Il Tradimento di Obama

obama deceptionBarack Obama è stato eletto sull’onda dell’entusiasmo derivante dallo slogan ‘Yes We Can’ (Si noi possiamo), ben presto però, la realtà dei fatti, ha obbligato l’amministrazione a fare i conti con l’influenza esercitata dallo ‘stato profondo’. Mostro mitologico a cinque teste, include essenzialmente Wall Street (Finanza), i grandi corporazioni industriali (Multinazionali), le agenzie di spionaggio (CIA, NSA, NRO, etc), il complesso militare (Industria Bellica) e i media mainstream (grandi gruppi editoriali e televisivi).
Tra i maggiori meriti di Obama, soprattutto durante la prima amministrazione, possiamo annoverare una forte propensione a non macchiare la sua bibliografia presidenziale con disastrose guerre quali Iraq e Afghanistan. Questo rifiuto ha delineato e definito enormemente le strategie di ingaggio nell’arena internazionale da parte degli Stati Uniti.
Un altro fattore di enorme importanza è riscontrabile con il tentativo di regolamentare e definire maggiormente i perimetri dell’alta finanza speculativa che portò alla crisi finanziaria del 2008. Il potere di un presidente è molto limitato in confronto ad un’entità potente quale la FED. In tal senso, i pochi sforzi di limitare il potere dei grandi gruppi finanziari e bancari sono immediatamente naufragati, obbligando Obama a seguire la leadership di Greenspan e la politica monetaria decisa dalla FED. Primo enorme tradimento del mandato popolare.
Infine, i ripetuti scandali spionistici relativi alla NSA e alle altre agenzie di intelligence, hanno costretto Obama ad adottare una retorica volta al contenimento del potere illimitato delle agenzie di spionaggio. Nella pratica però, l’amministrazione uscente ha fatto l’esatto opposto aumentando fortemente i poteri delle agenzie governative, con lo scopo preciso di perseguire e accompagnare così la nuova strategia bellica presidenziale. Secondo enorme tradimento nei confronti dell’elettorato.
Ripercorrendo i punti cardine dell’amministrazione uscente, è facile comprendere come, dei cinque conglomerati di potere, tre di essi, Media, Wall Street e agenzie di spionaggio abbiano avuto vita facile potendo contare su un presidente a disposizione di tali poteri forti.
Ciò viene facilmente riscontrato nelle decisioni intraprese in otto anni di presidenza. Difficile stabilire una certezza quale siano state le motivazioni dietro a questo approccio, resta però una certezza, Obama ha dovuto sottomettersi a determinati rami dello stato profondo per poter implementare certe strategie. Per Obama, principalmente, è sempre stata una questione di priorità, unito alla necessità di assecondare determinati ambiti dello stato profondo, nell’opera di evangelizzazione democratica (derivante dal concetto distorto di Eccezionalisimo Americano).
In questo senso, facilmente si intuisce come mai agenzie di spionaggio, apparati mediatici e speculatori finanziari abbiano avuto mano libera durante la gestione Obama. Il presidente uscente ha puntato su tre fattori principali durante la sua presidenza: avanzare il ruolo degli Stati Uniti nel mondo, una ripresa interna dell’economia e la rinuncia a guerre con truppe di terra. Obiettivi chiaramente incompatibili tra loro, specie se messi in relazione con i desiderata storici della politica estera americana (preservare il mondo unipolare a guida USA)
Per riuscire in questo obiettivo, necessariamente, ha avuto bisogno di un forte sostegno da parte delle grandi istituzioni finanziarie, nazionali ed internazionali, per organizzare la destabilizzazione economica e il terrorismo finanziario verso nazioni considerate ostili. Obiettivo, aprire la strada alle agenzie di intelligence e alla loro forma di aggressione mediante forme di soft-power (primavera araba, rivoluzione colorata, influenzare il voto). In tutto questo, l’apparato mediatico ha giocato un ruolo fondamentale amplificando la propaganda politica. Lo scopo, anche in questo caso, spianare la strada alle canoniche tecniche di manipolazione (mancanza di notizie, notizie distorte, percezione alterata della realtà, omissioni) per ottenere il sostegno delle popolazioni occidentali alle operazioni di cambio regime in Nord Africa, Medio Oriente ed Europa dell’Est.
