Padova, marocchino picchia due anziani e un cane: arrestato, il giudice lo libera

marocchino picchia anzianiIl 65enne, massacrato a pugni in faccia dal clandestino: “Quel violento già libero, una presa in giro. Sapeva che sarebbe uscito subito. Mi blindo in casa”

15 Febbraio 2018

Deluso e amareggiato, da uno Stato che protegge i delinquenti e si fa beffe della gente onesta. Non ci sono altre parole per descrivere lo stato d’animo di Giampiero, il 65enne padovano che, per difendere un’anziana e il suo cagnolino vittime dell’ira di un immigrato marocchino, è stato massacrato di botte e ora si ritrova, con un’occhio bendato e dolorante, a chiedersi come mai quel delinquente sia già stato liberato. A mezzogiorno e quaranta di sabato scorso, in Via Altinate, un fiume di persone stava dirigendosi verso il centro della città del Santo. Una signora settantenne con il suo cane al guinzaglio stava camminando sul marciapiede, quando un ragazzo di colore, in bici, le ha tagliato la strada all’improvviso, rischiando di investirla. Lei ha alzato il braccio, gridando: “Impara l’educazione”.

L’immigrato, invece di tirare dritto torna indietro infuriato e inizia a prendere a calci il cagnolino, che cercando di fuggire trascina a terra l’anziana. Allora il giovanotto prende a calci anche lei, prima di inforcare la bicicletta e tentare di scappare. Sulla sua strada, in mezzo a decine di persone, trova però Giampiero, un uomo di 65 anni che lo afferra per un braccio e prova a fermarlo, mentre altri intorno si attaccano al telefono per chiamare la Polizia. Il nordafricano è incontenibile e prende l’anziano a pugni in faccia, fino a ridurlo a una maschera di sangue. I passanti si fermano a guardare e urlano senza però immischiarsi per paura di essere a loro volta colpiti, finché non arrivano due pattuglie della Polizia, una della Squadra volante e l’altra del Reparto prevenzione crimine.

Gli agenti si gettano addosso al picchiatore, lo bloccano e lo portano in Questura dove scoprono chi è. Si tratta di Essalihi Tarik, marocchino 39enne con permesso di soggiorno scaduto nel 2014 e quindi clandestino, senzatetto e senza un lavoro. La polizia lo arresta con l’accusa di lesioni gravi e maltrattamento di animali. L’anziana proprietaria del cane si rinchiude in casa colpita da crisi di panico. Giampiero, l’uomo che ha provato a difenderla, trascorre una giornata intera in ospedale, con la bocca rotta e gli zigomi gonfi a causa degli ematomi. Il pm chiede la misura di custodia cautelare in carcere per Tarik, che si avvale della facoltà di non rispondere. I reati che gli vengono contestati (lesioni personali aggravate da futili motivi) non superano però i tre anni di pena.

Risultato? Il giudice del tribunale decide che due notti in carcere sono sufficienti, così lunedì libera il marocchino senza nemmeno emettere nei suoi confronti un provvedimento di espulsione. Giampiero, dolorante, decide di chiamare un fabbro per blindare porte e finestre e fa installare sensori d’allarme a casa, nel terrore che Tarik possa tornare da lui a completare l’opera, intanto rilascia alcune dichiarazioni ai quotidiani locali: “Mi hanno dato solo 20 giorni di prognosi, se me ne davano 25 magari restava dentro un po’ di più”. Amarezza che si alterna alla delusione per una giustizia ingiusta: “Una beffa, la solita beffa. Del resto, chi si aspettava qualcosa di diverso?Non certo io. Infatti, vede cosa sto facendo?”. Sta trasformando casa sua in una gabbia, chissà quando ne uscirà più.

Nel mirino anche l’amministrazione comunale a guida Pd: “E chi si sente più sicuro in questa città? Quell’individuo era un fantasma. Clandestino dal 2014. Ora lo mollano e torna libero. Una presa in giro”. La notizia si diffonde in giro, amplificata dai social network. Tarik Essalihi, il marocchino che sabato a mezzogiorno ha massacrato due anziani e picchiato un cane in Via Altinate, è tornato libero. “Non mi vergogno a dirlo, io ho paura” spiega Giampietro. “Era una giornata stupenda e così siamo stati in centro a fare due passi” racconta, con accanto la moglie. “A quell’ora stavamo tornando al silos di Via Gozzi, dove avevamo lasciato l’auto. Quando ho visto quel ragazzo prendere a calci il cane dell’anziana, con la povera donna a terra, non ce l’ho fatta a star fermo” spiega, emozionato.

“Non credo di meritare encomi o riconoscimenti. Chiunque abbia un po’ di senso civico si sarebbe comportato come me”. Giampiero è un ex magazziniere in pensione. Ha un fisico robusto ma si è trovato a fronteggiare una persona con trent’anni in meno di lui, fuori di sé, ed ha avuto la peggio. “Subito mi ha sferrato un pugno in faccia e poi, non contento, una testata. Guarda qua come mi ha ridotto. E quando l’hanno fermato i poliziotti? Un agnellino. Lui sapeva già che sarebbe uscito entro pochi giorni”. Lui e la signora anziana aggredita si sono scambiati il numero di telefono, per potersi parlare, per incoraggiarsi in questo momento difficile: la loro città sembra essere diventata ostilee ormai, da quando governa la sinistra, non passa giorno senza che avvenga un episodio violento.

