Val Susa, passeggiata No Tav da Venaus verso Chiomonte

In corteo alcune centinaia di persone, il tentativo di avvicinarsi al cantiere
08 luglio 2017

Marcia No tav (foto Tanzilli) 

Alcune centinaia di No Tav si sono radunati a Venaus, in Valle Susa, per l’inizio di una “passeggiata” verso la zona del cantiere dell’alta velocità di Chiomonte.

“Vogliamo riaffermare con orgoglio – ha detto una speaker – la nostra libertà di movimento. La polizia ha bloccato i sentieri ma noi sappiamo arrivare dove vogliamo”. Fra i partecipanti all’iniziativa ci sono anche gli attivisti della Fai-Federazione anarchica torinese.

Gruppi di No Tav hanno però attraversato i boschi della Valle di Susa, muovendosi dall’abitato di Giaglione, per avvicinarsi al cantiere di Chiomonte.
I dimostranti, fra cui ci sono gli attivisti del centro sociale Askatasuna, sono oltre 200.
Alcune decine, percorrendo la strada sterrata principale, hanno incontrato uno sbarramento presidiato dalle forze dell’ordine.
Altri, per aggirare il blocco, hanno imboccato i sentieri che serpeggiano sul costone di una montagna. L’intera zona è interdetta al passaggio da un’ordinanza del prefetto. L’obiettivo della manifestazione No Tav, secondo uno dei promotori, è dimostrare che “nonostante i divieti, possiamo andare dove vogliamo”.

La marcia dei No Tav verso il presidio di Venaus

Due gionalisti per scrivere “verso il presidio di Venaus”?
Cori di protesta e insulti rivolti a polizia e carabiniere, disposti dall’altra parte delle barricate poste per vietare l’avvicinamento all’area del cantiere dell’alta velocità
Ultima modifica il 09/07/2017 alle ore 07:59
federico genta
torino
Sono un’ottantina i No Tav che questa mattina, sabato 8 luglio, hanno raggiunto il presidio di Venaus. Ma è soltanto una parte dei partecipanti alla marcia che farà tappa a Giaglione per poi salire, nel primo pomeriggio, verso la Clarea e gli accessi, rigorosamente sbarrati, del cantiere dell’alta velocità. Poco prima di pranzo il corteo comprendeva circa 200 persone. Alle due il gruppo è partito dai campi sportivi di Giaglione e ha iniziato la salita verso la Clarea. 
I CORI CONTRO POLIZIA E CARABINIERI  
I No Tav hanno raggiunto le barriere poste dalla polizia, dopo l’ordinanza del ministero che vieta l’avvicinamento all’area del cantiere dell’alta velocità. Si sono alzati cori di protesta e insulti rivolti a polizia e carabinieri, disposti dall’altra parte delle barricate. Qualcuno sta provando a sganciare le corde d’acciaio che reggono le griglie di ferro. Altri, invece, hanno scelto il sentiero più a monte, nel tentativo di eludere i controlli. 
LA MANIFESTAZIONE  
Questo il senso della manifestazione, tra le righe del comunicato diffuso in questi giorni per richiamare il maggior numero possibile di partecipanti: «Ci mettiamo in marcia verso la Clarea per ribadire ancora una volta, con impegno e partecipazione, il diritto a muoversi liberamente nella nostra terra. Non ci abitueremo mai e nemmeno ci rassegneremo inermi, a lasciare porzioni del nostro territorio a chi vuole devastarlo con il Tav, mettendo guardiani, di non si capisce cosa, sulle strade della nostra Valle. Vogliamo affermare con orgoglio la nostra libertà di movimento, in Valle come ovunque, senza fili spinati o controlli di documenti, e lo vogliamo fare nel miglior modo possibile, quello che conosciamo meglio: mettendoci in cammino, ancora una volta, sempre, ogni volta che ce ne sarà bisogno
I LEADER DEL MOVIMENTO  
A Venaus sono già presenti i leader del Movimento come Alberto Perino, gli attivisti di Askatasuna e gli anarchici della Federazione torinese. Ma soprattutto ci sono tante famiglie della bassa e alta Valle, determinati a contestare un’opera che loro continuano a giudicare inutile e incapace di dare risposte a un territorio che avrebbe bisogno di altri investimenti. 

