Appello da Gaza per la manifestazione del 30 Novembre a Torino

naturalmente se si partecipa e si solidarizza con il popolo palestinese si è antisemiti, brutti sporchi e cattivi e da assassinare immediatamente….
  
In questo breve video, cinque attivisti di Gaza invitano, ciascuno con le sue motivazioni, a partecipare alla manifestazione del 30 novembre a Torino contro il vertice Letta-Netanyahu.
 
In ordine di apparizione, essi sono:
Mariam Abudaqqa membro del PFLP e presidente dell’associazione “Palestinian Development Women Studies Associations”;
Mohammad Abedulla, movimento BDS e direttore del Palestine Network;
Khalil Shahreen, direttore del dipartimento per i diritti sociali ed economici del PCHR (Palestinian Center for Human Rights;
Mohammed Hassona, IAP;
Eman Sourani, attivista BDS.
In particolare, Khalil, nel suo ruolo di avvocato evidenzia come l’occupazione e l’assedio israeliano siano illegali secondo la legislazione internazionale, e come Netanyahu in particolare sia un criminale di guerra; Eman, da attivista BDS, spiega l’importanza di boicottare Israele; e Mariam riesce a dare una visione più ampia del problema, definendo senza mezzi termini l’occupazione sionista come “fascista”, e ricordando come il problema di fondo sia il capitalismo, che si declina nell’occupazione sionista della Palestina, ma anche nelle oppressioni quotidiane che tutti i popoli del mondo sono costretti a subire.
 
Per informazioni sulla manifestazione e le attività collegate:

La commissione europea boccia l’Italia, lacrime e sangue anche nel 2014

16 nov. (Adnkronos) –

Per la Commissione europea “c’e’ il rischio” che la Legge di Stabilita’ per il 2014 “non consentira’ all’Italia di rispettare” l’obiettivo per la riduzione del debito” nel prossimo anno. E’ quanto afferma la Commissione Ue nei suoi commenti sulla bozza della Legge di Stabilita’ per il 2014.
La Commissione ritiene inoltre che la bozza di Legge di Stabilita’ “dimostra progressi limitati per quanto riguarda la parte strutturale delle raccomandazioni fiscali emanate dal Consiglio nell’ambito del semestre europeo”.

“Per l’Italia c’e’ un rischio che, con i piani correnti, la regola della riduzione del debito non sara’ rispettata nel 2014”. E’ quanto indicato nella comunicazione della Commissione sulla valutazione delle leggi di stabilita’ dei paesi dell’Eurozona.

La bozza di Legge di Stabilita’ analizzata da Bruxelles mette l’Italia a rischio di “non rispetto delle regole su deficit contenute nel Patto di stabilita’”: questa l’opinione della Commissione che mette l’Italia nel gruppo dei Paesi a piu’ alto rischio di sforamento dei parametri.

L’Italia “non puo’ sfruttare la clausola di investimento nel 2014 in quanto, sulla base delle previsioni economiche di autunno della Commissione, non realizzerebbe l’aggiustamento strutturale minimo necessario per portare il rapporto debito-Pil su un percorso di riduzione sufficiente”. E’ quanto ha concluso la Commissione europea nei suoi commenti sulla bozza della Legge di Stabilita’ per il 2014.

La Commissione chiede inoltre di “accelerare i progressi per attuare le raccomandazioni fiscali nell’ambito del semestre europeo”. Secondo le regole del Two-Pack, la Commissione puo’ chiedere un piano riveduto se ha individuato inosservanze particolarmente gravi negli obblighi della politica di bilancio previsti dal Patto di stabilita’ e crescita. Ma, si spiega dalla Commissione, “non e’ stato il caso in questo round”. Cioè, per ora.

http://www.ilnord.it/c-1821_COMMISSIONE_EUROPEA_BOCCIA_LA_LEGGE_DI_STABILITA_ITALIANA_E_AVVERTE_NIENTE_INVESTIMENTI_NEL_2014_TAGLIARE_E_TASSARE