Questa strategia di protezione della sua biografia, evitando ad ogni costo un intervento militare, ha infastidito fortemente il complesso militare industriale, oltre alle grandi corporazioni industriali (Petrolifere, Agricole ed Edili). Il bombardamento, l’invasione via terra, l’occupazione materiale e la distruzione delle infrastrutture di un paese sono grandi catalizzatori di appalti, assegnati regolarmente alle aziende private statunitensi (l’esempio dell’Iraq è emblematico). L’effetto sono centinaia di milioni di dollari di profitto. Lo stesso apparato bellico ha più capacità di espandere i suoi guadagni con guerre perpetue, di occupazione che impieghino armamenti e nuove tecnologie, frutto anch’essi di contratti multimilionari.
Le problematica maggiore sono comunque emerse in altri contesti, conseguenze di un approccio particolarmente esasperato al tema dei diritti umani. Argomentazione abusata nell’ultimo decennio sotto l’amministrazione Obama, ha spesso funzionato da pretesto per il bombardamento e il sostegno di rivoluzioni violente che hanno finito per distruggere diverse nazioni negli corso degli ultimi otto anni. Gli effetti della politica estera di Obama hanno peggiorato le tensioni globali, semplicemente cambiando metodi e mezzi. Terzo, enorme, tradimento del mandato elettorale.
Le maggiori conseguenze sul fronte interno, evidente riflesso di una strategia basata sull’uso di intelligence e media mainstream, sono state un aumento esponenziale del potere delle agenzie di spionaggio, degenerato con i ripetuti scandali rivelati da Snowden. Altrettanto si può dire in merito alla credibilità della Stampa con l’alterazione delle notizie per favorire un certo tipo di interpretazione della realtà. Infine, ovviamente, il salvataggio delle maggiori banche ha prodotto conseguenze disastrose nell’apparato finanziario ed economico. Il potere della FED (degenerato con i tassi di interesse bloccati a zero e la cosiddetta capacità di stampare denaro all’infinito), unito alla speculazione finanziaria, la distorsione mediatica delle notizie e una completa libertà per le agenzie di intelligence, lascia in eredità al nuovo presidente un paese con un’economia instabile, una crescita rasente lo zero ed una politica estera disastrosa per gli Stati Uniti e il resto del mondo.
Uno dei pochi meriti di Obama è stata la necessità di porre un freno alle intenzioni bellicose dell’apparato militare, attirandosi quindi spesso aspre critiche dalla parte più interventista del ‘deep state’ USA. In Siria, la mancata invasione del 2013 ha lasciato il segno tra la presidenza Obama e lo stato profondo che ha continuato a minare la credibilità dell’ex presidente fino all’ultimo giorno della sua permanenza alla Casa Bianca.
In Iraq, la necessità di marcare una differenza importante con Bush ha prodotto un ritiro forzato delle truppe americane, favorendo così l’ascesa di daesh. Che Obama abbia deciso in autonomia questa strategia o che sia stato tradito dagli apparati di intelligence, creatori di daesh a Camp Bucca, poco cambia. La strategia politica di Obama ha necessariamente dovuto concedere particolari deleghe di autonomia agli apparati di intelligence, tradendo puntualmente il mandato dei cittadini.
Obama ha concesso armi e finanziamenti ad elementi collegati a daesh ed al qaeda, offrendo una cooperazione continua con altri attori regionali (Arabia Saudita, Qatar e Turchia) per destabilizzare l’intera area Mediorientale e Nordafricana. Quarto gigantesco tradimento del mandato elettorale.
Il contrasto perenne tra una parte dello stato profondo e Obama ha raggiunto apici di tensione in merito alla vicenda Ucraina. Le forti pressioni dei neoconservatori sull’amministrazione hanno avuto poca fortuna nel innescare un’escalation delle tensioni nell’est del paese. Nonostante l’apparato di intelligence abbia sempre assistito Kiev nella sua famigerata operazione antiterrorismo e nella copertura di nefandezze di ogni genere (MH17?), l’apparato militare non ha potuto armare l’esercito Ucraino, con l’aiuto della NATO, come avrebbe voluto e sperato.