Traforo del Frejus: c’è chi fa allarmismo ingiustificato sulla presunta insicurezza.

“Il tunnel del Frejus oggi non può più essere utilizzato per il trasporto concorrente di merci e viaggiatori”, “le altre gallerie superiori al Km sulla tratta Bussoleno – Salbeltrand […] dal punto di vista della sicurezza risultano poco più che semplici fori nella montagna”, “la linea tra Bussoleno, Modane ed in Francia sino a St. Jean de Maurienne, non può più essere utilizzata per il transito internazionale delle merci e dei viaggiatori; la sua capacità è fortemente limitata dalla sicurezza”.

Queste la frasi comparse sul sito veritav.net in un documento firmato da uno sconosciuto Gruppo Esperti Veritav. La stessa redazione del sito (priva di nomi e cognomi in chiaro) afferma nel post con l’evocativo titolo  “L’insostenibile leggerezza sulla sicurezza ferroviaria della tratta di valico della linea storica” che vi sono “gravi problemi di sicurezza presenti nelle gallerie della tratta di valico tra Bussoleno e Saint Jean de Maurienne (ed in primis nel vecchio tunnel del Frejus)”.

Ad apprendere tali parole, tra l’altro già pronunciate in passato da chi vuole procurare allarme presso la popolazione e l’utenza, rimaniamo davvero stupiti. Rete Ferroviaria Italiana, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e l’Agenzia Nazionale per la Sicurezza Ferroviaria stanno forse permettendo il passaggio di treni, passeggeri e merci italiani ma anche francesi (ad esempio il TGV) su di una linea non sicura con delle gallerie pericolose e inadeguate?

Sinceramente pensiamo di no, ma vorremmo una risposta dagli enti responsabili dell’esercizio della linea e della vigilanza, anche perchè se quell’infrastruttura non dovesse essere all’altezza di un livello di sicurezza adeguato significherebbe che la stragrande maggioranza delle infrastrutture stradali e ferroviarie presenti sul territorio nazionale non sarebbero conformi agli standard.

In alternativa riteniamo che gli autori del post debbano essere indagati per “procurato allarme”. Stessa indagine che toccò al Presidente di ProNatura quando ebbe a dire che la mancanza della rete paramassi presso il Cantiere TAV di Chiomonte (tra l’altro prescritta dal CIPE ed in seguito a quell’esposto realizzata, anche se non in conformità con le specifiche progettuali), poteva rappresentare un problema per la sicurezza del cantiere ovvero delle maestranze e delle forze dell’ordine poste a presidio.
Non vogliamo credere che dietro le esternazioni del sito Veritav risieda solo la volontà di instillare qualche dubbio sulla popolazione per riuscire a convincere con la paura ciò che i dati tecnici non riescono a fare ovvero la necessità di realizzare a tutti i costi la Nuova Linea Torino-Lione.

Sicuramente la Magistratura vorrà fare luce sulla vicenda ponendo un’interdittiva al traffico ferroviario (cosa che non crediamo, viste le certificazioni di sicurezza) oppure iscrivere nel registro degli indagati chi procura un allarme ingiustificato minando la serenità dei cittadini e dei pendolari, nonché dei lavoratori che espletano il loro incarico sulla linea predetta.

Infine, richiamiamo quanto già detto nella nostra nota “Ferrovie: la vigilanza e i sistemi di sicurezza sono ancora disomogenei” ovvero che tutte le linee ferroviarie, proprio per garantire la sicurezza standardizzata e all’avanguardia di RFI, siano poste sotto l’autorità dell’ANSF e gestite da Rete Ferroviaria Italiana.

Attendiamo, quanto prima, le risposte dagli organi competenti.

