Hillary Clinton: ‘Ma un drone contro Julian Assange?’

ma lo dice la democratica donna Clinton, mica quel cattivo maschio di un repubblicano Trump? Che c’è di male..
 
Hillary Clinton - Ma un drone contro Julian Assange
True Pundit ha rivelato che durante il suo incarico come capo della diplomazia statunitense, Hillary Clinton e  il resto del Dipartimento di Stato subivano le pressioni dell’amministrazione Obama che voleva mettere un argine al fiume di rivelazioni pubblicate dal sito di Assange.
 
Il 23 Novembre 2010, la Clinton si è incontrata con il personale presso un ufficio del Dipartimento di Stato per formulare una strategia per contrastare il piano di Assange di pubblicare 250.000 dispacci diplomatici segreti risalenti dal 1966 al 2010. Il Cablegate.
 
“Non possiamo semplicemente attaccare con un drone quel tipo?”, ha detto il candidato democratico in corso per la presidenza degli Stati Uniti ha chiesto,  secondo fonti del dipartimento di Stato americano citate da Wikileaks.
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I rapporti dicono che l’allora Segretario di Stato ha bollato il fondatore di WikiLeaks come un  “facile bersaglio” : “Dopo tutto, è un bersaglio facile. Un che se ne va in giro a ficcare il naso ovunque senza paura di reazione da parte degli Stati Uniti”, sosteneva la candidata democratica alla Casa Bianca.
 
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 Dopo il suggerimento della Clinton, il Dipartimento di Stato ha ritenuto di offrire una ricompensa a chi contribuise a catturare Assange e estradarlo negli Stati Uniti.
 
Cinque giorni dopo la riunione del 28 novembre 2010, Wikileaks ha cominciato a pubblicare i file Cablegate.
 
Notizia del: 04/10/2016

IL PENOSO ACCORDO DI CGIL CISL UIL CON RENZI. LA FORNERO NON SI TOCCA E I PENSIONATI PAGANO COI LORO TAGLI LE NUOVE MISURE.

IL PENOSO ACCORDO DI CGIL CISL UIL CON RENZI.
di Giorgio Cremaschi
 
La sostanza dell’accordo è che la Fornero non si tocca. Il catastrofico innalzamento dell’età pensionabile resta tutto a fare i suoi danni alla condizione di lavoro e alla occupazione. Si potrà andare in pensione prima solo se si vincerà la lotteria dei lavori usuranti. Pochi saranno scelti tra coloro che hanno già 41 anni di contributi. Oppure se le aziende ti manderanno via come esubero. Oppure se ti indebiterai per 20 anni con quel raggiro usuraio che è l’APE.
 
Il solo risultato che viene sbandierato è la quattordicesima aumentata o elargita per la prima volta a circa tre milioni di pensionati con i redditi più bassi. A parte il fatto che gli aumenti non sono quelli vantati dalla propaganda, ma molto inferiori e legati al reddito complessivo del pensionato, c’è da chiarire che i soldi per questo piccolo risultato vengono direttamente dai tagli di tutte le altre pensioni per tutti gli altri pensionati.
 
L’ ultimo comma del verbale firmato da Cgil Cisl Uil rinvia al 2019 la questione del taglio delle indicizzazioni delle pensioni. Come tanti ricordano nel 2012 Elsa Fornero si era commossa in pubblico mentre annunciava che avrebbe bloccato la rivalutazione delle pensioni rispetto all’inflazione. Nel 2014 la Corte Costituzinale ha dichiarato incostituzionle questa misura. Il governo però, come da abitudine, non ha rispettato la sentenza e ha dato solo piccole mance a una platea ridotta di pensionati. Sono in corso molte cause e diversi giudici hanno già rinviato di nuovo il contenzioso alla Corte. Ora governo e Cgil CIsl UIl concordano che se ne riparli nel 2019, nel frattempo milioni di pensionati continueranno a perdere soldi. 
 
Per un ammontare calcolato a suo tempo dallo stesso governo in almeno 10 miliardi. Ora siccome tutta la manovra pensionistica, secondo Poletti, costa 6 miliardi si può ben affermare che il bancomat pensionati ha permesso al governo di farsi bello prima del referendum e di intascare 4 miliardi di resto….
 
Il governo ormai lo conosciamo con i suoi trucchi. La cosa che davvero ci indigna è il degrado di Cgil Cisl Uil, che hanno abbandonato la loro già moderatissima piattaforma per fare da stampella a Renzi. E alla Fornero.
 