Una delle maggiori contraddizioni tra l’area euroasiatica e quella atlantica è stata l’errata interpretazione dei due maggiori esponenti. In Russia, ma spesso anche in altre nazioni mediorientali, Obama è stato percepito come un estremista che avrebbe voluto attivare i meccanismi per portare ad una terza guerra mondiale. Alla stessa maniera, Putin ha ricevuto la stessa interpretazione delle sue intenzioni da parte atlantica. Questa errata percezione della realtà ha spesso portato ad equivoci e mancanza di fiducia difficilmente risolvibili. A riprova di questa affermazione, la situazione di maggior pericolo, in termini di scontro tra potenze nucleari, si è avuto durante la crisi Ucraina. In Russia, Putin ha ricevuto critiche per un mancato intervento massiccio in Ucraina, Obama in patria ed in Europa è stato aspramente ostracizzato per non aver appoggiato Kiev con tutti i mezzi necessari. E’ stata la moderatezza di Putin ed Obama in determinati contesti, Siria e Ucraina in primis, ad evitare che i falchi al loro fianco potessero spingere ad un aggravarsi della crisi internazionale.
In conclusione, Obama ha spesso preferito utilizzare metodi alternativi, ma non meno dannosi, per imporre in qualche maniera una sua visione delle politiche internazionali. Spesso ha dovuto cedere la mano con azioni contro la sua volontà e probabilmente poco frutto di una sua iniziativa personale. Le sanzioni alla Federazione Russa, le operazioni con i Droni, l’inasprirsi del pattugliamento nel mar cinese del Sud-Est, il sostegno alle azioni Saudite in Yemen (vendita di armi), il salvataggio bancario dopo la crisi finanziaria e la permanenza di Guantanámo rientrano in questo ampio spettro. Vicende che hanno scalfito e danneggiato la reputazione di Obama. Azioni intraprese e offerte in dono al mostro a cinque teste, comunemente etichettato come stato profondo. Scelte che, in un modo o nell’altro, Obama è stato obbligato ad intraprendere per evitare una guerra dichiarata con le svariate entità del deep state. In sintesi, si è piegato al volere dei poteri forti, senza combattere, ma anzi adattandosi al contesto per trarne un beneficio personale.
Obama è certamente stato un presidente per certi versi peggiore di Bush in termini di politica estera e domestica. Va però riconosciuta la sua capacità nell’aver limitato la potenziale azione distruttiva-nucleare degli Stati Uniti, specie se rapportato ai desiderata di certi apparati del potere di Washington. L’accusa maggiore che si possa muovere ad Obama è non aver mantenuto fede alla promessa basilare espressa durante la campagna elettorale. Con la terminologia ‘Yes We Can’, Obama promise un cambiamento nell’approccio ai problemi degli Stati Uniti.  Invece di combattere l’establishment con una rivoluzione dal suo interno, ha preferito scendere a patti per avanzare il ruolo degli Stati Uniti nel mondo semplicemente cambiando approccio.
Ha scelto alleanze e tessuto trame per avanzare la sua biografia (polemica con Israele per gli insediamenti, il ritiro dall’Iraq e la fine dell’embargo con Cuba), senza mai però entrare in contrasto aperto con determinati settori dello Stato Profondo. Israele può essere considerata un’eccezione isolata.
Le conseguenze di questo approccio hanno generato effetti catastrofici che vediamo ogni giorno in diverse aree del globo. Le popolazioni di Stati Uniti ed Europa vivono una crisi esistenziale senza più fiducia nei media; le agenzie spionistiche vengono considerate oppressive ed invadenti nella sfera della privacy senza più alcuna credibilità; gli apparati militari-industriali producono hardware obsoleto ed inefficace, con costi di produzione iperbolici dettati da una vasta corruzione; i grandi gruppi corporativi hanno subito gli effetti di una guerra commerciali (rapporto problematico con il valore del petrolio) oltre al fallimento degli accordi commerciali come TTIP e TTP.
Obama, pur avanzando una candidatura di rottura nel 2008 e nel 2012, ha continuato nel solco dell’eccezionalismo americano, del popolo scelto da Dio bramando di educare il globo nella maniera appropriata. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Iran, Cina e Russia che hanno enormemente guadagnato fiducia e considerazione rispetto agli Stati Uniti grazie al loro approccio scevro di eccezionalismo.
