GOLPE FALLITO? I MEDIA GLI FANNO LA RESPIRAZIONE ARTIFICIALE…….. VENEZUELA, SI ROMPE L’OSSO O SI ROMPONO I DENTI ?

http://fulviogrimaldi.blogspot.com/2019/05/golpe-fallito-i-media-gli-fanno-la.html

MONDOCANE

SABATO 4 MAGGIO 2019

Manifestazione chavista il giorno del golpe

 “Noi resteremo fermi in difesa dell’ordine costituzionale e della pace della Repubblica, assistiti come siamo da legge, ragione e storia. Leali sempre, traditori mai!” (Vladimiro Padrino, Ministero della Difesa della Repubblica Bolivariana del Venezuela)

https://www.youtube.com/watch?v=a8wdxj0PUZE  Alì Primera, da ascoltare, volendo, in sottofondo.

Com’è che diceva Emilio Fede?

La figura di merda in questione si dà per scontato sia quella dell’ennesimo gaglioffo da avanspettacolo inventato dai servizi Usa su mandato dell’Universal P2, S.p.A., per sostituire a un governo democratico e, magari, emancipatore e sovranista, un fantoccio duro e puro, addestrato al servo encomio alla Cupola e al suo braccio armato statunitense. Già perché, dopo il cazzuto, affidabile e durevole Fuehrer cileno, non si è verificato che un sequel di catastrofici pirla, buoni solo ad accaparrare mazzette imperiali sulla parola. Honduras, Ucraina, Ecuador, Haiti, Afghanistan, Libia, Yemen: reggono solo perché puntellati dall’Impero con le sue basi. Livelli intermedi li conosciamo in Europa. Scelte al massimo ribasso che riflettono fedelmente spessore e qualità dei mandanti.

Più esilarante, per quanto non meno scontata, la figura in oggetto inflittasi dai media, come al solito più italiani che quelli, un tantino avveduti, esteri. Ci si arrampica sugli specchi per mantenere ancora per un po’, almeno a livello mediatico, l’attenzione sul “dittatore” Maduro, sulla disperazione del popolo affamato e sul sacrificio di un’opposizione democratica massacrata. Proprio come si era tentato dopo il megaflop del procuratore Mueller per tenere a galla la ciambella del Russiagate. Uno specchio, liscio quanto può esserlo un vetro smerigliato, è la fola diffusa da Pompeo (uno fuggito dal set di “Gomorra”, o del “Padrino” e sostituito malamente da Marlon Brando) secondo cui i vertici delle Forze Armate avrebbero deciso di deporre Maduro, con tanto di “dimissioni onorevoli”, già pronte, ma poi ci avrebbero ripensato. Chissà, forse per cuocerlo ancora a fuoco lento in attesa di una maggiore reviviscenza del teppismo terrorista alla Lopez, oppure in attesa di una maggiorazione di quell’offerta di 20mila dollari da testa che il tagliagole Elliott Abrams avrebbe fatto a qualunque militare avesse disertato. Vecchia, consunta tattica per seminare sospetti intorno al controllo della situazione da parte del presidente.

Media: respirazione artificiale al golpe

Si parte dal sinistro Tommaso Di Francesco, “il manifesto” cerchiobottista strutturale dai tempi di “Nato cattiva-Milosevic pulitore etnico”,fino all’oggi del “Guaidò burattino Usa-Maduro disastroso”. Disinvolto immemore, questo TdF, quando lamenta il caos Nato in Libia, della sua guru Rossanda che, all’epoca, lanciava contro Gheddafi i terroristi dell’Isis, da lei fatti passare per “rivoluzionari democratici come le brigate di Spagna”. Gli lavora a fianco il prestigiosissimo Alberto Negri, pratico di capre e cavoli, quando, trova la pietra filosofale mettendo sullo stesso piano fallimenti economici e corruzione dei pre-Chavez, dei Chavez e dei post-Chavez. E si completa un giro larghissimo di rampichini con Giovanna Botteri, giunta al vertice Rai a New York per meriti kosovari e iracheni, che, non stufa di aver inventato le fughe di Milosevic e Saddam, a golpe venezuelano finito in sibilo di palloncino bucato, ancora accreditava lo statista Pompeo nella frescaccia di un Maduro in fuga, ma bloccato all’aereo dai russi e rimandato a palazzo.

 Superman e Capitan America

C’è chi riduce a barzelletta di chi non ne sa raccontare, l’episodio del duomilites gloriosi, Guaidò e Lopez che, circondati da quattro scombussolati militari e mezza dozzina di teppisti civili, da un luogo deserto, fatto passare per base aerea, proclamano “L’operazione Libertà”, invitano all’ammutinamento militare e all’insurrezione popolare.  Ammutinamento poi eseguito da una decina di marmittoni e graduati, tosto fuggiti in Brasile, e insurrezione risoltasi in una scaramuccia sul cavalcavia autostradale dove Guardia Nazionale e polizia tiravano lacrimogeni e i teppisti addestrati dal Lopez dei quasi 50 morti (in maggioranza poliziotti e chavisti) nelle sueguarimbas (2014-2017) sparavano pallottole. Risultato 4 morti. Poca cosa a confronto con qualche migliaio che gli sponsor di Guaidò-Lopez giustiziano ogni giorno con bombe e altro in giro per le loro guerre e sanzioni (40mila vittime solo da sanzioni al Venezuela). Facezia che parrebbe confermata dall’esito di un Lopez rifugiato nell’ambasciata del Cile, da lì cacciato, scappato in quella spagnola, a imbarazzare l’incerto premier Sanchez; e da un Guaidò, virgulto addestrato dai regime changers patentati di Otpor a Belgrado e dalla Cia a Washington,  vox clamantis in deserto, che proclama mobilitazioni di masse che non avvengono perché la maggior parte di quelle masse preferisce sostenere Maduro e la rivoluzione bolivariana da sotto il Palazzo di Miraflores.