Notizia del: 29/09/2016

“Viva l’oligarchia!”: il clamoroso (ma sincero) editoriale di Scalfari

SCALFARI-con-Renzi
di Adriano Scianca
Roma, 4 ott – Gli anziani, a volte, dicono cose che ci lasciano di stucco. In taluni casi è perché non hanno più niente da perdere e possono permettersi di dire la verità, in altri è perché sono un po’ rimbambiti. Nel caso di Eugenio Scalfari c’è la tentazione di pensare che siano vere entrambe le cose, sia detto con il rispetto che si deve a colui che è pur sempre stato un ex caporedattore di Roma Fascista. Il suo editoriale di qualche giorno fa sul referendum costituzionale, e più precisamente sul dibattito televisivo tra Renzi e Zagrebelsky, è stato illuminante.
Il costituzionalista, in quella trasmissione, ha rimproverato al premier di voler modificare l’assetto istituzionale italiano in senso oligarchico. Una osservazione che non è andata giù a Scalfari: “L’oligarchia – ha tuonato – è la sola forma di democrazia, altre non ce ne sono salvo la cosiddetta democrazia diretta, quella che si esprime attraverso il referendum.
Pessimo sistema è la democrazia diretta. La voleva un tempo Marco Pannella, oggi la vorrebbero i 5 Stelle di Beppe Grillo”. Come, come? L’oligarchia è la sola forma di democrazia? Ma quindi la critica alla democrazia vecchia di due secoli che le rimproverava proprio di essere un finto sistema partecipativo aveva ragione? È una notizia. O, almeno, è una notizia che lo dica Scalfari. Ma non è un lapsus occasionale. Tutto l’articolo parla di questo.
Secondo Scalfari, “l’oligarchia è la classe dirigente, a tutti i livelli e in tutte le epoche”. Segue pistolotto su Platone, Pericle, le Repubbliche marinare, i Comuni, la Dc, il Pci (è peraltro curioso difendere la democrazia citando Platone, che Popper trattò più o meno da nazista – e i nazisti pure).
Arriva poi il rimprovero bonario all’amico: “Caro Zagrebelsky, oligarchia e democrazia sono la stessa cosa e ti sbagli quando dici che non ti piace Renzi perché è oligarchico. Magari lo fosse ma ancora non lo è. Sta ancora nel cerchio magico dei suoi più stretti collaboratori. Credo e spero che alla fine senta la necessità di avere intorno a sé una classe dirigente che discuta e a volte contrasti le sue decisioni per poi cercare la necessaria unità d’azione. Ci vuole appunto un’oligarchia”.
Bene. Se non altro da oggi affronteremo un nemico che non indossa più maschere di bellezza. Viva la sincerità (e la vecchiaia).

GRECIA. Gas lacrimogeni e spray al peperoncino contro i pensionati

saranno pensionati “fascisti” che protestano contro l’eroe Tsipras, il protettore dei deboli contro la troika
GRECIA. Gas lacrimogeni e spray
Scene familiari ad Atene ieri quando la polizia greca ha sparato gas lacrimogeni ad una manifestazione dei pensionati che protestavano per i nuovi tagli tagli   parte di un pacchetto di austerità dettato dalla Troika (o era Quadriga). 
Tra i 1500 e 2,0000 pensionati hanno tentato di marciare verso l’ufficio del primo ministro Alexis Tsipras ma sono stati bloccati quando la polizia anti-sommossa ha interdetto loro il passaggio, intercettandoli con spray al peperoncino e gas lacrimogeni.  L’ultima riduzione del budget del sistema pensionistico è la dodicesima da quando la crisi del debito greco è scoppiata nel 2009.  
Il governo ha approvato una serie di riforme nell’agosto 2015 compresi taglia alle prestazioni e aumenti delle tasse come parte del suo accordo del luglio 2015 con le istituzioni finanziarie del Fondo monetario internazionale e dell’Unione europea che hanno sbloccato un terzo pacchetto di salvataggio del valore di 86 miliardi di euro.
 
GRECIA. Gas lacrimogeni e spray 2
GRECIA. Gas lacrimogeni e spray
GRECIA. Gas lacrimogeni e spray 4
Notizia del: 04/10/2016

TI PRESENTO “IL PISTOLERO”, IL VIGILE “EROE” CHE CACCIA DI CASA GLI INQUILINI ITALIANI PER FAR CARRIERA E PASSARE DA 125 A 170MILA EURO DI STIPENDIO

Lo chiamano il “pistolero”, soprannome guadagnato nel 2009, quando in una delicata operazione a Tor Bella Monacasparò alle ruote di una macchina, che a sua detta “aveva cercato di investirlo”. Sono passati sette anni ma il vice comandante della Polizia Locale di Roma Antonio Di Maggio, sembra mantenere intatta la passione per le azioni in stile “Squadra Speciale Cobra 11”. E’ lui infatti ad aver condotto le operazioni dello sgombero delle due famiglie italiane in via del Colosseo a Roma, costata vari arresti tra cui quello del vice presidente di CasaPound Italia, Simone Di Stefano. Tra urla, ammanettamenti da film americano e mobili lanciati dal primo piano, l’operazione non passerà alla storia certo per i metodi ortodossi.
 
