Il piano di Macron: 120 mila licenziamenti

macron programmeEmmanuel Macron, l’uomo di Rothschild, delle banche d’investimento, dell’Unione Europea. Il simbolo di un establishment dal volto rassicurante che vuole arginare l’avanzata del Front National di Marine Le Pen e degli euro-scettici.Il voto in Francia potrebbe mutare, infatti, la geografia politica dell’Unione Europea per i prossimi anni. Per questo motivo il ballottaggio del 7 maggio prossimo rappresenta una sfida aperta tra due mondi contrapposti, pronti a fronteggiarsi. I sondaggi, al momento, premiamo l’ex socialista Macron. Ma qual’è davvero la sua ricetta politica? Alcuni osservatori e analisti, come Robert Zaretsky su Foreign Policy, parlano dell’ex ministro di Hollande e del suo movimento En Marche! come «centrismo radicale».
L’estremo centro di Macron, né a destra né a sinistra
«L’ex banchiere 39enne è comunemente definito un centrista – osserva Zaretsky – Tale definizione, tuttavia, ci dice poco. Dovremmo pensare a Macron come l’incarnazione di un centro alla francese, ovvero l’estremo centro». Si tratta di una’espressione che fu coniata dallo storico francese Pierre Serne in relazione alla Rivoluzione Francese: «In particolare – spiega Zaretsky – Serna si riferisce alla restaurazione, il periodo di 15 anni che seguì la caduta di Napoleone e vedeva il ritorno della monarchia borbonica. Serna ha cercato di sottolineare gli sforzi compiuti dalla corte di Luigi XVIII, in pochi anni, per affrontare la sinistra rivoluzionaria e i controrivoluzionari. Chiuso tra queste due visioni del mondo estremamente antitetiche, Luigi e i suoi ministri hanno promosso una posizione dedita al compromesso e alla moderazione, nonché una sorta di proto-tecnocrazia».
Con Macron pronti 120 mila licenziamenti nel settore pubblico
Naturalmente, le differenze tra Macron e Luigi XVIII sono maggiori delle somiglianze. «Da un lato Macron promette di imporre l’austerità al settore pubblico, eliminando 120.000 posti di lavoro in cinque anni; d’altra parte promette importanti investimenti nel settore ambientale, sanitario e agricolo. E’ un amico dei mondi finanziari e industriali, ma si ritrova anche come difensore dei valori rivoluzionari e universali della Francia di libertà e uguaglianza. La grande sfida di Macron non è solo quella di conquistare l’Eliseo, ma di creare un centro estremo funzionale, che non muoia, come ripetutamente è accaduto nel XIX secolo, con brusche battute d’arresto».
Per equilibrare la sua ricetta ultra-liberista, Macron punta sulle pensioni e sugli ammortizzatori sociali; è disponibile a creare un sussidio di disoccupazione universale che coprirebbe tutti, incluso chi è stato licenziato.
Il candidato dell’establishment
Per l’osservatore e analista di Asia Times, Pepe Escobar, esperto di geopolitica e questioni internazionali, tuttavia, «solo un pazzo può credere che Macron incarni il cambiamento quando nei fatti egli è il candidato dell’Unione Europea, della NATO, dei mercati finanziari, della gloriosa macchina Clinton-Obama, dell’establishment francese, degli oligarchi della borsa e dei sei maggiori gruppi mediatici francesi. Sulla stupidità della sinistra che ancora cerca di scimmiottare Tony Blair, c’è ben poco da dire. Il piano di Macron per risparmiare 60 miliardi di Euro di fondi pubblici, che prevede il licenziamento di 120.000 dipendenti pubblici, è il primo ingrediente per un potenziale scoppio di rivolte».
“Sottomissione all’UE”
La probabile vittoria Emmanuel Macron alle elezioni del prossimo 7 maggio sarà nel segno della continuità della politica francese negli ultimi anni, e non del paventato cambiamento. Macron è frutto di un’operazione di marketing ben strutturata, nonostante i proclami dei benpensanti e la retorica dei suoi slogan. Il suo «centrismo radicale» non salverà la Francia dai problemi che la affliggono, dall’immigrazione al terrorismo islamista, fino alla disoccupazione.