Tutto vero, ma semplificazione dettata dall’ottimismo della volontà.

Tutto un trucco, o  si sacrifica il capro espiatorio?

Altri, come l’ottimo Chossudovski di Global Research, rivanno col ricordo al giugno del 1973 a Santiago del Cile, dove avvenne un simile golpe alla fuffa, che tutti fece ridere, ma che poi, il successivo 11 settembre, si rivelò il prodromo del golpe duro e puro di Kissinger-Pinochet. Ne deducono la possibilità della riproduzione del modulo, con il putsch vero e ben preparato da far seguire al balon d’essai di questi giorni.

Altri ancora ipotizzano, a mio avviso con maggiori ragioni,  la consapevolezza del Trio della Bella Morte Pompeo-Bolton-Rubio circa l’inadeguatezza dei putschisti. Avrebbero però confidato  in una risposta governativa ben più brutale di quei quattro candelotti e in una strage assai più sanguinaria degli altrettanti morti (probabilmente colpiti, come nel 2002, da infiltrati dei golpisti, dato che i governativi avevano l’ordine di non usare armi da fuoco), che avrebbe suscitato un’ìndignazione internazionale tale da assicurare sufficiente consenso all’invasione. Fake news, come le bombe di Gheddafi sulla propria gente, o il massacro di Racak in Kosovo, o i gas di Assad. Invasione non certo di truppe Usa, che da tempo non vengono messe a rischio, dopo il contraccolpo dei  caduti in Vietnam e Iraq, ma di mercenariati latinoamericani vari, su modello Al Qaida-Isis-curdi, e perfino dei 5000 gangster delle milizie Blackwater (ora Academy) promessi, e forse già infiltrati (spera La Repubblica) da Eric Prince, ai quali aprirebbero la strada i bombardamenti Usa-Nato tipo Siria.

Infine c’è chi si avventura in ipotesi diaboliche, come quella che il lungamente addestrato, curato, finanziato, coccolato Guaidò risultasse agli stessi mastini dello Stato Profondo Usa investimento dagli scarsi ritorni. Il fallimento al limite del grottesco dei suoi appelli alla defezione di militari, assolutamente granitici nel loro sostegno al governo Maduro e alla rivoluzione bolivariana, delle sue invocazioni a masse in piazza che non si presentano, lo ha reso obsoleto e ormai spendibile solo… da morto. Considerazione che, fatta dai primatisti delle esecuzioni extragiudiziarie, dovrebbe preoccupare l’autoproclamato saltimbanco non poco: avrà qualche ricordo di come gli Usa sanno volgere in martirio il fallimento dei loro eroi. Cosa di cui era sicuramente consapevole il terrorista Leopoldo Lopez quando è corso di ambasciata in ambasciata per sfuggire al ruolo di agnello sacrificale per la guerra dei suoi padrini.

Lopez e le sue guarimbas

Come dal Soglio si guarda  al Sud del mondo

Nei suoi contorcimenti tra versioni Cia dei pogrom catto-fascisti in Nicaragua e sostegno al Venezuela legale (se vuole mantenere qualcuno dei suoi già deperiti lettori), “il manifesto” barcolla sul filo del rasoio anche per quanto riguarda la posizione della Chiesa. Pencola tra un venerato Bergoglio, che dice di sperare nel dialogo, e un episcopato da cocktail in residenza, storicamente il continente cappellano dei ricchi e dei despoti in tutto il continente, e dunque da sempre virulentemente pro-golpe e anti-chavista (agghiacciante il Woytila sul balcone a fianco di Pinochet; la linea non cambia mai) I pii proponimenti del papa all’Angelus hanno il suono della neolingua di Orwell, per cui guerra è pace, dissidenza è psicoreato, cattivo è sbuono.

Del resto chi può ipotizzare che in un sistema globale e imprescindibile da millenni di monarchia assoluta e infallibile, i sottoposti possano divergere dal sovrano?  Come per l’Africa, giornalmente rievocata dall’erede di Paolo perché attraverso le migrazioni si faccia posto alle multinazionali dell’Occidente cristiano, il progetto vale per l’America Latina: Ne viene invocata l’accoglienza  da parte degli Usa, visto che quelle torme sbrindellate da Honduras, Guatemala e altri paesi gestiti dagli Usa, è meglio che, o si rassegnino cristianamente alla povertà, assicurazione sulla vita eterna, o si levino dall’occupare spazi e risorse spettanti  a chi li sa far fruttare meglio.

