Mosca spiega perchè non sono stati espulsi i diplomatici USA in risposta a sanzioni Obama

rodi ex presidente Usa premio Nobel per la pace. Hai ancora 18 gg per scatenare una guerra, sappiamo che farai di tutto, come falsificare le prove del presunto attacco hacker partito dalla russia contro quell’angelo della Killary, quando abbiamo pure la confessione dello staff di SANDERS (che dalla dolce signora ne ha subite di ogni).
Mr Obama che ne pensi dell’influenza degli ambasciatori Usa nella politica del paese dove essi sono dislocati? RICORDI WIKILEAKS, l’ambasciatore Spogli??? Le spie della NSA in Germania invece che facevano? RIcreazione?
 
Mosca spiega perchè non sono stati espulsi i diplomatici USA in risposta a sanzioni guida-al-cremlino-di-moscaObama
Decidendo sulla risposta all’espulsione dei diplomatici russi dagli Stati Uniti, Mosca ha tenuto conto degli interessi dei diplomatici americani e dei loro figli, ha dichiarato la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova.
“Comprendendo che la diplomazia si basa su risposte e misure simmetriche, abbiamo preso in considerazione molto seriamente e con molta serietà abbiamo tenuto conto di come si sarebbero sentiti i nostri colleghi americani e le loro famiglie. Soprattutto dei loro figli, che ora si preparano alle feste di Capodanno e che sono in vacanza, di come si sarebbero sentiti se fossero stati strappati da questo processo e avessero dovuto raccogliere tutte le loro cose in 72 ore per tornare in patria in questo modo. Per questo abbiamo preso questa decisione”, — ha detto.
Giovedì l’amministrazione del presidente uscente Barack Obama ha imposto nuove sanzioni contro 9 agenzie, aziende e persone fisiche russe, colpendo anche l’FSB (servizi segreti russi, ndr) per “l’interferenza nelle elezioni” e “la pressione sui diplomatici statunitensi” che lavorano in Russia.
 
Gli Stati Uniti hanno inoltre confiscato 2 complessi residenziali, le cosiddette “dacie” dell’Ambasciata russa a New York e Washington di proprietà della rappresentanza diplomatica russa. Sono state dichiarate persone non gradite 35 diplomatici russi, che sono obbligati a lasciare il Paese.
 
Il presidente russo Vladimir Putin ha detto che Mosca non manderà via nessuno diplomatico americano in risposta alla decisione di Obama, nonostante la parte russa abbia tutte le ragioni per rispondere adeguatamente.
30.12.2016 (aggiornato 10:41 31.12.2016)

Gli Ultimi Rantoli di Obama

Ultima della saga de Il presidente premio Nobel per la pace Mr Obama, l’espulsione di 35 diplomatici russi, che hanno giocato un ruolo (e che agli Usa servono le prove quando accusano qualcuno?) nel “sovvertire” il voto democratico statunitense. Qui l’articolo dello scribacchino Massimo Gaggi de Il corriere a riguardo, disgustato dal fatto che Trump (chiamato con mille epiteti diversi ma mai qualificato come presidente) le consideri ilazioni non fondate. Per lo scribacchino dell’ansa Putin è zar e Trump è solo un tycoon (che è un crimine?), un miliardario (infatti Obama era un poraccio)

Gli Ultimi Rantoli di Obama
Non so dirvi se Trump sarà meglio o peggio, come sempre è bene andare oltre i 5kb putinobamaconsueti e dunque io mi ricordo. Mi ricordo che un tempo pensai “peggio di Bush jr, non è possibile” e invece: Ecco appunto.
E siamo finalmente agli ultimi rantoli della amministrazione Obama un brutto crepuscolo fatto di fallimenti epocali, figure di merda,  dispetti e mosse disperate.
 
La madre di tutti fallimenti si svolgerà ad Astana a metà gennaio, giusto 5 giorni prima l’avvicendamento.
 
Speciale difesa: Siria, stampa turca, a metà gennaio prossimo vertice trilaterale Turchia-Russia-Iran
Ankara, 27 dic 15:00 – (Agenzia Nova) I rappresentanti di Turchia, Russia e Iran si incontreranno ad Astana a metà gennaio per discutere della cessazione delle ostilità in Siria: lo ha riferito un funzionario del ministero degli Esteri turco, secondo quanto riferito dal quotidiano “Hurriyet”. Il presidente russo Vladimir Putin ha detto che i leader di Turchia e Iran hanno concordato che i prossimi colloqui di pace sulla Siria vengano tenuti nella capitale del Kazakhstan, Astana, aggiungendo che anche il presidente siriano Bashar al Assad aveva accettato la proposta…….
 
Traduco: per la prima volta dal dopoguerra ci saranno negoziati di pace in una area geostrategica cruciale per i “valori dell’occidente” e USA e Europa non sono invitati. Anche perché sono le potenze che hanno perso.
Corollario: non un centesimo del bottino, ovvero la ricostruzione della Siria andrà a imprese europee o americane senza l’approvazione di Mosca, non una goccia di petrolio o un millimetro cubo di gas passerà dalla Siria senza il benestare Russo.
 
