No Tav, giornalista indagato per violazione di domicilio. “Ha seguito manifestanti e smentito versione polizia”

Davide Falcioni ha ricevuto l’avviso di conclusione delle indagini dalla Procura di Torino. Per l’avvocato Gianluca Vitale, che ha difeso alcuni militanti e Erri De Luca, “con questa accusa il cronista che partecipa a una manifestazione in cui avvengono reati rischia di essere accusato per aver concorso e il diritto di cronaca viene messo in dubbio”

di  | 23 ottobre 2015

Da cronista ha seguito i No Tav entrati in un ufficio per protestare. Voleva vedere cosa facevano per poi scriverne. Ha smentito alcune ricostruzioni di fatti che lui, unico testimone in diretta, non ha visto accadere. È stato chiamato a testimoniare a difesa di quei militanti finiti a processo e ora la stessa accusa è ricaduta su di lui. Poco dopo l’assoluzione di Erri De Luca,Davide Falcioni, 32 anni, prima giornalista per il sito AgoraVoxe ora per Fanpage, ha ricevuto l’avviso di conclusione delle indagini della Procura di Torino.

“Ero lì per documentare l’organizzazione delle lotte del movimento No Tav, di cui ho scritto per AgoraVox – racconta Falcioni -. Ero stato una settimana al campeggio in Val di Susa e in quel periodo i militanti avevano organizzato questa protesta”. Si trattava di un gesto contro le aziende che partecipano ai lavori della Torino-Lione: per questo il 24 agosto 2012 i militanti dei centri sociali erano andati a Torino, erano entrati nello studio di progettazione della Geovalsusa e poi dal balcone avevano appeso uno striscione e acceso dei lacrimogeni. “Non hanno forzato porte o finestre, hanno suonato al citofono e sono entrati”.

Prima di entrare si è posto qualche domanda: “Alla fine ho deciso seguendo l’istinto giornalistico. Non potevo basarmi solo su quello che avrebbe detto la polizia”. Così segue i No Tav e assiste alla loro azione: “Era una protesta assolutamente tranquilla”. Ne scrive per il suo giornale una volta e in seguito torna sul tema quando 17 persone vengono sottoposte a misure cautelari perché indagati dalla procura. “Ho fatto un articolo per ribadire l’assenza di violenza, minacce e danneggiamenti”. Così la difesa degli indagati, saliti a 19 e rinviati a giudizio per violazione di domicilio aggravata dalla violenza sulle cose, lo chiama come testimone. Si presenta il 28 novembre 2014 al tribunale di Torino per l’esame di fronte al sostituto procuratore Manuela Pedrotta e alla prima sezione penale: “Dopo le prime domande il pm interrompe tutto dicendo che c’erano i presupposti per indagarmi”, spiega.

Il 20 febbraio scorso la presidente del collegio Diamante Minucci condanna i 19 imputati a pene dai cinque agli otto mesi e “dispone la trasmissione al pubblico ministero della trascrizione dell’udienza in data 28 novembre 2014 nella parte relativa alla deposizione di Davide Falcioni come da richiesta”. Dopo otto mesi il pm chiude l’indagine. “Sostanzialmente è la stessa accusa fatta ai militanti condannati”, spiega l’avvocato Gianluca Vitale, che ha assistito alcuni di quelli imputati, ma anche Erri De Luca. Dopo aver difeso la libertà di espressione di uno scrittore, deve difendere il diritto di cronaca di un giornalista: “Bisogna capire se prevale o meno. Con questa accusa il cronista che partecipa a una manifestazione in cui avvengono reati rischia di essere accusato per aver concorso e il diritto di cronaca può essere messo in dubbio. Si avrebbero due effetti: si tengono lontani i reporter dai fatti e si fa capire loro che devono prestare più attenzione a cosa si scrive”.

Sia Falcioni sia Vitale concordano su un punto: “Se io avessi scritto di essere entrato e di aver visto i No Tav danneggiare l’ufficio, sarei stato chiamato come testimone dell’accusa e non sarei stato indagato”. In sua difesa intervengono anche i parlamentari torinesi del Movimento 5 Stelle Laura Castelli,Ivan Della Valle e Marco Scibona che definiscono “una vera e propria aggressione alla libertà di stampa che ruota intorno alla costruzione del Tav” e parlano di “tecniche d’intimidazione giudiziaria”. Finora nessun sindacato dei giornalisti si è mosso in suo aiuto.