Una rivoluzione niente male

Sulla base di quanto ho visto e vissuto all’indomani dei tre giorni  di golpe del 2012 e nel corso del lungo “paro” (serrata) padronale per mettere il paese in ginocchio, come stanno provando di fare ora con le sanzioni, mi pare di poter dire che chi ha sconfitto questo aborto di putsch, come quello di febbraio dell’introduzione forzata di aiuti, politicamente tossici, da Colombia e Brasile, siano state la forza e l’intelligenza del popolovenezuelano. Hugo Chavez e Nicolàs Maduro avranno mancato in un compito importante: quello della diversificazione della produzione venezuelana, via dal solo petrolio, giustificati anche dall’urgenza dei bisogni di una popolazione ridotta allo stremo dai precedenti palafrenieri dei gringos. Ma, pergiove, se non hanno saputo iniettare il virus dell’autodeterminazione socialista, antimperialista e anticapitalista in milioni e milioni di venezuelani ! Tutti quelli fuori dalle mura con alti reticolati che nascondono le ville, i parchi, i lussi e le ruberie di una ristretta cerchia di grassatori, tra qui la maggioranza degli italiani. Si chiama sovranità e loro sono “sporchi sovranisti”.

Con Manuel e Alì Primera attraverso il Venezuela del primo golpe

Tanti di quelli che ho incontrato percorrendo tutto il paese, dalle Ande all’Amazzonia, sul trabiccolo di un impiegato della Mision Vivendas, quella delle case. Dall’incontro con Chavez, che mi spiegava la questione della terra mentre andava a distribuirne ai contadini (vedi il mio documentario “Americas Reaparecidas”), al passaggio per il mercato dove i produttori si organizzavano per la distribuzione diretta al consumatore, alla casetta della nonna che aveva dovuto bruciare parte della sua mobilia per cucinare, fino a quando la Guardia Nazionale non impose la riapertura dei distributori di combustibile, ma che faceva sventolare dal tetto il tricolore bolivariano. Navigai sull’Orinoco incontrando indigeni che si erano visti proporre per la prima volta una scuola e che, nel 2005, avrebbero festeggiato la fine dell’analfabetismo in Venezuela. Nelle favelas sui colli di Caracas (qui detti “ranchos”) Hugo Chavez veniva sbaciucchiato da donne di ogni età mentre gli consegnava il titolo di proprietà della casa. Cooperative di operai fabbricavano scarpe in stabilimenti abbandonati dai padroni dislocati a Miami. Medici cubani assistevano quelli locali a raggiungere un presidio per ogni minima frazione del paese. Nel quartiere carachegno  del 17 Jenero, fucina rivoluzionaria da decenni, un tripudio di murales rivoluzionari, si aggrottavano le ciglia sul non sufficientemente rapido e deciso passo anticapitalista del governo (vedi il documentario “L’Asse del bene”).

E Manuel, l’autista ultrachavista dalle mille risate e mille arrabbiature sui misfatti dei padroni vinti e non rassegnati, non aveva che una musica nell’autoradio: quella di Alì Primera, amatissmo cantore rivoluzionario che, per un incidente automobilistico assai sospetto, sotto la tirannia di Lusinchi, al trionfo di Chavez nel 1999 non c’era arrivato. Ma la rivoluzione l’aveva preparata e cantata e oggi l’accompagna ancora. Come in “Techos de carton”, Tetti di cartone, dedicata agli ultimi del suo paese e continente. https://www.youtube.com/watch?v=a8wdxj0PUZE 

Poi, a far venire il latte alle ginocchia e un po’ di nausea alla bocca dello stomaco arriva uno che, alla faccia dei colleghi 5 Stelle che, pur pilatescamente (Di Battista, tu che la sai lunga, batti un colpo) s’erano astenuti, gasato dal Guaidò al comando di un’armata di 12 militari, sbotta che si devono rifare le elezioni presidenziali, dato che quelle che hanno eletto Maduro non erano regolari. Dal 1999 hanno votato 25 volte in Venezuela, voto cartaceo ed elettronico insieme, giudicato dagli osservatori internazionali, ex-presidente Usa Carter incluso, il migliore sistema al mondo. 23 volte hanno vinto i chavisti, due no, ed è sempre stato tutto accettato. Da chi devi accreditarti, Enzo Moavero Milanesi? Ministro  degli Esteri di schiatta montiano-mattarelliana, con quel nome di chi coltiva orchidee a stelle e strisce nella residenza dell’antenato Bocconi (quello dell’ateneo di chi può) e la faccia  di chi è sfuggito al regista di “Frankenstein Jr.” ?

El pueblo unido e l’avvoltoio


Sarebbe illusorio pensare che ora il Condor molli la presa. Come quando si inneggia alla vittoria di una Siria per tre quarti sotto curdi amerikani, un quinto in mano ai turco-jihadisti e un territorio bombardato ogni due per tre dagli israeliani, senza che il famoso S-300 dei russi gli faccia mai un baffo. E mentre in Siria di petrolio ce n’è quanto basterebbe appena per Manhattan, in Venezuela ce n’è da mettere fuori mercato tutti gli altri. E poi c’è il fattore contagio di un modello che, allargato, porterebbe alla fine dell’Impero e dei suoi strumenti letali. L’esperienza insegna che gli yankee, quando non riescono ad addomesticare un popolo e il suo governo, come minimo lo frullano in un caos che li dissangui. E se prima c’era una cintura di sicurezza di paesi amici e indisposti al nuovo colonialismo del “Patio Trasero”,, l’Unasur, il Mercosur, l’ALBA, il CELAC, passi verso l’integrazione emancipatrice, oggi sono rimasti Nicaragua, Cuba e Bolivia, non proprio una Grande Armada.