Alla voce figure di merda ci sono
  1. le parole “TESTUALI” del presidente Turco Erdogan: “Ho le prove che la coalizione guidata dagli Stati Uniti in Siria aiuta gruppi terroristici come l’Isis” (scegliete voi una fonte a caso, ne troverete centinaia)…ooooopsle parole “TESTUALI” del presidente delle Filippine Duterte a Obama in conferenza stampa :”Figlio di puttana te la farò pagare
Non male eh, quando si dice rispetto e timore.
Poi ci sono i dispetti a Trump:
E direi che la questione del NON veto americano posto da Kerry sulla questione dei territori occupati e le notizie che filtrano di un impegno americano per ottenere lo Stato di Palestina basta e avanza.
Siamo seri, in 13 giorni compreso capodanno arriva lo stato palestinese perché lo dice Obama, e vabbeh.
 
Infine la mosse disperate e qui siamo all’assurdo:
 
Mi scrive un amico:
 
L’amministrazione Obama cioè il governo in carica applica sanzioni alla Russia per comprovata manipolazione (sic) delle elezioni USA, ma allora se il congresso approva le sanzioni implicitamente sancisce che le elezioni sono taroccate.
A questo punto o si rimangiano l’accusa e ritirano le sanzioni o esce un casino.. non vorrei che fossero i prodromi di quello che ha detto Moore in una recente intervista e cioè che prima del 20 esce un fatto che stoppa l’insediamento di Trump.
 
……Mi verrebbe da dire, nulla di peggio potrà capitare dopo Obama
 
Il problema appunto è che lo pensai anche di Bush jr.
Di FunnyKing , il 28 dicembre 2016

Non condannate “Left”, è il naturale epilogo di una sinistra che molla Peppone per abbracciare Soros

Chi siano gli “elmetti bianchi” e quale sia stato il loro compito nella guerra in Siria è noto ma la stampa, operando da grancassa della coalizione anti-Assad, li ha sempre dipinti come degli angeli che mettevano la loro vita al servizio di quella degli altri, salvando tutti, persino i miliziani fedeli a Damasco, se ne avessero avuto bisogno. Bene, qualche breve nota biografica. La Syria Civil Defense (SCD) – i cui membri sono chiamati comunemente “elmetti bianchi” – è una organizzazione civile finanziata dagli Stati Uniti e dal Syrian National Council (l’opposizione armata siriana nata nell’agosto 2011 per combattere contro il governo di Bashar al-Assad): viene fondata in Gran Bretagna e inizia la sua attività nel 2013, grazie a finanziamenti statunitensi e britannici. Fondatore degli “elmetti bianchi” è questo signore Risultati immagini per james le mesurier
James Le Mesurier, un ex ufficiale dell’esercito britannico. Nato a Singapore e cresciuto in Inghilterra, dopo aver superato brillantemente la sua formazione militare presso la prestigiosa Royal Military Academy di Sandhurst, è stato destinato al reparto d’elites dei Royal Green Jackets, reggimento di fanteria dell’esercito britannico in forza al quale ha compiuto missioni operative in Irlanda del Nord, in Kosovo e infine in Bosnia. Lasciato l’esercito, ha lavorato per le Nazioni Unite, poi l’Unione europea e infine ha abbracciato la causa umanitaria, fondando l’organizzazione di protezione civile Syria Civil Defense (SCD), la cui sede principale attualmente è a Dubai. Insomma, di tutto si può parlare tranne che di spontaneismo. E se questa grafica, Risultati immagini per james le mesurier
 
preparata da un’emittente inglese, non dalla tv di Damasco, ci mostra su quali contatti di bassissimo livello possano godere gli “elmetti bianchi”, questi video
ci mostrano in realtà quale sia stata la loro funzione: propaganda allo stato puro contro Assad prima e poi contro l’intervento russo al fianco delle truppe di Damasco, iraniane ed Hezbollah.  Bene, questa left
 
è invece la foto pubblicata nella pagina Facebook dal settimanale Left, sorto dalle ceneri di Avvenimenti, già allegato dell’Unità e autodefinitosi “A sinistra senza inganni”. Per questi signori, nel numero in edicola domani, gli “elmetti bianchi” sono le persone dell’anno del 2016. Insomma, chi ha fiancheggiato i terroristi in Siria, merita un premio, un riconoscimento pubblico. Ora, in un Paese dove quatti quatti ci scodellano la soluzione preconfezionata del caso Regeni quando abbiamo ancora la testa obnubilata dai fumi enogastronomici del Natale, può accadere di tutto ma la cosa grave non è “Left” (il quale, immagino, sia letto dai redattori e da pochi congiunti di buon cuore), è cosa “Left” rappresenti.
Ovvero, la degenerazione di una sinistra che in nome della globalizzazione come valore assoluto ha gettato alle ortiche Peppone per abbracciare George Soros. E se ne vanta, oltretutto.
E’ la stessa sinistra blairiano-clintoniana che si è bevuta la narrativa della pulizia etnica in Kosovo (dove, stranamente, il fondatore degli “elmetti bianchi” operava in un reparto d’elite, immagino in sostegno dei terroristi-narcos dell’UCK), salvo tornare brevemente pacifista in favore di telecamera quando tre suoi guru rispondenti ai nomi di Piero Pelù (quello delle matite cancellabili al referendum che oggi si scopre fare investimenti con il circolo renziano), Jovanotti e Ligabue hanno deciso che era ora di dire “mai più” alla guerra.
 