La vera storia del cunicolo esplorativo della Maddalena di Chiomonte

TG Valle Susa

L’arch. Virano, direttore di TELT (Tunnel Europeenne Lyon Turin) ha dichiarato che il cunicolo geognostico della Maddalena di Chiomonte è stato realizzato nei modi e nei tempi previsti. Anche in questo caso si tratta di un’affermazione non vera.

Comunicato Stampa

La vera storia del cunicolo esplorativo della Maddalena di Chiomonte
Nel telegiornale del Piemonte delle 19,30 di lunedì 10 luglio l’arch. Virano, direttore di (Tunnel Europeenne Lyon Turin) ha dichiarato che il cunicolo geognostico della Maddalena di Chiomonte è stato realizzato nei modi e nei tempi previsti. Anche in questo caso si tratta di un’affermazione non vera. I tempi di realizzazione del cunicolo previsti dal progetto definitivo erano 36 mesi, mentre invece i lavori sono terminati dopo 50 mesi, fermandosi però 500 metri prima del previsto. Lo scavo era iniziato il 1° dicembre 2012 ed è terminato il 1° febbraio 2017; considerato
che sono stati scavati 500 metri in meno si può calcolare un aumento dei tempi del 50%, ciò che in un’opera ad appalto è considerato un fallimento.

Eppure, ancora a fine dicembre 2013, nella relazione annuale in Prefettura, con le dichiarazioni ufficiali riportate da “La Valsusa” e da “Luna nuova”, Virano aveva garantito con fermezza, e va sottolineata la forza con la quale prese l’impegno, che l’opera sarebbe stata finita entro il 31 dicembre 2015. Quindi non si sarebbe perso il contributo europeo che scadeva in tale data. Per quanto riguarda i costi, il tunnel di 7020 metri (e non di 7550 metri come doveva essere) è costato 173 milioni di euro invece dei 143 milioni fissati dal CIPE: tenendo conto della parte non realizzata, l’aumento dei costi è stato del 29% e non si possono imputare i maggiori costi alla sicurezza, perchè questi oneri, compresi quelli per i mezzi meccanici messi a disposizione delle Forze dell’ordine, sono stati a carico del Ministero dell’Interno.

Il grande interrogativo che Virano dovrebbe spiegare resta comunque per quale motivo TELT abbia abbandonato lo scavo prima di terminarlo e cosa ci fosse in quei 500 metri che doveva scavare e non ha scavato.

 

Il presidente   
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VALSUSA, TORNA IL FESTIVAL DELL’ALTA FELICITÀ CON TANTI CONCERTI GRATUITI

  

Riceviamo dall’UFFICIO STAMPA DI ALTA FELICITÀ

VENAUS – Dopo il successo della prima edizione, il Movimento No Tav, in collaborazione con il Comune di Venaus, organizza il Festival Alta Felicità 2017 che si terrà dal 27 al 30 luglio. Le parole d’ordine saranno: alta felicità a bassa velocità.

Un appuntamento per mandare un forte segnale al governo italiano, tutti insieme, sul come vanno investiti i denari pubblici: non in un’opera inutile e dannosa come il Tav, ma a favore della cura e della messa in sicurezza del territorio. Per mettere al riparo tutti i cittadini del nostro paese da tragedie, come quelle causate dal terremoto e dalle alluvioni, a volte facilmente prevedibili con una politica seria di prevenzione.

A Venaus, una porzione della valle sarà interamente chiusa al traffico. Lasceremo le nostre auto e per qualche giorno fermeremo insieme il tempo e il consumo, per scoprire i segreti della natura e della vita tra le montagne. Percorsi a piedi, zone di campeggio, palchi e arene naturali in cui vivere momenti di scambio, pace e tranquillità. Come lo scorso anno sarà attivo il servizio navetta da Susa a Venaus dalle 10 alle 4 del mattino. Sarà possibile lasciare la propria auto nei parcheggi segnalati nella città di Susa.

Oltre quaranta mila persone partecipanti all’edizione del 2016 e un centinaio di artisti da tutta Italia sono intervenuti portando la loro musica e la loro arte per il pubblico e per la causa No Tav.

