Fracchia e i No Tav: “Domani sera a Sant’Ambrogio il clima sarà tranquillo, garantiamo noi sindaci che andremo ad accogliere Fassino all’esterno del Municipio”

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2 febbraio 2016

Il Municipio di Sant'Ambrogio

Il Municipio di Sant’Ambrogio

Domani sera, il consiglio della Zona Omogenea 6 avrà un ospite di alto calibro:Piero Fassino, sindaco di Torino e presidente della Città Metropolitana. Un incontro di lavoro, il cui svolgimento però si preannuncia tutt’altro che facile.

Infatti, dalla pagina web notav.info è stato lanciato un appello: “Accogliamo Fassino!”.

Un messaggio di benvenuto dal tono particolare. Infatti, come si legge ancora sulla pagina: “Se parliamo di bilanci e di denaro pubblico facciamo sentire la nostra voce, di fronte all’inutile spesa del progetto Torino Lione che risposta danno dal PD ai tagli alla sanità, alle piccole opere utili, alla scuola, all’assistenza verso le fasce deboli?”.

L’appello è stato lanciato ed è probabile che in molti si raccoglieranno la sera di mercoledì 3 a Sant’Ambrogio.

Un Comune con un sindaco da sempre contrario alla linea TAV, che però ospita questa riunione perché proprio questo sindaco, Dario Fracchia, è il portavoce della Zona Omogenea 6, che comprende 43 Comuni tra Val di Susa e Val Sangone.

E proprio Fracchia, non volendo dare adito a ulteriori polemiche, precisa:Siamo in democrazia e ognuno può fare quel che vuole. Quella di domani sera è una riunione di lavoro, in cui il sindaco della Città Metropolitana incontra i sindaci del territorio per parlare di viabilità, edilizia scolastica e welfare. La Città Metropolitana, è in fase di predisposizione del bilancio e ha deciso di contattare l’Area Omogenea Valsusa e Valsangone per raccogliere suggerimenti e proposte. Quindi è una serata di lavoro, una sorta di giunta allargata”.

Dario Fracchia

L’incontro di lavoro si svolgerà a porte chiuse. “Verranno 43 sindaci ed ognuno credo si porterà un amministratore, quindi saremo almeno un’ottantina di persone. Non credo che apriremo ai giornalisti. È come se fosse una giunta, e la giunta non si apre ai giornalisti. Comunque i funzionari della Città Metropolitana raccoglieranno il resoconto di quanto verrà detto e lo trasmetteranno“.

Piero Fassino

Sulle possibili contestazioni, Fracchia sottolinea: “Siamo in democrazia, se qualcuno vuole venire a fare due fischi venga pure. Noi siamo tranquilli. E’ una riunione pubblica, visto che non si parla di nulla di segreto. Scriverò comunque un comunicato per il sito NO TAV, spiegando che cosa succederà domani sera. Ciò detto, ognuno è libero di far quel che vuole“.

Clima tranquillo quindi? “Non abbiamo preso nessuna contromisura”, precisa Fracchia. E conclude: “Quando c’è una personalità come Fassino è logico che una pattuglia dei carabinieri ci sia. Ma sarebbe lo stesso anche se andasse a Canicattì, perché è una personalità politica di livello nazionale. Comunque non è che blindiamo il Comune di Sant’Ambrogio solo perché arriva Fassino. Ci mancherebbe! Anzi, saremo noi sindaci a garantire che lui possa venire qui a fare il suo lavoro in tranquillità. Anche io, come sindaco contrario al Tav sarò in prima fila per garantire che possa lavorare in serenità. Lo accoglieremo all’esterno del Municipio, in modo che nessuno pensi di fare gesti particolari. Potranno esserci i fischi, ma per quelli c’è libertà d’espressione“.

Francesco Borello

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LUC MICHEL SUR IRIB/ LA CONFRONTATION RUSSIE-TURQUIE ET L’OTAN

# LUC MICHEL/

CHRONIQUES GEOPOLITIQUES (15)/

RUSSIE-TURQUIE : LA FUITE EN AVANT DU REGIME ERDOGAN. 