Il Mio Nome è Mai Più
In compenso, per 72 giorni la Serbia è stata devastata dai bombardamenti NATO, benedetti da un governo di sinistra che ha aperto le porte di Aviano ai caccia.
Motivo scatenante dell’intervento?
La falsa strage di Racak, smentita a guerra finita dal patologo del Tribunale Penale Internazionale per la ex-Jugoslavia, Emilio Perez Pujol (intervista al Sunday Times e a Le Monde) ma tramutata in casus belli dalla coppia d’oro del mondialismo da Terza Via, ovvero Madeleine Albright e Richard Hoolbroke. Disgregata a dovere la Jugoslavia, restava la Serbia a dare fastidio ai piani egemonici della NATO ad Est e nei Balcani: et voilà, una bella “guerra umanitaria”, ossimoro che è la carta d’identità della sinistra rappresentata da “Left” e dalla sua copertina.
E vogliamo parlare di come la sinistra di lotta e di governo si sia adeguata alle esigenze atlantiste dell’intervento in Afghanistan prima, per vendicare l’11 settembre (casualmente responsabilità, almeno finanziaria, saudita, ovvero principale alleato Usa nel Golfo), in Iraq poi, guerra giustificata dalle fialette piene di Aulin di Colin Powell e infine di tutte le cosiddette “primavere arabe”, sponsorizzate da Dipartimento di Stato e Soros Foundation?
Non si può parlare di buona fede, perché ognuna di queste guerre ha portato con sé e lasciato sul terreno prove sufficienti a smontare i motivi istituzionali e rivelarne l’agenda nascosta: se supportano quelle guerre, quelle strategie, quelle scelte geopolitiche, è perché o le si condivide o si è in malafede e, quindi, ontologicamente dalla parte del più forte. Siamo passati da una sinistra che vedeva complotti CIA ovunque negli anni Sessanta, Settanta e Ottanta e una sinistra che dei desiderata della CIA è paradossalmente un’emanazione mediatico-politica.
Siamo passati dall’adorazione per l’URSS alla criminalizzazione tout court di Vladimir Putin, con cotè di applausi e occhi lucidi a ogni nuova sanzione comminata contro Mosca. Siamo passati dal denunciare la repressione britannica in Irlanda del Nord, brandendo Bobby Sands come esempio, a dedicare la copertina del settimanale “a sinistra senza inganni” a quegli stessi “elmetti bianchi” fondati da uno che in Ulster sparava e metteva in pratica operazioni psyops di guerra psicologica.
 
La Terza Via, il grande inganno della globalizzazione, ci ha portato a questo: incarnare, declinare e incastonare nel contesto globale come progressista ciò che in realtà è potere allo stato puro, imperialismo, terrorismo finanziario, destabilizzazione.
L’orrore di conradiana memoria oggi è il mainstream, mascherato da umanitarismo. A testimonianza di questo c’è la nuova arma della sinistra: la post-verità, le “fake news”, il “linguaggio d’odio”, ovvero bollare come bufale tutte le notizia che escono dallo schema narrativo di Usa e soci e che vanno a infrangere il totem del politicamente corretto.
Quanti ospedali pediatrici distrutti dai russi hanno pianto su “L’Unità”, su “Repubblica” e sicuramente su “Left”? Ora scopriamo che erano utilizzati dai cosidetti ribelli moderati come deposito per le armi e scopriamo anche che “Medici senza frontiere” non ha mai avuto alcun ospedale in Siria e che non comunica le coordinate delle strutture che supporta, nonostante il suo presidente lanciasse accuse pesantissime come queste
nei confronti delle truppe di Damasco. E la post-verità sarebbe quella dei blog e della stampa indipendente? Le bufale sarebbero quelle di chi sta con Putin e non con Al-Baghdadi o Al-Nusra?
 