In corso aggressione a libertà di stampa

http://www.lapresse.it/politica/tav-m5s-in-corso-aggressione-a-liberta-di-stampa-1.783105

Tav, M5S: In corso aggressione a libertà di stampa

Roma, 23 ott. (LaPresse) – “Dopo il caso Erri De Luca, un nuovo sconcertante caso si apre, quello di Davide Falcioni: il giornalista è attualmente indagato per violazione di domicilio, avendo partecipato in qualità di cronista, alle manifestazioni No Tav dell’estate 2012, scrivendo reportage dal presidio dei manifestanti presso la sede di una società coinvolta nella costruzione. Ascoltato come teste durante il processo, è diventato imputato, solo per aver narrato i fatti da vicino, come ogni buon giornalista ha il diritto e dovere di fare”. I parlamentari M5S del Piemonte Laura Castelli, Ivan Della Valle e Marco Scibona denunciano “una aggressione alla libertà di stampa che ruota intorno alla costruzione del Tav”.

“Siamo di fronte a tecniche d’intimidazione giudiziaria – scrivono i Cinquestelle -. Non è bastata l’immane figuraccia di imputare un eminente scrittore come Erri De Luca, ora si processano i giornalisti perché raccontano quello che accade, ma che Paese è questo? Il Tav è infiltrato da mafie e politica corrotta ma a processo vanno le voci libere, i manifestanti, questa assurdità deve cessare immediatamente. Esprimiamo piena solidarietà a Davide Falcioni e ci auguriamo che venga prosciolto subito, e se qualcuno pensa che calerà il silenzio otterrà il risultato contrario”.

Perché i gas lacrimogeni non sono illegali?

http://archivio.internazionale.it/news/da-sapere/2013/06/17/perche-i-gas-lacrimogeni-non-sono-illegali

Domenica 25 ottobre 2015 aggiornato alle 18.00

  • 17 giugno 2013


Un manifestante rilancia un candelotto lacrimogeno durante le proteste a Istanbul, in Turchia. 31 maggio 2013 (Murad Sezer, Reuters/Contrasto)

La polizia turca ha attaccato con gas lacrimogeni e urticanti le persone che protestavano contro la costruzione di un centro commerciale e di una moschea al posto del parco Gezi, a Istanbul. I gas lacrimogeni sono armi chimiche? E perché non sono illegali?

Le armi chimiche sono illegali in guerra. Lo stabilisce la Convenzione delle Nazioni Unite sulle armi chimiche del 1993, che è il primo trattato per la loro messa al bando e proibisce qualsiasi attività per il loro sviluppo, conservazione, trasferimento e uso.

Ma il trattato non si applica alle attività di polizia, non vale cioè per il mantenimento dell’ordine pubblico.

I 189 paesi che hanno sottoscritto la Convenzione possono produrre agenti chimici antisommossa, sostanze cioè che provocano irritazioni o altri effetti temporanei e servono per controllare manifestazioni di violenza collettiva e contenere o disperdere proteste non autorizzate. Basta che gli stati informino un ente internazionale e non accumulino scorte eccessive di queste sostanze chimiche.

Il lacrimogeno usato più spesso dalla polizia è un composto chiamato orto-cloro-benzal malononitrile o gas Cs. Più che di un gas, il Cs ha l’aspetto di una polvere che di solito si mescola al fumo per renderla aerea. Viene lanciato sotto forma di candelotti.

Gli effetti
Se usati in spazi aperti i gas lacrimogeni producono effetti temporanei: bruciore agli occhi e lacrimazione, starnuti, tosse, panico. La pressione sanguigna aumenta, mentre si possono avere difficoltà a respirare e la frequenza del battito cardiaco può rallentare. Il gas Cs causa anche irritazione alla pelle e può provocare conati di vomito e a volte cecità. Di solito questi disturbi svaniscono in poche ore.

Negli spazi chiusi invece gli effetti possono essere più gravi.

Quando la polizia decide di usare i lacrimogeni per sgomberare un fabbricato, prima confronta la dose di gas Cs con il volume dell’edificio. Poi calcola la dose letale in rapporto al tempo, valuta cioè quanti minuti le persone all’interno del fabbricato possono resistere all’esposizione al gas senza rischiare la vita. Quando il tempo trascorso dal lancio dei lacrimogeni è al limite della soglia letale, la polizia deve rompere i vetri per far circolare l’aria.

Non si sa di preciso quante persone siano morte nel mondo a causa del Cs. Secondo Amnesty international cinquanta palestinesi sono rimasti uccisi dalle inalazioni del gas alla fine degli anni ottanta e, in seguito alla loro morte, per un periodo è stata sospesa la vendita di gas lacrimogeni a Israele. Ma la notizia non è confermata.

L’Fbi ha usato il Cs nel 1993 durante l’assedio di un ranch a Waco, nel Texas, in cui si trovavano fedeli davidiani, una setta religiosa. L’assedio è durato cinquanta giorni, fino all’incendio del ranch che ha reso difficile chiarire il motivo della morte delle 76 persone che si trovavano all’interno.

Questi fatti hanno spinto a cercare alternative chimiche antisommossa che siano meno tossiche dei gas lacrimogeni, come i maleodoranti, ma nessuna è risultata altrettanto efficace.

