY ET PREND A NOUVEAU PARTIE POUR UN ‘HARD BREXIT’ (LE BREXIT OPERATION AMERICAINE II)

 

LM DAILY / 2018 11 28/

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE
ART.COMPL.GEOPOL - Brexit operation us II (2018 11 28) FR v2

L’actualité de ce mardi 27 novembre confirme nos analyses sur « le Brexit, opération made in USA ». Comme nous l’analysions dès le début, ce Brexit est une opération américaine visant à fracturer l’Union Européenne dans les guerres commerciale entre UE et USA et financière entre Dollar et Euro. Depuis Trump est venu, porté au pouvoir par les mêmes réseaux qui ont favorisé le Brexit (Les milliardaire d’extrême-droite US Mercer et les manipulateurs des « Big Datas », les Cambridge Analytic et cie, notamment). Mi-juillet 2018, en visite officielle depuis Londres, Trump confirmait déjà notre analyse : Londres devait choisir entre Washington et Bruxelles et le président US s’affirmait l’ami des partisans du Brexit dur, de la rupture totale avec l’UE, les Boris Jonhson et autres Nigel Farrage (l’employé de Fox News, la TV des Neocons et le principal soutien médiatique de Trump).

« DONALD TRUMP CRITIQUE L’ACCORD SUR LE BREXIT: UNE CLAQUE POUR THERESA MAY » (AFP, CE MARDI 27 NOV. 2018)

Que dit l’AFP :

« Le président américain Donald Trump a mis les pieds dans le plat sur le Brexit en critiquant l’accord de divorce conclu entre le Royaume-Uni et l’Union européenne, une claque pour la Première ministre britannique Theresa May au moment où elle s’échine à convaincre son pays ». Qui ajoute que «  Trump n’en est pas à son coup d’essai: il a déjà plusieurs fois vanté les mérites d’un Brexit dur par le passé » et, « selon des diplomates, il ne manque pas une occasion, en privé, de pourfendre l’UE, symbole d’un monde multilatéral qu’il dénonce ». Ce Lundi, il a prévenu « que l’accord tel qu’il a été été conclu avec l’UE pourrait nuire aux échanges commerciaux entre Washington et Londres, qui mise beaucoup sur un accord de libre-échange avec son allié américain ».

“Cela semble être un très bon accord pour l’UE”, a-t-il confié à des journalistes depuis la Maison Blanche. “Nous devons sérieusement regarder si le Royaume-Uni est autorisé ou non à faire du commerce”. “Si vous regardez l’accord, ils pourraient ne pas être autorisés à faire du commerce avec nous et ça ne serait pas une bonne chose”, a insisté le milliardaire républicain. “Ce serait un point très négatif pour l’accord”, a-t-il ajouté, espérant que Theresa May “sera en mesure de faire quelque chose à ce sujet”.

POURQUOI L’ACCORDS MAY-UE MECONTE LES PARTISANS D’UN « HARD BREXIT » ?

L’accord de divorce, conclu ce dimanche après 17 mois de négociations difficiles, prévoit une période de transition initiale de 21 mois après le Brexit, au cours de laquelle quasiment rien ne changera entre les deux partenaires. Ensuite, le Royaume-Uni restera dans une union douanière avec l’UE si une nouvelle relation commerciale n’est pas mise en place.

Downing Street a rétorqué à Donald Trump que le Royaume-Uni serait libre de conclure ses propres accords commerciaux avec des pays tiers, grâce à “une politique commerciale indépendante”. “Nous avons déjà jeté les bases d’un accord ambitieux avec les Etats-Unis”, a assuré un porte-parole. « Il n’empêche, ces propos de M. Trump tombent au plus mauvais moment pour la Première ministre Theresa May, engagée dans une offensive à marche forcée destinée à convaincre que l’accord est le “meilleur possible” avant son vote le 11 décembre par des députés très sceptiques, qui risquent fort de le recaler », commente l’AFP. Elle a entamé mardi une grande tournée dans le pays pour séduire ses concitoyens dans l’espoir qu’ils fassent pression sur leurs députés, en commençant par le Pays de Galles et l’Irlande du Nord. Et elle s’est dite prête à affronter le leader de l’opposition travailliste lors d’un débat télévisé qui pourrait se tenir le 9 décembre. “Je vais expliquer pourquoi je pense que cet accord est le bon accord pour le Royaume-Uni”, a-t-elle dit au tabloïd The Sun. “Je suis prête à débattre avec Jeremy Corbyn parce que j’ai un plan. Il n’a pas de plan”. Selon un porte-parole du Labour, M. Corbyn est désireux de donner suite à l’invitation, après avoir qualifié l’accord d'”acte d’automutilation national”.