La questione è culturale, prima che strategica. Una sinistra che ha contrabbandato e svenduto i diritti dei lavoratori per quelli LGBT, accettando la riduzione in schiavitù di massa dei voucher in nome delle unioni civili (andate a vedere quante ne sono state celebrate dall’ok al Ddl Cirinnà e quanti milioni di voucher sono stati venduti) e della dittatura del piagnisteo è null’altro che il cavallo di Troia della mercificazione totale della società, schematizzata in genere e non più percepita in classi.
Una sinistra che scambia un pianificato piano di destabilizzazione per accoglienza, ha violentato e ucciso se stessa: accettare che la nuova rivoluzione sia quella globalista del “no borders” e non più quella dell’uguaglianza sociale e dei diritti reali per chi ha davvero bisogno – e non per chi viene qui a svernare da Paesi non in guerra, chiedendo wi-fi più potente e pasti gourmet in attesa di andare a sfruttare, da vero parassita, il welfare tedesco o svedese – equivale ad abdicare dallo status di pensiero politico per adagiarsi in quello più comodo (e, a volte, remunerativo) di gadget del pensiero unico.
Chi paga infatti il conto di questa situazione? Le periferie e i ceti deboli, non certo chi abita in centro o magari a Capalbio, paradiso della sinistra in tweed che i migranti non li ha voluti ma ha preferito scomodare amicizie politiche per ottenere lo stesso risultato cui anelavano gli abitanti di Gorino con i loro blocchi stradali. Ci vuole classe anche nell’essere “razzista”, l’ipocrisia è bene supremo e motore immobile. Bollare come fascista il fatto che la sicurezza sia il primo dei diritti che i ceti meno abbienti reclamano è suicida, tanto più che quel campo è divenuto non a caso feudo e bacino elettorale della destra, più o meno centrista). Dichiarare gli “elmetti bianchi” persone dell’anno è soltanto l’epilogo naturale di un processo metastatico iniziato anni fa. Ma occorre prendere atto che il cambio di paradigma scompagina molte logiche, ottunde molte menti e incattivisce molti animi: anche a destra, dove un anti-comunismo d’antan spinge molti a vedere nella Russia di Putin la minaccia rossa, patologia che negli anni Settanta portò molti “fascisti” a fare il gioco della CIA e di Gladio in chiave anti-sovietica. State sereni, ci sarà tempo per riflettere. E pentirsi amaramente.
Di Mauro Bottarelli , il 29 dicembre 2016

State calmi, è strategia della tensione + Omicidio Karlov: un’esecuzione in diretta, opera di cani rabbiosi

Ankara, Zurigo, Berlino.  Il più grosso è ovviamente a Berlino, 9 morti una cinquantina di feriti – modus operandi simile all’attentato di Nizza del 14 luglio;  è la prima volta che un vero attentato “alla francese” colpisce la Germania. La Francia ha ed ha avuto le mani in pasta in Siria, fa i giochi sporchi da anni; Berlino è rimasta neutrale.   A Zurigo, uno sconosciuto ha sparato in  un centro islamico.  State calmi, è strategia della tensioneAd Ankara, ucciso da un poliziotto l’ambasciatore russo.
 
E’ troppo presto per dire qualcosa di più preciso. L’assassinio di Ankara è stato rivendicato, più precisamente esaltato, dall’IS e da Al Qaeda, certo come no:  attraverso il SITE di  Rita Katz. E’ un indizio abbastanza precisoAnche Obama, anche al Dipartimento di Stato, e alla Cia, hanno ottime ragioni per esaltare l’omicidio,  prima   di dover traslocare.
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A che scopo?, mi chiede qualcuno. Che domanda: uno degli scopi  della strategia della tensione,  l’ondata sincrona di attentati l’ha già ottenuto  dentro di  voi: vulnerabili, esposti ad un’aggressione che può colpirvi in ogni momento, perché il nemico, musulmano, è folle . Lo è, infatti; solo pensate che è quel nemico musulmano che vi hanno imposto di accettare a centinaia di migliaia,  masse troppo subitanee  che manca il tempo di integrare, giovani maschi per lo più, per cui le fanciulle europee sono una provocazione sessuale; quanti di loro sono criminali e pregiudicati? Jihadisti?
 
Ma  se provate a fare questa domanda siete razzisti, egoisti, privi di carità.
La centrale che vi obbliga ad accoglierli tutti, è la stessa che vuol farvi paura –e giustamente – per questa invasione inassimilabile. Contraddizione? Ma questa  è uno dei suoi strumenti più preziosi nella strategia della tensione, vi lacera fra due pulsioni opposte,   due discrasie cognitive, fra senso di colpa e urto irrazionale di rabbia, voglia di uccidere. E’ un successo.
Perché la strategia della tensione in Europa, in queste ore? Mentre Aleppo è liberata? Mentre Obama fa’  le valige?
 
Putin,  limpido, ha spiegato: “L’assassinio (dell’ambasciatore) è una provocazione mirante a impedire il miglioramento delle relazioni russo-turche, minare il processo di pace in Siria promosso da Russia, Turchia, Iran ed altri paesi interessate a risolvere il conflitto in Siria”.
 