La UE si accanisce contro la Spagna: chiesti altri 3 miliardi di tagli

Pubblicato da ImolaOggiEUROPA UE, NEWSnov 16, 2013
dittat15 NOV – Madrid nel luglio 2012 aveva avuto accesso a un credito di 41 miliardi di euro del nuovo fondo salva stati finalizzato alla ristrutturazione e ricapitalizzazione delle banche. Un prestito che si chiuderà in gennaio, ma i ricatti non sono finiti. La Spagna, però, «deve proseguire con le riforme», ha messo in chiaro il presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem.
Il bilancio di previsione della Spagna per il 2014 non garantisce di centrare l’obiettivo di riduzione del deficit al 5,8% del Pil fissato dalla Ue e per questo la Commissione Europea ha chiesto al governo di Mariano Rajoy tagli aggiuntivi – fra lo 0,1% e lo 0,3% del Pil – pari a una somma fra uno e tre miliardi di euro.
Ne danno notizia fonti comunitarie citate dai media iberici. Spetterà alle autorità spagnole indicare le misure per l’ulteriore taglio del deficit.(ANSAmed).
http://www.imolaoggi.it/2013/11/16/la-ue-si-accanisce-contro-la-spagna-chiesti-altri-3-miliardi-di-tagli/

Torino: ha mandato 5 anziane all’ospedale, catturato rapinatore romeno

meglio censurare altrimenti danno del razzista. E le vittime? Se denunciano l’aggressione, vorrà dire che son razziste anche loro.
Poi le anziane non sono donne, la cronaca della tv che ci filtra le notizie non le ritiene degne di tutela né di solidarietà.

Pubblicato da ImolaOggi CRONACA, NEWSnov 12, 2013
vasile12 nov –  (la stampa) Nel suo giaciglio di fortuna aveva borse, pettini da donna, portafogli. È stato arrestato il «rapinatore delle 7» che colpiva le sue vittime – tutte donne, spesso anziane – sempre intorno alle 7 di mattina o di sera. La polizia gli attribuisce cinque rapine, per le quali è scattato l’arresto, ma sospetta che potrebbe essere il responsabile di altre dieci.
La sua abitudinarietà ha aiutato gli inquirenti a catturarlo. Agiva sempre nella stessa zona, lungo l’asse di corso Francia, quartiere Parella, e con la stessa modalità: violente aggressioni a donne che uscivano dalle fermate della metro. Le colpiva alle spalle e poi sferrava loro pugni in testa o in faccia, con una violenza del tutto gratuita. Le vittime hanno riportato ferite, fratture, traumi facciali e cranici, con prognosi dai sette giorni a un mese.
A Vasile Chiriac, un senza fissa dimora, 43 anni, di origine romena, la squadra mobile della polizia è arrivata grazie alle immagini delle telecamere della zona, dopo un articolo su «La Stampa» che denunciava le aggressioni nel quartiere. Tutti gli indizi portano a lui, dai fotogrammi alle descrizioni sommarie delle vittime, passando dal ritrovamento della refurtiva in suo possesso. A incastrarlo è stata anche la sua stazza – è alto un metro e 90 – e la tuta appariscente che indossava. La squadra mobile della polizia, insieme al commissariato San Donato, ha pattugliato la zona per giorni e giorni, fino a individuare l’uomo e a pedinarlo. L’escalation di rapine violente è iniziata a metà ottobre, le aggressioni sono avvenute tra piazza Bernini, corso Monte Cucco, corso Francia, corso Vittorio. Ora si cercano testimoni.
http://www.imolaoggi.it/2013/11/12/torino-ha-mandato-5-anziane-allospedale-catturato-rapinatore-romeno/

scambio culturale.

85enne immobilizzata nella vasca da bagno e pestata dalla badante rumena

Pubblicato da ImolaOggiCRONACA, NEWSnov 19, 2013
anzianiVITERBO, 19 NOV – L’ha immobilizzata nella vasca da bagno, coprendola con sedie e altri oggetti pesanti, intanto la picchiava violentemente e la insultava: è questa la scena che i carabinieri del Norm di Viterbo si sono trovati davanti entrando in un appartamento del capoluogo.
La vittima è un’anziana di 85 anni, protagonista delle violenze la badante, una romena di 54 anni, sotto l’effetto di droghe, subito arrestata. La donna, in Italia da anni, è accusata di maltrattamenti, lesioni e violenza privata.
http://www.imolaoggi.it/2013/11/19/85enne-immobilizzata-nella-vasca-da-bagno-e-pestata-dalla-badante-rumena/

