Processo No Tav a Torino: “Fu debole la prima risposta dello Stato alle violenze”

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Processo No Tav a Torino: "Fu debole la prima risposta dello Stato alle violenze"

L’accusa del procuratore generale Saluzzo, tensione per la protesta di un gruppo di militanti

di SARAH MARTINENGHI

11 ottobre 2016

  
La risposta iniziale dello Stato alle violenze dei No Tav “fu estremamente debole”. Lo ha detto il procuratore generale del Piemonte, Francesco Saluzzo, oggi a Torino alla ripresa del maxi processo (con 53 imputati) per gli scontri in valle di Susa nel 2011. Il magistrato ha fatto riferimento agli anni intorno al 2005, quando prestava servizio come pubblico ministero alla procura di Torino. “Si erano verificati episodi gravi – ha affermato – ma sotto il profilo della repressione i risultati furono scarsi”.

Processo No Tav, cori e slogan in aula: il giudice allontana il pubblico

“Il Tav – ha osservato Saluzzo – è un’opera pubblica decisa con deliberazione sovrana dal Parlamento. Tutti i governi che si sono succeduti nel corso degli anni hanno confermato, con i loro atti, la volontà di realizzarla. Nel corso degli anni si è anche sviluppato, oltre al movimento No Tav, un pensiero No Tav, che è uscito dalla valle di Susa. Noi non criminalizziamo il pensiero, il dissenso, i manifestanti che dimostrano pacificamente le loro idee. Noi perseguiamo gli atti violenti”. Il pg ha anche detto che “le manifestazioni No Tav hanno reso ancora più tortuoso, insieme alla cronica ed endemica lentezza delle procedure, il percorso verso la realizzazione dell’opera. Ma la volontà del Paese, espressa attraverso il parlamento e i governi, è che quest’opera si faccia. Può piacere o non piacere. Anche a noi magistrati certe leggi possono non piacere. Ma se sono in vigore, le applichiamo”.

Nel corso dell’udienza ci sono stati momenti di tensione. I No Tav hanno letto un comunicato in aula rivendicando “quelle giornate, la giustezza della lotta No Tav. Sosteniamo la scelta di decine e decine di compagni e compagne, che da mesi contrastano con cosciente determinazione

 

 il tentativo di separarli dalle lotte” e ancora “oggi per tutte queste ragioni, lasciamo l’aula per unirci a Bussoleno all’evasa Nicoletta”.

Il giudice Piera Caprioglio ha sospeso l’udienza e allontanato gli attivisti che hanno sfilato in corteo all’interno di Palazzo di Giustizia, con uno striscione: “Io sto con chi resiste violando le imposizioni del tribunale di Torino”. Il processo è poi ripreso regolarmente.

Torino, la giunta nomina il “contro-osservatorio” sulla Tav, ci sono anche Mercalli e Tartaglia

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Undici “saggi” diventano consulenti ufficiali della città che ribadisce così la propria contrarietà all’opera

di GABRIELE GUCCIONE

 11 ottobre 2016
Torino, la giunta nomina il "contro-osservatorio" sulla Tav, ci sono anche Mercalli e Tartaglia

Il climatologo Luca Mercalli 

Gli esperti del contro-osservatorio No Tav diventano i consulenti tecnici ufficiali della Città di Torino e della sindaca Chiara Appendino sul progetto della Torino-Lione. Gli undici “saggi”, tra cui figurano anche il meteorologo Luca Mercalli e il professor Angelo Tartaglia, sono stati nominati stamattina dalla giunta comunale del capoluogo, su proposta del vicesindaco Guido Montanari e dell’assessore alle Infrastrutture Maria Lapietra.
 
La commissione tecnica è la stessa nominata nel 2013 dai comuni della Val di Susa e avrà il compito, si legge nell’atto di nomina, “di effettuare in via preliminare, approfondimenti, confronti e valutazioni sulle tematiche e sui progetti presenti e futuri della Nuova Linea Torino-Lione”. L’amministrazione Cinque Stelle conferma così la propria contrarietà all’alta velocità e l’intenzione di far valere le ragioni del “No” all’opera davanti all’osservatorio ufficiale presieduto dal commissario di governo Paolo Foietta.
 