Però vedersela con Russia e Cina, come ora appare inevitabile, neanche per dei fuoriditesta come quelli di Washington risulterebbe appetibile. Fattore significativo, quello russo-cinese, ma in seconda battuta rispetto a quella che forse oggi è la massa di popolo dalla coscienza e determinazione più evoluti e robusti del mondo. Finchè i Guaidò raccattano ad Altamira, nella piazza della Créme, a 10 km dal palazzo del presidente, qualche decina di subalterni, tra badanti, madamine, fattorini, fighi  e colonelli rintronati in pensione, mentre a Miraflores Maduro saluta, dopo appena un fischio, centomila chavisti in rosso, il cielo sopra Caracas rimane sereno.

Quella volta c’ero e l’ho filmato che cantava (vedi “L’Asse del Bene“)

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 16:54

PRIMO MAGGIO: VERSO UNA NUOVA IDEA DI FESTA DELLE LAVORATRICI E DEI LAVORATORI

Valentina Sganga 

https://www.facebook.com/valentina.mug/posts/10219409475376206

Questa mattina, insieme alla Senatrice Elisa Pirro e al Deputato Maurizio Cattoi, ho incontrato il Questore di Torino, Giuseppe De Matteis, che ringrazio.

Siamo stati ricevuti negli uffici della Questura per un confronto su quanto avvenuto ieri durante il corteo del primo maggio. 
Lo ribadiamo ora, dopo aver potuto comprendere le ragioni delle scelte operate dalle Forze dell’Ordine ieri mattina: la festa dei lavoratori dev’essere di tutte e tutti, di quelli iscritti ai sindacati confederali, di chi fa parte di partiti e movimenti e di chi, in questo momento, non riesce a veder tutelati i propri diritti da nessuna organizzazione.

Troviamo incomprensibile ad esempio la posizione nel corteo del Partito Democratico, subito davanti allo spezzone sociale, animato da tante di quelle persone che in questi anni di crisi sono state colpite dai provvedimenti dei governi che quel partito ha sostenuto. E anche la scelta degli organizzatori, di non volere in piazza gruppi che potessero manifestare dissenso durante i loro comizi.

Il Questore De Matteis ci ha ribadito come il compito delle Forze dell’Ordine, durante una manifestazione organizzata e autorizzata, sia quello di garantire che la riuscita dell’appuntamento e la partecipazione di quei soggetti che gli organizzatori considerano parte integrante dell’evento.

Un ragionamento che rispettiamo ma che fa chiaramente capire come l’accesso alla piazza del Primo Maggio, così come è pensato oggi, non sia garantito a tutti allo stesso modo.

Da quando siamo al governo, della Città prima e del Paese poi, ci siamo resi conto di come tanti non riescano a far sentire la propria voce, non trovino più negli strumenti tradizionali – quelli che si chiamavano un tempo “corpi intermedi” – i rappresentati adatti a far valere le proprie istanze. Una distanza tra rappresentati e rappresentanti che come Movimento 5 Stelle ci siamo prefissati di colmare.
Non sempre ci riusciamo e spesso la tensione per i nostri fallimenti è ancora più alta che con altri interlocutori, ma non per questo smetteremo di dialogare e di volerci confrontare con i cittadini.

Per questo pensiamo che se la piazza del Primo Maggio di Torino non deve essere uno spazio condiviso in pari maniera da tutte e tutti, forse sarebbe più opportuno, per evitare di alimentare conflitti che si esauriscono in tensioni inutili e polemiche sterili, rivederne la forma. 
Ad esempio, il tentativo di strumentalizzare e criminalizzare il movimento No TAV è inaccettabile e va respinto al mittente. E cogliamo ancora una volta l’occasione per ribadire come le responsabilità delle azioni sono sempre individuali.

Chi non si sente rappresentato dagli organizzatori di piazza San Carlo è giusto che trovi il suo modo di celebrare comunque la festa dei lavoratori, in un Primo Maggio alternativo, ed è questa l’idea che vogliamo lanciare.

Non è certo un movimento politico come il nostro a dover organizzare un momento di quel tipo, ma vogliamo dire fin d’ora che se nel 2020 qualcuno deciderà di realizzare una manifestazione dove tutti siano ammessi, dove il dissenso abbia la sua agibilità e possibilità di far sentire la sua voce e dove nessuno sia escluso, noi del Movimento 5 Stelle ci saremo e faremo la nostra parte perché l’appuntamento sia pacifico e partecipato.