Invece la Russia sembra aver seguito la direzione opposta, arrivando ad usare il fentanyl (un potente analgesico che produce effetti simili a quelli della morfina) durante l’attentato al teatro Dubrovka di Mosca, nel 2002. In quell’occasione persero la vita 129 civili e 39 terroristi ceceni.

Armi chimiche in guerra
Negli Stati Uniti un decreto legge autorizza a usare gli agenti chimici anti sommossa in guerra, anche se questo rappresenta una violazione della convenzione del 1993, per proteggere i veicoli militari o prevenire il ricorso a scudi umani.

Da quando hanno sottoscritto il trattato sulle armi chimiche, nel 1997, gli Stati Uniti non hanno mai applicato il decreto. Anche se nel 2003 l’allora segretario di stato Donald Rumsfeld non aveva escluso la possibilità di farlo per il conflitto in Iraq.

In un’intervista del 2003 Elisa D. Harris, docente del Centro studi sulla sicurezza internazionale dell’Università del Maryland, aveva espresso i suoi dubbi sull’uso dei lacrimogeni in situazioni di guerra. “Il ricorso ad armi chimiche letali in conflitti è sempre stato anticipato dall’uso di agenti chimici non letali. Per questo è meglio avere una linea chiara che non prevede l’utilizzo di nessun gas sul campo di battaglia”.

Il trattato del 1993 vieta l’uso del gas Cs in guerra perché sarebbe difficile distinguerlo da altri agenti pericolosi (come per esempio il sarin, un gas nervino) e perché rischia di essere impiegato per indebolire i soldati nemici e poi attaccarli in altro modo (com’è successo durante la guerra del Vietnam, tra il 1960 e il 1975, quando gli Stati Uniti si sono serviti dei gas lacrimogeni per far uscire i vietcong dai tunnel in cui si nascondevano e ucciderli).

(Anna Franchin)

Per saperne di più

Un secolo di veleno democratico. Breve storia del lacrimogeno

 http://contropiano.org/articoli/item/18551

contropiano.org

Domenica, 18 Agosto 2013 08:50

Anna Feigenbaum *

Un secolo di veleno democratico. Breve storia del lacrimogeno

Il potere criminale sposta continuamente il confine di ciò che è “legittimo” per il potere stesso fare. L’uso di armi chimiche contro la popolazione civile era “vietato” persino in guerra (se mai si può seriamente vietare qualcosa in una guerra), pian piano è diventato “normale e democratico” usarle contro la propria popolazione quando questa mostra di non condividere le politiche del governo.

Una volta ammesso come “legittimo” uno strumento, infatti, si può soltanto discutere sulla “graduazione” del suo uso. Nel caso dei gas, quindi, sul livello di concentrazione delle sostanze tossiche o sulle “parabole” scelte dai poliziotti et similia. Naturalmente, col passare del tempo e con l’abitudine, il livello di tossicità “legale” aumenta, così come diventa “normale” lo sparo di candelotti ad altezza d’uomo.

A ciò si aggiunge poi la schizofrenia “democratica” – un velo puzzolente di ipocrisia – per cui l’uso dei gas è “incivile” quando fatto da governi potenzialmente “nemici”, assolutamente “appropriato” quando fatto da governi alleati. Figurarsi se poi non c’è un’autocertificazione di “correttezza” da parte di ogni governo…

Così tutta la retorica sugli “abusi” nell’uso dei gas diventa una pantomima che non può – perché non si vuole – fissare il punto certo di cosa sia “normale repressione” e cosa invece “violenza immotivata” da parte di uno Stato nei confronti dei propri cittadini. Non si vuole fissare quel limite, ovviamente, perché ogni governo sa di poterlo e volerlo valicare ogni qual volta la resistenza popolare di dovesse rivelare superiore – per esempio – al livello di tossicità dei gas usati.

Nel proporre questa “Breve storia del lacrimogeno” invitiamo il lettore non solo a riflettere sule “tecniche” repressive, ma anche sul fatto che c’è una vera e propria Storia del controllo poliziesco. Una Storia che è bene conoscere, cavandone gli insegnamenti indispensabili per la lotta di ora e dei prossimi tempi. Voltando definitivamente le spalle a quell’ideologia imbecille per cui sarebbe meglio andare al conflitto con “assenza di memoria”.

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Pubblicato da Blicero il 26.07.2013

Di Anna Feigenbaum, pubblicato su openDemocracy (traduzione mia)

Il lacrimogeno si è evoluto da arma chimica di guerra a «legittima» tecnologia di controllo della protesta. E mentre le vittime vengono continuamente addebitate agli “abusi” dello strumento da parte di polizia e forze di sicurezza, la storia dimostra come i lacrimogeni siano un’arma estremamente pericolosa – un’arma legata da molto tempo alle logiche comunicative di governi e aziende.