Notte brava di 3 tunisini: devastano un bar e pestano i gestori

Pubblicato da Imola Oggi CRONACA, NEWSnov 20, 2013
Rimini, 20 nov – Nella serata di lunedì il personale della Volanti della polizia è intervenuto in un bar vicino alla stazione ferroviaria di Rimini dove il gestore del locale e il figlio erano stati vittime di un’aggressione da parte di due cittadini nordafricani. Secondo quanto emerso dal racconto delle vittime, pochi minuti prima tre stranieri erano entrati nel bar e, dopo aver ordinato alcuni caffè ed una bottiglia di birra, avevano preteso di consumare nel locale alcune bevande alcoliche che si erano portati dietro.
Quando il titolare si è accorto di quello che stava accadendo, ha invitato il terzetto ad uscire ma questi, forse infastiditi dalla richiesta dell’uomo, hanno reagito violentemente colpendolo con una bottiglia al braccio. In sua difesa è intervenuto il figlio ma gli stranieri lo hanno colpito con la stessa bottiglia allo zigomo per poi fuggire senza pagare il conto. Nella foga della lite, inoltre, sono state infrante numerose bottiglie di birra, un posacenere e alcune tazzine
I titolari del bar hanno fatto in tempo a raccontare quanto accaduto e a descrivere gli aggressori agli agenti intervenuti sul posto per poi recarsi in pronto soccorso a farsi medicare. Nel frattempo, la pattuglia ha iniziato la caccia ai tre,  due dei quali sono stati rintracciati poco dopo.  Alla vista della Volante, i nordafricani hanno cercato di sottrarsi al controllo, bloccati e portati in Questura è emerso che si trattava di due tunisini di 24 e 27 anni, già noti alle forze dell’ordine, subito riconosciuti senza ombra di dubbio dai titolari del bar, lì presenti per sporgere denuncia. Gli stranieri sono stati quindi deferiti Pertanto per danneggiamento, lesioni ed insolvenza fraudolenta.

riminitoday.it

Dismettiamoli + Le privatizzazioni proposte da Letta ed il rischio di un altro caso Telecom Italia: spieghiamo il caso telefonia per capire il tranello

Privatizzazioni: 8 società interessate
Saccomanni, cessioni fino a una quota del 60%
21 novembre, 14:40
Privatizzazioni: 8 società interessate (ANSA) – ROMA, 21 NOV – Eni, Stm e Enav per le partecipazioni dirette e Sace (Cdp), Fincantieri (Cdp), Cdp Reti (Cdp), Tag (Cdp) e Grandi Stazioni (Fs): queste le società che vedranno la dismissione di partecipazioni da parte pubblica. E’ quanto risulta dalla nota diffusa a Palazzo Chigi. Le dismissioni arriveranno fino al 60% della quota per Sace e Grandi Stazioni; per Enav e Fincantieri è prevista la cessione del 40%; per Eni la cessione è del 3%. Cosi’ il ministro Saccomanni nella conferenza stampa a Palazzo Chigi.
http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/topnews/2013/11/21/Privatizzazioni-8-societa-interessate_9658092.html

Dismettiamoli
Lacrime e sangue per toppe peggiori del buco.
Fabrizio Fiorini    

Il dado è tratto. Tra un’umiliazione e una prostrazione (la richiesta di chiudere un occhio sui conti all’ “europa” per poter aiutare gli alluvionati sembra abbastanza emblematica), il governo della miseria si è deciso a raccattare qualche altro spicciolo da restituire alle banche. Ovviamente, alle spese della nazione e del popolo. Una dozzina di miliardi, così è deciso e così è stato riportato da Enrico Letta, verrà recuperata mettendo nuovamente le mani nel cassetto – oramai semivuoto – dei gioielli di famiglia. Questa volta si tratta di rilevanti quote di Eni, Fincantieri, Enav.
Addirittura Il Sole 24 Ore, mercoledì, aveva denunciato l’inconsistenza della sciagurata campagna di privatizzazioni e svendite. Segnalava, il quotidiano confindustriale, che in quasi trent’anni l’Italia ha privatizzato partecipazioni pubbliche per circa 160 miliardi di euro. E bisogna considerare che nell’arco temporale su cui è stato calcolato questo dato (1985 – 2012) è compreso il periodo delle liberalizzazioni selvagge dei primi anni Novanta.
Questa pur importante cifra, sempre secondo il “Sole”, è nella realtà dei fatti pressoché irrisoria se rapportata all’obiettivo cui (secondo quanto viene millantato dalle panzane di governo) dovrebbero essere finalizzate: la riduzione del debito. Si consideri infatti che in un solo anno i soli interessi sul nostro debito ammontano a circa 90 miliardi.
In un solo anno, pertanto, abbiamo uscite pari a oltre le metà delle entrate derivanti da tre decenni di privatizzazioni. Gli interessi sul debito inoltre, così stando le cose, ci saranno ogni anno; il “barile” delle privatizzazioni, invece, prima o dopo finirà.
Nelle nostre facoltà di economia però – con ogni evidenza – la matematica non era materia d’insegnamento. O c’è dietro qualcosa? Chi può essere davvero convinto che vendendo i gioielli di casa si risolveranno i problemi? Un illuso, forse. Un colluso, verosimilmente. Oppure un ricattato. O un incapace. O un disperato. In ogni caso: una persona indegna di governare un popolo. Dismettiamoli.
21 Novembre 2013  – http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=22688

