ASSANGE AL PATIBOLO, CORREA A ROMA, I BARBARI NEL PALAZZO — JE SUIS JULIAN ASSANGE – SIAMO TUTTI ASSANGE

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MONDOCANE

SABATO 19 MAGGIO 2018

Comunque meglio i barbari
Premetto una nota domestica. Il fatto che a tutti coloro che a me, a noi, suscitano ribrezzo e sacrosanto odio (quanto temono i giustissimi haters!), danno le convulsioni quelli che stanno provando a fare un governo, che, comunque, sarà diverso da tutti i suoi fetidi predecessori, ci fanno superare ansie e perplessità. I nemici dei tuoi nemici non saranno tuoi amici, ma di certo sono una chance migliore di quelli che ci strangolano. Sono saltati alcuni punti che per noi e i 5 Stelle erano cruciali (Jobs Act, Sblocca Italia, Tav, Tap), ma ne basterebbe uno dei tanti altri (Fornero, politica agricola europea; una banca nazionale, revisione missioni internazionali, antiprescrizione, anticorruzione, acqua pubblica, no sanzioni alla Russia, no “Buona Scuola”, no fossili, …..) per rendere le premesse di questo governo il migliore di tutti quelli dagli anni ’80 in qua.O promettevano e poi facevano meglio i Monti, Renzi, Alfano, Boschi, Lotti, Rosato, Verdini, Madia? Costoro sono stati fregati dal popolo derubato e minchionato e ora tremano all’idea che quelli dal popolo eletti li freghino anche loro.Ne è riprova il sincronico assalto al fosforo bianco che, con bava di fiele alle fauci, destre, centrini, presunte sinistre, dal sorosiano “manifesto”, alle trombe del giudizio di DeBenedetti, Berlusconi e Cairo, al robotino Rothschild Macron, all’élite mondialista del Financial Times, alla lobby con stella di David, hanno scatenato contro i “nuovi barbari”. Fosse vero! E fossero le larve imperiali alla Romulo Augustolo deposte dal barbaro Odoacre, che poi resse un regno finalmente tranquillo, prospero e pacificato, o le scimitarre ottomane che cacciarono gli ultimi Paleologhi, gli ultimi Focas, con i loro transgender eunuchi. A scanso di essere fulminati dagli anatemi dei politically correct al piano di sopra, dei pretoriani di questo imperiuccio d’Occidente o d’Oriente che sprofonda nella palude, noi ci riserviamo di stare con i barbari. Poi si vedrà quel che sarà.

https://www.newsy.com/stories/ecuador-removing-extra-security-at-embassy-assange-lives/ Un breve video su Julian Assange, prima rifugiato ora rinchiuso nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, in attesa di estradizione negli Usa e di pena di morte.

Rafael Correa a Roma contro i rigurgiti
Abbiamo incontrato, il 17 maggio a Roma, l’ex-presidente per due mandati dell’Ecuador, per una conferenza stampa dedicata alla sorte del vicepresidente ecuadoriano Jorge Glas, imprigionato dall’attuale presidente Lenin Moreno. Correa, uno dei leader latinoamericani della linea socialista e antimperialista bolivariano-chavista, è stato il protagonista di quella che fu chiamata “revolucion ciudadana” che cambiò in profondità l’assetto sociale, economico e la politica estera di un paese poverissimo, da sempre colonia spietatamente sfruttata dagli Usa grazie ai proconsoli fornitigli dalla borghesia compradora. Il giro che Correa, al quale è succeduto alle ultime presidenziali, il proprio vice, Moreno, va compiendo in Europa e nel mondo, è per denunciare il vergognoso tradimento del suo ex-compagno rispetto alla politica di emancipazione degli strati popolari e indigeni e di liberazione dalla morsa militare ed economica di Washington. Uno dei più avanzati paesi della famiglia dell’A.L.B.A. (Cuba, Venezuela, Bolivia, Nicaragua, Ecuador e Honduras prima del colpo di Stato di Obama-Clinton del 2009), ha dovuto subire la feroce controffensiva dell’Impero Al pari di Argentina, Brasile, Venezuela e, ora, il Nicaragua, con la solita “rivoluzione colorata” portata avanti dai settori reazionari interni, dalle Ong sorosiane e dagli studenti delle università private e cattoliche.Decapitare i semilavorati latinoamericani
Simbolo del ritorno del fedifrago Moreno alle politiche di predecessori che avevano venduto l’indipendenza e le risorse del paese alle basi Usa e alle multinazionali del petrolio, è appunto l’arresto del vicepresidente Jorge Glas che tale carica occupava anche con Correa., insieme a Moreno. Come successo con Lula e Dilma Rousseff, con Cristina Kirchner e Maduro, contro Glas è stata allestita una macchina del fango, basata su false accuse di corruzione. Si vuole spazzare via un altro ostacolo alla ripresa del controllo sul paese da parte del padrone e aguzzino yankee.