Come osserva Diana Johnstone su GlobalResearch, «da presidente, Macron confermerà la sottomissione francese alle norme dell’Unione europea che stanno distruggendo l’economia francese, la politica di guerra della NATO in Medio Oriente e l’ostilità verso la Russia. Marine Le Pen preferisce una politica di pace».
27.04.2017 di R. Vivaldelli

Putin avverte di un prossimo colpo di Stato contro Trump

Donald-Trump-3Due polemici giornali dell’establishment USA titolano senza sottefugi l’intenzione di Trump, già istallatosi come 45° prersidente degli USA. Il Washinbgton Post (WP) titola “Il presidente promette di togliere il potere alle elites di Washington e collocare gli USA per primi, oltre a voler mettere fine al massacro sociale statunitense, con riferimento alla disoccupazione della classe media spodestata.
Più angustiato il New York Times (NYT) titola: Trump rinuncia alla classe politica del paese e subtitola “Il Presidente qualifica l’establishment come sporco e corrotto”: e non è forse questa la verità?
Paul Craig Roberts (PCR) –ex assistente e segretario del Tesoro di Reagan, editore associato del Wall Street Journal ( WSJ) e autore di tre importanti libri: “La minaccia dei neocons all’ ordine mondiale”; Come si sono  persi gli  USA e “Il Fallimento   del capitalismo neoliberal”– si scaglia sul  suo portale  contro  i  due  portavoce dell’ establishment, il WP e il  NYT, scettici  sul   discorso di Trump e  sul  “forte attacco al rapace e  inmorael establish-ment governante. Vedi: Paul Craig Roberts
Trump ha promesso di governare con i cittadini abbandonati dall’establishment, con coloro con cui si collegherà mediante i suoi twits: una mescolanza insolita di plutocrazia con la oclocrazia (predominio delle masse) ! Lo stesso Obama, prima di congedarsi, ha consigliato di non sottovalutare (sic) questo tipo, uno che si collega molto bene con i suoi seguaci e che vuole rappresentare il candidato del cambiamento.
Obama ha lasciato in eredità tanto il caos globale come un paese diviso dove si prospetta una impensabile guerra dei sessi tra i suprematisti bianchi  “machos”, WASP (white, anglosaxon, protestant), devoti a Trump, e la marcia impattante di mezzo milione di donne a Washington, sospinti da Hollywood, all’unisono con altre 600 marce  affratellate nel resto degli USA e nel mondo.
Gli Stati Uniti sono un paese diviso, secondo The Hill. Rimane  descritto in sintesi: gli USA sono un paese severamente fratturato a tutti i livelli.
Perfino al livello teologico si manifesta questa frattura tettonica degli USA, in una franca decadenza interna e globale: uno dei predicatori della stessa messa, precedente al giuramento di Trump,  è stato Robert Jeffres, cristiano battista del sud che ha condannatol’Islam ed il mormonismo (i cui seguaci abbondano nella CIA), il quale ha eslcamato che “Dio non è contro l’edificazione dei muri”.
Per P.C. Roberts, l’arrivo di Trump costituisce una dichiarazione di guerra, molto più pericolosa per lui che non se avesse dichiarato guerra contro la Russia o la Cina. Roberts commenta che non esiste dubbio che Trump si è trasformato in un obiettivo di assassinio (sic) fino a quando la CIA non finirà con l’ arrendersi o con l’ allontanarsi (dal potere).
In aggiunta al conosciuto budget ufficiale dei 50 mila milioni di dollari all’anno, P.C.Roberts, che era stato al corrente delle nascoste fonti finanziarie del Minotauro statunitense, rivela che la CIA è una organizzazione globale. I suoi lucrativi affari le fanno derivare entrate indipendenti dal budget degli USA ed è in grado di svolgere operazioni in modo indipendente dal presidente e ancora del suo stesso direttore, quando la CIA aveva una storia di più di 70 anni, sempre trincerata nei suoi segreti senza mai essere scomparsa.