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Nell’agosto del 2012, diciotto mesi dopo l’inizio delle proteste nel Bahrain, l’associazione Physicians for Human Rights ha pubblicato uno studio che documentava la morte di 34 persone per cause riconducibili ai lacrimogeni. Queste morti erano direttamente correlate all’uso del gas in spazi chiusi quali macchine, case e moschee, nonché alle ferite alla testa causate dal lancio dei candelotti. Nella lista degli infortuni erano ricompresi anche perdita di occhi, aborti spontanei e crisi respiratorie.

Le associazioni per i diritti umani hanno cercato di mettere pressione ai governi per fermare i rifornimenti, descrivendo le ferite come il risultato di un abuso di lacrimogeni. Amnesty Internationalha dichiarato che in Bahrain i lacrimogeni «sono stati impiegati in maniera impropria», mentre Physicians for Human Rights ha intitolato il proprio rapporto Weaponizing Tear Gas.

L’espressione «uso improprio» è apparsa nuovamente la scorsa settimana. Human Rights Watchha diramato un comunicato in cui chiedeva alla Turchia di «fermare l’uso improprio e illegale dei lacrimogeni». Ma cosa significa realmente «abusare» di un’arma come il gas lacrimogeno? Come mai il gas lacrimogeno è diventato un’arma accettabile in un contesto di ordine pubblico? E perché, come fanno notare parecchi osservatori, i lacrimogeni sono vietati in guerra ma permessi in un contesto di pace?

Il gas lacrimogeno: un’arma chimica di guerra

Gli articoli sul gas lacrimogeno tendenzialmente rintracciano nella Convenzione sulle Armi Chimiche (1997), che ha proibito l’uso della maggior parte di armi chimiche, l’origine di queste anomalie. È in quell’occasione, infatti, che gli Stati firmatari hanno permesso l’uso dei lacrimogeni per «questioni di sicurezza, incluse le finalità di controllo della protesta». Tuttavia, l’origine di questa eccezione risale a molto prima del 1997. Per capire come abbia fatto il gas lacrimogeno a essere considerato un’arma umanitaria dobbiamo tornare nelle trincee.

Per quanto alcune forme embrionali di lacrimogeno fossero esistite prima della I Guerra Mondiale, è stato durante il conflitto che si è cominciato a investire nella ricerca e creazione di agenti lacrimogeni – quelli che comunemente chiamiamo “gas lacrimogeni” (anche se non si tratta di vero e proprio gas). Queste sostanze chimiche venivano impiegate per far uscire il nemico dalle trincee e «indebolirne le difese». Essendo stato progettato per questo questo scopo, il gas lacrimogeno era ritenuto una forma di attacco sia fisico che psicologico1.

L’uso così aggressivo dei lacrimogeni ha portato al divieto previsto nel Protocollo di Ginevra del 1925 – un divieto che gli Stati Uniti si rfiutarono di firmare. I delegati di Ginevra, avendone visto gli effetti nelle trincee, stabilirono che si trattasse di uno strumento disumano. Ma quando il protocollo venne ratificato, militari e funzionari pubblici erano già impegnati a decantare i benefici che quest’arma avrebbe apportato al controllo della folla.

Diffondere il verbo del controllo

Nel 1919 il generale statunitense Amos Fries iniziò una missione: quella di trasformare una tecnologia bellica in uno strumento di polizia. Per riuscire nel suo intento, tuttavia, Fries aveva bisogno di una strategia di comunicazione. Il signor Chadbourne gli disse di «rivolgersi a un uomo che conoscesse il gas bellico e fosse in grado di coinvolgere scrittori e altri soggetti disposti a diffondere il verbo»2.

E il verbo si diffuse. Le riviste si riempirono di articoli pubblicitari sul gas lacrimogeno. In uno di questi si legge che «per un uomo è più facile mantenere alto il morale di fronte ai proiettili, piuttosto che in presenza di un gas invisibile» e che «ci sono diverse prove che dimostrano come l’utilizzo dei lacrimogeni avrebbe potuto salvare vite umane»3. A differenza dei proiettili, il gas lacrimogeno «isola gli individui dallo spirito della folla», e provoca la fuga incontrollata di quest’ultima «per salvarsi dalla fonte della tortura»4.

Descritto come un “rompi-folla”, il gas lacrimogeno avrebbe dovuto essere «innocuo ed efficace come una babbuccia». La supposta inoffensività dava così il via libera alla polizia, che non avrebbe dovuto aspettare ordini o avere esitazioni. Anzi, i lacrimogeni andavano impiegati senza alcun indugio proprio «nel momento stesso in cui la folla iniziava a formarsi»5.

L’impressionante campagna di comunicazione – che trasformò i lacrimogeni in «innocue» armi anti-protesta – diede a governi, polizia, produttori e militari l’opportunità di controllare il dissenso e al contempo la possibilità di promuovere un controllo etico della massa.