Le privatizzazioni proposte da Letta ed il rischio di un altro caso Telecom Italia: spieghiamo il caso telefonia per capire il tranello
22 novembre 2013 Di Scenari Economici
Dunque, l’Italia in crisi è spinta dall’Europa a privatizzare, come chiesto da Olli Rehn la scorsa settimana, oltre a dover fare altre sacrifici (avendo in mente quanto accaduto in Grecia, si è appena iniziato!). Concentrandoci sull’aspetto privatizzazioni, come indicato dal Governo esse avranno come oggetto immobili di stato e soprattutto aziende quotate. In un precedente intervento ho spiegato il rischio che lo Stato corre nel privatizzare assets facendo entrare un azionista di minoranza che dovesse controllare di fatto il board, in particolare nel caso in cui detto azionista di maggioranza relativa, magari solo con il 25%, possa bloccare l’assemblea straordinaria, ossia dove si votano tra le altre cose anche gli aumenti di capitale (vedasi i).

Facciamo di una storia complessa un racconto semplice. Dunque, le privatizzazioni delle aziende quotate sembrano essere indirizzate a fare scendere la quota dello Stato sotto il 30% – eccezion fatta per ENI, sembra, notizia di ieri -, come indicato dal ministro Saccomanni (vedasi ii). Tale livello è strategico in quanto, con lo Stato sotto tale limite, un soggetto esterno potrebbe acquisire azioni senza superare la soglia per fare un OPA totalitaria ed obbligatoria. Infatti il 30% è il limite oltre cui scatta l’obbligo di OPA totalitaria. Se un terzo azionista potesse, che so, disporre di una quota di azioni inferiore al 30% ma superiore di quella di ogni altro azionista potrebbe controllare il Board. Questa la teoria, per altro descritta in un precedente intervento (vedasi nota i).

Ora il caso Telecom Italia. Nell’azionariato dell’azienda telefonica nazionale c’è un grande azionista straniero, Telefonica, tramite l’azienda Telco, guarda caso al 22,5%. Telecom Italia è un’azienda che fa profitti, ma con un debito un po’ alto. Guarda caso, in uno strano parallelismo con l’Italia dell’Euro austero, i mercati chiedono di rientrare del debito. Visto che il rendimento del business è elevato la cosa più saggia sarebbe fare un aumento di capitale, provvedendo a dare garanzie da parte del business che la redditività del denaro prestato all’azienda sarà sufficientemente elevata. In questo contesto non sembra ci siano grossi problemi per Telecom Italia, le attività del Gruppo messo a nuovo sono redditizie, vedasi i bilanci aggregati e soprattutto i brillanti risultati delle partecipate sudamericane. Dunque, la prima scelta sarebbe quella di aumentare il capitale. E qui l’azionista di maggioranza relativa, appunto Telefonica, dice un rotondo no: per ridurre il debito meglio vendere assets (vi ricorda qualcosa questo approccio al problema?). Perché non vendere ad esempio la controllata Telecom Argentina? Telefonica sarebbe felicissima di comprarla. Anzi, no , chi la compra è – nottetempo, letteralmente – Fintech di David Martinez, chi ci sia dietro a questo oscuro personaggio ad oggi non si sa. Ma faremo in fretta a scoprirlo: aspettate qualche settimana o qualche mese e scommetto che Telecom Argentina verrà venduta a Telefonica o ci sarà qualche scambio di assets che avrà la stessa come contropartita. Con il beneplacito degli interessi nazionali italiani. E se volessimo aggiungere una nota di colore possiamo dire che la decisione di vendere la partecipata argentina è avvenuta con i voti contrari degli amministratori indipendenti (Zingales, ogni tanto riappare) e che le Assicurazioni Generali – che è anche azionista di Telco assieme a Telefonica, oltre a essere la promotrice della proposta di vendita di Telecom Argentina – per il tramite della sua partecipazione al Board sembra aver dimenticato di informare i membri del consiglio di amministrazione che la sua proposta di cessione avveniva in presenza di un proprio conflitto di interessi, veramente sbadati (la Consob sta indagando; vale la pena di ricordare che Generali ha nel top management un certo Galateri di Genola, di estrazione Fiat e membro dell’Aspen Institute, base fonti stampa). Ossia, la decisione del Board Telecom dovrebbe essere annullata, in teoria (vedasi la stria completa e soprattutto leggibile, nota iii). Notasi, importante, che oggi Telecom Italia tratta circa alla metà del valore di libro, ossia ad un prezzo da realizzo e svendita (leggasi, vendere oggi è da folli….)