Marco Revelli “Scontri del 1°Maggio. Il Pd vuole la polizia per dividere i NoTav”

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2019/05/03/scontri-del-1maggio-il-pd-vuole-la-polizia-per-dividere-i-notav/5150359/

Lo storico: “Io c’ero. Erano le forze dell’ordine che volevano i movimenti fuori dalla piazza per sterilizzare il corteo dai suoi simboli”

“Scontri del 1°Maggio. Il Pd vuole la polizia per dividere i NoTav”

“Guardando il corteo si vedeva l’Italia di oggi. E davvero credo che la sinistra tradizionale non abbia un gran futuro se ha bisogno di un cordone di polizia per farsi separare dai movimenti e dai territori dove invece dovrebbe affondare le proprie radici”.

Marco Revelli, lei è storico, sociologo, ma anche protagonista delle battaglie contro il Tav. Come vede gli scontri del Primo Maggio a Torino?

Io c’ero. Prima della partenza hanno costruito un tappo di polizia che sembrava volesse tener fermo metà corteo, quello con i movimenti. Hanno bloccato la gente con le bandiere No Tav come se volessero sterilizzare il corteo dai suoi simboli.

Del corteo per il Primo Maggio a Torino restano soprattutto le botte. Adesso c’è chi punta il dito contro la polizia e magari il Pd. E chi invece se la prende con i No Tav che, si dice, avrebbero provocato gli incidenti.

Ripeto, ho visto. Sono un testimone. Sentivo gli altoparlanti dei movimenti urlare “non reagite”.

E credo non serva molta malizia per pensare che anche nel Pd qualcuno volesse creare tensione. Alla fine, dopo un percorso tranquillo, la polizia ha caricato a freddo per ritardare l’ingresso in piazza San Carlo di metà corteo, come se il Primo Maggio fosse proprietà di qualcuno. Ho letto sui giornali una frase che mi ha colpito: ‘I No Tav vogliono prendersi il Primo Maggio’. Come se questa festa fosse di qualcuno.

Alla fine, c’è chi obietta, del corteo restano solo le cariche della polizia…

In passato, come quando c’è stata la guerra in Serbia, avevo visto ben di peggio. Volavano i tavoli dei bar.

Non crede che gli incidenti possano giocare contro la battaglia No Tav?

Dai movimenti non ho visto né violenza né provocazioni. Sono arrivati slogan anche duri per esempio verso il Pd. Ma questa non è violenza, è polemica politica. È vita.

Due cortei anche per il Primo Maggio…

Io ho visto un solo corteo con due segmenti totalmente diversi.

Che cosa, secondo lei, li divideva?

Il primo confine era quello tra passato e futuro. Ma c’era anche quello tra le istituzioni – e ci metto dentro anche le rappresentanze sindacali – e i movimenti. Compresa quella parte dei Cinque Stelle che si sente ancora movimento.

Parliamo della prima parte del corteo. C’erano il Pd e i sindacati. È tutto ‘passato’?

Il Pd torinese è particolarmente contaminato dal Tav che gli ha mangiato l’anima e ha compattato un establishment di destra e di sinistra che non riesce a trovare nel territorio la capacità di risollervarsi. Che non ha trovato un’alternativa vera al modello fordista, ma solo olimpiadi e grandi opere. Il Tav non è solo treno e rotaie, è un paradigma dove si immagina un mondo invivibile con una crescita esponenziale di merci e trasporti a beneficio dei soliti imprenditori e delle banche.

Ma nella prima parte del corteo c’erano anche i sindacati, come la Cgil di Maurizio Landini. Anche questo è passato?

Nella prima parte del corteo non ho visto migranti, giovani, precari. Non ho sentito slogan nuovi, non hanno mai pronunciato parole come ‘sfruttamento’. Ho molta stima di Landini, ma temo che l’inerzia dell’apparato sia troppo forte. C’è un corpaccione di funzionari che fa da zavorra e temo che per essere segretario generale ti tocchi annacquare troppo il tuo messaggio.

E il M5S che nel corteo era insieme con i centri sociali?

In Piemonte se non tengono il punto sul Tav possono chiudere baracca e burattini. Ma finora mi pare che a Roma si sia solo preso tempo per permettere a chi è favorevole e a chi è contrario di dire che hanno vinto.

Lei dice che nel corteo torinese del Primo Maggio si potevano vedere l’Italia e la sinistra di oggi…

Quel tappo della polizia è un pessimo segno di caduta per la sinistra tradizionale. Dobbiamo attrezzarci per un periodo duro. Dopo quello che ho visto a Torino sono molto pessimista. Alla fine ‘l’utilizzatore finale’ di tutto questo è soltanto Matteo Salvini.

“La cinghiata? Volevo difendere solo un amico”

3 maggio 19 Stampa 

Lodovico Poletto

Signor Gianluca, è lei che ha dato una cinghiata in testa ad un No Tav l’altra mattina durante il corteo del Primo Maggio? 
«No guardi io non ho fatto assolutamente nulla».
Eppure dicono così, tanto che poi l’hanno presa a pugni, non è vero?
«Ancora con sta storia delle botte? Guardi non voglio dire nulla. Non è successo nulla. Eventualmente parlate con i responsabili del servizio di sicurezza del Pd».