Il mercato della repressione del dissenso

Negli Stati Uniti, il mercato degli «innocui» lacrimogeni esplose negli anni ’30, quando i maggiori produttori iniziarono a rifornire la polizia e le squadre private anti-sciopero. Nel frattempo, le rivolte coloniali stimolarono la domanda anche nei mercati esteri. Gli Stati Uniti spedirono rifornimenti a Panama, nelle Filippine e nelle Hawaii. Anche il Regno Unito stava usando i lacrimogeni per reprimere il dissenso nelle sue colonie, riempiendo l’India e il sud-est asiatico di candelotti e granate.

Questo primo impiego di lacrimogeni non fu esente da critiche. Già proibito in guerra, come sancito dal Protocollo di Ginevra, la legalità dell’uso di lacrimogeni sul suolo domestico venne messa in discussione dal senato statunitense. Una commissione d’inchiesta (istituita negli anni ’30) sulle pratiche anti-sciopero portò alla luce gli effetti sulla salute e ascoltò diversi medici. Nel rapporto finale, pubblicato nel 1939, la commissione giunse a queste conclusioni: «il gas lacrimogeno non è per niente una sostanza innocua, come erroneamente ritenuto. È una vera a propria arma, il cui uso può causare menomazioni gravi, durature o addirittura permanenti»6.

Nonostante i pareri di associazioni mediche e commissioni parlamentari, il complesso militare-industriale di Stati Uniti, Regno Unito e Canada continuò a produrre e vendere lacrimogeni. Alla Conferenza Tripartita (1958) – un gruppo di lavoro costituito per scambiarsi informazioni e risorse – le tre nazioni si accordarono per sviluppare nuove forme di armi “non letali” e lacrimogeni7.

Nel 1965 il Regno Unito annunciò l’invenzione di un «lacrimogeno modernizzato» – una versione rivisitata del composto CS, creato nel 1928 da scienziati americani. Un comunicato inviato ai potenziali compratori metteva in risalto l’efficienza e l’economicità di questo nuovo tipo di lacrimogeno: «La superiorità del CS deriva dal suo effetto irritante più esteso e pronunciato…Un aumento nella richiesta di CS comporterebbe una produzione su più vasta scala e in una riduzione dei costi»8.

La posizione del Regno Unito sui lacrimogeni, insieme alla sua recente invenzione, cominciò a essere criticata piuttosto in fretta. L’impero britannico poteva contare su una grossa porzione dei mercati esteri – e colonie, zone di guerra e territori occupati sono i luoghi ideali per testare nuove tecnologie militari9. Tra il 1962 e il 1964, il Regno Unito esportò lacrimogeni in Indonesia, Kenya, Malesia, Hong Kong, Nigeria, Portogallo, Singapore e Rodesia. E se all’estero l’impiego dei lacrimogeni era tranquillamente accettato, nel Regno Unito non si era mai verificato. Almeno fino all’estate del 1969, quando tutto cambiò bruscamente.

La battaglia di Bogside

Alle 23.45 del 12 agosto, Rossville Street nel quartiere Bogside di Derry entrò nella storia come il primo luogo del Regno Unito in cui furono usati lacrimogeni contro i civili. Su consiglio del Ministro della Difesa, la Royal Ulster Constabulary10 diede un colpo di telefono al ministro dell’Interno, che era appena tornato dagli Stati Uniti, e decise di usare i lacrimogeni. Gli abitanti di Bogside respirarono CS per 36 ore consecutive, dalla mezzanotte del 13 agosto alle 4 di pomeriggio del giorno seguente. Bogside venne sommersa da 14 granate e 1.091 candelotti (ciascuno contenente 12.5 grammi di CS)11. Il gas era entrato nelle abitazioni e aveva indiscriminatamente colpito bambini e anziani. Le cronache dell’epoca suscitarono moltissime polemiche, che culminarono con la prima indagine medico/scientifica sugli effetti del CS.

L’indagine venne affidata al Comitato Himsworth, un gruppo formato da esperti legati a doppio filo all’esercito. Uno di loro era addirittura un dipendente del ministero della Difesa, dove lavorava come ricercatore12. Nonostante le testimonianze dei medici generici del luogo, che avevano descritto i vari infortuni e le ricadute sulla salute, il comitato non trovò però nessun motivo per condannare l’uso del CS. Anzi, il rapporto stabilì che il CS non solo era sicuro, ma che «non c’era alcuna prova che potesse essere più nocivo su anziani, bambini e donne incinta»13. Sebbene invitassero comunque alla prudenza nell’impiego del CS in spazi chiusi, le conclusioni del comitato furono interpretate come un certificato di sicurezza.

Nei successivi vent’anni la comunità internazionale usò il rapporto per giustificare l’impiego e lo sviluppo dei lacrimogeni. Nel 1989 servì a giustificare l’esportazione di un quantitativo di lacrimogeni equivalente a 6.5 milioni di dollari verso Israele, nel periodo iniziale della prima intifada. Quei lacrimogeni furono lanciati in case, cliniche, scuole, ospedali, moschee e intere zone residenziali14.