Lo stile sopra le righe però, sembra proprio essere un marchio di fabbrica di Di Maggio e i suoi uomini. Il Gruppo di cui Di Maggio è dirigente, ma del quale sembra essere più una sorta di capo tribù, si chiama Spe (Sicurezza Pubblica ed Emergenziale), una specie di forza speciale dei vigili urbani, dediti esclusivamente al contrasto all’abusivismo e agli sgomberi. “Quelli di Di Maggio sono una banda di esaltati. Lui li sceglie apposta”, racconta al Primato Nazionale un membro del corpo della Polizia Locale di Roma che preferisce per ovvie ragioni di rimanere anonimo. I racconti fatti dal alcuni dei fermati al termine dello sgombero di giovedì scorso sembrerebbero confermare questa tesi, visto che i membri dello Spe sarebbero arrivati a minacciare di tradurre in carcere persone solo per aver fatto dei video con il telefono, mentre alti si sarebbero fatti del “selfie” mentre ammanettavano dei ragazzi, per mandarlo alla moglie “così le faccio vedere che non faccio solo le multe”.
 
TI PRESENTO “IL PISTOLERO”, IL VIGILE “EROE”
L’accusa di essere un “coatto” nei confronti di Di Maggio circola molto negli ambienti capitolini, soprattutto tra i vari corpi delle forze dell’ordine. Voci che lui non fa nulla per smentire, visto che tra pistole e spray urticanti utilizzate in varie operazioni, oltre alle “ruspe della legalità” messe in atto ad Ostia quando gli fu conferito l’incarico ad interim di comandante del X Gruppo Mare, sembra proprio che Di Magio punti su questo suo profilo di poliziotto molto “risoluto” per far carriera. Una strategia che sembra stia per dare i propri frutti, visto che la neo sindaca Virginia Raggi starebbe pensando proprio a lui come sostituto di Raffaele Clemente, l’attuale comandante dei vigili urbani di Roma. Questo spiegherebbe ulteriormente la necessità di Di Maggio di farsi “propaganda”, utilizzando il pugno di ferro nello sgombero del Colosseo, proprio ora che la battaglia per diventare il nuovo comandante sembra giunta al rush finale. Una “gratificazione” personale che potrebbe portare Di Maggio a guadagnare ben 170 mila euro all’anno, visto che ora come vice comandante ne guadagna “solo” 129 mila.
 
 Un brutale esecutore senza scrupoli, uno che anche nel contrasto a Mafia Capitale sembrerebbe aver dato il suo contributo da “duro”. Per questo sarebbe entrato nelle grazie della Raggi. Eppure il nome di Antonio Di Maggio compare nelle intercettazioni di Mafia Capitale . In una telefonata con il ras delle cooperative Salvatore Buzzi, Di Maggio sembra suggerire una possibile spiegazione sulla causa di un rogo di un quadro elettrico in un campo rom sulla via Pontina gestito da Buzzi. “Ma non credi che quelli facciano sta cosa per tornare in possesso del campo come era con Luca Odevaine, che vogliono i soldi loro”, dice Di Maggio. Buzzi: “Probabilmente, probabilmente è pure un tentativo di tornare a Tor de’ Cenci”. Il vice capo dei vigili cerca di spiegarsi meglio: “No, che vogliono loro i soldi, capito?” e il ras delle cooperative: “Ah, ma quello da mo’ che li vogliono…”. Non siamo noi a dire che Di Maggio stesse tentando una mediazione con Luciano Casamonica che era intenzionato ad ottenere direttamente la gestione (economica) del campo. Lo dicono altri giornali. In ogni caso anche rispetto alle modalità dello sgombero dell’immobile in via del Colosseo, non tutto quanto sembra chiaro. Chissà che oltre alla volontà di Di Maggio di fare carriera sulla pelle di due famiglie italiane, dietro non ci sia qualcosa di più grosso.