I tempi della conferenza stampa di Correa, in gran parte centrata su un sistema mediatico dalla potenza di fuoco senza precedenti storici, non mi hanno permesso di sollevare un’altra drammatica e rilevantissima questione relativa ai complotti che l’imperialismo conduce contro Stati, popoli e individui che ne ostacolano la marcia verso un totalitarismo finanzmilitarista mondiale. Un tema sul quale Correa si va pure impegnando nel corso delle sue visite. E’ la fine che minaccia di subire Julian Assange, insieme a Chelsea Manning e David Snowden uno dei whistle blowers, suonatori di fischietto come vengono chiamati in inglese, che al re nudo americano e ai suoi tanti cortigiani e lacchè ha strappato buona parte dei vestiti.

Un destino che ci riporta all’attualità nostrana, segnata dalla totale scomparsa di una stampa libera, pluralista, onesta e dalla sua compattamento sotto proprietari-editori e finanziatori espressione di una configurazione di interessi che, pur a volte in competizione tra loro, sono indissolubilmente uniti nella guerra dall’alto contro il basso e nella difesa e promozione dello status quo turbocapitalista e antisovranista. Oggi il loro bersaglio, dal “manifesto” ai giornaloni e a tutte le emittenti tv, sono i “barbari” che rischiano di aprire qualche crepa nelle mura che ne proteggono fortilizi, banchetti e caveau.

Julian Assange, inventore e direttore di Wikileaks ha violato per anni l’omertà che i dominanti hanno ottenuto dai loro servi mediatici. A partire dalle rivelazioni sugli orrori delle guerre Usa e Nato, in particolare in Iraq, fino alla pubblicazione di centinaia di migliaia di documenti e dispacci segreti intercorsi tra cancellerie complici in complotti contro governi, classi e popoli da sedurre, soggiogare, o distruggere, Wikileaks ha il torto imperdonabile di non aver potuto essere silenziata. Per il flusso potente e inarrestabile delle sue notizie, la portata delle proprie rivelazioni, il rilievo delle fonti, Wikileaks è stata l’estremo e massimo argine alla definitiva “normalizzazione” dell’informazione. Da inflessibile sacerdote della verità, nessuna delle notizie di Assange ha mai potuto essere provata falsa, da resistente della libertà di stampa, nessuno è mai riuscito a fargli tradire una gola profonda.

Quando i media fanno i cani da guardia della menzogna
Dal 2012, inseguito da una falsa imputazione di stupro mossagli in Svezia e mai fornita di prove o testimoni, ridicolizzata dal rifiuto dei magistrati svedesi di interrogarlo in tutti questi anni, fino alla totale caduta dell’accusa, Julian si è rifugiato nell’ambasciata londinese dell’Ecuador, protetto dall’asilo politico assicuratogli da Rafael Correa. Da quasi tre mesi, con al potere a Quito il rinnegato fantoccio Usa, Moreno, gli è stata tagliata la connessione internet e all’edificio dell’ambasciata è stata tolta la protezione contro eventuali tentativi di incursione di Scotland Yard, che Correa aveva fatto allestire. Confinato in una stanza senza luce esterna, malato e sotto enorme pressione psicofisica, con la vista deteriorata, impedito da ogni contatto esterno, Assange rischia l’estradizione.