Il

 

 team di esperti è composto da Claudio Cancelli, Marina Clerico, Simone Franchino, Michele Giacosa, Claudio Giorno, Luca Giunti, Luca Mercalli, Alberto Poggio, Gabriella Soffredini, Angelo Tartaglia e Roberto Vela. La delibera del vicesindaco Montanari li definisce “professionalità qualificate, già individuate dagli altri enti pubblici e che hanno maturato una esperienza specifica e significativa nella disamina della materia e dei progetti in questione”.

TAV – SCIBONA (M5S): “La nomina di tecnici TAV a Torino è segno di serietà e giusto approccio scientifico alla questione”.

http://www.marcoscibona.it/home/?p=1122

Il Comune di Torino, nominando oggi la commissione tecnica sul TAV, ha dato segno di serietà e giusto approccio scientifico per tutto ciò che riguarda un’infrastruttura così impattante per il territorio e per i cittadini.

Non è un caso che tali esperti siano gli stessi nominati da altri Comuni della Valle di Susa e della cintura di Torino che hanno ben presente come la Nuova Linea Torino – Lione sia una grande opera inutile ed imposta con l’unico pregio di drenare i soldi del contribuente; a questo proposito occorre precisare che gli esperti nominati prestano la loro opera gratuitamente.

Auguriamo buon lavoro agli esperti ed alla giunta del Comune di Torino, consci che l’evidenza scientifica sui dati oggettivi proverà ancora una volta la ragione del No al Tav.

Marco Scibona – Senatore M5S, Segretario 8a Commissione lavori pubblici, comunicazioni

RIVELAZIONE SHOCK I SOLDI DELLE NOSTRE TASSE USATI PER FINANZIARE LA CAMPAGNA ELETTORALE DELLA CLINTON(GOVERNANTI DI MERDA COME VI PERMETTETE)

10/10/2016
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RIVELAZIONE SHOCK
LO SQUATTRINATO MINISTERO DELL’AMBIENTE ITALIANO FINANZIA LA MILIARDARIA FONDAZIONE CLINTON: TRA I 100 E I 222MILA DOLLARI L’ANNO DAL 2008 A OGGI – IL BRACCIO ARMATO DI BILL E HILLARY È UN GROVIGLIO DI CONFLITTI DI INTERESSE: I 24 MILIONI DALL’ARABIA SAUDITA, FRUTTO DEL PETROLIO E SPESI PER AIUTARE L’AMBIENTE (LEGGI: L’INFLUENZA POLITICA DEI DUE)
 
Effettivamente alla convention del Partito democratico americano a Philadelphia che ha conferito la nomination presidenziale a Hillary Rodham Clinton non avrebbero dovuto presenziare né il ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, né il presidente della Camera, Laura Boldrini. L’ unico esponente delle istituzioni italiane titolato a parteciparvi era il ministro dell’ Ambiente, Gianluca Galletti.
Quest’ affermazione potrebbe stupire, ma non è cosi perché il ministero dell’ Ambiente e della tutela del territorio e del mare è da lungo tempo tra i finanziatori della Clinton Foundation con una quota compresa tra i 100mila e 250mila dollari, ossia tra gli 89mila e i 222mila euro all’ anno sotto forma di government grants, ossia sovvenzioni governative. Ulteriori dati sull’ elargizione non sono disponibili.
Sia perché la Clinton Foundation non fornisce nei minimi dettagli i contributi ricevuti da singoli donatori sia perché lo stato di previsione del ministero non elenca precisamente tutti gli accordi internazionali (eccezion fatta per i più importanti come il Protocollo di Kyoto) ai quali lo Stato contribuisce con impegni complessivi per qualche decina di milioni.
 