SALTILLO, COAHUILA, 19NOVIEMBRE2012.-  Esta tarde se registró un enfrentamiento entre elementos policiacos y un grupo de delincuentes, lo cual activó la alerta roja, dejando como saldo dos delincuentes abatidos, uno detenido y un elemento policiaco herido. FOTO: CUARTOSCURO.COM

SALTILLO, COAHUILA, 19NOVIEMBRE2012.-
Esta tarde se registró un enfrentamiento entre elementos policiacos y un grupo de delincuentes, lo cual activó la alerta roja, dejando como saldo dos delincuentes abatidos, uno detenido y un elemento policiaco herido.
FOTO: CUARTOSCURO.COM

Sicari addestrati dalla CIA in Messico
Sembra chiaro che si è scatenata una guerra sotterranea tra il Pentagono e la CIA, mentre Trump ha aperto molti fronti, contemporaneamente, contro gli onnipotenti rivali: contro le due dinastie liquidate, quella dei Bush e quella dei Clinton, oltre ad Obama; contro la CIA; contro Hollywood; contro i multimedia, in particolare la CNN; contro il megaspeculatore fomentatore del caos globale George Soros, ecc..
Io, personalmente  avevo avvisato che è in pericolo la vita di Trump, come ha sostenuto successivamente anche il parlamentare britannico George Gallloway, il quale mette in allerta “che la CIA sta preparando l’assassinio di Trump”.
Prima di partire, l’ex direttore della CIA John Brennan ha lanciato un avvertimento (di stile mafioso) a Trump di “misurare le sue parole”, e lo ha criticato per non comprendere la minaccia della Russia agli USA.
Lo zar Vlady Putin ha messo in guardia da un possibile golpe silenzioso, come accaduto in Ucraina nella piazza Maidan di Kiev, contro Trump che ha coalizzato a “Tiro e Troiani” dell’onnipotente establishment, oggetto di disprezzo e rabbia popolare. Non lo dice uno chiunque , ma lo dice uno zar russo, che dispone di informazioni privilegiate.
A giudizio di Putin, tutta la lasciva campagna russofobica cerca di delegittimare Trump con gli stessi metodi nello stile Maidan, utilizzato nel 2014 in Ucraina, dove fu deposto il presidente legittimamente eletto Yanukovich, in un golpe presumibilmente orchestrato dallo spionaggio statunitense e dal suo Dipartimento di Stato.
Per Putin, le persone  che fabbricano false notizie contro Trump, che le preconfezionano e le utilizzano in una battaglia politica, sono peggiori delle prostitute (sic) perchè non hanno alcun limite morale.
Un altro obiettivo, secondo Putin, della mania russofobica, è quella di bloccare le mani preventivamente allo stesso Trump, per evitare che possa migliorare le relazioni tra gli USA e la Russia, quando il cambiamento di paradigma pregiudicherebbe interessi fossilizzati. Se non accade nulla di eclatante nei giorni prossimi, Putin si prepara a chiamare Trump.
Il nuovo leader della minoranza (Partito Democratico), il polemico Charles Schumer, intimo dei Clinton e dei Soros, ha commentato che “la comunità di spionaggio disponeva di “sei modalità di riscuotere” le sue fatture contro Trump.
Il confronto è molto intenso e profondo, con intonazioni da guerra civile, anche non ci si azzarda a pronunciare questa con il suo vero nome.
Nello scongelato Forum Economico Mondiale di Davos (controllato da Soros), l’uscente segretario di Stato, John Kerry, ha predetto che Trump durerà al massimo “uno o due anni”, o quello che sarà.
Zero Hedge aggiunge che nessun presidente, dai tempi di John F. Kennedy, si era azzardato ad affrontare la CIA, che può scegliere di agire con misure di rappresaglia.
L’establishment cerca di dilegittimare, al prezzo che sia- come il sordido libercolo predisposto dall’M16 e triangolato dai nemici di Trump nel Partito Democratico e nel settore sorosiano del Partito Repubblicano con il super falco senatore John McCain-, si solleverebbe il tentativo di spodestare Trump per ottenere questo attraverso un minaccioso impeachment legislativo o interamente, con la sua liquidazione fisica, come ha reclamato uno “pseudofascista” con maschera da ideologo culturale, della doppia fonte di disinformazione Televisa/Univision.