Lo Yemen, un paese da sei mesi sotto i bombardamenti ed il boicottaggio mediatico (un genocidio che non fa notizia)

di Rasoul Goudarzi – 30/09/2016
Lo Yemen, un paese da sei mesi sotto i bombardamenti
Fonte: controinformazione
 
La popolazione yemenita si trova da circa sei mesi sotto i costanti attacchi aerei dell’Arabia Saudita. Scuole, ospedali, infrastrutture civile come ponti, centrali elettriche, monumenti storici, ecc.. tutto viene distrutto davanti allo sguardo impassibile ed il silenzio lacerante di quella che chiamano “la comunità internazionale”. La foto di un bimbo affogato lungo le coste della Turchia ha commosso il mondo e si è trasformata ingrandi titoli dei media, tuttavia la realtà dello Yemen ed il massacro dei suoi abitanti, incluso donne e bambini, bruciati dalle bombe dei sauditi, non ottiene spazio nei bollettini informativi dei mega media occidentali. (……..)
 
A fine Marzo di quest’anno, l’Arabia Saudita aveva lanciato una campagna di bombardamenti contro lo Yemen con il sostegno di vari suoi alleati, fra cui Stati Uniti ed Israele, che hanno fornito alle forze saudite apppoggio logistico, forniture militari ed informazioni di intelligence. I monarchi di Riyad, grandi alleati dell’Occidente, hanno dichiarato che il loro obiettivo era quello di eliminare il movimento popolare di Ansarollah (sciita) e far ritornare al potere l’ex presidente spodestato Mansur Hadi il quale si era dimesso dalla carica per causa delle proteste popolari contro di lui.
 
Attualmente continuano i bombardamenti indiscriminati contro distinte zone del paese perchè il regime di Riyad non è riuscito ad otttenere risultati, visto che il movimento Ansarollah si mantiene al potere nel paese arabo e le forze yemenite stanno opponendo una fiera resistenza. In questo senso il suo leader, Abdulmalik al-Houthi, ha manifestato che il suo paese continuerà la sua resistenza contro l’aggressione saudita fino ad ottenere la sconfitta degli aggressori.
 
Nonostante questo, le organizzazioni internazionali (come l’ONU e la Lega Araba) si sono limitate ad esprimere la loro preoccupazione rispetto a tale conflitto, senza prendere decisioni che possano mettere fine a tale situazione. In questo contesto il segretario generale dell’ONU, Ban Ki-Moon, ha affermato che la Coalizione comandata dall’Arabia Saudita sta distruggendo le infrastrutture del paese arabo, cosa che è contraria alle norme internazionali ed ai valori umanitari.
 
A questa dichiarazione si unisce quella dell’assessore del segretario generale sulla Prevenzione del genocidio, Adama Dieng, la quale ha criticato il silenzio della comunità internazionale davanti all’oppressione del popolo yemenita ed ai crimini di lesa umanità commessi nello Yemen. A sua volta ha avvertito che questo flagello potrebbe contagiare ed estendersi ad altri paesi.
 
Con tutto questo, bisogna dire che il semplice fatto di “esprimere preoccupazione” o limitarsi a condannare certi crimini non significa che questi si possano impedire i prevenire. Si devono prendere misure efficaci ,come sanzionare il paese aggressore in conformità con il Capitolo 7 della Carta delle Nazioni Unite, tra le altre misure, un qualche cosa di cui siamo testimoni che non avviene rispetto all’Arabia Saudita o al regime di Israele, visto che queste nazioni sono considerate i principali alleati degli USA nel Medio Oriente. Le sanzioni sono considerate “legittime”  piuttosto contro la Siria, contro la Russia e contro Cuba ma non contro Arabia Saudita ed Israele ( alleati di USA e NATO).
 
Mentre le sofferenze della popolazione yemenita vengono oscurate da un boicottaggio mediatico e dal silenzio degli organismi internazionali, Riyad prosegue con la sua guerra. 
 
Secondo l’agenzia di notizie, Yemen Street, Arabia Saudita ha speso più di 720 mila milioni di dollari ed ha bombardato almeno 35 mila volte difìfferenti zone del paese vicino.
 
Inoltre ha imposti un blocco unilaterale sul territorio yemenita che non permette l’arrivo di aiuti umanitari alle persone vittime della guerra, nè per mare nè per via aerea. La guerra che colpisce lo Yemen e la sua conseguente crisi umanitaria, con più di un 80% di persone che necessitano di assistenza urgente, più di 2500 morti 8di cui 400 bambini) secondo l’ONU e più di un milione e 300 mila rifugiati, avrà delle conseguenze tanto per i suoi aggressori come per tutta la regione ed anche per l’Europa (assente e sorda).
 