 

TELECOM ITALIA                             
     Actuals in M €    Estimates in M €
Fiscal Period December    2010    2011    2012    2013    2014    2015
Sales    27 571    29 957    29 503    27 614    25 950    25 596
Operating income (EBITDA)    11 683    12 246    11 645    10 749    10 142    9 978
Operating profit (EBIT)    6 114    6 761    6 215    5 576    5 176    5 103
Pre-Tax Profit (EBT)    4 127    -2 624    -44    1 620    3 299    3 454
Net income    3 121    -4 726    -1 627    -3,8    1 878    1 891
EPS ( €)    0,16    -0,24    -0,08    0    0,09    0,1
Dividend per Share ( €)    0,06    0,04    0,02    0,02    0,02    0,01
Fonte: www.4-traders.com , Novermbre 2013

Telecom Italia ha molte similitudini con ENEL, entrambe hanno forti interessi nel ricco mercato sudamericano: per lo straniero di turno fare lo spezzatino a prezzi di realizzo sarebbe l’optimum (ah, dimenticavo, Telecom Argentina viene venduta per 700 milioni di euro mentre è senza debiti, macina abbondanti utili, fattura circa 3,8 mld di euro avendo per altro in cassa quasi 600 milioni di euro di liquidità…). Insomma, chi non vorrebbe ricevere un tale regalo? Guarda caso – non è un caso – il management di ENEL, tutt’altro che sprovveduto, per parare il colpo politico dell’eventuale svendita sta impostando un’operazione per l’acquisto del 100% di Endesa, andando a rastrellare in borsa il rimanente 8% di flottante ancora quotato sulla borsa di Madrid: non sia mai che al politico di turno venga in testa l’idea di far vendere le partecipate sudamericane. La conventional wisdom insegna che un’azienda buona deve restare in famiglia, soprattutto se sistemica e rende bene, oltre a comportarsi almeno in linea con i competitors internazionali. Per ENEL il caso è addirittura parossistico: dati alla mano sembra l’azienda meglio gestita del settore, almeno per quanto riguarda i competitors europei (ripeto, dati alla mano, vedasi nota i). In questo generale contesto, ricordiamo che il Ministro Saccomanni ha proposto di vendere quote di un’altra azienda strategica, ENI, che rende circa il 6% per ripagare un debito statale che costa meno del 4% annuo: mi sorge il dubbio che il ministro abbia problemi a fare di conto (vedasi nota ii).
Tutto questo dovrebbe insegnarci i rischi che si corrono con le privatizzazioni forzate, anche quelle che apparentemente sembrano innocue, quelle che magari solo diluiscono la partecipazione dello Stato sotto il 30%. Che sono poi quelle imposte dai poteri forti sovranazionali per impossessarsi a basso prezzo degli assets altrui, possibilmente senza far capire nulla ai cittadini, che sono alla fine i veri proprietari avendo loro costruito nel caso in esame la rete di telecomunicazione nazionale con i soldi delle loro tasse decine di anni or sono…. Anche perché se vengono vendute le controllate di gruppo che rendono bene, ossia il frutto di anni di investimenti soprattutto pubblici, alla fine chi ci rimette mica sono gli azionisti – che vedono le azioni salire -, ma solo l’occupazione italiana che di fatto è in qualche forma sostenuta dai profitti esteri e che dunque molto probabilmente verrà di conseguenza ridotta (ecco l’importanza di avere multinazionali italiane, NOTA BENE, questo ragionamento vale solo se l’azienda è sistemica e strategica come le telecomunicazioni, l’energia, la difesa). E la cosa interessante è che il risultato di tutto questo, in caso di privatizzazioni/svendite generalizzate, sarà nel medio termine un abbassamento dei consumi del Paese nel suo complesso (ENEL, ENI, Telecom Italia, Finmeccanica occupano centinaia di migliaia di persone in Italia, se le maestranze vengono licenziate queste non consumeranno più!), oltre che un peggioramento delle tasse incassate dallo Stato (vedasi nota i). Dunque si abbasserebbe il GDP, e quindi si incrementerebbe il ratio debito/GDP e quindi la crisi si acuirebbe anche nei termini in cui viene percepita dall’Europa. I dati macroeconomici negativi metterebbero in condizione Bruxelles di chiedere ulteriori sacrifici al Paese in base alle procedure del fiscal compact e collegati provvedimenti, leggasi austerity, che di fatto ridurranno ulteriormente i consumi, ecc. ecc. Insomma una reazione a catena, esplosiva per il Paese.