Non si tratta di una novità in assoluto: il ministero compare nell’ elenco sin dal lontano 2008, anno in cui Obama costrinse il suo predecessore a rivelare i nomi dei contribuenti proprio per eliminare sospetto di conflitti di interessi sul suo ex segretario di Stato, cioè Hillary. Poiché nel 2008 il presidente del Consiglio era Silvio Berlusconi, molto amico del repubblicano George W. Bush, è lecito supporre che l’«alleanza» tra Italia e Fondazione (creata nel 2001) sia cominciata ai tempi del centrosinistra, cioè tra 2006 e 2008, quando il premier era Prodi e all’ Ambiente c’ era il verde Pecoraro Scanio.
 
Per il contribuente italiano sarebbe poi interessante sapere quale tipo di progetto finanzi il nostro ministero.
 
La Clinton Foundation è infatti molto attiva nel sostenere programmi di sviluppo e di scolarizzazione in Africa e America Latina. Oltretutto l’ Italia è in buona compagnia, alla Fondazione contribuiscono a vario titolo infatti stati del G8 come Germania, Canada e Australia. Tra i finanziatori italiani compaiono poi nomi di tutto rispetto come il gruppo Fca, Monte dei Paschi e l’ ex ad delle Generali Giovanni Perissinotto.
 
 
In passato anche Enel, Autogrill e Pirelli hanno sostenuto l’ istituzione creata dall’ ex presidente Usa.
 
Il problema, però, più che finanziario è soprattutto geopolitico. Non a caso Hillary Clinton è diventata consigliera della Fondazione solo una volta terminata l’ esperienza da segretario di Stato per allontanare da sé qualsiasi sospetto. Soprattutto considerato che uno tra i maggiori donors con oltre 24 milioni di dollari elargiti è l’ Arabia Saudita che, sebbene alleata dell’ Occidente, ha sempre avuto un rapporto non proprio lineare con i sostenitori del fondamentalismo islamico.
 
Una situazione rilevata di recente dal candidato repubblicano Donald Trump che ha stigmatizzato la scarsa credibilità della sua avversaria nella lotta al terrorismo internazionale, proprio in virtù delle «relazioni pericolose» della Fondazione. E proprio perché la Clinton Foundation assomiglia tanto a una lobby benefica, forse sarebbe stato meglio sospendere il versamento almeno per un anno visto che è accusata di essere un serbatoio occulto di finanziamenti per la campagna elettorale di Hillary.
 
Gian Maria De Francesco per “Il Giornale

TRUFFA REFERENDUM: VOTI “SI”? GARANTIRAI PER LEGGE 50MILA EURO AL MESE A NAPOLITANO E A TUTTI I FUTURI EX PRESIDENTI DELLA REPUBBLICA DELLA CASTA, QUESTA LA SAPEVI? LEGGI DI COSA SI TRATTA E DIFFONDI!! RENZI VATTENE A CASA, NON CI RAPPRESENTI!!

TRUFFA REFERENDUM
Avevamo capito purtroppo che la Costituzione italiana è ormai considerata dalla maggioranza di governo e dalla sua stampella verdiniana alla stregua di un normale disegno di legge se non di un regolamento di condominio. Manomessa e sottomessaalle esigenze strumentali e contingenti della lotta politica per cui oggi fa comodo a me cambiarla e lo faccio e domani fai un po’ tu come ti pare;
 
avevamo capito che pur di approvare questa riforma per la coppiaRenzi-Boschi non solo non conta la compagnia ma neanche laqualità della legge fondamentale della Repubblica che si va a varare;
 
avevamo capito che la libertà di discussione in Parlamento sulla nuova Costituzione è ormai ridotta al lumicino. Non a caso la senatrice a vita Elena Cattaneo se ne lamenta così tanto sul “Fatto Quotidiano” di oggi: “Sulla riforma in quest’aula non c’è stata libertà“, ha denunciato;
 
avevamo capito che per il governo che sta imponendo al Parlamento un simile pasticcio non conta poi così tanto la qualità dei componenti del nuovo Senato se ci impone di eleggerli tra la classe politica, quella regionale, più screditata che ci sia;
 
avevamo capito anche perché in così tanti si sono scagliati a male parole (“porcheria”, “scempio”, fetenzìa”, alcune di quelle corse in aula) contro questa nuova Costituzione.
 