La stanno negoziando Moreno con Londra e Washington. Una volta estromesso dall’ambasciata, l’uomo che ha messo il più grosso bastione tra le ruote della mafia mediatica occidentale e della politica di morte da questa servita, verrà consegnato agli americani, andrà sotto processo, finirà in carcere e rischierà la pena di morte per “collaborazione con servizi di intelligence ostili” e “alto tradimento”. Glielo hanno assicurato ceffi come Mike Pompeo, Segretario di Stato, e Gina Haspel, la torturatrice vicecapo della Cia, ora nominata da Trump a direttore della stessa.

 


Gli infiltrati a sinistra

Tra gli organi di stampa che si fanno passare per “liberal”, di sinistra, il più stimato rimane inspiegabilmente il “Guardian”, da lungo tempo distante anni luce dalle sue origini progressiste. Nelle ultime settimane, contro Assange, il quotidiano londinese ha tirato ben tre cannonate. Tutte basate su logore e già smentite fandonie, come la violenza sessuale, i miliardi accumulati da spia con la sottrazione di documenti, l’indubbio lavoro al servizio di Putin, immancabile. Il “Guardian”, che si può definire fratello e corrispettivo inglese del “manifesto”, come l’ultrà sionista “Liberation” lo è in Francia, compone quel trio “di sinistra” della stampa europea che ai politici e agli organi dell’imperialismo fornisce i puntelli morali per le loro operazioni. Che siano la necessità di liberare i paesi dai dittatori, l’obbligo di accogliere milioni di emigranti costretti a lasciare i loro paesi alla mercè delle multinazionali e basi imperiali, o la criminalizzazione di Assange figlio di buona donna russa.

Il trattamento riservato ad Assange, uno dei sempre più rari eroi dell’informazione non coartata e manipolata, è un crimine contro quel diritto di tutti noi che viene dopo il diritto alla vita, il diritto alla verità. Senza quello noi “stiamo come d’autunno sugli alberi le foglie”. Morituri.

Beppe Giulietti , Regeni, Assange
Ricordate con che impeto e compiaciuta rettitudine i nostri giornalisti, dall’organo sindacale, la FNSI presieduta dal cavaliere senza macchia e paura, Beppe Giulietti, ad Articolo 21 e all’ultimo ragazzo di bottega redazionale nel “manifesto” o in “Repubblica”, o quei vindici della deontologia e classificatori dei buoni e cattivi che sono Reporters Sans Frontieres, stipendiati dalla Cia, si sono impegnati per cause umane nobilissime? Ricordate gli stracciamenti di vesti per il collaboratore del masskiller John Negroponte in Oxford Analytica, Giulio Regeni, per la martire che si leva il velo a Tehran, contro il “bavaglio turco”, per i giornalisti uccisi a Kabul dai cattivi Taliban (giornalisti siriani, honduregni o messicani non pervenuti,se la saranno cercata), l’emergenza mondiale del precariato giornalistico, quelli che rompono il naso ai colleghi a Ostia…? Li avete visti in piazza, nei salotti, nelle aule, a ergersi a difesa della vita, libertà e incolumità di chi più di tutti ha fatto per ricuperare credibilità all’informazione e per la libertà di stampa ha sacrificato tutto? Che lo considerino un nemico? E noi? Noi, a cui i primatisti mondiale del falso danno del fake news, seduti sulla riva a vedere passare cadaveri di notizie morte o false, noi che facciamo?

Con Correa abbiamo parlato degli sconvolgimenti in atto nel suo paese e in tutto il continente latinoamericano. Gli abbiamo chiesto se, quando al potere, non si sarebbe potuto andare più avanti, come invocavano tanti militanti, sul cammino dell’indipendenza, della lotta al capitale, delle nazionalizzazioni, della mobilitazione e organizzazione delle masse, per tagliare a imperialismo e relativi ceti proconsolari le gambe prima che potessero rimettersi in marcia. “Abbiamo fatto quello che abbiamo potuto”, ha risposto, “abbiamo tolto dalla povertà milioni di persone, abbiamo avuto poco tempo e avevamo contro i più cinici e forti poteri della Storia. Compreso quello dei media”. Di cui qui abbiamo trattato.