Capture LM IRIB TURQUIE 2016 02 01

LUC MICHEL ANALYSE LE NOUVEAU FRONT TURC DE LA SECONDE GUERRE FROIDE ET LE JEU DANGEREUX DES FAUCONS DE L’OTAN (SUR RADIO IRIB, IRAN, 1ER FEVR. 2016)

 * Podcast audio sur :

http://francophone.sahartv.ir/radio/interview-i22537-luc_michel_grand_sp%C3%A9cialiste_de_g%C3%A9opolitique

SYRIA COMMITTEES/ UN POINT RAPIDE SUR LA SITUATION EN SYRIE

COMMENT L’AFP PRESENTE LES NEGOCIATIONS DE GENEVE :
NOUS NOUS N’ATTENDONS RIEN DE POURPARLERS AVEC DES TERORISTES DIT “MODERES” PAR WASHINGTON. LA SOLUTION EN SYRIE EST UNIQUEMENT MILITAIRE !
SYRIA COMMITTEES/ 2016 02 03/
AFP45
On l’a bien compris aussi à Moscou et à Damas.
Comme l’analysait notre Cde Fabrice Beaur du SYRIA COMMITTEES RUSSIA dans un court commentaire : ” Genève et simultanément offensive dans le nord d’Alep. Ils vont peut-être couper les zones rebelles au nord et au sud d’Alep … sur une zone qui ne bougeait presque pas depuis plus de 2 ans. Damas augmente encore la cadence de reconquête dans la zone de Lattaquié. c’est impressionnant après tant de surplace, ça avance tous les jours”.
SYRIA COMMITTES/ COMITES SYRIE/
AFP55
* Aller LIKER la Page des SYRIA COMMITTEES
Soutien aux Présidents Assad et Poutine,
aux Armées syrienne et russe,
à l’Axe de la Résistance Syr

OPERAZIONE “TIMBER SYCAMORE”: LA GUERRA SEGRETA DELLA CIA IN SIRIA

il NY Times rivela ora quello che la controinformazione già sapeva ai tempi della cosiddetta primavera araba, con tanto di prove ma si doveva aiutare i ribelli contro il cattivo dittatore così imponeva il pensiero unico e loro servi (altrimenti si era razzisti a negare le armi ai tagliagole). Ora costoro quasi si “STUPISCONO” che le armi sono andati agli integralisti, ma che caso, guai pensare fosse voluto dato che la leggenda dei ribelli buoni era propaganda da psy op???!!
Postato il Lunedì, 01 febbraio 
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DI MAXIME CHAIX
 
 
Un articolo del New York Times  ha appena svelato il nome in codice della guerra segreta multinazionale della CIA in Siria: si tratta dell’operazione Timber Sycamore, che significa “Legno di Platano”. Nel 1992 i ricercatori siriani Ibrahim Nahal e Adib Rahme pubblicarono uno studio secondo il quale «il legno di platano d’Oriente può essere classificato tra le specie a crescita relativamente rapida in confronto a faggio e querce». I gruppi ribelli, soprattutto jihadisti,, che hanno proliferato in Siria a partire dall’estate 2011, potrebbero dunque essere considerati come dei “platani d’Oriente” per via della loro “crescita rapida” – senza che qualcuno possa legare facilmente il nome in codice di questa operazione clandestina della CIA con il fenomeno biologico.
 
Essenzialmente, in questo articolo il New York Times ha rivelato che l’Arabia Saudita ha finanziato nell’ordine di “diversi miliardi di dollari” la guerra segreta della CIA in Siria. Altri finanziatori statali sono citati nell’ambito di questa campagna dell’Agenzia. Si tratta di Turchia, Giordania e Qatar. Ora, benché l’esatto ammontare dei finanziamenti erogati da ciascuno di questi stati non venga rivelato, il giornale ci informa che l’Arabia Saudita ne è il principale contribuente. Secondo il giornale «gli alti responsabili statunitensi non hanno rivelato l’ammontare del contributo saudita, che costituisce di gran lunga il principale finanziamento straniero di questo programma per la fornitura di armi ai ribelli combattenti le forze del presidente Bachar Al-Assad. Tuttavia, le stime indicano che il costo totale degli sforzi di finanziamento e addestramento dei ribelli raggiungono diversi miliardi di dollari»
 
Il Times conferma anche le informazioni del Washington Post, che avevo analizzato qualche settimana prima degli attentati del 13 novembre. In effetti, nel giugno 2015, il quotidiano aveva rivelato come la CIA avesse «condotto dal 2013 contro il regime di Al-Assad “una delle sue più grandi operazioni clandestine”, il cui finanziamento annuale si avvicina al miliardo di dollari. Secondo il giornale, questo intervento segreto (…) si iscrive in un più “vasto sforzo di diversi miliardi di dollari implicanti l’Arabia Saudita, il Qatar e la Turchia”, ossia i tre stati che notoriamente sostengono le fazioni estremiste in Siria».
 