Gianluca Guglielminotti è valsusino, democratico da sempre, e spesso nel circuito del servizio di sicurezza del partito durante i cortei. E tutte queste parole sul suo ruolo durante la manifestazione un po’ lo hanno infastidito. Si sente – giustamente – sovraesposto. 
Ma lei era lì come addetto al servizio di sicurezza del partito?
«No, guardi, ero lì al corteo del Primo maggio e basta: ci vado da una vita. La mia colpa è di essere passato a salutare alcuni amici del servizio. Insomma è gente che conosco da tanti anni. Mi sono fermato qualche minuto con loro e poi c’è stata un’aggressione».
In che senso, scusi?
«Ho visto gente avventarsi contro un mio amico. Lo hanno preso per il collo». 
Addirittura?
«Certo, lo hanno afferrato per il collo e lei che farebbe se vedesse un amico preso il collo? Interverrebbe, giusto? E così ho fatto io».
E allora ha dato una cinghiata?
«Io volevo soltanto difendere quella persona. Non era un’aggressione come hanno detto».
E poi si è anche preso dei pugni, giusto?
«Sì, ma niente di grave.In fondo le dinamiche di piazza sono sempre le stesse. Se le dai le prendi. Io volevo soltanto andare in soccorso ad una persona che era in difficoltà».
Sta male adesso?
«Ma no, dai. Ha mai preso un pugno? Lì per lì ti fa male, ma poi passa, non è mica morto nessuno». 
Ci sono state provocazioni?
«Si vede dalle immagini che eravamo provocati. Hanno aggredito delle perone mie amiche. E così ho fatto quella stupidaggine lì. Beh, sì, insomma ci siamo capiti».
Lo rifarebbe?
«Ma dai, lasciamo perdere. Ci siamo chiariti. È finito tutto bene. La piazza a volte ti porta a fare delle cose un po’ così». —

Dirigente Pd di Torino su scontri No Tav: ‘Hanno assaggiato manganelli’. Poi scuse. I dem anche contro M5s: “Voltastomaco”

https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/05/02/1-maggio-dirigente-pd-di-torino-ai-no-tav-dopo-gli-scontri-la-polizia-gli-ha-fatto-assaggiare-i-manganelli-finalmente/5149094/amp/

Joseph Gianferrini in rete commenta il corteo del primo maggio: “I soliti teppisti, ci hanno riempito di insulti e sono arrivati anche alle mani; ovviamente noi abbiamo risposto”. Intanto il dem Carretta ha chiesto le dimissioni della vicepresidente M5s in consiglio perché era presente al fianco dei manifestanti: “Vederla lì in mezzo fa venire il voltastomaco”. I pentastellati: “Nessuno di noi ha aggredito”

di F. Q. 2 Maggio 2019

Un dirigente del Partito democratico di Torino che si felicita perché “finalmente” la “polizia ha fatto assaggiare i manganelli” agli attivisti No Tav. Protagonista Joseph Gianferrini che figura tra i membri dell’Ufficio di presidenza del Pd nel capoluogo piemontese e sui suoi profili si qualifica come “vice-Presidente Pd Torino Urbanistica, Infrastrutture, Trasporti”. Dopo le sue parole è arrivata la nota dei segretari democratici di Piemonte e Torino, Paolo Furia e Mimmo Carretta: “Il Pd non gioisce per manganellate, repressioni o altre forme di violenza“. Poi sono arrivate le scuse dello stesso Gianferrini all’Ansa: “Vorrei chiarire che sono una persona contraria a ogni tipo di violenza e antifascista convinto”. “Ciò che ho scritto – ha aggiunto – è legato all’emotività e alla tensione accumulata dopo avere trascorso tre ore fra insulti, sputi e spintoni, in certi momenti sentendoci accerchiati e quasi in balia degli antagonisti. Noi eravamo pochi e loro tanti, c’era da avere paura“. “Sono contro la violenza – ha concluso – ma la legalità dovrebbe essere un punto fermo. I No Tav ci hanno spintonati chiamandoci mafiosi e corrotti: non è giusto aggredire e non è giusto scambiare il Primo maggio per manifestazione pro o contro l’alta velocità”. Parole che non bastano al senatore di LeU Francesco Laforgia: “Questo signore andrebbe allontanato dalle Istituzioni. E mi aspetto che il suo partito lo faccia velocemente. Combattere i fascisti con i fascismi è molto complicato. Anzi, impossibile”, ha scritto su Facebook.

Mercoledì, dopo gli scontri al corteo del Primo Maggio tra i manifestanti No Tav e la delegazione del Partito democratico, ha scritto il seguente Tweet: “I soliti teppisti Notav con Askatasuna accompagnati da una nutrita flotta di consiglieri 5 stelle hanno partecipato al corteo del Primo Maggio con un unico scopo: far abbandonare il corteo al Pd Piemonte. Poi la polizia gli ha fatto assaggiare i manganelli…finalmente!“.
Un concetto ribadito anche in un post su Facebook in cui Gianferrini ha aggiunto: “Ci hanno urlato di tutto, ci hanno tolto le nostre bandiere, ci hanno riempito di insulti e sono arrivati anche alle mani; ovviamente noi abbiamo risposto! Siamo rimasti lì, non ci siamo spostati di un centimetro!”. I No Tav mercoledì hanno sostenuto di essere stati feriti a cinghiate dal servizio d’ordine del Pd: “Ci hanno preso a cinghiate, pugni e bastonate. Il Pd ha assoldato i picchiatori“. Opposta la versione dei dem, che con Diego Simioli – responsabile sicurezza del partito torinese – avevano replicato di essere stati “aggrediti vilmente alle spalle da facinorosi che hanno spaventato a morte i più piccoli e i più anziani. Incursioni fatte mentre noi sfilavamo pacificamente”. Poi, per separare i due gruppi e impedire ai No Tav di raggiungere la testa del corteo, era intervenuta la polizia con una carica.