Per noi europei, la strategia della tensione ha uno scopo quasi tradizionale:  farci  travolgere dal terrore  che è dovunque,  odiare i musulmani mentre ci obbligano ad accoglierli, significa che ci sentiamo insicuri – e perciò chiediamo un governo forte, autoritario, con una polizia che censuri i siti – non solo gli islamici, anche i nostri: ne va  della nostra vita!  Leggi speciali d’emergenza, legge marziale.  O stringiamoci tutti sotto l’ombrello della NATO, che ci  difende dai jihadisti…
L’oligarchia di Bruxelles  travolta dalle critiche e contestazioni,  dal crescere del “populismo”,  l’Unione Europea   che vede incagliato il suo progetto sovrannazionale, può trovarvi il suo  tornaconto: imporre ordine e disciplina, recuperare “autorità”.  E’ presto per dirlo. Aspettiamo i media di domani, cosa dicono, quali ricette invocano, quale capo o “fratello”  per l’emergenza, capace di calmare i nostri terrori: sono le parole d’ordine  a cui  ci faranno obbedire.  Quale il prossimo “Je suis Charly”? Aspettiamo domani.
 
Un  camion chiamato Ariel
 
(dall’Ansa: l camion era partito dall’Italia per fare rientro in Polonia. Lo scrive il Guardian, per il quale il mezzo doveva fermarsi a Berlino per consegnare il carico ed il conducente, cugino del proprietario dell’azienda di trasporti polacca, aveva detto di volersi fermare per la serata. Ci sono forti sospetti, afferma il Guardian online, che il mezzo si stato rubato durante il viaggio. L’autocarro è di un’azienda di trasporti di Danzica, che dice di aver perso il contatto con il mezzo attorno alle 16 del pomeriggio.
 
Il proprietario dell’azienda, identificato solo come Ariel Z, è stato intervistato dall’emittente polacca Tvn24 e ha detto che il mezzo era guidato da suo cugino, che aveva intenzione di passare la serata a Berlino. Ha escluso che il suo parente, che guida camion da 15 anni, possa aver provocato lo schianto.
FonteBlondet & Friends dicembre 20 2016
Omicidio Karlov: un’esecuzione in diretta, opera di cani rabbiosi
È stato vittima di un’esecuzione quasi in diretta l’ambasciatore russo in Turchia, Andrei Karlov, freddato con una raffica di colpi alla Galleria d’Arte Moderna d’Ankara: le grida dell’omicida, un poliziotto poco più che 20enne, inducono i media a parlare di terrorismo di matrice islamista, una vendetta per le vicende di Aleppo. Diversi elementi suggeriscono che la pista dell’esOmicidio Karlov: un’esecuzione in diretta, opera di cani rabbiositremismo religioso sia solo un paravento e che dietro l’assassinio si nascondano i servizi atlantici, ancora radicati in Turchia grazie alla rete dell’imam Fethullah Gülen. Difficilmente tra Russia e Turchia scenderà il gelo, perché così facendo il Cremlino il gioco dei mandanti: l’omicidio dell’ambasciatore Karlov è però una spia dell’attuale clima internazionale. L’establishment atlantico agisce sempre più come un cane rabbioso.
 
NO, NON CI SARÀ NESSUNA ROTTURA RUSSO-TURCA
 
Lunedì 19 dicembre, Ankara, Galleria d’Arte moderna: l’ambasciatore russo in Turchia, Andrei Karlov, sta tenendo un discorso all’inaugurazione della mostra “la Russia vista dai Turchi”. Prima che inizi a parlare, si posiziona alle sue spalle unassassino-spalle uomo: è vestito con camicia bianca e cravatta nera, giovane, ben rasato e composto. L’ambasciatore russo si cimenta nel classico discorso di routine per simili occasioni.
 
 
Il ragazzo alle sue spalle estrae la pistola e gli scarica diversi colpi in corpo, in una drammatica sequenza immortalata dalle telecamere rivolte verso Karlov1.
 
L’attentatore non fugge, né esce dal campo delle telecamere, ma rivendica platealmente il gesto: “Allaha Akbahar”, “Non dimenticate Aleppo, non dimenticate la Siria”, “noi moriamo in Siria voi morite qua”, etc. etc. A quel punto il racconto video si interrompe: intervengono le forze di sicurezza, liquidano il terrorista e, per soddisfare il pubblico che ama il feticcio dei cadaveri, sarà pubblicata solo la sua foto dopo il blitz, riverso a terra e sanguinante, sullo sfondo di un muro crivellato.
Andrei Karlov è dichiarato ufficialmente morto poco dopo, ottenendo così il triste primato di primo ambasciatore russo ucciso in servizio in quasi due secoli di storia: bisogna infatti risalire all’assalto alla delegazione russa a Teheran, nel 1829, per trovare un caso analogo. Trascorrano poche ore ancora e anche l’omicida riceve un nome: è Mevlut Mert Altintas, 22enne, di professione poliziotto. Sfruttando il tesserino, Altintas ha potuto introdursi armato in sala, posizionarsi alle spalle dell’ambasciatore e freddarlo al momento opportuno.
 