Grazie al New York Times, sappiamo adesso che i sauditi sono “di gran lunga” i principali sostenitori di questa guerra segreta – soprattutto attraverso l’acquisto in gran quantità e la rivendita, ad opera dei servizi speciali sauditi (GID), di missili anticarro TOW di marca Raytheon a gruppi affiliati ad Al-Qaeda, a cui fa capo l’Armata della Conquista. Sempre secondo il Times, il capo della stazione della CIA sta giocando un ruolo diplomatico più importante dell’ambasciatore degli USA in Arabia Saudita. Così, tra il GID e la CIA «l’alleanza resta solida, poiché è rinforzata dalle connessioni tra i capi-spia. Ministro dell’interno saudita, il principe Mohammed ben Nayef è succeduto al principe Bandar nell’approvvigionamento in armi dei ribelli. Egli conosce l’attuale direttore della CIA, John Brennan dall’epoca in cui questi era il capo della stazione CIA di Ryad negli anni ’90. Vecchi colleghi hanno dichiarato che questi due uomini erano rimasti molto vicini (…) il posto occupato un tempo da Brennan a Ryad è, molto più che l’ambasciata USA, il vero legame tra il potere statunitense ed il regno dei sauditi. Ex diplomatici si ricordano che le discussioni più importanti sono state sistematicamente condotte tramite il capo della stazione della CIA (nella capitale saudita)».
 
Queste informazioni del New York Times rinforzano la nozione di “Stato occulto soprannazionale” che collega gli alti responsabili dei servizi speciali degli Stati Uniti e dell’Arabia Saudita, secondo la spiegazione di Peter Dale Scott nel suo ultimo libro. L’autore dimostra che le relazioni tra Usa e Arabia hanno le sembianze di una “scatola nera”:
 
«Negli anni Ottanta, William Casey, il direttore della CIA, prese delle decisioni importanti sulla conduzione della guerra segreta in Afghanistan. Tuttavia, queste decisioni furono elaborate al di fuori del quadro dell’Agenzia, essendo state preparate, invece, dai direttori dei servizi d’informazione sauditi – prima da Kamal Adham, poi dal principe Turki ben Faysal. Tra queste decisioni, possiamo citare la creazione di una legione straniera incaricata di aiutare i mujaheddin afgani a combattere i sovietici. In pratica, si trattò della creazione di una rete di sostegno alle operazioni conosciuto col nome di Al-Qaeda dopo la fine della guerra contro l’URSS e l’Afghanistan. Casey mise a punto i dettagli di questo piano con i due capi dei servizi segreti sauditi, oltre che con il direttore della Bank of Credit and commerce International (BCCI), la banca pachistano-saudita di cui Kamal Adham e Turki ben Faysal erano entrambi azionisti.
 
In tal modo, Casey dirigeva una seconda Agenzia, cioè una CIA non ufficiale, mentre costruiva con i sauditi la futura Al-Qaeda in Pakistan e la gerarchia ufficiale dell’Agenzia a Langley “pensava che ciò fosse imprudente”. Ne “La Macchina da guerra americana”, ho situato il Safari Club e la BCCI nell’ambito di accordi per una “CIA alternativa” o per una “seconda CIA”, a partire dalla creazione, nel 1948, dell’Ufficio di coordinamento politico (OPC, Office of Policy Coordination). Così, si spiega come George Tenet, il direttore della CIA sotto la presidenza di George W. Bush, abbia seguito il precedente di Casey (che era direttore della CIA al tempo di Reagan) decidendo di incontrare circa una volta al mese il principe Bandar, l’ambasciatore d’Arabia negli USA, ma senza rivelare il contenuto delle loro discussioni ai funzionari della CIA incaricati delle questioni saudite.»
 