All’appello lanciato per il Festival 2017 hanno aderito un centinaio di artisti italiani e internazionali tra cui: Lo Stato Sociale, Bandabardò, Omar Pedrini, Africa Unite, Eugenio Bennato, Clementino, Roy Paci, Mau Mau, Dubioza Kolektiv, Stefano Benni, il recente premio Strega Paolo Cognetti, Wu Ming1, Marco Aime, Luca Mercalli, Giuseppe Sergi, Michela Murgia e moltissimi altri.

Ogni attività proposta sarà gratuita e completamente accessibile. Per il pernottamento saranno messe a disposizione aree campeggio dotate di docce e servizi igienici e anch’esse gratuite.

Quattro giorni di musica, performances, dibattiti e gite che si susseguiranno nelle diverse aree naturali raggiungibili a piedi attraverso sentieri, opportunamente indicati, tra i boschi, i fiumi e le montagne della Valle di Susa e delle Alpi Cozie.

Tra le vie del paese di Venaus, come lo scorso anno, sarà allestito il mercato consapevole.

Tutto questo contando su un pubblico che non si senta cliente ma parte attiva dell’evento; proprio per questo è stata lanciata la campagna “Diventa Protagonista”, un modo per partecipare all’organizzazione mettendo a disposizione anche solo poche ore del proprio tempo.

Anche per chi non potrà partecipare sarà possibile dare il proprio contributo sostenendo l’organizzazione attraverso una donazione libera.

L’ospitalità e il reciproco scambio come forma di organizzazione e difesa di una comunità e di un territorio: la Valle ha sempre vissuto di questo. Una valle che in quei giorni mostrerà tutti i suoi fiori con un’idea semplice, diversa e opposta al consumo frenetico della vita e dell’ambiente.

Ventimiglia, stop ai pasti della Caritas: seicento migranti restano senza cibo

per quanti individui SENZA REDDITO e con la cittadinanza autoctona E’ QUESTA LA caritas pranziREALTA’ QUOTIDIANA? Eppure non indigna nessuno la loro condizione. Eppure ci sono tanti filantropi e tanti solidali che però i quattrini dalle loro tasche non li tirano fuori, solo fiato dalla bocca, giusto per parlare di eguaglianza. Ma il fiato dalla bocca non esce per chiedere aiuto per i pensionati che frugano nei cassonetti a fine mercato, per dare reddito e pensioni dignitose che non costringano a commettere furto di generi alimentari e finire denunciati per una scatoletta di tonno o un pacco di mortadella, che non sfrattino di casa ultra ottantenni.

Ventimiglia, stop ai pasti della Caritas: seicento migranti restano senza cibo
La Diocesi si arrende: costi troppo alti, spazi angusti e pochi volontari
 
I due biglietti attaccati all’ingresso della Caritas di Ventimiglia: da oggi solo colazioni, sospeso il servizio di distribuzione pasti
 
«Only breakfast», «Seulement tè et biscuits»: ovvero, soltanto colazione, tè e biscotti. Sono due fogli scritti con pennarello rosso e nero che segnalano, all’ingresso della Caritas di Ventimiglia, la resa della Diocesi. Stop alla distribuzione del pranzo, quindi: restano soltanto le colazioni. Un bicchiere di tè, qualche biscotto, un pezzo di pane. È una decisione inaspettata e drastica quella adottata dalla Caritas. Seicento persone al giorno restano senza pranzo. I volontari sono troppo pochi, i costi troppo alti, gli spazi decisamente esigui. «E poi, con il centro d’accoglienza al Parco Roja che è appena stato ampliato – spiega il coordinatore ventimigliese Cristian Papini – è anche un gesto di responsabilità», nei confronti di una città che ha dato tanto e che oggi fa fatica a convivere con un numero di profughi in continua crescita.
Nella città di confine, è ancora emergenza. Il greto del fiume Roja è stato sgomberato soltanto una decina di giorni fa, lunedì 26 giugno. Ma il «villaggio» dei migranti è ricomparso. Qualche straccio per terra al posto dei materassi, i panni stesi dopo il bucato nel fiume, i sacchetti con le cianfrusaglie appoggiati accanto ai giacigli. Gli «ospiti» del «villaggio» sono tutti ragazzi, non parlano né francese né inglese, sono spaventati e hanno paura di inserirsi nella struttura della Prefettura, gestita dalla Croce rossa, al Parco Roja. Timore infondato, come tanti volontari delle associazioni cercano di far sapere a quanti più stranieri possibile: quasi tutti sono stati identificati all’arrivo in Italia e, entrando al centro d’accoglienza, non subiranno limitazioni alla loro libertà di movimento.
 