L’avvenimento dell’inizio dell’era di Trump costituisce un cambiamento tettonico di paradigma con ripercussioni a livello regionale (con il Messico) e globali (con Cina ed Europa).
Il conservatore cattolico Pat Buchanan, un prominente advisor dell’ex presidente Nixon, Ford e Reagan, sentenzia che, con Trump, arriva l’avvenimento di una nuova era, la cui caratteristica è il patriottismo economico e l’etnonazionalismo (sic), che è in ascesa in tutte le parti del mondo.
Per Pat Buchanan, il vero pericolo per gli USA viene dal sud del pianeta, dove abbondano i migranti giovani.
La nuova era è un enigma: inizierà Trump il suo volo domestico e geostrategico o sarà brutalmente trattenuto dall’establishment degli USA ancora oggi onnipotente e impunito per i suoi crimini?
Fonte: La Jornada Gen 23, 2017 di   Alfredo Jalife Rahme
Traduzione: Luciano Lago

Il Tradimento di Obama

obama deceptionBarack Obama è stato eletto sull’onda dell’entusiasmo derivante dallo slogan ‘Yes We Can’ (Si noi possiamo), ben presto però, la realtà dei fatti, ha obbligato l’amministrazione a fare i conti con l’influenza esercitata dallo ‘stato profondo’. Mostro mitologico a cinque teste, include essenzialmente Wall Street (Finanza), i grandi corporazioni industriali (Multinazionali), le agenzie di spionaggio (CIA, NSA, NRO, etc), il complesso militare (Industria Bellica) e i media mainstream (grandi gruppi editoriali e televisivi).
Tra i maggiori meriti di Obama, soprattutto durante la prima amministrazione, possiamo annoverare una forte propensione a non macchiare la sua bibliografia presidenziale con disastrose guerre quali Iraq e Afghanistan. Questo rifiuto ha delineato e definito enormemente le strategie di ingaggio nell’arena internazionale da parte degli Stati Uniti.
Un altro fattore di enorme importanza è riscontrabile con il tentativo di regolamentare e definire maggiormente i perimetri dell’alta finanza speculativa che portò alla crisi finanziaria del 2008. Il potere di un presidente è molto limitato in confronto ad un’entità potente quale la FED. In tal senso, i pochi sforzi di limitare il potere dei grandi gruppi finanziari e bancari sono immediatamente naufragati, obbligando Obama a seguire la leadership di Greenspan e la politica monetaria decisa dalla FED. Primo enorme tradimento del mandato popolare.
Infine, i ripetuti scandali spionistici relativi alla NSA e alle altre agenzie di intelligence, hanno costretto Obama ad adottare una retorica volta al contenimento del potere illimitato delle agenzie di spionaggio. Nella pratica però, l’amministrazione uscente ha fatto l’esatto opposto aumentando fortemente i poteri delle agenzie governative, con lo scopo preciso di perseguire e accompagnare così la nuova strategia bellica presidenziale. Secondo enorme tradimento nei confronti dell’elettorato.
Ripercorrendo i punti cardine dell’amministrazione uscente, è facile comprendere come, dei cinque conglomerati di potere, tre di essi, Media, Wall Street e agenzie di spionaggio abbiano avuto vita facile potendo contare su un presidente a disposizione di tali poteri forti.
Ciò viene facilmente riscontrato nelle decisioni intraprese in otto anni di presidenza. Difficile stabilire una certezza quale siano state le motivazioni dietro a questo approccio, resta però una certezza, Obama ha dovuto sottomettersi a determinati rami dello stato profondo per poter implementare certe strategie. Per Obama, principalmente, è sempre stata una questione di priorità, unito alla necessità di assecondare determinati ambiti dello stato profondo, nell’opera di evangelizzazione democratica (derivante dal concetto distorto di Eccezionalisimo Americano).