FONTE

 

I medici rivelano l’ultimo orrore sul corpo straziato: “In tutta la loro vita…”. Pamela, lo scempio infinito

L’autopsia 8 Febbraio 2018
 
Sono invisibili, lavorano chiusi nella penombra delle gelide sale settorie illuminate dai neon, immersi in un silenzio mortale, e trascorrono le loro giornate ispezionando, esplorando e sezionando cadaveri, corpi morti, immobili e freddi come il marmo, che gli arrivano distesi su barelle dalle corsie ospedaliere, da luoghi di incidenti o da scene del crimine, nudi e coperti da un telo bianco, con l’etichetta di identificazione appesa ad un alluce.
 
Pamela Mastropietro invece è arrivata al loro cospetto chiusa un due valigie, due comuni trolley a rotelle, e l’ hanno dovuta ricomporre pezzo per pezzo, come un grottesco puzzle al quale mancavano dei tasselli. Gli anatomopatologi non hanno visto il sorriso di Pamela, né ascoltato la sua voce, perché sono medici che non hanno mai visitato un paziente vivo, essendo specializzati nelle autopsie e nella diagnosi delle cause di morte, e sono anche quelli che esaminano al microscopio tutti gli esami istologici per certificare, per esempio, se un tumore è benigno o maligno, e firmare la nostra salvezza o la nostra condanna.
 
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CONTRIBUTO Il loro contributo professionale è fondamentale per dirimere i dubbi della scienza medica e forense, ed è indispensabile alla clinica per avere conferme della natura di molte malattie e naturalmente di molti decessi, senza di loro la medicina non potrebbe procedere ed evolvere, e grazie a loro e ai loro referti, le terapie vengono continuamente messe a punto per meglio salvaguardare la vita.
 
Sebbene essi siano abituati ad osservare corpi straziati da eventi violenti, da incidenti mortali, deteriorati e bruciati, gonfiati da lunga permanenza in mare, o collassati e arrabattati come marionette nel caso di cadute dall’ alto, uno scempio del genere sicuramente non l’ avevano mai visto.
 
AUTOPSIA Il referto autoptico di Pamela, depositato in Procura dal medico legale Antonio Tombolini, parla di “depezzamento, scarnificazione, sezionamento di parti di derma, muscolatura e seni” e denuncia la irreperibilità di alcuni organi come il cuore e parte del pube, oltre alla scomparsa della porzione di collegamento tra testa e torace, cioè del collo della ragazza. La causa di morte è stata identificata in una «intossicazione acuta da xenobiotici per via endovenosa probabilmente indotta, oltre ad una ferita da punta e taglio alla parte bassa della porzione postero-laterale destra del torace», e non è stato possibile quantificare l’entità dell’ emorragia a causa del depezzamento, ed inoltre «lo smembramento in vari pezzi del corpo è stato eseguito con grossi strumenti da taglio, ed è stato mutilato in più punti, testa, torace, mammelle, bacino, monte di venere, mentre le braccia e le gambe sono state ridotte ciascuna in due parti». I vari pezzi del cadavere poi sono stati dissanguati e lavati uno ad uno con una «sostanza a base di cloro», per poi essere deposti in due valigie, le stesse che sono state recapitate ai medici legali con il loro macabro contenuto.
L’ORRORE Ecco, il mio pensiero oggi è rivolto a quegli specialisti anatomopatologi che si sono visti arrivare l’ orrore, che hanno ricevuto l’ ordine giudiziario di ricomporre il corpo della ragazza macellata come fosse un manichino da montare, e che hanno dovuto esaminarla pezzo per pezzo, ricucirla alla meglio con ago e filo da sutura, e constatare che le parti mancanti avrebbero impedito loro di dare la dignità che meritava a quel corpo martoriato. Il mio pensiero da tre giorni è fisso su quella équipe di medici, di uomini e donne che terminato quel lavoro orrendo sono in serata rientrati nelle loro case, nelle loro famiglie, per cenare insieme allo sgomento che si portavano dietro, che gli chiudeva lo stomaco e che non riuscivano a scrollarsi di dosso. Certo, direte voi, ci sono mestieri peggiori, più faticosi e più pericolosi, ma trovarsi ogni maledetto giorno di fronte ad una vita spezzata, ad una persona che fino a 24 ore prima era viva e vegeta, e che ora è una salma che ti aspetta distesa in silenzio, non può lasciare indifferenti, e non può non suscitare ammirazione per dei professionisti che dedicano la loro vita a studiare, capire e certificare la morte in ogni sua forma crudele, per evitare che si ripeta.
IN SALA Da studente e poi da medico ho frequentato le sale autoptiche, ed ho assistito a moltissime autopsie, l’ unico esame che ti fa realmente vedere la causa di morte di un paziente, ed ogni volta uscivo da quei locali con la nausea, con in bocca il sapore dolciastro del sangue raffermo, e con addosso l’ odore della decomposizione, e non mi capacitavo di come molti colleghi potessero trascorrere i loro giorni negli obitori, su come riuscissero a sostenere psicologicamente quell’ impatto traumatico quotidiano, e rimuoverlo dalla mente finito l’ orario di lavoro, quando tornavano a sorridere ed a vivere la vita. Con gli anni ho compreso che fare l’ anatomopatologo non è mai un lavoro come un altro, perché per quanto si riesca a schermare i sentimenti, a distaccarsi emotivamente, a reprimere le emozioni, e a rimuovere dalla mente le immagini di morte quotidiana, non si riuscirà mai a cancellare ricordi terribili come quelli del corpo di Pamela, nemmeno chiudendo razionalmente il caso, sapendo che l’ autore criminale di tale scempio sia oggi recluso e domani punito come merita.
Nelle 11 pagine dell’ ordinanza del gip si ipotizza che Pamela sia morta di overdose, e che successivamente il suo cadavere sia stato smembrato, umiliato e vilipeso, ma la sua vicenda resterà a lungo impressa nella memoria di molti, soprattutto in quella di quegli anonimi medici che hanno tentato in silenzio di ricomporla, per renderla riconoscibile a sua madre, per darle una parvenza della ragazza che era, e che molto difficilmente riusciranno a dimenticare l’ autopsia più terribile della loro vita.
 