Il «villaggio» nel greto del fiume Roja era stato lasciato una decina di giorni fa dai profughi nel cuore della notte, con una «marcia» cominciata poche ore prima dell’arrivo delle ruspe inviate dal Comune a ripulire un’area ormai in condizioni di igiene precarie. Gli stranieri si erano dispersi nei boschi tra Italia e Francia, ma quasi tutti erano stati poi «intercettati» dalla polizia d’Oltralpe, «riammessi» all’interno dei confini italiani e infine trasferiti a Taranto con i pullman. Uno scenario che, a osservare il greto del Roja in queste ore, «ripopolato» di stranieri, non è escluso che possa ripetersi.
Ventimiglia, in questi giorni di inizio luglio, con la Francia di Macron che ha appena ribadito la proroga della sospensione di Schengen, si conferma un «imbuto». Le frontiere restano chiuse, i controlli sono a tappeto, gli stranieri che arrivano in Riviera pensando di poter continuare il loro viaggio della speranza verso altri Paesi del Nord Europa fanno fatica a entrare in Francia. Ci provano camminando lungo l’autostrada (dove ormai da mesi c’è l’avviso luminoso «pietons», cioè pedoni, che invita gli automobilisti a procedere con attenzione), nascondendosi sui treni, o ancora camminando nelle buie gallerie ferroviarie. Percorsi alternativi rispetto alle strade, pattugliate soprattutto sul versante francese. Ma anche percorsi molto pericolosi, dove in tanti hanno già trovato la morte.
 
Lunedì la Caritas di Ventimiglia ha distribuito gli ultimi pasti, da martedì il servizio è bloccato. «A giugno abbiamo dato da mangiare a 6.200 persone, a maggio a 5.100», snocciola i dati degli ultimi mesi il direttore della Caritas Diocesana, Maurizio Marmo. Il sodalizio ha letteralmente sfamato migliaia di profughi, dando un significato concreto e positivo al termine accoglienza, grazie all’impegno dei suoi vertici e alla generosità di tanti volontari che mai si sono risparmiati per aiutare gli stranieri. Il servizio «ristorante» per il pranzo è partito a febbraio di quest’anno, in seguito alla chiusura a nuovi ingressi del vicino centro d’accoglienza (per la manutenzione dei moduli abitativi). «Ora che il centro al Parco Roja è stato ampliato – ancora Papini – speriamo che i profughi si spostino lì. Qui, la situazione non era più gestibile». Restano attivi gli altri aiuti dedicati agli stranieri: oltre alle colazioni per i migranti (ieri ne sono state distribuite 637), i profughi trovano alla Caritas cambi d’abito e scarpe, donati dai ventimigliesi e non solo.
 
E sta per chiudere anche un altro «servizio» per i migranti: il centro dedicato a donne e bambini allestito nella vicina parrocchia di Sant’Antonio, alle Gianchette. Entro la prossima settimana sempre al campo Roja sarà pronta una zona dedicata proprio a mamme e bimbi. L’obiettivo, caldeggiato dal Comune e portato avanti dalla Prefettura, è concentrare gli stranieri, evitando «accampamenti» e tentando di limitare in qualche modo i disagi per la città. Tentando di dare un’accoglienza più dignitosa ai profughi, che continuano però ad affollare il greto del fiume Roja.