Una sfida per l’Arabia Saudiuta
 
Secondo le ultime cifre rivelate, Riyad sta destinando una enorme quantità di denaro all’invasione dello Yemen, mentre una considerevole parte dei suoi cittadini sta vivendo in una situazione precaria, in specie nella parte ovest del regno.
Esistono numerose informazioni, come quella della stessa Assemblea Consultiva dellArabia S. (Shra) che mettono in rilievo che circa il 22% della popolazione di questo paese arabo vive al di sotto dell livello minimo di povertà. Un altra informativa, pubblicata a Febbraio del 2013 dal giornale arabo Al-Hayat, rivela che la cifra di suicidi tra i giovani sauditi sta crescendo, dovuto alla miseria estrema ed alla catastrofica situazione economica che colpisce le loro famiglie, che si vedono incapaci di soddisfare le proprie necessità di base. Il giornale ha aggiunto che più dell’84% delle persone che ricorrono a questa pratica sono minori di 35 anni di età, un tema la cui risposta si può trovare nel tasso di disoccupazione del 35% secondo quanto annunciato dalla rivista The Economist.
 
Inoltre il paese sta accusando il colpo per la caduta del prezzo del petrolio. la sua principale fonte di entrate. In questo modo, mentre la popolazione vive male in difficili condizioni economiche (a parte i membri della casa reale e le loro famiglie che vivono nello sfarzo e nel lusso), il governo saudita investe le sue risorae nella guerra e nell’acquisto di armamenti, questo potrebbe portare a breve a forti proteste antigovernative ed aumentare il malessere della popolazione.
 
Dal punto di vista della sicurezza si deve anche dire che, per gli scontri e le dimensioni della guerra, le regioni meridionali del paese (ai confini con lo Yemen) stanno subendo pesanti conseguenze. La zona di Jizam, alla frontiere con lo Yemen, è stata colpita da vari attacchi ed i combattenti yemeniti, che hanno inflitto vari rovesci alle forze saudite, hanno conquistato il controllo di varie basi, un fatto che presuppone una sfida alla sicurezza del regime di Riyad che sembrava inattaccabile.
A tutto questo bisogna aggiungere lo stato di insicurezza che si vive nelle regioni orientali, dove si sono sviluppate, anche in quelle, varie proteste antigovernative già da alcuni anni. Questa situazione di instabilità potrebbe provocare più rivolte contro la famiglia degli Al Saud, situazione che risulterebbe difficile controllare in queste circostanze.
 
Le sfide per l’Europa
 
In accordo con le informazioni ricevute, l’unico vincitore nella guerra saudita contro lo Yemen sono i teroristi di Al Qaeda (organizzazione da sempre supportata dai suditi), i quali stanno operando nel sud del paese ed ancora di più hanno il controllo di Aden, una città che è stata occupata dalla Coalizione saudita.
Questo presuppone una grande minaccia tanto per gli stessi sauditi come per tutta la regione. L’ esempio più recente delle atrocità del Daesh (Stato Islamico) in Arabia Saudita è stato quello degli attacchi suicidi dei quali uno contro una Moschea, in cui alcune decine di cittadini ed effettivi militari hanno perso la vita. Così come dimostra l’esperienza, i terroristi del Daesh non sono controllabili e possono arrivare a svegliare sentimenti di paura e terrore in qualsiasi governo o paese.
L’ampliamento del raggio di operazione terroriste nello Yemenm in Iraq, in Siriam in Libia ed in Libano, tra gli altri, presuppone un gran pericolo per la sicurezza della regione. Inoltre il ritorno di questi gruppi già ben addestrati ai paesi d’origine rappresenta una grande minaccia per questi luoghi.
 
Inoltre in tema di terroristi, bisogna sottolineare un’altra realtà. Nel caso che si mantenga l’attuale ritmo del conflitto nello Yemen, questo paese si potrebbe trasformare in un altro Iraq, Siria o Afaghanistan, le cui conseguenze colpirebbero altri paesi del mondo.
 
Con questo mi riferisco al flagello migratorio. Gli yemeniti, per sopravvivere e sfuggire dalla guerra, come altri rifugiati che si trovano in Europa o si dirigono verso l’Europa, ricorreranno all’emigrazone, un fatto che intensificherebbe ancora di più l’ondata dei sollecitanti asilo in questi paesi. Nonostante questo, il flagello migratorio si è trasformato in uno strumento in mano ai saudito per intensificare la loro guerra contro il paese vicino, mentre l’opinione pubblica internazionelae si sta concentrando su questo dilemma.
 
Con tutto quello che abbiamo esposto, bisogna dire che l’ONU, quello che dovrebbe essere “il guardiano” della pace mondiale, a volte, deve avere la vista corta, in quanto a contrastare gli interessi di alcuni paesi in conseguenza dei quali i popoli si trovano sotto invasione ed altri subiscono le conseguenze di queste aggressioni. Nonostante questo, la realtà di oggi dimostra altre cose, cose che ci obbligano, o per lo meno ci convincono ad incamminarci verso un nuovo e diverso sistema mondiale .
 