A corroborare la pista jihadista interviene, come sempre in questi casi, l’israeliana Rita Katz e la sua società Site Intelligence Group, che sondano la rete alla ricerca di ciò che l’ISIS pensa e dice: il loro lavoro è così prezioso che, in sua assenza, il Califfato sarebbe senza voce. La galassia dell’ISIS, dice la Katz, è in grande fermento per l’assassinio di Karlov e saluta il terrorista come un eroe, caduto difendendo gli eroi di Aleppo.
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La matrice “islamista” dell’attentato è credibile? L’assassinio è il secondo, drammatico, atto di un’escalation tra Russia e Turchia dopo l’abbattimento del Su-24 russo nel novembre 2015? C’è da attendersi un repentino deterioramento delle relazioni russo-turche?
La risposta a tutte le domande è: no.
 
Seguendo il classico ragionamento deduttivo, partiremo dal generale per scendere al particolare, dimostrando come la clamorosa uccisione dell’ambasciatore russo in Turchia non sia opera di un fanatico isolato, ma dei servizi atlantici, decisi a sabotare qualsiasi intesa tra Mosca ed Ankara in un momento cruciale del conflitto siriano. Partiremo quindi dall’analisi geopolitica per scendere ai dettagli dell’omicidio di Karlov: sarà un percorso agevole e lineare, che non lascerà alcun dubbio sulla matrice “NATO” dell’attentato.
 
La Russia e la Turchia sono state, per quasi cinque anni, sul lato opposto della barricata nella guerra siriana: Mosca a sostegno di Bashar Assad, Ankara a fianco dell’insurrezione armata e poi dell’ISIS. La prima difendendo uno storico alleato regionale, la seconda allettata da sogni neo-ottomani, sapientemente alimentati dagli angloamericani che hanno sfruttato la Turchia per i loro piani di destabilizzazione del Medio Oriente. Dalla Turchia, partono armi e terroristi, verso la Turchia, viaggiano i camion cisterna carichi di petrolio da cui il Califfato trae il suo sostentamento.
 
Mosca, nell’autunno 2015, scende direttamente in campo inviando una spedizione militare che nel volgere di poche settimane sposta gli equilibri del conflitto a favore di Damasco. Ankara, sobillata dagli angloamericani (che promettono probabilmente a Recep Erdogan di schierarsi a fianco dell’alleato NATO qualsiasi cosa capiti), reagisce abbattendo il Su-24 russo nei cieli siriani: i rapporti tra Ankara e Mosca precipitano ed il Cremlino adotta una serie di misure economiche in rappresaglia.
 
L’appoggio angloamericano, però, non supera all’atto pratico qualche tiepido pronunciamento da parte del segretario della NATO, Jens Stoltenberg, e del presidente degli Stati Uniti, Barack Obama: Ankara è sostanzialmente lasciata sola dinnanzi ad una superpotenza nucleare, avvelenata per la pugnalata alle spalle. Non solo. Più i mesi passano e più Recep Erdogan intuisce quali siano i progetti più reconditi “dell’Occidente”: smembrare Siria ed Iraq, a vantaggio di un nascente Kurdistan nel cuore del Medio Oriente. La prospettiva è inquietante per Ankara, perché una simile entità finirebbe, presto o tardi, col cannibalizzare le regioni turche a maggioranza curda.
Tradito ed isolato, il “sultano” Erdogan cambia radicalmente strategia: licenzia Ahmet Davutoglu, artefice della politica neo-ottomana ed anti-russa, e nomina un nuovo premier che, il 13 luglio, apre alla riconciliazione con la Siria e Bashar Assad. Come impedire la defezione di Ankara ed una ricomposizione tra Erdogan e Putin? Semplice:destabilizzando la Turchia. Scatta così il colpo di Stato del 15 luglio che, come analizzammo a suo tempo, non mirava tanto a defenestrare Erdogan per sostituirlo con una giunta militare quanto, piuttosto, a scatenare una guerra civile così da gettare il Paese nel caos, sul modello delle insurrezioni in Libia e Siria.
 