Istat: “In Italia cinque milioni di poveri assoluti”

Poverta-assoluta-raddoppiata-in-9-anniaggiungiamo a questo numero anche chi vive in condizioni di povertà relativa e peggio ancora i working poors (ossia i lavoratori che percepiscono un reddito incapace di garantire una minima sopravvivenza)?. Non contiamoli, fingiamo che non esistano mi raccomando, noi dobbiamo salvare i profughi economici da altrove. Questo sì che è civile. Bisogna poi salvare le BANCHE, GUAI A “SPRECARE” SOLDI PER IL REDDITO DI CITTADINANZA.
Abbiamo un tasso di occupazione del 57% (sorvoliamo sul fatto che vengano inclusi anche chi lavora 1 ora in un anno con i voucher et similia) chi se ne frega di come vive SENZA REDDITO il 43%, saran tutti ricchi figli di papà, con le LAUTISSIME PENSIONI elargite agli italiani c’è di che spassarsela, 63% delle pensioni SOTTO I 750 EURO.
In questo quadro, si deve ancora subire anatemi e paternali da parte di politicanti da 20 MILA EURO AL MESE sulla loro indignazione a fronte delle basse cifre dichiarate nei redditi da parte degli italiani? Ma cos’è scherzi a parte? Ormai pare che lo sport che le sanguisughe al potere amano di più sia OFFENDERE gli italiani mentre li condannano a morte per fame.
 
In 6 anni 85 MILIARDI ALLE BANCHE, solo nel DEF 2017 quasi 5 MILIARDI (sono molti di più considerate le voci scorporate per le varie operazioni collegate) per gli indigenti italiani? 2 miliardi per 400 mila famiglie, per essere un reddito di inclusione DI POVERI NE ESCLUDE PARECCHI.
 
L’Istat ha stimato in 17 milioni 469 mila le persone a rischio povertà o esclusione sociale in Italia nel 2015. Una percentuale pari al 28,7% degli abitanti. Secondo la Strategia Europea contro la povertà, entro il 2020, l’Italia dovrebbe ridurre gli individui a rischio sotto la soglia dei 12 milioni 882 mila FONTE
Istat: “In Italia cinque milioni di poveri assoluti”
 
In situazione di indigenza 1,6 milioni di famiglie. Peggiora la situazione dei giovani
 
La povertà in Italia non scende. Anzi per le famiglie con tre e più figli aumenta in maniera drammatica. La fotografia dell’Istat, in attesa che decollino concretamente le nuove iniziative del governo (il nuovo Sia, il Sostegno di inclusione attiva andrà a regime solo dopo l’estate), è desolante. Nel 2016, infatti, si stima siano ancora 1 milione e 619 mila le famiglie residenti in condizione di povertà assoluta, nelle quali vivono 4 milioni e 742 mila individui. Rispetto al 2015 si rileva una sostanziale stabilità della povertà assoluta in termini sia di famiglie sia di individui, segno che la situazione economica del paese stenta a migliorare. Tant’è che l’incidenza di povertà assoluta sul totale delle famiglie è pari al 6,3%, praticamente in linea con i valori stimati negli ultimi quattro anni. Per gli individui, l’incidenza di povertà assoluta si porta al 7,9% rispetto al 7,6% del 2015, una variazione che però l’Istat definisce “statisticamente non significativa”.
Tra le famiglie con tre o più figli minori l’incidenza della povertà assoluta aumenta quasi del 50% passando dal 18,3 al 26,8%. Ad essere coinvolte sono così 137.711 famiglie ovvero 814.402 individui. Aumenta anche l’incidenza fra i minori che sale dal 10,9% al 12,5% e nel complesso interessa 1 milione e 292 mila soggetti. L’incidenza della povertà assoluta, specifica l’Istat nel suo ultimo rapporto, aumenta al Centro in termini sia di famiglie (5,9% da 4,2% del 2015) sia di individui (7,3% da 5,6%), a causa soprattutto del peggioramento registrato nei comuni fino a 50mila abitanti al di fuori delle aree metropolitane (6,4% da 3,3% dell’anno precedente).
 