Nell’articolo del Times, il principe Bandar è presentato come il principale architetto di questa politica di sostegno alla ribellione in Siria. In effetti, il giornale conferma che «gli sforzi sauditi furono condotti dal principe Bandar ben Sultan, all’epoca capo dei servici segreti sauditi, il quale chiedeva alle spie saudite di comprare migliaia di mitragliatrici AK-47 e milioni di munizioni in Europa dell’Est per i ribelli (in Siria). La CIA ha facilitato alcuni di questi acquisti in favore dei sauditi, mediante un vasto mercato con la Croazia nel 2012. Durante l’estate di quello stesso anno, tra la Turchia e la Siria le operazioni sembrarono fuori controllo, mentre le nazioni del Golfo inviavano soldi e armi alle fazioni ribelli, compresi i gruppi che gli alti responsabili statunitensi temevano legati ad organizzazioni terroristiche come Al-Qaeda»
 
Così, la guerra segreta della CIA e dei suoi partners stranieri in Siria ha incoraggiato la crescita di Daesh, che il Pentagono e i suoi alleati bombardano dal settembre del 2014 senza grande efficacia e non senza polemiche. Da luglio 2012, attraverso le politiche “profonde” (ndt, nel senso di “nascoste bene in profondità”, quindi, potremmo dire “occulte”), i “platani” jihadisti in Siria hanno conosciuto una “crescita relativamente rapida”, grazie al sostegno attivo della CIA e dei suoi alleati. Ora, Bandar è così vicino all’Agenzia che non è possibile separare le sue azioni clandestine da quelle in veste di agente speciale statunitense, almeno nel periodo in cui è stato ambasciatore dell’Arabia Saudita a Washington (1983-2005), poi direttore dei servizi d’informazione sauditi (2012-2014). Dieci giorni prima gli attentati del 13 novembre, avevo pubblicato un articolo intitolato “La guerra segreta multinazionale della CIA in Siria”, nella quale scrivevo:
 
«A luglio 2012, il principe Bandar era stato nominato alla guida dei servizi speciali sauditi, cosa che, secondo la gran parte degli esperti, era un segno dell’indurimento della politica siriana dell’Arabia Saudita. Soprannominato “Bandar Bush” per la sua prossimità alla dinastia presidenziale americana, era ambasciatore a Washington all’epoca del 11 settembre. Dopo alcuni anni, quest’uomo, fortemente legato alla CIA, fu accusato dall’ex senatore della Florida d’avere sostenuto alcuni dei pirati dell’aria indicati come colpevoli per gli attentati. Il Guardian sottolineò che “Bandar avevo diretto gli sforzi sauditi miranti a meglio coordinare le consegne degli armamenti ai ribelli contro Al Assad in Siria. Tuttavia, è stato criticato per avere sostenuto dei gruppi islamisti estremisti, rischiando così quanto già avvenuto ai combattenti sauditi di Osama Bin Laden entrati in Afghanistan per combattere contro i sovietici negli anni Ottanta, una guerra santa che era stata autorizzata ufficialmente (…) Nel 2014, un parlamentare statunitense aveva dichiarato, in anonimato, che la CIA era “assolutamente consapevole che numerose armi forniti dall’Agenzia erano terminate in cattive mani”. Nell’ottobre 2015, l’eminente esperto di Siria Joshua Landis affermò che tra il 60% e l’80% delle armi che gli USA hanno fatto entrare sono andate ad Al-Qaeda e ai gruppi affiliati».
 
In altri termini, la CIA e i suoi alleati turchi e “petromonarchici” hanno enormemente favorito l’escalation dei gruppi estremisti in Siria, tra cui Al-Qaeda e Daesh. Questa occulta politica internazionale è stata deliberatamente adottata dalla Casa Bianca? La risposta non è evidente. Come ho già sottolineato nell’agosto 2015, l’ex direttore del servizio informazioni militari del Pentagono (DIA), Michael Flynn, aveva annunciato su Al-Jazeera la stupefacente irrazionalità della Casa Bianca sul dossier siriano. In quell’occasione, rivelò che l’amministrazione Obama aveva preso la “deliberata decisione” di “fare ciò che stanno facendo in Siria”; in altre parole, avrebbero deciso di sostenere le milizie anti-Assad, che la DIA descriveva a partire dal 2012 come dominate da forze jihadiste. A partire da quell’anno, Flynn e la sua agenzia informarono la Casa Bianca del rischio di vedere emergere uno “Stato islamico” tra l’Iraq e la Siria con il sostegno a questa ribellione da parte degli occidentali, dei turchi e delle petromonarchie.
 