“Joseph ha fatto una cazzata. Ma bisogna capire che da quando siamo arrivati siamo stati fatti oggetto continuo di insulti, spintoni e cori da parte degli antagonisti. C’è chi come me ha una certa età e queste cose le ha già viste e c’è chi è più giovane e in un momento di forte tensione può dire una sciocchezza. Parliamo comunque una persona di cui ho grande stima e fiducia, le cui motivazioni vanno inquadrate in questo contesto”, ha commentato il consigliere regionale Pd Luca Cassiani, del quale Joseph Gianferrini è collaboratore.

Polemica tra Pd e M5s
“I presenti – prosegua la nota dei segretari dem di Piemonte e Torino – possono confermare che il nostro spezzone era pacifico, mite, composto da persone che non avrebbero potuto fare del male ad alcuni”. “Nessuno di noi ha preso un megafono per rispondere alle continue provocazioni dello spezzone No Tav. Nessuno di noi ha auspicato che la polizia facesse ‘assaggiare i manganelli’ a nessuno. Ci aspettavamo, questo sì, che venisse riconosciuto il nostro diritto a manifestare in pace”, concludono Furia e Carretta tornando su quanto successo al corteo.
Intanto Carretta ha chiesto le dimissioni della vicepresidente del Consiglio comunale Viviana Ferrero (M5s). “Ok abbiamo la scorza dura”, ha scritto su Facebook, “ma una cosa, tra le tante, non riesco a mandare giù: vedere consiglieri pentastellati spalleggiare questi delinquenti è davvero troppo. Ma soprattutto vedere la vice presidente del consiglio comunale Ferrero in mezzo a questi esaltati fa venire il voltastomaco“. Da qui la richiesta: “Si dimetta e vada a casa e continui da lì la sua becera rivoluzione”.

A lui ha replicato la vicepresidente Ferrero: “Chi manifesta ha il diritto di farlo, anche il Pd. Il pugno me lo son preso, nel dirimere con i consiglieri comunali Lavolta e Lo Russo un tafferuglio. La rivoluzione la fai nelle piccole cose come i comportamenti e nel cambiare il modello intaccando un sistema ingiusto che apre sempre di più la forbice sociale. In piazza ci sarò sempre per salvaguardare i diritti affinché nessun cittadino debba mai più essere picchiato alle manifestazioni“.
Sul tema torna anche il consigliere M5S Damiano Carretto che, sempre sul social, evidenzia che “in diversi momenti io e altri colleghi consiglieri (M5S e Pd) ci siamo trovati a frapporci tra i manifestanti No Tav e militanti e servizio d’ordine Pd per cercare di calmare gli animi. E posso affermare che nessun esponente o militante 5 Stelle ha aggredito, né verbalmente men che meno fisicamente, esponenti o militanti del Pd. Chiunque affermi il contrario mente spudoratamente“.

Intanto però alcuni deputati del Pd hanno chiesto al ministro dell’Intero Matteo Salvini di riferire in Parlamento sugli scontri perché “tra i rappresentanti dei No Tav erano presenti numerosi consiglieri comunali del M5S” e ritengono quindi “opportuno che il ministro appuri le responsabilità dirette negli scontri da parte di eletti nelle amministrazioni pubbliche ed assuma iniziative, per quanto di sua competenza per censurare, stigmatizzare e punire tali comportamenti”.

1 maggio, le immagini della cinghiata dell’attivista Pd ai No Tav. Lui: “Volevo difendere un amico. Se le dai le prendi”

Se le dai le prendi. Io volevo soltanto andare in soccorso a una persona che era in difficoltà”. Incastrato dalle immagini (che vi proponiamo), Gianluca Guglielminotti ammette in un’intervista a La Stampa di essere stato lui a tirare una cinghiata contro i manifestanti No Tav durante gli scontri avvenuti nel corso del corteo del Primo Maggio a Torino. Guglielminotti, noto militante democratico della Val Susa, fa spesso parte del servizio d’ordine del Pd durante le manifestazioni. Mercoledì però era solo “passato a salutare alcuni amici”, quando sono cominciate le botte.

Gli scontri sono cominciati per via di alcuni insulti tra i due spezzoni del corteo, No Tav e delegazione Pd: poi si è passati alle mani. Finita la rissa, i No Tav hanno sostenuto di essere stati feriti a cinghiate dal servizio d’ordine dei dem: “Ci hanno preso a cinghiate, pugni e bastonate. Il Pd ha assoldato i picchiatori“. Opposta la versione del Pd che con Diego Simioli – responsabile sicurezza del partito torinese – avevano replicato di essere stati “aggrediti vilmente alle spalle da facinorosi che hanno spaventato a morte i più piccoli e i più anziani. Incursioni fatte mentre noi sfilavamo pacificamente”.