Rispetto al 2015 la povertà relativa risulta stabile: nel 2016 riguarda il 10,6% delle famiglie residenti (10,4% nel 2015), per un totale di 2 milioni 734mila, e 8 milioni 465mila individui, il 14,0% dei residenti (13,7% l’anno precedente). Anche questa condizione è più diffusa tra le famiglie con 4 componenti (17,1%) o 5 componenti e più (30,9%) e colpisce di più i nuclei giovani: raggiunge infatti il 14,6% se la persona di riferimento è un under 35 mentre scende al 7,9% nel caso di un ultra sessantaquattrenne. Ultimo dato: l’incidenza di povertà relativa si mantiene elevata per gli operai e assimilati (18,7%) e per le famiglie con persona di riferimento in cerca di occupazione (31,0%).
Pubblicato il 13/07/2017
Ultima modifica il 13/07/2017 alle ore 15:58 paolo baroni

“Evitare il rialzo dell’età pensionabile a 67 anni costerebbe 1,2 miliardi”

boeri-poletti-675i soldi ci sono solo per le banche e mafia capitale. Per i pensionandi calci nel …. grazie compagni

Ma non c’erano le risorse che pagavano le pensioni?


Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti e il presidente dell’Inps Tito Boeri
 
Costerebbe circa 1,2 miliardi di euro impedire l’aumento dell’età per la pensione a 67 anni. È quanto si apprende da fonti vicine al dossier. Sarebbe quindi questa la stima dell’impatto sulla spesa pensionistica. Effetto che si produrrebbe nel 2019 se si decidesse di bloccare l’asticella a 66 anni e 7 mesi. Il congelamento della misura che prevede l’adeguamento automatico all’aspettativa di vita è al centro del dibattito sulle pensioni, visto che la decisione deve essere presa entro quest’anno.
 
I sindacati chiedono di intervenire per evitarlo. Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti rispondendo circa la possibilità di incontro già a luglio spiega: «Valuteremo con i sindacati se il grado della discussione tecnica ci consente un confronto politico».
Ultima modifica il 13/07/2017 alle ore 15:58

Migranti, no di Liguria, Lombardia e Veneto al piano di integrazione: “Per noi sono clandestini”

Protesta-profughi-620x264ma ci pagano le pensioni e lavorano per noi

«Questo documento vuole rendere ufficiale la resa dell’Italia di fronte all’invasione di clandestini che stiamo subendo. Mentre Renzi e Gentiloni propongono in modo aleatorio di aiutare gli immigrati a casa loro, il governo vuole approvare un documento che sembra più un manifesto di partito. Dovrebbe essere un testo rivolto all’integrazione dei rifugiati politici e invece vuole dare indicazioni agli enti locali anche sull’accoglienza degli aspiranti profughi».
 
Così gli assessori regionali con delega all’Immigrazione di Liguria, Lombardia e Veneto, Sonia Viale, Simona Bordonali e Manuela Lanzarin, in merito al piano nazionale di integrazione per i titolari di protezione internazionale, presentato dal ministero dell’Interno alle Regioni.
«Il ministero con un documento ufficiale vuole catechizzare gli italiani sul linguaggio da utilizzare, bandendo espressioni come «migranti illegali» o «clandestini» – prosegue la nota – Noi non ubbidiremo ad assurde imposizioni linguistiche e continueremo a utilizzare questi termini senza alcun problema, visto che sono contenuti nel dizionario della lingua italiana».
I tre assessori sottolineano come nel piano ci sia l’invito del governo ad «aprire su tutto il territorio nazionale nuovi luoghi di culto, con particolare riferimento alle moschee. Punto che non ci trova d’accordo anche per la poca chiarezza sulla provenienza dei fondi utilizzati per costruire centri islamici».
 