In questo senso, facilmente si intuisce come mai agenzie di spionaggio, apparati mediatici e speculatori finanziari abbiano avuto mano libera durante la gestione Obama. Il presidente uscente ha puntato su tre fattori principali durante la sua presidenza: avanzare il ruolo degli Stati Uniti nel mondo, una ripresa interna dell’economia e la rinuncia a guerre con truppe di terra. Obiettivi chiaramente incompatibili tra loro, specie se messi in relazione con i desiderata storici della politica estera americana (preservare il mondo unipolare a guida USA)
Per riuscire in questo obiettivo, necessariamente, ha avuto bisogno di un forte sostegno da parte delle grandi istituzioni finanziarie, nazionali ed internazionali, per organizzare la destabilizzazione economica e il terrorismo finanziario verso nazioni considerate ostili. Obiettivo, aprire la strada alle agenzie di intelligence e alla loro forma di aggressione mediante forme di soft-power (primavera araba, rivoluzione colorata, influenzare il voto). In tutto questo, l’apparato mediatico ha giocato un ruolo fondamentale amplificando la propaganda politica. Lo scopo, anche in questo caso, spianare la strada alle canoniche tecniche di manipolazione (mancanza di notizie, notizie distorte, percezione alterata della realtà, omissioni) per ottenere il sostegno delle popolazioni occidentali alle operazioni di cambio regime in Nord Africa, Medio Oriente ed Europa dell’Est.
Questa strategia di protezione della sua biografia, evitando ad ogni costo un intervento militare, ha infastidito fortemente il complesso militare industriale, oltre alle grandi corporazioni industriali (Petrolifere, Agricole ed Edili). Il bombardamento, l’invasione via terra, l’occupazione materiale e la distruzione delle infrastrutture di un paese sono grandi catalizzatori di appalti, assegnati regolarmente alle aziende private statunitensi (l’esempio dell’Iraq è emblematico). L’effetto sono centinaia di milioni di dollari di profitto. Lo stesso apparato bellico ha più capacità di espandere i suoi guadagni con guerre perpetue, di occupazione che impieghino armamenti e nuove tecnologie, frutto anch’essi di contratti multimilionari.
Le problematica maggiore sono comunque emerse in altri contesti, conseguenze di un approccio particolarmente esasperato al tema dei diritti umani. Argomentazione abusata nell’ultimo decennio sotto l’amministrazione Obama, ha spesso funzionato da pretesto per il bombardamento e il sostegno di rivoluzioni violente che hanno finito per distruggere diverse nazioni negli corso degli ultimi otto anni. Gli effetti della politica estera di Obama hanno peggiorato le tensioni globali, semplicemente cambiando metodi e mezzi. Terzo, enorme, tradimento del mandato elettorale.
Le maggiori conseguenze sul fronte interno, evidente riflesso di una strategia basata sull’uso di intelligence e media mainstream, sono state un aumento esponenziale del potere delle agenzie di spionaggio, degenerato con i ripetuti scandali rivelati da Snowden. Altrettanto si può dire in merito alla credibilità della Stampa con l’alterazione delle notizie per favorire un certo tipo di interpretazione della realtà. Infine, ovviamente, il salvataggio delle maggiori banche ha prodotto conseguenze disastrose nell’apparato finanziario ed economico. Il potere della FED (degenerato con i tassi di interesse bloccati a zero e la cosiddetta capacità di stampare denaro all’infinito), unito alla speculazione finanziaria, la distorsione mediatica delle notizie e una completa libertà per le agenzie di intelligence, lascia in eredità al nuovo presidente un paese con un’economia instabile, una crescita rasente lo zero ed una politica estera disastrosa per gli Stati Uniti e il resto del mondo.
Uno dei pochi meriti di Obama è stata la necessità di porre un freno alle intenzioni bellicose dell’apparato militare, attirandosi quindi spesso aspre critiche dalla parte più interventista del ‘deep state’ USA. In Siria, la mancata invasione del 2013 ha lasciato il segno tra la presidenza Obama e lo stato profondo che ha continuato a minare la credibilità dell’ex presidente fino all’ultimo giorno della sua permanenza alla Casa Bianca.