 
Traduzione e sintesi: Luciano Lago

La Russia sta preparando enormi rifugi di fronte alla possibilità di una guerra termo nucleare con gli USA

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In Russia si stanno realizzando enormi bunkers antinucleari a Mosca, capaci di ospitare fino a 12 milioni di persone, mentre Putin si prepara ad una possibile guerra nucleare con gli USA.
I giganteschi rifugi, la cui costruzione è stata rivelata il venerdì dai funzionari russi, sono una risposta alla recente escalation di tensioni ed accuse tra Mosca e Washington per causa del conflitto in Siria, come ha riferito oggi il giornale britannico Express.
In concreto, entrambi i paesi si sono scambiati accuse sul fallimento della tregua che era stata proclamata per una settimana in Siria. Secondo Washington, Mosca non aveva preso le misure adeguate per far cessare l’offensiva dell’Esercito siriano contro i terroristi in Aleppo, mentre la Russia denuncia che gli statunitensi non sono stati capaci di separare i terroristi dall’opposizione.
 
“La cooperazione in Siria è stato l’ultimo e migliore colpo dell’Amministrazione Obama per prevenire la spirale discendente delle relazioni bilaterali con la Russia”, ha stimato un vecchio esperto della Casa Bianca,  Andrew Wiess S..
Tuttavia il canale TV russo Zvezda ha avvisato i suoi cittadini che “gli schizofrenici dell’America stanno affilando le armi nucleari contro Mosca”, ha aggiunto il giornale britannico.
Il giornale commenta che il presidente della Russia, Vladimir Putin, avrebbe ordinato lo scorso mese la costruzione di una installazione di 400.000 miglia quadrate in una regione appartata dei Monti Urali, considerati la frontiera naturale tra l’Europa e l’Asia, da dove potrebbe dirigere il conflitto nucleare.
Putin ha firmato il Lunedì un decreto con cui ha sospeso il trattato sulla riconversione del plutonio militare in combustibile nucleare di uso pacifico nel considerare che Washington minaccia la stabilità strategica tra le due potenze e non ha intenzione di adempiere agli accordi precedenti.
Una guerra tra gli USA e la Russia potrebbe provocare una catastrofe, visto che la Russia mantiene nei suoi arsenali più armi nucleari che non gli USA, con 8.400 testate nucleari, di fronte alle 7.500 di cui dispongono gli USA.
Nota: Naturalmente una eventuale guerra USA- Russia coinvolgerebbe pesantemente l’Europa ed in particolare tutti i paesi dove vi sono numerose basi militari USA-NATO, in particolare i paesi dell’Est, la Romania, il Kosowo, la Bulgaria ed i paesi baltici, oltre alla Germania,  all’Italia, alla Francia ed alla Gran Bretagna, tutti paesi inclusi nell’alleanza NATO di cui gli USA si servono come proprio braccio militare per attuare le proprie politiche e finalità geopolitiche estese in varie regioni del mondo, dal Medio Oriente all’Afghanistan.
Il problema dell’appartenenza alla NATO e dei rischi che questo comporta non viene minimamente dibattuto nei paesi europei, visto che tutti i governi europei sono totalmente asserviti alle politiche dettate dagli USA e neanche le forze di (apparente) opposizione sono sensibilizzate al problema di una alleanza che, da difensiva (ai tempi della guerra fredda ed dell’URSS) ogi è divenuta strumento di espansionismo di una politica aggressiva degli USA, come dimostrato dalle ultime guerre volute da Washington in Afghanistan, Iraq, Libia, Siria, ecc…
Tutte guerre combattute con il pretesto della lotta al terrorismo che hanno ottenuto il risultato opposto: massima espnsione dei gruppi terorristi e destabilizzazione e caos portato in tutti i paesi dove vi è stato un intervento occidentale.
Traduzione, sintesi e nota: Luciano Lago

In soccorso all’Arabia Saudita, gli USA inviano tre navi da guerra sulle coste yemenite per sfidare Ansarullah

Gli Stati Uniti hanno inviato tre navi da guerra
Gli Stati Uniti hanno inviato tre navi da guerra verso le coste meridionali dello Yemen come dimostrazione di forza contro il movimento popolare yemenita Ansarullah.
Un funzionario militare degli Stati Uniti, citato da Fox News, ha confermato che la marina statunitense ha inviato tre navi da guerra verso lo stretto strategico di Bab el-Mandeb (costa meridionale dello Yemen), che collega il Mar Rosso con il Golfo di Aden.
Si tratta di due cacciatorpedinieri equipaggiati con missili guidati, missili da crociera Tomahawk, missili anti-nave Harpoon e mitragliatrici pesanti, USS Mason e USS Nitze.
Sabato scorso, la catena televisiva yemenita Al-Masirah ha riferito che le forze yemenite hanno distrutto con un missile una nave militare degli Emirati Arabi Uniti (UAE) vicino alla città portuale di Al-Moja, nel Mar Rosso. In diverse occasioni, le forze militari yemenite hanno riferito la distruzione di barche e navi appartenenti alle forze di occupazione nelle acque territoriali yemenite.
 