di Melania Rizzoli

Paura nel bar della Stazione: agente della polizia penitenziaria salva 50enne da un tentato omicidio

bravi ragazzifiguriamoci, la vittima è un uomo, non conta per i politically correct dell’eguaglianza più eguale degli altri…Gentiloni non ce l’ha fatta a passare a trovarlo? Il bravo ragazzo è un irregolare sul territorio nazionale.

5 feb 2018 E’ accaduto questa mattina alle prime luci dell’alba. Un 19enne ha preso un uomo a sgabellate in testa, decisivo l’intervento dell’assistente capo della polizia penitenziaria.
 
Attimi di paura alle prime luci dell’alba all’interno del bar della Stazione di Foggia, quando un 19enne della Guinea ha aggredito con una inaudita violenza un cinquantenne foggiano, ricoverato in prognosi riservata nel reparto di Neurochirurgia per le molteplici fratture al cranio e lungo il corpo, con una prognosi ancora da definire. Il ragazzo è stato bloccato da un assistente capo dalle polizia penitenziaria e, con l’ausilio della Polfer, arrestato con l’accusa di tentato omicidio.
 
La violenta aggressione
E’ successo tutto in pochissimi minuti: l’agente della polizia penitenziaria libero dal servizio, ha udito le urla e le richieste d soccorso provenienti dal bar e per questo vi si è immediatamente precipitato nel tentativo di fermare l’aggressore, che nel frattempo, con uno sgabello, stava infierendo sul corpo del malcapitato, colpendolo più volta alla testa.  A quel punto N.C., assistente capo di polizia penitenziaria in servizio presso la casa circondariale del capoluoto dauno, ha contenuto la violenza del diciannovenne e lo ha immobilizzato. Per ultimare le fasi dell’arresto, insieme alla Polfer, è intervenuta l’ispettrice di polizia penitenziaria R.S. La lite tra i due senza fissa dimora era scoppiata per futili motivi e senza alcuna altra motivazione nell’atrio della stazione ferroviaria. La vittima a quel punto ha provato e rifugiarsi nel bar ma è stato inseguito e colpito alla testa dal giovane guineano.
 
L’arresto di Mamadou Salian Barry
In un secondo momento è arrivato il personale della Polizia di Stato della Sezione Polizia Ferroviaria di Foggia, così il giovane è stato bloccato e identificato per Mamadou Salian Barry, 19enne senza fissa dimora e irregolare sul territorio nazionale. Al momento della lite appariva in stato di agitazione e, come rilevato da documentazione in suo possesso, nella mattinata di ieri era stato visitato al Pronto Soccorso ove gli era stato somministrato un farmaco per analogo motivo. Il guineano è stato tratto in arresto per lesioni personali aggravate e resistenza a pubblico ufficiale e ristretto in via delle Casermette a disposizione della Procura della Repubblica di Foggia.
 
Il commento di Daniele Capone
Questo il commento del vicesegretario generale di polizia penitenziaria S.PP. Daniele Capone: “Ancora una volta la nostra professionalità si proietta anche al di fuori delle mura del penitenziario, come in questa circostanza, utile per salvare una vita umana. La professionalità del poliziotto penitenziario si acquisisce giorno dopo giorno, con l’agire quotidiano all’interno dei reparti detentivi. La calma e il sangue freddo nell’affrontare anche le situazioni di grande violenza, fa parte del nostro bagaglio lavorativo, e non smetterò mai di sottolineare, che la nostra professionalità, il nostro impegno quotidiano, il nostro operato, non è ancora ben conosciuto dalle istituzioni territoriali”