Non credendo a queste continue (e false) garanzie di sicurezza, alcuni gruppi cominciarono a lavorare per far emergere la verità sui lacrimogeni. Physicians for Human Rights aumentò il monitoraggio e gli studi sugli effetti nocivi e i rischi sanitari, indagando in Corea del Sud e Palestina. Gli articoli delle maggiori riviste scientifiche chiedevano più ricerca e regolamentazione. Nonostante la mole di contro-informazione, il rapporto Himsworth – approvato dal governo e sponsorizzato dall’esercito – continuò a fornire al CS quello che un documento ufficiale americano del 1990 definì «un attestato di buona salute»15.

Il decennio successivo, invece di portare a un ripensamento sulla nocività del gas lacrimogeno, vide la proliferazione di dispositivi portatili al CS e di spray al peperoncino. Quest’ultimo venne utilizzato per la prima volta nel 1991. Poco dopo, dispositivi simili vennero inviati, tra gli altri paesi, anche al Regno Unito. Alla fine del decennio, i lacrimogeni “a mano” erano diventati la dotazione standard di pattuglie e guardie carcerarie.

Non ci volle molto perché la questione finisse in tribunale. Gli spray venivano utilizzati durante gli arresti per molestare e, in alcuni casi, torturare le persone. Un rapporto dell’ACLU pubblicato nel 1995 mostrava come alcune morti avvenute in carcere fossero legate all’uso dello spray al peperoncino. Le inchieste sugli abusi degli anni ’90, tuttavia, non riuscirono a scalfire la retorica dell’“arma non letale”, che invece continuò a regnare, e anzi favorì l’apertura di mercati del lacrimogeno ancora più redditizi.

Modernizzare la “non letalità”: nuova tecnologia, vecchia tecnica di comunicazione

Negli anni recenti, e soprattutto dopo la Primavera Araba del 2011, le tecnologie “non letali” per il controllo della protesta sono state pubblicizzate in maniera piuttosto aggressiva. Basta guardare questo video promozionale della Nato per rendersene conto:

Questo video della NATO è solamente uno dei tanti tasselli che compongono la campagna di pubbliche relazioni dell’industria delle armi non letali – un’industria che ha visto crescere notevolmente i suoi profitti. Per esempio la Condor Non-Lethal Technologies – i cui prodotti sono stati usati in Bahrain, Turchia e Brasile – ha aumentato i ricavi del 33% grazie a nuova strategia di marketing basata su comunicazione e partecipazione a fiere.

Allo stesso modo si continuano a sviluppare nuove tecnologie per perfezionare questi proiettili velenosi. La granata “Ballerina” (Dancer grenade) della Condor è stata presentata lo scorso febbraio all’expo Milipol Security, e questo giugno ha debuttato sulle strade di Istanbul e San Paolo. Nel frattempo il Regno Unito sta testando il Discriminating Irritant Projectile, una specie di pistola che può sparare i lacrimogeni fino a 100 metri di distanza.

E mentre in tutto il mondo si vendono forme sempre più diverse di armi non letali, anche le ragioni che giustificano il loro impiego sembrano crescere di pari passo. Dall’inizio di quest’anno, i lacrimogeni sono stati usati su studenti che manifestano per chiedere sussidi per il cibo, comunità autoctone private della loro terra, persone che protestano per l’aumento dei prezzi della benzina e del trasporto pubblico e persino su rifugiati fermi in coda.

Abbiamo visto molti più candelotti sparati in testa, molte più granate lanciate in spazi chiusi e molti più lanci di lacrimogeni accompagnati da proiettili di gomma e proiettili veri. Un simile impiego di lacrimogeni continua a uccidere, sfigurare o lasciare le persone in condizioni di salute critiche. Eppure, questi fatti continuano a essere considerati delle eccezioni – dopotutto, i lacrimogeni sono sicuri; è il loro “abuso” ad essere il problema.

Dal momento che Human Rights Watch, Amnesty International, Physicians for Human Right e laOmega Research Foundation continuano a produrre studi e rapporti, forse è arrivato il momento di rendersi conto che il vero problema sono i lacrimogeni stessi. Bisogna ridiscutere i termini del dibattito, ossia rifiutare la retorica aziendale della non-letalità e rigettare il sogno, letale e antidemocratico, di pacificare la società con il veleno.

In un secolo di storia dei lacrimogeni, è chiaro che queste armi chimiche non sono mai state sicure, innocue o umanitarie.