Il tradimento di Obama, rispetto alle aspettative, sommato alle conseguenze nefaste della sua presidenza lo rendono, complessivamente, uno dei peggiori presidenti della storia degli Stati Uniti. Non sorprenda, quindi, l’elezione di Donald Trump. Un presidente, anch’esso, di rottura rispetto ad Obama. Una ripetizione del medesimo meccanismo elettorale che portò al trionfo di Obama nel 2008 al termina della presidenza Bush. Trump è stato eletto sulle ali dell’entusiasmo, con uno slogan che promette di rimettere gli Stati Uniti al centro del progetto nazionale e globale, sfidando quindi apertamente gli interessi del mostro a cinque teste dello stato profondo. Ancora una volta, folgoranti similitudini con la campagna elettorale dell’ormai ex presidente.
E’ probabile che anche Trump decida di allearsi con determinati componenti dello stato profondo dichiarando guerra ai restanti, avanzando così la sua visione strategica del futuro del paese. Un tracciato che assomiglia paurosamente alla tattica ed alle intenzioni iniziali di Obama. Il problema di fondo resta intrinsecamente legato all’opinione personale del presidente degli Stati Uniti che spesso si sente nominato quale guida morale e spirituale dell’intero globo, non solo degli Stati Uniti d’America. In tal caso, il risultato sarà il medesimo degli ultimi otto anni con una continua crescita del ruolo di Cina, Russia e Iran. L’epoca di Obama si chiude con un paradossale “No, you can’t” (no, non puoi), contrapposto all’iniziale “Yes we Can”. Trump dovrà stare attento a non subire una trasformazione simile, del suo slogan, con un passaggio dal “make america great again” (rendiamo gli Stati Uniti grandi di nuovo) al più realistico “make eurasia great again”.
Il mostro a cinque teste, comunemente chiamato Deep State, guida la politica domestica ed internazionale degli Stati Uniti da oltre cento anni, piegando il volere presidenziale e sabotando amministrazioni senza pietà. Se c’è qualcosa che già accomuna Obama e Trump è la difficoltà nel discostarsi dalla precedente amministrazione, riuscendo al contempo ad avanzare le intenzioni espresse durante la campagna elettorale. Missione impossibile?
di Federico Pieraccini – 21/01/2017 – Fonte: L’Antidiplomatico

Non condannate “Left”, è il naturale epilogo di una sinistra che molla Peppone per abbracciare Soros

Chi siano gli “elmetti bianchi” e quale sia stato il loro compito nella guerra in Siria è noto ma la stampa, operando da grancassa della coalizione anti-Assad, li ha sempre dipinti come degli angeli che mettevano la loro vita al servizio di quella degli altri, salvando tutti, persino i miliziani fedeli a Damasco, se ne avessero avuto bisogno. Bene, qualche breve nota biografica. La Syria Civil Defense (SCD) – i cui membri sono chiamati comunemente “elmetti bianchi” – è una organizzazione civile finanziata dagli Stati Uniti e dal Syrian National Council (l’opposizione armata siriana nata nell’agosto 2011 per combattere contro il governo di Bashar al-Assad): viene fondata in Gran Bretagna e inizia la sua attività nel 2013, grazie a finanziamenti statunitensi e britannici. Fondatore degli “elmetti bianchi” è questo signore Risultati immagini per james le mesurier
James Le Mesurier, un ex ufficiale dell’esercito britannico. Nato a Singapore e cresciuto in Inghilterra, dopo aver superato brillantemente la sua formazione militare presso la prestigiosa Royal Military Academy di Sandhurst, è stato destinato al reparto d’elites dei Royal Green Jackets, reggimento di fanteria dell’esercito britannico in forza al quale ha compiuto missioni operative in Irlanda del Nord, in Kosovo e infine in Bosnia. Lasciato l’esercito, ha lavorato per le Nazioni Unite, poi l’Unione europea e infine ha abbracciato la causa umanitaria, fondando l’organizzazione di protezione civile Syria Civil Defense (SCD), la cui sede principale attualmente è a Dubai. Insomma, di tutto si può parlare tranne che di spontaneismo. E se questa grafica, Risultati immagini per james le mesurier
 