Di fronte alle immagini che mostrano Guglielminotti con la cintura in mano, il protagonista ha dovuto però ammettere il gesto. “Ho visto gente avventarsi contro un mio amico – racconta a La Stampa – lo hanno preso per il collo e io sono intervenuto”. La sua, sostiene, “non era un’aggressione”. Poi l’attivista Pd è rimasto a sua volta ferito nella rissa: “Niente di grave – dice – se le dai le prendi. In fondo le dinamiche di piazza sono sempre le stesse”.

Video Youtube/Roberto Chiazza

ABBANDONARE ASSANGE SIGNIFICA ABBANDONARE LA VERITA’ IN MANO AI MENTITORI E PRECLUDERLA A TUTTI NOI

http://fulviogrimaldi.blogspot.com/2019/05/abbandonare-assange-significa.html

MONDOCANE

GIOVEDÌ 2 MAGGIO 2019

(Qui si parrà la nobilitade di Google, della sua libertà d’informazione. Vediamo un po’)

Petizione da firmare di protesta per il sequestro forzato di Julian Assange dall’ambasciata dell’Ecuador a Londra, di richiesta di immediata liberazione dalla prigione a cui il regime britannico lo ha condannato per 50 settimane e di opposizione all’estradizione negli Stati Uniti di cui Assange su Wikileaks ha rivelato legittimamente, da giornalista, i crimini perpetrati in Iraq, Afghanistan e in altri scenari di guerre d’aggressione Usa e Nato. Negli Usa, Assange rischia la pena di morte per “spionaggio”. L’arresto di Assange è stato la vendetta del presidente Moreno dell’Ecuador per le rivelazioni di Wikileaks sulle sue ruberie e i suoi nascondimenti nei paradisi fiscali ed è stato premiato dall’FMI  con un prestito di 1,3 miliardi di dollari al regime ecuadoriano in bancarotta, prestito fino a quel momento trattenuto.

Lo stesso discorso vale per la transgender Chelsea Manning, che, da soldato in Iraq, quando era analista dell’Intelligence del Pentagono, passò a Wikileaks la documentazione delle atrocità perpetrata in Iraq e documenti sulle cospirazioni di Pentagono e Dipartimento di Stato contro i governi sgraditi. Dopo 6 anni di prigione, Chelsea è stata di nuovo carcerata e posta in isolamento per essersi, da autentica eroina, rifiutata di testimoniare contro Assange davanti a un Gran Giurì segreto, autentico tribunale speciale.

Che cosa vi sareste immaginato su come si sarebbero scatenati tutti coloro che sui loro vessilli inalberano, lucente su tutte, la precedenza sulle vecchie fumisterie operaie e antimperialiste della battaglia in difesa e per la promozione dei LGBTIQ (e chi più ne ha più ne metta)? Ebbene, avete immaginato male. Su Chelsea nemmeno un inarcamento del ciglio.

Ci riflettano coloro che, nel nome di questa democrazia, si infervorano con coloro che hanno il compito di depistare, blaterando da mane a sera del pericolo di fascismo incombente, come rappresentato dai cimiteriali di Predappio, dalle stupide mazzate distraenti tra fasci e antifa, o dagli striscioni antistorici e perciò sterili qua e là.

La presunta minaccia neofascista, come ogni fenomeno terroristico provocato o consentito ad arte, deve distogliere la vista e la coscienza di quanto ci viene rivelato da guerre, sanzioni, colpi di Stato, punizioni e repressione di giornalisti (mutilati e accecati nella repressione dei Gilet Gialli), impoverimento guidato e campagne propagandistiche di diffamazione di chi, individuo, comunità o governo, dissenta.

Assange è la vittima materiale e simbolica di una strategia di negazione della libertà di comunicare al pubblico quanto questo ha il sacrosanto diritto di essere informato su azioni, provocazioni, complotti, dei regimi che curano gli interessi dell’1% dell’Umanità. Con la neutralizzazione di Assange e di Wikileaks muore, insieme alla libertà di stampa, la libertà di tutti noi di esprimere il nostro pensiero. Quello divergente dall’unico che, da duemila anni e oggi, confortato, oltreché dalla religione, dalle armi e dai persuasori aperti e occulti, pretende di governare il mondo.

Di fronte al caso Assange, i nostri giornali, editori, le nostre emittenti, i nostri organi di rappresentanza Federazione della Stampa (FNSI) e Ordine dei Giornalisti, restano muti e indifferenti, in tacita complicità, reattivi solo quando qualcuno si azzarda a denunciare l’evidentissima abbandono da parte della maggioranza dei media dei minimi principi di deontologia, onestà, coraggio, indipendenza.

Dall’Australia agli Usa, da Londra a Berlino, da Caracas a Parigi si manifesta contro la persecuzione di Assange. Qui ci si mobilita contro Di Battista che ha dato dei cortigiani a certi giornalisti, quando il sinonimo “embedded” è di sacrosanto uso corrente dalla guerra all’Iraq dato che vale per il 90% della professione.

Sign the Petition

Free Julian Assange, before it’s too late. Sign to STOP the USA Extradition

change.org

http://canempechepasnicolas.over-blog.com/2019/05/petition-internationale-pour-la-liberation-de-julian-assange.html?utm_source=_ob_email&utm_medium=_ob_notification&utm_campaign=_ob_pushmail

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 15:03