 

  1. L. F. Haber The Poisonous CloudChemical Warfare in the First World War. Oxford: Oxford UP, 2002. []
  2. National Archives II, Chemical Warfare Service , General Amos Fries, RG 175, box 15. []
  3. Amos Fries. ‘By-Products of Chemical Warfare’ Industrial and Engineering Chemistry. October 1928, pp. 1083. []
  4. Theo m. Knappen ‘War gases for Dispersing Mobs’ Gas Age Record. November 26, 1921, pp. 702-703. []
  5. Ibid. []
  6. Industrial Munitions Digest,’ Violations of Free Speech and Rights of Labor. Senate Report No 6, part 3, 1939. [
  7. Robert Harris and Jeremy Paxman. A Higher Form Of Killing. New York: Hill and Wang, 1982, pp. 174 & 183.
  8. King’s College. Liddell Hart Centre for Military Archives, Gassed collection, Box O.
  9. Il Regno Uniti esportò il CS durante la guerra in Vietnam. I proiettili di gomma furono testati nell’Irlanda del Nord e usati per le prime volte nei Territori Occupati della Palestina.
  10. Il nome del corpo di polizia dell’Irlanda del Nord dal 1922 al 2001, nda.
  11. Minutes of the Himsworth Committee Meetings, Himsworth Collection, Wellcome Trust.
  12. Ibid.
  13. King’s College, Liddell Hart Centre for Military Archives, Gassed collection, Box O.
  14. “Use of U.S.-Manufactured Tear Gas in the Occupied Territories” NSIAD-89-128, Apr 13, 1989 reperibile su http://www.gao.gov/assets/220/211128.pdf
  15. King’s College  Liddell Hart Centre for Military Archives, Gassed collection, Box O1, transcript of interview with Dr. HU, Outsider Television tape 26.

Yves Crozet affonda la Torino – Lione

post — 23 ottobre 2013 at 14:55

Yves Crozet, uno dei massimi esperti francesi dei trasporti, professore di Economia all’Università di Lione, membro del Laboratorio di Economia dei Trasporti e della Commissione Mobilità 21, afferma che la Torino-Lione non serve.

http://fr.wikipedia.org/wiki/Yves_Crozet

“Quindi è ufficiale? La tav non si farà!””Dire ufficialmente che questo progetto non vedrà mai la luce (in realtà dice “è troppo costoso”) politicamente non è fattibile perché bisogna sempre far sognare i cittadini e il modo per farlo sono le grandi opere. E’ patetico, ma è così.”

Le Iene intervistano, quindi, Yves Crozet, uno dei 10 membri della commissione Mobilitè 21 (Qui un’analisi del rapporto della Commissione Mobilità 21:http://www.presidioeuropa.net/blog/wp-content/uploads/2013/10/Commissione-Mobilit%C3%A0-21-Note-Interpretative1.pdf), professore di Economia all’Università di Lione e membro del Laboratorio di Economia dei Trasporti:
Nessuna grande opera, tra cui l’alta velocità tra Lione e Torino, si realizzerà in Francia prima del 2028-2030″.
A seguire, uno stralcio dell’intervista:
Iene: Cos’è Mobilitè 21?
Crozet: “Nell’ottobre 2012 il Ministro ha formato una commissione di 10 persone, sei deputati e senatori e quattro esperti tra cui io, per studiare l’insieme delle infrastrutture dei trasporti in Francia. Questa commissione è stata chiamata Mobilité 21 perché è incentrata sul XXI secolo e i servizi di trasporti.
Iene: Ci può riassumere a che conclusioni è arrivata sul tratto francese Lione-Torino?
Crozet: “La principale conclusione del rapporto della Mobilité 21 era di fare attenzione alla realizzazione di progetti di linee ad alta velocità, anche perché queste linee nuove creerebbero problemi di saturazione sugli snodi ferroviari esistenti. Piuttosto che concentrarsi sulla costruzione di centinaia di chilometri di linee ferroviarie ad alta velocità, era meglio concentrarsi sul dare molta più mobilità ai nodi ferroviari parigini, di Lione e Marsiglia. E abbiamo insistito che costruire il tunnel Lione-Torino avrebbe implicato spese estremamente ingenti e che i soldi spesi per la Lione-Torino avrebbero precluso gli investimenti sugli altri progetti nazionali.”
Iene: Abbiamo letto una data prima della la quale non potranno iniziare i lavori. Ce la può confermare?
Crozet: “Il Governo ha ricevuto il rapporto della commissione Mobilité 21 alla fine del giugno 2013 e il 9 luglio 2013 il Primo Ministro ha fatto una comunicazione sugli investimenti futuri e ha confermato che avrebbero seguito le conclusioni del rapporto Mobilité 21. Cioè, che avrebbe dato la priorità agli investimenti sulla stazioni parigine e che il solo progetto futuro entro il 2030 sarebbe stato la linea Bordeaux-Tolosa.”
Iene: Qual è la linea ufficiale del governo francese su quest’opera?
Crozet: “Per noi è molto chiaro che i Governi da molti anni cercano di rimandare questo progetto senza mai osare dire la verità: cioè che andrebbe fermato. Sempre più persone sostengono che il progetto è troppo costoso e che soprattutto non corrisponde a una reale domanda e che se si realizza questo progetto il traffico e l’utilizzo sarà veramente basso. Quindi sarà un progetto con una grande capacità di traffico ma non sarà utilizzato. Tutti i deputati, la corte dei conti, spiegano che questo progetto non è assolutamente prioritario, oltre ad essere molto costoso”.
Iene: In Italia si dà per certa la costruzione. Si dice che è fondamentale per l’Europa
Crozet: “Negli orizzonti futuri di realizzazione non verrà realizzato quasi niente prima del 2025-2030”
Iene: I lavori continuano o sono fermi?
Crozet: “Per il momento i lavori sono fermi”