preparata da un’emittente inglese, non dalla tv di Damasco, ci mostra su quali contatti di bassissimo livello possano godere gli “elmetti bianchi”, questi video
ci mostrano in realtà quale sia stata la loro funzione: propaganda allo stato puro contro Assad prima e poi contro l’intervento russo al fianco delle truppe di Damasco, iraniane ed Hezbollah.  Bene, questa left
 
è invece la foto pubblicata nella pagina Facebook dal settimanale Left, sorto dalle ceneri di Avvenimenti, già allegato dell’Unità e autodefinitosi “A sinistra senza inganni”. Per questi signori, nel numero in edicola domani, gli “elmetti bianchi” sono le persone dell’anno del 2016. Insomma, chi ha fiancheggiato i terroristi in Siria, merita un premio, un riconoscimento pubblico. Ora, in un Paese dove quatti quatti ci scodellano la soluzione preconfezionata del caso Regeni quando abbiamo ancora la testa obnubilata dai fumi enogastronomici del Natale, può accadere di tutto ma la cosa grave non è “Left” (il quale, immagino, sia letto dai redattori e da pochi congiunti di buon cuore), è cosa “Left” rappresenti.
Ovvero, la degenerazione di una sinistra che in nome della globalizzazione come valore assoluto ha gettato alle ortiche Peppone per abbracciare George Soros. E se ne vanta, oltretutto.
E’ la stessa sinistra blairiano-clintoniana che si è bevuta la narrativa della pulizia etnica in Kosovo (dove, stranamente, il fondatore degli “elmetti bianchi” operava in un reparto d’elite, immagino in sostegno dei terroristi-narcos dell’UCK), salvo tornare brevemente pacifista in favore di telecamera quando tre suoi guru rispondenti ai nomi di Piero Pelù (quello delle matite cancellabili al referendum che oggi si scopre fare investimenti con il circolo renziano), Jovanotti e Ligabue hanno deciso che era ora di dire “mai più” alla guerra.
 
Il Mio Nome è Mai Più
In compenso, per 72 giorni la Serbia è stata devastata dai bombardamenti NATO, benedetti da un governo di sinistra che ha aperto le porte di Aviano ai caccia.
Motivo scatenante dell’intervento?
La falsa strage di Racak, smentita a guerra finita dal patologo del Tribunale Penale Internazionale per la ex-Jugoslavia, Emilio Perez Pujol (intervista al Sunday Times e a Le Monde) ma tramutata in casus belli dalla coppia d’oro del mondialismo da Terza Via, ovvero Madeleine Albright e Richard Hoolbroke. Disgregata a dovere la Jugoslavia, restava la Serbia a dare fastidio ai piani egemonici della NATO ad Est e nei Balcani: et voilà, una bella “guerra umanitaria”, ossimoro che è la carta d’identità della sinistra rappresentata da “Left” e dalla sua copertina.
E vogliamo parlare di come la sinistra di lotta e di governo si sia adeguata alle esigenze atlantiste dell’intervento in Afghanistan prima, per vendicare l’11 settembre (casualmente responsabilità, almeno finanziaria, saudita, ovvero principale alleato Usa nel Golfo), in Iraq poi, guerra giustificata dalle fialette piene di Aulin di Colin Powell e infine di tutte le cosiddette “primavere arabe”, sponsorizzate da Dipartimento di Stato e Soros Foundation?
Non si può parlare di buona fede, perché ognuna di queste guerre ha portato con sé e lasciato sul terreno prove sufficienti a smontare i motivi istituzionali e rivelarne l’agenda nascosta: se supportano quelle guerre, quelle strategie, quelle scelte geopolitiche, è perché o le si condivide o si è in malafede e, quindi, ontologicamente dalla parte del più forte. Siamo passati da una sinistra che vedeva complotti CIA ovunque negli anni Sessanta, Settanta e Ottanta e una sinistra che dei desiderata della CIA è paradossalmente un’emanazione mediatico-politica.