È opinione di chi scrive che oggi l’Italia sia il vero vaso di coccio in mezzo ai vasi de fero. In una crisi economica secolare come quale attuale, crisi da cui nessun paese si può considerare immune, scemata la possibilità di accaparrarsi beni a basso prezzo provenienti dalle colonie – ossia quanto accadeva agli inizi del secolo scorso, oggi le colonie sono divenute in molti casi addirittura più potenti del vecchio colonizzatore -, l’unico artifizio è impossessarsi dei valori tangibili dei paesi accessibili se non vicini che siano deboli od indeboliti. L’Italia è il target perfetto. A seguito di vari scandali in cui la manina internazionale ha certamente lasciato qualche traccia (vedasi il caso Libia e la cancellazione di Gheddafi, chiaramente un partner economico-strategico importante per la Penisola), pur in presenza di innegabili colpe nazionali, il paese è politicamente debole ed anzi governato da politici che sarebbero senza futuro se non ci fosse la stessa incertezza che oggi giustifica la loro presenza (vi vedete Letta presidente del consiglio di un’Italia stabile ed ambiziosa?). Parimenti l’Italia è molto ricca, ha risparmi privati secondi a nessuno in Europa ed ha poche ma ottime aziende multinazionali che fanno veramente gola. Inoltre, la tassazione nazionale elevata anche sui profitti rende conveniente il trasferimento della sede o l’accentramento dei profitti delle filiali estere praticamente in qualsiasi paese europeo, giustificando il di fatto l’esproprio (o svendita) con ipotetiche logiche di mercato, che di mercato hanno veramente poco visto che le tasse ci chiede di alzarle lo stesso soggetto che probabilmente ci vorrà comprare gli assets spostandone la sede. E notate che non ho parlato di Germania, ma di poteri forti sovranazionali (dopo trent’anni, forse ho capito cosa sia la plutocrazia di mussoliniana memoria) . E poi, la ciliegina: la mia impressione è che, tranne per il settore del lusso e per qualche indubbia eccellenza settoriale, lo straniero sia molto attento ad acquisire le partecipate straniere di aziende italiane, quelle che oggi valgono. Si sa, gli italiani sanno farsi valere e volere bene all’estero e dunque molto spesso hanno investito quando nessuno nemmeno ci pensava in mercati emergenti con logica cooperativa e per questa ragione hanno spesso acquisito o costruito aziende in mercati difficili che oggi sono letteralmente oro – ad es. Telecom Brasil, la prossima… -, Mattei docet). Detto in altri termini, l’optimum per chi vuole comprare bene è comprare dall’Italia per investire all’estero: visto che la crisi e gli effetti dell’austerity distruggeranno a medio termine il substrato economico – e sociale – italiano meglio tenersi lontani dall’Italia spolpando solo il buono che può offrire, il buono che sta all’estero intendo (nel nostro caso Telecom Argentina, Telecom Brasil, da comprare separatamente da Telecom Italia). Dite che sono pazzo? Vedremo nel 2014…. Chi mi conosce la pensa diversamente, credetemi….