In Iraq, la necessità di marcare una differenza importante con Bush ha prodotto un ritiro forzato delle truppe americane, favorendo così l’ascesa di daesh. Che Obama abbia deciso in autonomia questa strategia o che sia stato tradito dagli apparati di intelligence, creatori di daesh a Camp Bucca, poco cambia. La strategia politica di Obama ha necessariamente dovuto concedere particolari deleghe di autonomia agli apparati di intelligence, tradendo puntualmente il mandato dei cittadini.
Obama ha concesso armi e finanziamenti ad elementi collegati a daesh ed al qaeda, offrendo una cooperazione continua con altri attori regionali (Arabia Saudita, Qatar e Turchia) per destabilizzare l’intera area Mediorientale e Nordafricana. Quarto gigantesco tradimento del mandato elettorale.
Il contrasto perenne tra una parte dello stato profondo e Obama ha raggiunto apici di tensione in merito alla vicenda Ucraina. Le forti pressioni dei neoconservatori sull’amministrazione hanno avuto poca fortuna nel innescare un’escalation delle tensioni nell’est del paese. Nonostante l’apparato di intelligence abbia sempre assistito Kiev nella sua famigerata operazione antiterrorismo e nella copertura di nefandezze di ogni genere (MH17?), l’apparato militare non ha potuto armare l’esercito Ucraino, con l’aiuto della NATO, come avrebbe voluto e sperato.
Una delle maggiori contraddizioni tra l’area euroasiatica e quella atlantica è stata l’errata interpretazione dei due maggiori esponenti. In Russia, ma spesso anche in altre nazioni mediorientali, Obama è stato percepito come un estremista che avrebbe voluto attivare i meccanismi per portare ad una terza guerra mondiale. Alla stessa maniera, Putin ha ricevuto la stessa interpretazione delle sue intenzioni da parte atlantica. Questa errata percezione della realtà ha spesso portato ad equivoci e mancanza di fiducia difficilmente risolvibili. A riprova di questa affermazione, la situazione di maggior pericolo, in termini di scontro tra potenze nucleari, si è avuto durante la crisi Ucraina. In Russia, Putin ha ricevuto critiche per un mancato intervento massiccio in Ucraina, Obama in patria ed in Europa è stato aspramente ostracizzato per non aver appoggiato Kiev con tutti i mezzi necessari. E’ stata la moderatezza di Putin ed Obama in determinati contesti, Siria e Ucraina in primis, ad evitare che i falchi al loro fianco potessero spingere ad un aggravarsi della crisi internazionale.
In conclusione, Obama ha spesso preferito utilizzare metodi alternativi, ma non meno dannosi, per imporre in qualche maniera una sua visione delle politiche internazionali. Spesso ha dovuto cedere la mano con azioni contro la sua volontà e probabilmente poco frutto di una sua iniziativa personale. Le sanzioni alla Federazione Russa, le operazioni con i Droni, l’inasprirsi del pattugliamento nel mar cinese del Sud-Est, il sostegno alle azioni Saudite in Yemen (vendita di armi), il salvataggio bancario dopo la crisi finanziaria e la permanenza di Guantanámo rientrano in questo ampio spettro. Vicende che hanno scalfito e danneggiato la reputazione di Obama. Azioni intraprese e offerte in dono al mostro a cinque teste, comunemente etichettato come stato profondo. Scelte che, in un modo o nell’altro, Obama è stato obbligato ad intraprendere per evitare una guerra dichiarata con le svariate entità del deep state. In sintesi, si è piegato al volere dei poteri forti, senza combattere, ma anzi adattandosi al contesto per trarne un beneficio personale.
Obama è certamente stato un presidente per certi versi peggiore di Bush in termini di politica estera e domestica. Va però riconosciuta la sua capacità nell’aver limitato la potenziale azione distruttiva-nucleare degli Stati Uniti, specie se rapportato ai desiderata di certi apparati del potere di Washington. L’accusa maggiore che si possa muovere ad Obama è non aver mantenuto fede alla promessa basilare espressa durante la campagna elettorale. Con la terminologia ‘Yes We Can’, Obama promise un cambiamento nell’approccio ai problemi degli Stati Uniti.  Invece di combattere l’establishment con una rivoluzione dal suo interno, ha preferito scendere a patti per avanzare il ruolo degli Stati Uniti nel mondo semplicemente cambiando approccio.