Adesso abbiamo un altro motivo in più per scandalizzarci di fronte alla riforma passata al vaglio del Senato la scorsa settimana e di nuovo in viaggio verso Montecitorio.
 
La ragione è presto detta: il famoso “Comma Napolitano”, come in Senato hanno già denominato il comma 5 dell’articolo 40 contenuto nelle «Disposizioni finali» del ddl di riforma Boschi-Renzi.  Si tratta di pochissime righe che in pratica costituzionalizzano una serie di singolari privilegi (“Lo stato e le prerogative…”) riconosciuti agli ex presidenti della Repubblica. Per capire di cosa esattamente si tratta rimandiamo all’articolo diAnna Morgantini.
 
Qui interessa dire come quando si tratta di tagliare pensioni, prestazioni sanitarie e assistenziali dei comuni cittadini si procede a colpi di mannaia. Quando invece si dovrebbero sforbiciare i trattamenti di Lorsignori non solo si taglia poco o niente, ma addirittura si blindano questi trattamenti costosissimi.
 
Nel caso in questione parliamo di 579 mila 643 euro l’annoriservati agli ex presidenti della Repubblica. Con uno staff invidiabile composto “di un capo ufficio, tre funzionari, due addetti ai lavori esecutivi e altri due addetti ai lavori ausiliari. Oltre un consigliere diplomatico o militare”. Per non parlare di altri benefit.
 
Trattamenti da sogno, appunto, per i pur illustrissimi ex. Ma almeno sinora sottoposti a semplici regolamenti  del Quirinale e di Palazzo Madama (gli emeriti sono infatti anche senatori a vita di diritto). Che, in quanto tali potevano, volendo, essere facilmente modificati con interventi interni alle due amministrazioni. Tagliando il superfluo, magari.
 
Ebbene, in futuro tutto questo non si potrà più fare così facilmente. Perché quei privilegi saranno garantiti addirittura dalla legge suprema della Repubblica. Sono stati costituzionalizzati, appunto. Blindati.
 
Con tanti saluti ai cittadini che tirano la cinghia per i tagli e che non riescono più neanche a campare.
 
FONTE:ILFATTOQUOTIDIANO

ALLER PLUS LOIN (II) / POUR PARLER DU SCANDALE CLINTON-BENGHAZI !

# LUC MICHEL DANS ‘LIGNE ROUGE’

HILLARY MISE EN CAUSE PAR LES ENQUETES PARLEMENTAIRES ANERICAINES :

LIGNE ROUGE - amtv LM clinton benghazi Back II (2016 10 11)

Un rapport parlementaire accuse dès mai 2013 le plus haut niveau du département d’Etat américain, alors dirigé par Hillary Clinton, d’avoir rejeté les demandes de sécurité du consulat de Benghazi, en Libye, dans les mois précédant l’attaque dont il a été la cible en septembre 2012…

* Lire sur le Website des ELAC & ALAC Committees /

ATTAQUE DU CONSULAT US DE BENGHAZI: HILLARY CLINTON MISE EN CAUSE PAR UN RAPPORT DU CONGRES

sur http://www.elac-committees.org/2013/05/14/elac-alac-committees-attaque-du-consulat-us-de-benghazi-hillary-clinton-mise-en-cause-par-un-rapport-du-congres/

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SUR AFRIQUE MEDIA/

LUC MICHEL DANS ‘LIGNE ROUGE’

LA GRANDE EMISSION DU MATIN

Ce mardi matin 11 octobre 2016

de 07h GMT à 09h GMT

(Bruxelles-Paris-Berlin de 8 à 10h)

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AFRIQUE MEDIA

* en STREAMING sur http://lb.streamakaci.com/afm

* sur SATELLITE sur http://www.lyngsat.com/Eutelsat-9B.html

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ALLER PLUS LOIN (I) / POUR PARLER DU SCANDALE CLINTON-BENGHAZI !