Dopo l’incidente, le navi militari dell’Arabia Saudita e dei suoi alleati che sostengono la guerra contro lo Yemen hanno lasciato lo Stretto.
Il funzionario militare, che ha chiesto l’anonimato, ha riferito a Fox News che l’invio di navi è una risposta di Washington e dei suoi alleati a Ansarullah: “Questa è una dimostrazione di forza”, ha precisato.
Secondo la fonte, la US Navy si è mantenuta ad un alto livello di preparazione nel Golfo Persico e nei pressi del Golfo di Aden.
“L’invio di navi da guerra nella zona è un messaggio che l’obiettivo principale di garantire la continuazione della navigazione marittima senza impedimenti nello stretto e nelle sue vicinanza”, ha aggiunto.
Notizia del: 04/10/2016
 
Notizia del: 04/10/2016    Fonte: Hispantv

Il Pd spende 90mila euro per promuovere il kebab fra prodotti tipici del Friuli

non chiamatela tangente mascherata
 
30/09/2016
tangente mascherata
Novantamila euro per promuovere il “tipico” kebab friuliano, è questa la cifra spesa dalla giunta regionale, presiduta dalla vice segretaria del Pd Debora Serracchiani, per promuovere la ricetta al Salone del Gusto di Torino. La notizia dell’ingente somma spesa per promuovere il famoso panino turco come prodotto tipico del Friuli Venezia Giulia ha da subito suscitato molte polemiche.
 
Il primo a scagliarsi contro al “kabab furlan” dello chef Carlo Piasentin, in bella vista tra le specialità della regione friulana al Salone del Gusto, è stato l’ex vincitore di Masterchef Usa, Luca Manfè, di origine friulane e considerato ambasciatore dei prodotti della regione all’estero: “A parte il fatto che il kebab è carne grigliata su uno spiedino, ma vi pare che la Regione abbia fatto bene a spendere 90 mila euro per promuovere un panino con la salsiccia? E’ sbagliato l’approccio chiamandolo kebab e usando pane arabo – commenta Manfè che aggiunge -. Non vedo l’ora di tornare in regione per assaggiare un hamburger vegetariano e il kebab friulano. Sono il primo ad accettare le novità, ma in questo caso ho l’impressione che si sia fatta cilecca”.
 
Dello stesso parere è anche il consigliere regionale di Forza Italia, Roberto Novelli, che ritiene l’iniziativa un inutile spreco di soldi: ” Visto che parliamo del progetto per la valorizzazione dei cibi made in Friuli – dichara Novelli – è proprio il caso di dire che siamo alla frutta. In più dopo la splendida figura del famoso chef Carlo Cracco, il quale, chiamato a fare da testimonial a Friuli Doc, ha platealmente dimostrato di non conoscere due prodotti tipici come la brovada e la gubana, arriva la promozione del kebab friulano”. Il consigliere azzuro ha poi ironizzato: “Se la strategia per far conoscere i nostri eccellenti prodotti tipici è questa, suggerisco di ripensarla”.
 
A difendere la decisione della Serrachiani è, invece, Max Plett, presidente di Slow Food del Friuli che al Messaggero Veneto nega di aver speso 90 mila euro per promuovere il “kebab furlan” : “Chi critica, probabilmente lo fa senza aver letto bene la nostra proposta. Il budget serve a promuovere, all’interno di una delle prime manifestazioni internazionali dedicate all’enogastronomia, i presidi Slow Food del nostro territorio. E tutta questa attenzione sul “kebab furlan” rischia di banalizzare settimane di lavoro e denaro pubblico”. E a chi gli fa notare che il panino turco non centra niente con i prodotti tipici regionali Plett risponde: “La nostra cultura ha anche radici ottomane e in più siamo la regione delle diversità e su questa dobbiamo impegnare ogni energia, favorendo anche la contaminazione”.
 