Qui il video intergale

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A Caprie una montagna di smarino del Tav: diamo i numeri

domenica, ottobre 25, 2015
A Caprie una montagna di smarino del Tav: diamo i numeri

Con la delibera 19 del 2015 il Cipe ha approvato il progetto definitivo della tratta della Torino-Lione compresa tra il confine di Stato e Bussoleno. Sono 17 km: una dozzina del tunnel di base in territorio italiano, circa 3 nella piana di Susa e 2 in galleria fra Susa e Bussoleno. Questi scavi hanno come conseguenza la produzione di una enorme quantità di terra. Dove finirà tutto lo smarino in esubero? A Torrazza e a Caprie.

Ma quanto materiale verrà portato a Caprie? Una montagna: un milione duecentoventimila e quaranta tonnellate (1.220.040 T). Corrispondono a qualcosa in più di seicentodiecimila metri cubi(610.000 m3). In realtà i progettisti prevedono di portarne fino a 850.000 m3 mettendo in conto di dover “gestire eventuali variazioni nel processo di utilizzo dei materiali di scavo in fase realizzativa”, cosa già puntualmente capitata per il cunicolo geognostico della Maddalena.

Sono numeri enormi, difficili da maneggiare. Conviene paragonarli a qualcosa di conosciuto. Quanti sono 850.000 metri cubi? Prendete lo stadio olimpico di Torino, l’ex comunale dove gioca il Toro, o lo Juventus Stadium. L’area del terreno di gioco misura 7.140 m2. Se ci portassero lo smarino destinato a Caprie creerebbero un enorme cubo grande come il campo e alto 119 metri. Se non amate il calcio, prendete il Colosseo: ha una superficie di 3.357 m2 e un’altezza massima di 48,5m. Il cumulo di smarino progettato a Caprie corrisponde a 5 volte il volume del Colosseo!

Per le tonnellate possiamo fare un ragionamento analogo. La Costa Concordia aveva una stazza lorda di circa 115.000 tonnellate. Il materiale che TELT vorrebbe portare a Caprie pesa dieci volte quella tragica nave!

Ma come trasporteranno questa montagna da Susa o da Chiomonte fino a Caprie? Dicono in treno. Il Cipe ha approvato la proposta di utilizzare container sistemati su convogli lunghi 300 metri e capaci di caricare circa 1000 tonnellate. In totale 50.000 container e 1.250 treni. Se li mettessimo in fila otterremmo un mostruoso treno lungo 350 km, più della distanza fra Torino e Lione. Sarà questa la “saturazione della ferrovia esistente” che predicono da trent’anni?

Qui non si tratta di fare allarmismo, ma di leggere i documenti ufficiali e informarsi sulle conseguenze di un simile spostamento di materiali che durerà, da progetto, almeno sei anni. Il futuro che vogliamo per Caprie e per i paesi della Valle non è questo. Lo hanno ripetuto tecnici, comitati e amministratori in una affollata assemblea pubblica che si è tenuta questo venerdì proprio a Caprie. E insieme continueremo a opporci a questo scellerato progetto.

Per sincerarvi dei numeri citati consigliamo la lettura di Relazione geotecnica del sito di Caprie (PD2 C3B 0045), Evacuazione del marino con il treno (PD2 C2A 0023) Relazione illustrativa siti di deposito (PD2 C3A 5501).

SUR AFRIQUE MEDIA TV/ LE DEBAT PANAFRICAIN DE CE DIMANCHE 25 OCTOBRE 2015 : LE PROGRAMME COMPLET

Vers 14H30 (Douala/Ndjamena/Malabo) et 14H30 (Bruxelles/Paris/Berlin)…

Présentée par Alain Michel Yetna

En direct sur streaming sur http://lb.streamakaci.com/afm/ 

Avec les panelistes

et le géopoliticien Luc MICHEL en direct sur le plateau de Douala

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LES THEMES DE L’EMISSION DE CE 25 OCTOBRE

1- Procès Habré: S’achemine-t-on vers la fin de l’impunité en Afrique?

2- Les bases militaires des occidentaux en Afrique: l’Afrique en a-t-elle réellement besoin?

3- Congo Brazza/Référendum Constitutionnel: Le président Sassou n’est-il pas dans son droit?

AMTV/ avec EODE Press Office et PANAFRICOM /

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