 # LUC MICHEL DANS ‘LIGNE ROUGE’

L’ATTAQUE DU CONSULAT US A BENGHAZI (11 SEPT. 2012) :

LIGNE ROUGE - amtv LM clinton benghazi Back I (2016 10 11)

Le 11 septembre 2012, des miliciens islamistes lourdement armés ont attaqué le complexe diplomatique américain de Benghazi, dans l’est de la Libye. Christopher Stevens et trois Américains sont morts dans l’attaque sur laquelle la lumière n’a jamais vraiment été faite … « Ni regrets, ni fleurs, ni couronnes pour l’ambassadeur US. C’est le régime d’Obama qui porte l’entière responsabilité de ce qui se passe en Libye. »

* Lire sur le Website des ELAC & ALAC Committees /

Luc MICHEL : NI FLEURS NI COURONNES POUR L’AMBASSADEUR US TUE EN LIBYE !

sur http://www.elac-committees.org/2012/09/12/elac-alac-committees-breaking-news-luc-michel-ni-fleurs-ni-couronnes-pour-l%E2%80%99ambassadeur-us-tue-en-libye/

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SE VINCE IL “NO”? MATTARELLA FARA’ UN NUOVO GOLPE: VIA RENZI ECCO CHI CI VUOLE RIFILARE. PAZZESCO!

“Se vince il No vado a casa”. L’aveva detto Matteo Renzi quando si sentiva la vittoria in tasca. Ma con l’avvicinarsi del 4 dicembre, data del referendum costituzionale, e i sondaggi che danno il fronte del Sì a rischio sconfitta, lo scenario di un successore a Palazzo Chigi sembra sempre più concreta tra le fila del Partito Democratico.
 
Secondo La Stampa, i nomi che si rincorrono per un post Renzi sono sostanzialmente tre. Il superfavorito è Dario Franceschini, attuale ministro della Cultura. Il leader di Areadem (la corrente interna a cui appartiene mezzo partito) è vicino anche alla minoranza del Partito Democratico e a Forza Italia, rapporti fondamentali per un dopo referendum in cui si dovranno equilibrare gli interessi di tutte le ali del Parlamento. Talmente favorito da meritarsi anche una battutina di Renzi, che un paio di giorni fa, a Firenze, gli ha detto che: “Caro Dario, l’ultimo ferrarese che è passato di qui ha fatto una brutta fine“, riferendosi al Savonarola, di Ferrara come Franceschini, bruciato in piazza della Signoria.
 
 
Gli altri due nomi sono quelli di Pier Carlo Padoan, che Sergio Mattarella avallerebbe per rassicurare i mercati internazionali, e Carlo Calenda, ministro dello Sviluppo Economico, che si sarebbe vantato della possibilità di detronizzare Matteo Renzi grazie al suo impegno di spinta sulla crescita. Una vanteria che l’ha messo in cattiva luce col premier che, anche in caso di abbandono di palazzo Chigi, potrebbe cassarlo. Perché all’alba del 5 dicembre potrebbe non essere più Presidente del Consiglio, ma segretario del Pd rimane.
FONTE LIBERO

Gli immigrati ci pagano le pensioni? Tutte balle: versano 11 miliardi ma ci costano 16,6 miliardi

IL PIL DI MAFIA CAPITALE
Gli immigrati ci pagano le pensioni
Un luogo comune molto diffuso in Italia racconta che gli immigrati che arrivano nel Belpaese siano fondamentali per pagare le pensioni agli italiani.
Ed è vero che, pagando i contributi previdenziali, i lavoratori stranieri in qualche modo aiutino l’Inps a elargire ogni mese le pensioni. Ma per l’Italia non è un conto in positivo: i migranti infatti ci costano ogni anno il 2% della spesa pubblica, ovvero circa 16,6 miliardi di euro. Più di quanto versino per i contributi.
 
La bugia del “gli immigrati ci pagano le pensioni”
 
La Fondazione Leone Moressa in questi giorni ha pubblicato un report annuale sull’economia dell‘immigrazione. I numeri sono chiari, ma vanno letti correttamente. La Fondazione ha infatti usato un gioco interessante, immaginando gli immigrati come una enorme azienda: gli stranieri producono, in maniera aggregata, un Pil complessivo di 127 miliardi di euro all’anno (8,8% del Pil nazionale). “Come la Fiat”, fanno sapere dalla Fondazione. O quasi, visto che la casa automobilistica ha un fatturato di 136 miliardi.
 