Siamo passati dall’adorazione per l’URSS alla criminalizzazione tout court di Vladimir Putin, con cotè di applausi e occhi lucidi a ogni nuova sanzione comminata contro Mosca. Siamo passati dal denunciare la repressione britannica in Irlanda del Nord, brandendo Bobby Sands come esempio, a dedicare la copertina del settimanale “a sinistra senza inganni” a quegli stessi “elmetti bianchi” fondati da uno che in Ulster sparava e metteva in pratica operazioni psyops di guerra psicologica.
 
La Terza Via, il grande inganno della globalizzazione, ci ha portato a questo: incarnare, declinare e incastonare nel contesto globale come progressista ciò che in realtà è potere allo stato puro, imperialismo, terrorismo finanziario, destabilizzazione.
L’orrore di conradiana memoria oggi è il mainstream, mascherato da umanitarismo. A testimonianza di questo c’è la nuova arma della sinistra: la post-verità, le “fake news”, il “linguaggio d’odio”, ovvero bollare come bufale tutte le notizia che escono dallo schema narrativo di Usa e soci e che vanno a infrangere il totem del politicamente corretto.
Quanti ospedali pediatrici distrutti dai russi hanno pianto su “L’Unità”, su “Repubblica” e sicuramente su “Left”? Ora scopriamo che erano utilizzati dai cosidetti ribelli moderati come deposito per le armi e scopriamo anche che “Medici senza frontiere” non ha mai avuto alcun ospedale in Siria e che non comunica le coordinate delle strutture che supporta, nonostante il suo presidente lanciasse accuse pesantissime come queste
nei confronti delle truppe di Damasco. E la post-verità sarebbe quella dei blog e della stampa indipendente? Le bufale sarebbero quelle di chi sta con Putin e non con Al-Baghdadi o Al-Nusra?
 
La questione è culturale, prima che strategica. Una sinistra che ha contrabbandato e svenduto i diritti dei lavoratori per quelli LGBT, accettando la riduzione in schiavitù di massa dei voucher in nome delle unioni civili (andate a vedere quante ne sono state celebrate dall’ok al Ddl Cirinnà e quanti milioni di voucher sono stati venduti) e della dittatura del piagnisteo è null’altro che il cavallo di Troia della mercificazione totale della società, schematizzata in genere e non più percepita in classi.
Una sinistra che scambia un pianificato piano di destabilizzazione per accoglienza, ha violentato e ucciso se stessa: accettare che la nuova rivoluzione sia quella globalista del “no borders” e non più quella dell’uguaglianza sociale e dei diritti reali per chi ha davvero bisogno – e non per chi viene qui a svernare da Paesi non in guerra, chiedendo wi-fi più potente e pasti gourmet in attesa di andare a sfruttare, da vero parassita, il welfare tedesco o svedese – equivale ad abdicare dallo status di pensiero politico per adagiarsi in quello più comodo (e, a volte, remunerativo) di gadget del pensiero unico.
Chi paga infatti il conto di questa situazione? Le periferie e i ceti deboli, non certo chi abita in centro o magari a Capalbio, paradiso della sinistra in tweed che i migranti non li ha voluti ma ha preferito scomodare amicizie politiche per ottenere lo stesso risultato cui anelavano gli abitanti di Gorino con i loro blocchi stradali. Ci vuole classe anche nell’essere “razzista”, l’ipocrisia è bene supremo e motore immobile. Bollare come fascista il fatto che la sicurezza sia il primo dei diritti che i ceti meno abbienti reclamano è suicida, tanto più che quel campo è divenuto non a caso feudo e bacino elettorale della destra, più o meno centrista). Dichiarare gli “elmetti bianchi” persone dell’anno è soltanto l’epilogo naturale di un processo metastatico iniziato anni fa. Ma occorre prendere atto che il cambio di paradigma scompagina molte logiche, ottunde molte menti e incattivisce molti animi: anche a destra, dove un anti-comunismo d’antan spinge molti a vedere nella Russia di Putin la minaccia rossa, patologia che negli anni Settanta portò molti “fascisti” a fare il gioco della CIA e di Gladio in chiave anti-sovietica. State sereni, ci sarà tempo per riflettere. E pentirsi amaramente.
Di Mauro Bottarelli , il 29 dicembre 2016