Ha scelto alleanze e tessuto trame per avanzare la sua biografia (polemica con Israele per gli insediamenti, il ritiro dall’Iraq e la fine dell’embargo con Cuba), senza mai però entrare in contrasto aperto con determinati settori dello Stato Profondo. Israele può essere considerata un’eccezione isolata.
Le conseguenze di questo approccio hanno generato effetti catastrofici che vediamo ogni giorno in diverse aree del globo. Le popolazioni di Stati Uniti ed Europa vivono una crisi esistenziale senza più fiducia nei media; le agenzie spionistiche vengono considerate oppressive ed invadenti nella sfera della privacy senza più alcuna credibilità; gli apparati militari-industriali producono hardware obsoleto ed inefficace, con costi di produzione iperbolici dettati da una vasta corruzione; i grandi gruppi corporativi hanno subito gli effetti di una guerra commerciali (rapporto problematico con il valore del petrolio) oltre al fallimento degli accordi commerciali come TTIP e TTP.
Obama, pur avanzando una candidatura di rottura nel 2008 e nel 2012, ha continuato nel solco dell’eccezionalismo americano, del popolo scelto da Dio bramando di educare il globo nella maniera appropriata. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Iran, Cina e Russia che hanno enormemente guadagnato fiducia e considerazione rispetto agli Stati Uniti grazie al loro approccio scevro di eccezionalismo.
Il tradimento di Obama, rispetto alle aspettative, sommato alle conseguenze nefaste della sua presidenza lo rendono, complessivamente, uno dei peggiori presidenti della storia degli Stati Uniti. Non sorprenda, quindi, l’elezione di Donald Trump. Un presidente, anch’esso, di rottura rispetto ad Obama. Una ripetizione del medesimo meccanismo elettorale che portò al trionfo di Obama nel 2008 al termina della presidenza Bush. Trump è stato eletto sulle ali dell’entusiasmo, con uno slogan che promette di rimettere gli Stati Uniti al centro del progetto nazionale e globale, sfidando quindi apertamente gli interessi del mostro a cinque teste dello stato profondo. Ancora una volta, folgoranti similitudini con la campagna elettorale dell’ormai ex presidente.
E’ probabile che anche Trump decida di allearsi con determinati componenti dello stato profondo dichiarando guerra ai restanti, avanzando così la sua visione strategica del futuro del paese. Un tracciato che assomiglia paurosamente alla tattica ed alle intenzioni iniziali di Obama. Il problema di fondo resta intrinsecamente legato all’opinione personale del presidente degli Stati Uniti che spesso si sente nominato quale guida morale e spirituale dell’intero globo, non solo degli Stati Uniti d’America. In tal caso, il risultato sarà il medesimo degli ultimi otto anni con una continua crescita del ruolo di Cina, Russia e Iran. L’epoca di Obama si chiude con un paradossale “No, you can’t” (no, non puoi), contrapposto all’iniziale “Yes we Can”. Trump dovrà stare attento a non subire una trasformazione simile, del suo slogan, con un passaggio dal “make america great again” (rendiamo gli Stati Uniti grandi di nuovo) al più realistico “make eurasia great again”.
Il mostro a cinque teste, comunemente chiamato Deep State, guida la politica domestica ed internazionale degli Stati Uniti da oltre cento anni, piegando il volere presidenziale e sabotando amministrazioni senza pietà. Se c’è qualcosa che già accomuna Obama e Trump è la difficoltà nel discostarsi dalla precedente amministrazione, riuscendo al contempo ad avanzare le intenzioni espresse durante la campagna elettorale. Missione impossibile?
di Federico Pieraccini – 21/01/2017 – Fonte: L’Antidiplomatico

Donald Trump ha bisogno di creare un movimento – e velocemente!

trump supportersSe Trump avrà successo, allora avrà bisogno di creare un nuovo movimento politico, e dovrà sostenerlo.