Contrari anche al fatto che «vengono addossati a regioni ed enti locali tutti i costi economici e sociali della presa in carico sanitaria educativa e sociale dei richiedenti asilo. Il governo Gentiloni vorrebbe che fossero gli enti locali a mettere le pezze a un sistema di accoglienza fallimentare e malato, senza nemmeno prevedere risorse da destinare ai progetti.
Di fatto – prosegue la nota – si tratta di un documento di partito, in cui si parla ancora di immigrati che pagano le pensioni agli italiani e si suggerisce di dare priorità agli immigrati nell’assegnazione di lavoro e di case popolari. Siamo alla follia, al razzismo contro gli italiani» attaccano Viale, Bordonali e Lanzarin. Secondo i tre assessori bisogna invece applicare i punti contenuti nella Carta di Genova, siglata da Liguria, Lombardia e Veneto lo scorso anno: dichiarazione stato di emergenza, stop agli sbarchi con presidi in Nordafrica e rimpatrio immediato di tutti i clandestini. «Solo rispettando le regole di base e con un numero contenuto di arrivi sarà possibile attuare reali politiche di integrazione di chi davvero fugge dalla guerra, ossia solo il 5% delle persone che stiamo accogliendo attualmente» concludono.
Pubblicato il 13/07/2017
Ultima modifica il 13/07/2017 alle ore 16:33

risorse per le nostre pensioni

sbarchi

SOLO IERI 1.100 (+ 2700 DEL GIORNO ANCORA PRECEDENTE)

viva mafia capitale, paghiamo le tasse, EVASORI!!! si si certo, salviamo vite eh vuoi che il Pd, Ongs, e filatropi vari non siano ossessionati dal salvare vite umane, peccato che ai sottostimati 5 MILIONI di italiani che vivono sotto la soglia di povertà NON FREGA NULLA

Migranti, dieci navi con 7300 profughi arrivano in Italia: dove sbarcheranno
ROMA – Ben dieci navi con a bordo oltre 7300 migranti salvati negli ultimi giorni al largo della Libia stanno per approdare sulle coste di tutto il Sud Italia.
 
L’arrivo delle navi, a seconda del porto di destinazione, è previsto tra oggi e la giornata di sabato. Al momento, gli scali indicati sono Corigliano Calabro e Vibo Valentia in Calabria, Bari e Brindisi in Puglia, Porto Empedocle e Catania in Sicilia, Salerno in Campania.
Giovedì 13 Luglio 2017, 13:12 – Ultimo aggiornamento: 13-07-2017 13:19

SOLO IERI (+ 2700 DEL GIORNO ANCORA PRECEDENTE)

Soccorsi altri 1.100 migranti, in arrivo migliaia in Sicilia
di Redazione
Altri 2.700 erano stati salvati ieri, ora sono tutti a bordo di diverse navi dirette nell’Isola, da Pozzallo a Trapani ad Augusta
ROMA – Solo questa mattina sono stati 1.100 i migranti salvati davanti alla Libia in diverse operazioni di soccorso coordinate dalla Centrale operativa della Guardia Costiera di Roma. I migranti – un gruppo di 740 era a bordo di un barcone mentre il resto era su tre barche di piccole dimensioni ed un gommone – sono stati recuperati e si trovano ora a bordo di nave Diciotti della Guardia Costiera. La centrale operativa sta coordinando ulteriori interventi di soccorso che coinvolgono sia
nave Diciotti sia altre unità in zona.

Sono circa 2700 invece i migranti soccorsi ieri in una ventina di interventi coordinati dalla Guardia Costiera. Oggi sono in corso interventi che riguardano 3677 persone soccorse. Sono stati inoltre avvistati quattro gommoni, ed è stata ricevuta una chiamata per soccorrere un barcone sul quale si troverebbero circa 900 migranti.

Fra gli interventi di oggi, la nave Peluso è sbarcata stamattina a Pozzallo 481 persone, mentre altre 423 arrivano a Trapani con la nave Phoenix (Ong). Sono inoltre in arrivo le navi delle Ong Open Harms, con 403 persone a bordo, Aquarius, con 860 persone, Vos Prudence, con 935 persone, e Vos Hestia, che trasporta 577 migranti.

http://www.lasicilia.it/news/cronaca/94644/soccorsi-altri-1-100-migranti-in-arrivo-migliaia-in-sicilia.html