Al fine di chiarire i suoi propositi, Flynn ha in seguito spiegato ad un giornale russo che il governo degli Stati Uniti aveva sostenuto «fazioni ribelle così diverse tra loro da rendere impossibile distinguere chi sono gli uni e chi gli altri e per conto di chi lavorano. La composizione dell’opposizione armata siriana, sempre più complessa, ha reso difficile qualunque tentativo di identificazione. Per questa ragione (…) dal punto di vista degli interessi americani, dobbiamo sottoporre ad un attenta critica la nostra strategia a causa della possibilità, troppo reale, che stiamo sostenendo forze legate allo Stato Islamico (…) insieme ad altre forze anti Assad in Siria».Secondo il generale Flynn, quando egli ancora dirigeva il DIA, questa agenzia censiva circa 1200 gruppi di combattenti. Di fatto, il generale Flynn sostiene che «nessuno, compresi i russi, hanno una chiara comprensione di ciò che stiamo facendo in Siria, ma sul piano tattico, sarebbe molto importante comprenderlo. La visione unilaterale della situazione in Siria e in Iraq sarebbe un  errore»
 
A questa complessità si aggiunge il tradizionale modo operativo dell’Agenzia, che è quello del “diniego plausibile”, volto ad evitare il coinvolgimento del governo degli USA in azioni criminali affidate ad agenti privati e/o stranieri. Nel mio articolo sulla guerra segreta della CIA in Siria, avevo sottolineato che:
 
«Il carattere multinazionale delle operazioni Anti-Assad ha aumentato il livello della confusione. Innanzitutto, benché una moltitudine di servizi occidentali e medio-orientali fossero implicati in questo conflitto, resta difficile pensare a questa guerra segreta sotto un angolatura multinazionale. In effetti, i media e gli specialisti hanno avuto la tendenza a dissociare le politiche siriane dei differenti Stati clandestinamente impegnati nella destabilizzazione della Siria. É vero che il rifiuto degli USA di intervenire direttamente ha suscitato gravi tensioni diplomatiche con la Turchia e l’Arabia Saudita. D’altronde, l’ostilità del re Abdallah nei confronti dei Fratelli Musulmani ha provocato dei grandi dissensi tra, da un lato, il regno saudita e, dall’altro, il Qatar e la Turchia, pur essendosi tali tensioni attenuate con la salita al trono di re Salman nel gennaio 2015.
 
A causa di queste divergenze, le politiche siriane degli Stati ostili al regime di Assad sono state troppo poche analizzate sotto l’angolatura multinazionale. Più esattamente, le operazioni occidentali sono state dissociate da quelle dei paesi medio-orientali. Ora, i servizi speciali di questi differenti Stati hanno condotto fino ad oggi azioni comuni e coordinate, nell’opacità più totale. Nel gennaio 2012, la CIA e il MI6 hanno lanciato delle operazioni clandestine d’approvvigionamento dei ribelli tra la Siria, la Turchia e la Libia, con l’aiuto di finanziamenti della Turchia, dell’Arabia e del Qatar
 
(…) è avvenuto che queste armi sono state consegnate quasi esclusivamente alle fazioni jihadiste, secondo il parlamentare britannico Lord Ashdown. Secondo il reporter Seymour Hersh “il coinvolgimento del MI6 ha permesso alla CIA di sottrarsi dalla legge classificando la propria missione in operazione di collegamento. Le azioni dell’Agenzia in Siria sono oggi meglio controllate? La questione resta aperta, ma la dottrina del “diniego plausibile”, tradizionalmente messa in atto dalla CIA, potrebbe essere un elemento di risposta. (…) Anche se questo modo d’operare tende a confondere le piste, non vi è dubbio sul ruolo centrale della CIA in questa guerra segreta multinazionale (in Siria). Nell’ottobre del 2015 il New York Times spiegava che “i missili anticarro TOW di fabbricazione americana hanno fatto la loro comparsa nella regione nel 2013, mediante un programma clandestino (della CIA) condotto da Stati Uniti, Arabia Saudita e altri alleati. Questo è finalizzato ad aiutare i gruppi degli insorti “selezionati” dall’Agenzia per combattere il governo siriano. Queste armi sono consegnate sul terreno da alleati americani, ma gli Stati Uniti approvano la loro destinazione (…) I comandanti ribelli sono scoppiati a ridere quando hanno loro chiesto a proposito della consegna di 500 TOW di provenienza saudita, dichiarando che si trattava di un numero ridicolo se paragonato a ciò che è realmente disponibile. Nel 2013, l’Arabia Saudita ha ordinato (a Washington) più di 13000 TOW”.
 