Le elezioni americane del 2016 sono state per molti aspetti abbastanza “eterodosse”, e altrettanto sarà la presidenza di Donald Trump. Se avrà successo, allora avrà bisogno di creare un nuovo movimento politico, e dovrà sostenerlo. Il momento è particolare e richiede un approccio al potere differente: tutti sono allineati contro di lui e contro la volontà politica del Paese.
E’ tradizione che quando il candidato di uno dei maggiori partiti viene eletto presidente, questi venga designato automaticamente capo del suo partito. Ma sembra che a questo giro elettorale tale regola non si applichi al Partito Repubblicano. Trump tecnicamente potrebbe guidare il GOP [Grand Old Party, acronimo con cui viene popolarmente indicato il Partito Repubblicano], ma il comportamento dell’establishment del partito lascia intuire un’altra volontà. Vi è la possibilità infatti che Trump possa assistere al boicottaggio del proprio programma legislativo da parte del GOP – sebbene controlli entrambe le Camere del Congresso. Si tratta veramente di un insieme di circostanze abbastanza straordinarie.
Abbiamo già visto il senatore John McCain e Lindsey Graham (meglio noti come Scemo & più Scemo) agire di testa propria, andando a fare visita al regime di Kiev – in totale contraddizione rispetto al desiderio di Trump di migliorare le relazioni con la Russia. Ma Scemo & più Scemo non sono l’unico problema. Ben prima dell’insediamento di Trump, infatti, si è creato un consenso – guidato da Barack Obama – volto a bloccare la “perestroika” della nuova amministrazione rispetto al Cremlino.
Superfluo aggiungere che i democratici non sono nello spirito giusto per dare una mano al nuovo Presidente. C’è il rischio reale quindi che alcuni dei repubblicani possano colludere con i democratici per far deragliare il programma politico di Trump.
I media mainstream corporativi non hanno ancora digerito l’idea di “Donald Trump Presidente”. Ed è molto improbabile che ciò avvenga. Per farlo, dovrebbero infatti confrontarsi con la loro mancanza di professionalità e la loro faziosità. Non ci dovremo sorprendere quindi di venire a conoscenza di episodi di notizie distorte o false. Il mainstream è la principale fonte della maggior parte delle notizie false, e dovremo aspettarci quindi una campagna senza sosta volta a costruire un universo alternativo e parallelo della narrazione dei fatti, con l’obiettivo di indebolire Trump e la sua amministrazione. Washington Post, New York Times, e CNN stanno già tracciando la strada in questa direzione.
Trump ha bisogno di un movimento per superare tutte questi ostacoli. Trump è certamente un novizio da un punto di vista politico, ma è un’autorità per quanto riguarda la creazione dell’immagine e il controllo della comunicazione. Aggiungeteci anche i social media, e Trump diventa un giocatore eccezionale ed una vera forza.
I mezzi per il suo nuovo movimento dovrebbero essere Facebook e Twitter. Trump dovrebbe semplicemente ignorare “la propaganda dei media corporativi mainstream”.
Rivolgersi direttamente alle persone, attraverso i social media, che l’hanno aiutato a vincere le elezioni, e lo aiuteranno anche a governare. Se Facebook e Twitter tentano di boicottarlo, allora Trump dovrebbe nazionalizzare entrambi, dichiarandoli servizi pubblici.
Il nuovo movimento di Trump dovrebbe rinvigorire lo spirito della democrazia che la classe politica e la cabala dei finanziatori privati hanno rubato ai cittadini. Il movimento di Trump funzionerebbe anche come un forte monito per ribadire all’establishment chi è adesso al potere. Il GOP, i democratici ed i media pensano di poter vincere in astuzia Trump, e cancellare la sua amministrazione prima ancora che questa si insedi. Trump ed i suoi sostenitori dovrebbero far sentire all’establishment la propria presenza. Questo è Trump, e ciò per cui i suoi elettori hanno votato.
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Articolo di Peter Lavelle
pubblicato su The Duran il 3 gennaio 2017
Traduzione in italiano a cura di Francesco Pastoressa per Sakeritalia.it Gen 17, 2017