I dati inoltre dimostrano che i lavoratori stranieri nel 2014 hanno pagato 11 miliardi di contributi pensionistici e 6,8 miliardi di Irpef (l’8,7% del totale dei contribuenti). In sostanza hanno “pagato” la pensione a 640mila italiani. Un bel numero, certo: ma bisogna guardare anche a quanto costano gli immigrati allo Stato. Innanzittutto, ogni anno l’Italia versa le pensioni mensili a 100mila immigrati (75mila extracomunitari e 25mila comunitari dell’Est), quindi le pensioni “pagate dagli stranieri” scendono a 540mila. Inoltre vanno aggiunti i costi per welfare e sanità pubblica a cui ricorrono gli stranieri. Il conto finale è in rosso: i 5 milioni di migranti presenti in Italia (8,3% della popolazione) pesano sulla spesa pubblica nazionale per il 2% del totale. E poiché nel 2015 il Belpaese ha speso 830miliardi di euro, questo significa che gli immigrati sono costati agli italiani 16,6 miliardi. A conti fatti, insomma, comuntiari ed extracomunitari ci costano più di quanto diano per le pensioni e quasi lo stesso se si considera pure l’irpef. Non proprio un bel guadagno.

IN PENSIONE CON SOLO 5 ANNI DI CONTRIBUTI? VALE SOLO PER GLI IMMIGRATI! ECCO COSA E’ SCRITTO “NERO SU BIANCO” NEL SITO DELL’INPS

eguaglianza ovviamente. I ns pensionandi invece DEVONO INDEBITARSI PER VENTI ANNI CON LE BANCHE. Per fortuna che abbiamo tanti DIFENSORI DEI DEBOLI pronti a resistere per esistere. COSA NON SI FA PER NUTRIRE MAFIA CAPITALE, chi non sarebbe invogliato a venire qui? 
Se non versano contributi per almeno 20 anni, i lavoratori italiani perdono tutto il tesoretto versato. “Gli immigrati (invece) prendono la pensione anche con cinque anni di contributi”. E’ quanto riporta un articolo di “La Verità”, nuovo quotidiano fondato da Maurizio Belpietro sbarcato nelle edicole da qualche giorno. L’articolo, firmato dalla penna di Francesco Borgonovo, sottolinea:
 
E’ tutto scritto lì, sul sito dell’Inps. Con tagliente semplicità, quasi con una punta di burocratico compiacimento, viene illustrato il privilegio di cui godono i lavoratori immigrati”.
Di fatto, continua:
 
“non è vero che gli stranieri lasciano un tesoretto: se tornano a casa possono riprendersi ciò che hanno dato. E senza le restrizioni previste per gli italiani. Riscuotono anche se non hanno effettuato i versamenti minimi”.
 
L’immigrato che decide di rientrare in patria, insomma, non perde i contributi versati.
“Tutt’altro. Ha diritto ad avere una pensione di vecchiaia erogata dall’Inps esattamente come i cittadini italiani. E qui la questione si fa interessante. Il sito dell’Inps spiega che, per “gli extracomunitari rimpatriati” si devono distinguere due casi, “a seconda che la pensione venga calcolata con il sistema contributivo o retributivo”.
E qui si può andare a leggere quanto risulta dalla pagina del sito Inps che porta il nome “Prestazioni pensionistiche rimpatriati“. Per leggere sul sito dell’Inps, clicca QUI.
Così sotto il titolo “Trattamenti pensionistici ai lavoratori extracomunitari rimpatriati”:
 
“in caso di rimpatrio definitivo il lavoratore extracomunitario con contratto di lavoro diverso da quello stagionale conserva i diritti previdenziali e di sicurezza sociale maturati in Italia e può usufruire di tali diritti anche se non sussistono accordi di reciprocità con il Paese di origine”.
 