C’è chi dice che durante le concitate ore del golpe Erdogan fosse nascosto in una base russa; chi dice che Mosca abbia giocato un ruolo di primo piano nello sventare il putsch: di certo sappiamo soltanto che Recep Erdogan, represso col pugno di ferro il colpo di Stato, vola il 9 agosto a San Pietroburgo per incontrarsi con Vladimir Putin, per la prima visita dopo la rottura diplomatica dell’anno precedente. In parallelo, i rapporti con gli USA precipitano: ministri e giornali vicino al governo accusano direttamente Washington di essere all’origine del putsch, mentre lo stesso Erdogan chiede con insistenza l’estradizione dell’imam Fethullah Gülen, suo vecchio padrino politico oggi residente in Pennsylvania e padrone di un impero mediatico-religioso benedetto dalla CIA.
Lo scenario per gli strateghi angloamericani volge al peggio: si è passati dall’auspicato guerra civile tra sciiti e sunniti ad riappacificazione tra Ankara e Teheran, benedetta da Mosca, in chiave anti-curda ed anti-occidentale. “Iran and Turkey agree to cooperate over Syria” scrive con rammarico la qatariota Aljazeera nell’agosto 20162, presagendo il rischio di un’intesa tra i due Paesi a discapito dell’ISIS e dell’insurrezione islamista.
Grazie al disimpegno di Ankara dal dossier siriano (non totale, perché urterebbe troppi interessi nazionali ed internazionali, ma comunque determinante), russi ed iraniani possono infatti stringere il cerchio intorno ad Aleppo, sino alla totale riconquista del 12 dicembre. Il colpo per Washington e le altre cancellerie occidentali che hanno investito un enorme capitale politico sulla caduta di Assad (Londra, Parigi e Tel Aviv) è durissimo: il “regime di Bashar” riporta una vittoria decisiva e Mosca, galvanizzata dal successo, si afferma come il nuovo dominus del Medio Oriente a discapito delle vecchie potenze occidentali. Gli equilibri regionale si decidono ormai al Cremlino che si assume l’onore e l’onore di conciliare gli interessi, spesso divergenti, dei diversi attori.
A distanza di poco più di una settimana dalla liberazione di Aleppo, è in programma infatti a Mosca una trilaterale tra Russia, Iran e Turchia per discutere sul conflitto siriano alla luce degli ultimi sviluppi: “Russia, Iran and Turkey to hold Syria talks in Moscow on Tuesday” scrive la Reuters il 19 dicembre. Nelle stesse ore in cui esce l’agenzia, l’ambasciatore russo Andrei Karlov è ucciso ad Ankara, nella Galleria d’Arte Moderna, per mano del poliziotto Mevlut Mert Altintas.
 
Possiamo quindi dedurre senza difficoltà l’identità dei mandanti dell’attentato: ad armare la mano dell’assassino di Karlov sono gli stessi che dal 2011 in avanti hanno tentato di rovesciare Assad, gli stessi che hanno inoculato il germe dell’ISIS in Siria, gli stessi che hanno ordito il putsch militare in Turchia della scorsa estate, gli stessi che sognavano un zona d’interdizione di volo sopra la Siria, gli stessi che hanno interesse a sabotare un’intesa tra Turchia, Russia ed Iran. Sono Washington ed i suoi alleati.
 
Il nostro ragionamento si sposta quindi sulla dinamica dell’omicidio: afferrata le realtà a scala generale, grazie all’analisi geopolitica, non ci resta che calarla nel particolare, evidenziando tutte le peculiarità dell’omicidio Karlov che rivelano l’inconfutabile “zampino” dei servizi segreti atlantici:
  • il poliziotto Mevlut Mert Altintas non avrebbe mai potuto introdursi armato nella Galleria d’Arte moderna e posizionarsi alle spalle dell’ambasciatore, né quest’ultimo essere separato dai propri guardaspalle, se un’attenta regia non avesse pianificato nel minimo dettaglio l’operazione: qualcuno ha agito perché tutte le misure di sicurezza fossero aggirate;
  • la presenza di una regia nell’omicidio di Karlov è testimoniata dalla sua esecuzione “a favore di telecamera” e dalla velocità con cui il video ha lasciato la Galleria d’Arte Moderna per invadere la rete ed i media: è stato quasi un omicidio in diretta, così da aumentarne esponenzialmente l’impatto. Il filmato, in altre circostanze, difficilmente avrebbe lasciato la scena del crimine, certamente non così in fretta. Il killer è stato attentamente istruito per agire dentro il campo della telecamera, così da confezionare un video sulla falsariga di quelli prodotti dall’ISIS o da Al Qaida: il poliziotto Mevlut Mert Altintas è nell’inquadratura delle camere prima, durante e dopo l’omicidio;
  • l’attentatore non è un funzionario di polizia qualsiasi: membro delle unità anti-sommossa, ha fatto parte anche della scorta di Recep Erdogan3. Per avvicinare il presidente turco ed essere assegnato al suo corpo di sicurezza personale, Mevlut Mert Altintas deve aver superato un accurato esame psicofisico e politico. Ciò corrobora la tesi del sindaco di Ankara, Melih Gokcek, secondo cui l’attentatore fosse un membro della rete dell’imam Fethullah Gülen, radicata sia nella magistratura che nelle forze dell’ordine. Ricordiamo che Gülen, mentore di Erdogan e suo alleato fino al 2015, ha orchestrato dall’esilio dorato in Pennsylvania il putsch militare della scorsa estate;
  • la concomitanza dell’omicidio di Karlov con l’attentato di Berlino, una riedizione della strage di Nizza del luglio scorso, indica una comune regia ed un’attenta pianificazione: una serie di attacchi terroristici simultanei o separati da poco tempo, hanno un effetto stordente sull’opinione pubblica, che non ha il tempo per metabolizzare gli avvenimenti né la possibilità di porsi interrogativi su quanto stia realmente avvenendo. Lo si è già visto quest’estate in Francia: il 14 luglio muoiono un’ottantina di persone ed il 26 luglio, quando le domande senza risposta sulla strage abbondano ancora, l’attenzione è già dirottata sulla barbara uccisione del parroco di Rouen.
Quali conclusioni si possono quindi trarre dall’omicidio Karlov?
Difficilmente Mosca ed Ankara romperanno i rapporti come lo scorso novembre dopo l’abbattimento del Su-24, perché così facendo agirebbero secondo i piani di chi ha orchestrato l’attentato. L’assassinio dell’ambasciatore è però una spia del clima internazionale che si respira. Il 2016 è stato un annus horribilis per l’establishment euro-atlantico: il referendum inglese di giugno ha decretato l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, le presidenziali americane hanno incoronato il populista e filo-putiniano Donald Trump, le forze centrifughe in seno all’eurozona hanno raggiunto livelli allarmanti, la Russia si è imposta come potenza di primo piano in Medio Oriente, la guerra siriana ha svoltato a favore di Bashar Assad.
Cresce l’impotenza dell’oligarchia e ed aumenta, di conseguenza, la sua ferocia: attentati, omicidi e stragi sono ormai tanto frequenti e clamorosi quanto approssimativi e spudorati. L’esecuzione in diretta dell’ambasciatore Andrei Karlov confermare la sensazione che, avvicinandosi la fine, il Potere si comporti sempre più come un cane rabbioso.
 