Banche: multe miliardarie ma mancano le regole

di Mario Lettieri e Paolo Raimondi – 25/09/2016
banche multe
Fonte: Arianna editrice
La recente richiesta del Dipartimento di Giustizia americano alla Deutsche Bank di pagare una multa di 14 miliardi di dollari per chiudere il contenzioso negli Usa sulla ‘frode’ dei mutui subprime, e dei relativi derivati finanziari, ha una rilevanza che va ben oltre la cifra stessa.
Nel frattempo, sempre sulla stessa questione, quasi tutte le banche internazionali too big to fail sono state chiamate a pagare altrettante multe miliardarie: nel 2013 la JP Morgan per 13 miliardi di dollari, nel 2014 la Citi Bank per 7 miliardi e la Bank of America per circa 17 miliardi, e poi la Goldman Sachs per 5,1 miliardi, la Morgan Stanley per 3,2 miliardi…
Sono cifre importanti che pongono una serie di domande pressanti e inquietanti. Quanto hanno incassato le banche negli anni della ‘bonanza’, se sono disposte a pagare decine di miliardi? Si può presumere che abbiano incassato centinaia di miliardi, ingigantendo a dismisura i loro bilanci tanto da superare persino quelli di molti Stati. Non solo dei più piccoli o meno industrializzati.
 
Inoltre, il danno prodotto all’intero sistema economico e finanziario globale è stato devastante. Si stanno ancora pagando gli effetti della recessione che ne è derivata. E’ ormai convinzione diffusa che sia stata proprio la grande speculazione sui mutui sub prime e sui derivati connessi a scatenare la più grande crisi finanziaria della storia.
Con spregiudicatezza e arroganza le grandi banche hanno giocato forte ai ‘casinò della speculazione’ usando ‘fiches’ non di loro proprietà, ma quelle dei risparmiatori, delle imprese e persino dei governi. E dopo il disastro hanno chiesto di essere salvate dalla bancarotta con i soldi pubblici!
 
Quanto ci sono costate la speculazione e la crisi? E’ molto complicato cercare di quantificarne i danni e le perdite che hanno prodotto alle economie e alle popolazioni di tutti i Paesi colpiti. Sono sicuramente immensi, tanto quanto le responsabilità dei principali attori.
Se si tratta di frodi conclamate, come è possibile che, con il semplice pagamento di una multa, i responsabili vengano sollevati da qualsiasi condanna civile e penale? Perché non vi è mai una responsabilità anche personale dei manager implicati? D’altra parte le multe sono di fatto pagate dai correntisti e dai clienti delle banche in questione.
Tutto ciò fa sì che i cittadini perdano ulteriormente fiducia nella giustizia percependo, come nelle società prima delle repubbliche sovrane, l’esistenza di due o più mondi: uno per i semplici mortali sottoposti e spesso tartassati da una miriade di leggi e l’atro, quello degli ‘dei dell’Olimpo’, dove si fanno regole e leggi su misura.
La questione più importante ovviamente riguarda la riforma del sistema bancario. La propensione ad un rischio incontrollato e illimitato è stata la molla della degenerazione dell’intero sistema. 
Le domande fondamentali, quindi, non riguardano solo il passato, ma soprattutto il presente e il futuro. 
Sono stati solo comportamenti sbagliati? Sono state introdotte nuove regole più virtuose? Sono stati messi a punto controlli opportuni? Purtroppo non ci sembra che si possano dare risposte incoraggianti a tali semplici domande.
Anche l’Unione bancaria europea non sembra andare a fondo nella questione. Garantire maggiori capitali e riserve per far fronte ad eventuali nuove crisi è giusto, ma non affronta la questione alla radice.
Fintanto che non si decide di introdurre una netta separazione bancaria, come quella della Glass-Steagall Act negli Usa dopo la crisi del ’29, che distingua le banche commerciali da quelle di investimento, proibendo alle prime di operare sui mercati speculativi, e fino a quando non si stabiliscono limiti ferrei ai derivati finanziari, le grandi banche too big to fail, purtroppo, si sentiranno autorizzate ad operare come sempre, business as usual.
Tutto ciò non depone bene anche per le grandi manovre bancarie che riguardano il nostro Paese, non solo il Monte Paschi di Siena ma anche la Banca Popolare di Vicenza, la Veneto Banca, la Banca Etruria, ecc.
In Italia purtroppo non si fa mai tesoro delle esperienze del passato. Si ha memoria corta. Eppure solo qualche decennio fa si verificarono i dissesti del Banco di Sicilia e del Banco di Napoli. E agli inizi del 2000 vi furono le vicende della Parmalat, dei bond argentini, della Banca 121. Nonostante il puntuale documento finale della Commissione di Indagine parlamentare, nessuno ne ha tenuto conto: né la Banca d’Italia, né la Consob, né i governi.