UN ACCORD “VOUÉ À L’ÉCHEC” (L’ANCIEN MINISTRE DE LA DÉFENSE MICHAEL FALLON)

Les déclarations de Donald Trump, qui faisaient baisser la livre mardi, vont donner du grain à moudre aux Brexiters purs et durs, de quoi compliquer encore plus la tâche de persuasion de Theresa May. La dirigeante conservatrice ne dispose que d’une courte majorité d’une dizaine de voix à la chambre des Communes. Or, son allié nord-irlandais, le parti unioniste DUP, s’oppose à l’accord, comme quelque 80 députés conservateurs favorables à un Brexit dur, les travaillistes, les députés écossais indépendantistes et les europhiles du petit parti des Libéraux-démocrates (europhiles, eux). Signe de ses difficultés, l’un de ses fidèles, l’ancien ministre de la Défense Michael Fallon, a dit mardi sur la BBC qu’il voterait contre cet accord “voué à l’échec”.

En juillet déjà, lors de sa première visite officielle au Royaume-Uni, Donald Trump avait déjà « stupéfié les Britanniques » (dixit l’AFP) en assurant que « la volonté de Londres de privilégier une relation étroite avec l’UE tuerait probablement la possibilité de conclure un accord de libre-échange avec les Etats-Unis après le Brexit ». Avant de revenir sur ses propos le lendemain et d’afficher sa volonté de parvenir à un accord “formidable” avec les Britanniques …

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE

(Sources : AFP – EODE Think Tank)

# L’ANALYSE DE REFERENCE SUR

LUC MICHEL’S GEOPOLITICAL DAILY

* Cfr la Partie I de cette analyse :

GEOPOLITIQUE DU BREXIT : LE BREXIT OPERATION AMERICAINE.

TRUMP DERRIERE LES RADICAUX DU ‘BREXIT DUR’ TORPILLE THERESA MAY…

Sur http://www.lucmichel.net/2018/07/12/luc-michels-geopolitical-daily-geopolitique-du-brexit-le-brexit-operation-americaine-trump-derriere-les-radicaux-du-brexit-dur-torpille-theresa-may/

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* Avec le Géopoliticien de l’Axe Eurasie-Afrique :

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TAV, BERTOLA (M5S): “BENE LA PROPOSTA FRANCESE, SMASCHERATA L’IPOCRISIA DI CHIAMPARINO. IL FERRO INTERESSA SOLO QUANDO CONVIENE…”

https://www.piemonte5stelle.it/2018/12/tav-bertola-m5s-bene-la-proposta-francese-smascherata-lipocrisia-di-chiamparino-il-ferro-interessa-solo-quando-conviene/

Con 15 anni di ritardo la Francia propone finalmente una misura per scoraggiare il traffico su gomma al Frejus e Chiamparino cosa fa? Tira il freno a mano. Ecco smascherata l’ipocrisia della vecchia politica. A parole a favorevole al trasporto su ferro, ma i fatti vanno nella direzione opposta. 

La posizione di Chiamparino e dei suoi assessori nasconde una grande paura: che le le aziende piemontesi inizino finalmente ad usare la linea ferroviaria attuale. Magari scopriranno che è adeguata, sottoutilizzata e rappresenta una valida alternativa ai Tir. Le imprese potrebbero scoprire anche l’inganno della politica: che la soluzione non è certo un maxi cantiere, con annessi super appalti e spreco di risorse pubbliche.

Con la proposta avanzata dalla Francia il Piemonte ha la possibilità di fare qualcosa di concreto per l’ambiente. E farlo subito, non fra 20 o 30 anni. La risposta della Regione Piemonte è grave, figlia di vecchie logiche politiche e non all’altezza delle sfide del futuro. Proprio in questi giorni si è aperta la conferenza climatica COP 24 con un drammatico appello sul futuro del mondo e intanto da noi Chiamparino si oppone ad adottare una misura minima per disincentivare il trasporto su gomma…

Giorgio Bertola, Consigliere regionale M5S Piemonte