Sotto il sottotitolo “Pensione di vecchiaia”
  • Si devono distinguere due casi, a seconda che la pensione venga calcolata con il sistema contributivo o retributivo. Nel primo caso, i lavoratori extracomunitari assunti dopo il 1° gennaio 1996, possono percepire, in caso di rimpatrio, la pensione di vecchiaia (calcolata col sistema contributivo) al compimento del 66° anno di età e anche se non sono maturati i previsti requisiti (dunque, anche se hanno meno di 20 anni di contribuzione).
  • Nel secondo caso, i lavoratori extracomunitari assunti prima del 1996 possono percepire, in caso di rimpatrio, la pensione di vecchiaia (calcolata con il sistema retributivo o misto) solo al compimento del 66° anno di età sia per gli uomini che per le donne e con 20 anni di contribuzione.
Questo, quanto scrive l’Inps e riporta il quotidiano La Verità.
 
Andando a scavare più in profondità, si nota tuttavia un articolo pubblicato sul sito Pensionioggi.it che sulla pensione di vecchiaia scrive praticamente la stessa cosa, ma che ricorda come sia stata la legge Bossi-Fini del governo Berlusconi a stabilire il “favoritismo” di cui parla il giornale di Belpietro. Se l’intenzione era di attaccare il governo Renzi o in generale la sinistra, insomma, Belpietro ha fatto una bella gaffe.
 
” Ai lavoratori extracomunitari con rapporto di lavoro a tempo indeterminato o determinato rimpatriati spetta al compimento dei 66 anni di età e 7 mesi (65 anni e 7 mesi le donne). Dal 2018 il requisito sarà parificato a 66 anni e 7 mesi per entrambi i sessi. Fin qui siamo nel solco della norma di carattere generale, quella che non fa differenze in base alla nazionalità del lavoratore. Ma è un altro discorso se si guarda al requisito contributivo (quello appunto citato dal quotidiano La Verità). Qui occorre dividere la materia in due antitetiche situazioni: 1) se la pensione è liquidata con il sistema retributivo o misto (cioè se il lavoratore è in possesso di contribuzione al 31 dicembre 1995), si applica in toto la normativa italiana, senza alcuna deroga; perciò la colf/badante dovrà raggiungere il minimo dei 20 anni di versamenti per avere diritto alla pensione; 2) se il lavoratore ricade, invece, nel contributivo puro (cioè non era in possesso di contribuzione al 31 dicembre 1995) la legge Bossi-Fini (legge 189/2002)prevede che la pensione venga pagata anche se l’interessato non ha raggiunto il minimo dei versamenti previsto dalla normativa vigente. Per i cittadini italiani e i comunitari, invece, la pensione di vecchiaia nel sistema contributivo può essere liquidata solo in presenza di almeno 20 anni di contributi a condizione, peraltro, che l’importo dell’assegno non risulti inferiore a 1,5 volte l’importo dell’assegno sociale) oppure, se non è rispettato il predetto importo soglia a 70 anni e 7 mesi in presenza di almeno 5 anni di contributi effettivi. In sostanza pergli extracomunitari nel sistema contributivo, la pensione viene pagata dall’Italia qualunque sia il numero dei contributi versati”.
 
E a tal proposito l’articolo del quotidiano La Verità mette in evidenza che “per gli stranieri, tutte queste restrizioni non esistono”, visto che “l’extracomunitario che, dopo il 1° gennaio 1996, ha versato contributi all’Inps, se torna in patria ha diritto alla pensione anche se non ha raggiunto il minimo di versamenti previsti dalla normativa vigente”.
 
Ora, anche se Pensioni Oggi rileva che “è opportuno ricordare che la legge 189/2002 (dunque Bossi-Fini) ha posto fine a una incredibile facoltà riconosciuta agli extracomunitari dalla legge 335/1995 (legge Dini), in base alla quale chi rientrava in patria senza avere raggiunto il diritto a pensione poteva chiedere la restituzione dei contributi pagati, compresa la quota a carico dell’azienda”, si nota come l’articolo del quotidiano di Belpietro fa riferimento a una normativa non voluta dal governo Renzi, ma addirittura dal governo Berlusconi.
FONTE:
 
WALL STREET ITALIA