policeman
Federico Dezzani dicembre 20 2016
 
 
20.12.20161
DI FEDERICO DEZZANI
 
federicodezzani.altervista.org

Mogherini: “Da Putin brutalità in Siria. Solo l’Ue ha piano per la pace”

che come Ue doniamo molto ai siriani sicuramente, soprattutto armi ai tagliagola amici tuoi.
Ma non si può criticare una donna, soprattutto se del Pd (le donne colpevoli di non essere piddine si possono anche tacciare di ogni epiteto dispregiativo, è lecito), partito pacifista ed antirazzista per eccellenza. Mauro Bottarelli ha confutato punto per punto le bestemmie di questa pappagalla della Ue, vedere Ha ragione la Boldrini, combattiamo insieme le bufale. Anzi, facciamone proprio “Piazza pulita”
Mogherini: “I governi sono tutti d’accordo sul fatto che il comportamento della Russia, soprattutto ad Aleppo, è di una brutalità inaccettabile”mogherini1
 
“I governi sono tutti d’accordo sul fatto che il comportamento della Russia, soprattutto ad Aleppo, è di una brutalità inaccettabile”, così come “siamo tutti d’accordo nel dire che con la Russia, sulla Siria e non solo, serve un canale politico aperto.
Le conclusioni del Consiglio europeo includono un mandato per il mio lavoro sulla Siria, compresi anche contatti diretti e continui con tutti. Anche con Mosca”. Così l’Alto rappresentante per la Politica estera, Federica Mogherini, in un’intervista a La Stampa.
Quanto al ruolo dell’Europa, Mogherini ricorda che “per una scelta politica presa molti anni fa, l’Unione europea non è un attore militare sul palcoscenico siriano”, ma sottolinea come “sarebbe riduttivo dire che il nostro è solo un soft power. Siamo gli unici che parlano con tutti e lavoriamo attraverso i nostri rapporti bilaterali per evitare che la Siria diventi un buco nero, un nuovo Iraq o una nuova Libia”. E ancora, sostiene: “Aiutare la Siria in questo momento vuol dire anzitutto evitare di bombardarla. Siamo il principale donatore, dal punto di vista umanitario: quasi tutti gli aiuti che i siriani ricevono arrivano grazie all’Ue e all’Onu che li porta. Scuole per bambini, acqua, medicinali. Il nostro impegno diplomatico comincia da qui”. “
 
Guardando avanti. Ho avviato un dialogo diretto con tutti gli attori regionali: Iran, Arabia Saudita, Turchia, Egitto, Giordania, Libano, Qatar, Emirati. E con i siriani, con le diverse componenti delle opposizioni e ciò che resta della società civile”. In Europa invece – sostiene Mogherini – “c’è un problema molto serio sul fronte interno delle politiche migratorie. Perché le proposte che la Commissione aveva fatto si sono arenate e perché il Consiglio non trova ancora oggi un punto di convergenza su come affrontare il tema della solidarietà La Commissione continuerà a spingere per un meccanismo di solidarietà interna. Su questo l’Italia può contare di averci dalla sua parte. Ma il nodo va risolto dai governi nazionali, all’interno del Consiglio”.
Luca RomanoDom, 18/12/2016 – 10:29 – FONTE