In seguito all’entrata in guerra della Russia, un ex consigliere del Pentagono ha confermato al Washington Post che il ricorso a partners stranieri implicava il “diniego plausibile”, ciò permettendo la copertura delle operazioni della CIA in Siria: fabbricati da Raytheon, i missili provengono principalmente da stock del governo saudita, che ne ha comprati 13.795 nel 2013 (…) Poiché gli accordi di vendita necessitano che l’acquirente informi gli Stati Uniti della loro destinazione finale, l’approvazione di Washington è implicita, secondo Shahbandar, l’ex consigliere del Pentagono. Fatto ciò, nessuna decisione del governo di Obama è richiesta al fine di far procedere il programma. “Non c’è bisogno del semaforo verde americano. L’arancione è sufficiente (…) Si tratta di un programma clandestino e può tecnicamente essere smentito, ma è propriamente una guerra per procura”. Così, la dottrina del “diniego plausibile”, che implica la presenza di terzi a cui scaricare la colpa, sembra spiegare perché il ruolo della CIA e dei suoi alleati occidentali in questa guerra segreta è negato, deformato o minimizzato».
 
In quest’articolo, aggiungevo che «contrariamente al mito della “inazione” (militare) occidentale contro il regime di Bachar Al Assad, la CIA è stata enormemente implicata in Siria, nel quadro di un intervento clandestino sovvenzionato da budget classificato, ma comunque straniero. Ora, questi finanziamenti stranieri e i miliardi di dollari non sono controllati dal Congresso, non avendo questa istituzione il potere d’esercitare il potere di controllo sulle politiche e sui bilanci stranieris». Basandosi sulle dichiarazioni di un parlamentare statunitense, il New York Times conferma l’assenza di trasparenza dovuta al ricorso a finanziamenti stranieri:
 
«Mentre l’amministrazione Obama vedeva questa coalizione come un argomento seducente per il Congresso, certi parlamentari, come il senatore Ron Wyden – un democratico dell’Oregon – hanno chiesto perché la CIA avesse bisogno dei soldi sauditi per finanziare questa operazione. Wyden ha rifiutato di rispondere alle nostre domande, ma il suo team ha pubblicato una dichiarazione che invoca grande trasparenza: “Alti responsabili hanno dichiarato che gli Stati Uniti stanno rinforzando le capacità operative militari dell’opposizione anti-Assad. Ora, i cittadini non sono stati informati sulle modalità di questa politica che implica la cooperazione delle istituzioni con agenti statunitensi e partners stranieri»
 
Grazie alle rivelazioni del New York Times sull’operazione “Legno di Platano” e sapendo che il sostegno della CIA e dei suoi alleati in favore di Al-Qaeda in Siria è noto al pubblico – compreso a quello francese – è indispensabile che i cittadini occidentali chiedano i conti ai loro parlamentari. Come aveva coraggiosamente denunciato la deputata americana Tulsi Gabbard tre settimane prima dell’attentato del 13 novembre «armamenti USA cadono nelle mani dei nostri nemici, Al-Qaeda e altri gruppi, gruppi islamisti estremisti che sono nostri nemici giurati. Sono dei gruppi che ci hanno attaccato l’11 settembre e noi pensavamo di doverli sconfiggere, ma al contrario li sosteniamo con queste armi per abbattere il governo siriano (…) non voglio che il governo americano fornisca armi ad Al-Qaeda, a estremisti islamisti, a nostri nemici. Penso che sia un concetto molto semplice: non potete sconfiggere i vostri nemici se, allo stesso tempo, li armate e li aiutate! Per me, ciò è assolutamente insensato». È, dunque, urgente che le potenze occidentali elaborino e mettano in opera politiche le più pragmatiche possibili al fine di combattere efficacemente contro il terrorismo, senza le quali questa foresta di «platani» continuerà ad espandersi pericolosamente.
 
Maxime Chaix
 
 
 
25.01.2016
 
Tradotto per il sito www.comedonchisciotte.org da NICOLA PALILLA