E quindi, vogliamo parlare di come finirà? Semplicemente, diventare schiavi. Schiavi del debito estero detenuto dagli stranieri, ossia degli stessi che oggi dicono di privatizzare e fare austerity. Ah, dimenticavo: in questo scenario avvilente l’Italia sarà almeno abbondantemente se non ben rappresentata, quasi certamente qualche politico di quelli che sono oggigiorno mediaticamente “apprezzati” sarà presto alla guida di qualche importante istituzione europea, premiato per aver aiutato a raggiungere l’obiettivo di salvare i profitti euro-tedeschi (affossando il Belpaese). Scommettiamo? Se ci pensate bene alla fine Prodi e Draghi, gli artefici delle privatizzazioni/svendite del 1992, non è che ne sono usciti così male, di carriera ne hanno fatta tanta…

In conclusione, la ratio è molto semplice: se un’azienda va bene perché privatizzarla? Se rende più del debito statale, perché alienarla? Se genera occupazione in Italia, perché venderla soprattutto se sistemica e strategica, facendo poi spostare la sede e l’occupazione all’estero? Se il management è performante, perché sostituirlo? E quindi, permettetemi, ma a che gioco stiamo giocando? Al massacro per caso (sulla pelle degli italiani)? O meglio, a che gioco stanno giocando i nostri attuali politici? Stavolta finisce male per la Penisola, mi sa…
Mitt Dolcino

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Riferimenti e Note:
http://www.rischiocalcolato.it/2013/11/le-privatizzazioni-proposte-da-letta-ed-il-rischio-di-un-altro-caso-telecom-italia-spieghiamo-il-caso-telefonia-per-capire-il-tranello.html?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed%3A+blogspot%2FHAzvd+%28Rischio+Calcolato%29

Relazioni USA-Cina e la geopolitica del Trans Pacific Partnership Agreement (TPPA)

la Nato economica anche per ANNETTERE l’eurasia all’Impero
Relazioni USA-Cina e la geopolitica del Trans Pacific Partnership Agreement (TPPA)

novembre 13, 2013

Jane Kelsey Global Research, 11 novembre 2013

 Nel criticare i leader della sua nativa Nuova Zelanda per la loro miopia nel trattare il TPPA da accordo internazionale depoliticizzato, Jane Kelsey sostiene che la Cina è l’obiettivo finale di ogni grande proposta degli Stati Uniti per tale ‘accordo di nuova generazione, del ventunesimo secolo’.

 Il termine ‘imperialismo competitivo’ si applica dove il ‘libero commercio è asservito al fine di proiettare l’influenza su un altro Paese o territorio di una regione, e il controllo effettivo o percepito dei reciproci sforzi da un’altra potenza’. Nell’ultimo decennio è stato utilizzato per descrivere la corsa tra Stati Uniti e Unione europea (UE) per garantirsi accordi di libero scambio di nuova generazione (ALS) per motivi strategici. Oggi, l”imperialismo competitivo‘ è più propriamente usato per descrivere la crescente disperazione degli USA nel neutralizzare l’ascesa dei ‘Paesi BRICS’, Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa. La Cina è preminente tra essi, al punto che anche se non fa parte del proposto accordo di partenariato trans-Pacifico (TPPA), è l’elefante  costantemente in camera ed obiettivo finale delle proposte sempre più aggressive degli USA.La dimensione strategica e diplomatica del TPPA ha particolarmente gravi conseguenze per un Paese come la Nuova Zelanda, che vuole rimanere la migliore amica di entrambe le parti. Da un lato, il ministro del commercio Tim Groser aveva avvertito, nel febbraio 2012, che la Nuova Zelanda si sarebbe ritirata dai negoziati se i politici degli Stati Uniti li usavano per cercare di contenere l’ascesa della Cina. Si ritiene che gli alti rappresentanti governativi di Nuova Zelanda e Australia, fossero  assai a disagio con una certa retorica anticinese di Washington. Come di seguito dettagliato, la retorica non accenna a diminuire, ma prevedibilmente Groser non se ne allontana. Altre volte, i leader politici e i giornalisti ricorrono a quel luogo felice ove la Nuova Zelanda può rivendicare la neutralità di piccola potenza indipendente e giocare in entrambe le squadre. Alla fine del 2012, il primo ministro John Key accolse con favore i colloqui per un mega-accordo con la Cina e l’Associazione del Sud-Est asiatico (ASEAN), ‘ma il TPP è la nostra grande scommessa in questo momento‘.

L’approccio della Nuova Zelanda è trattare il TPPA come accordo economico internazionale depoliticizzato ed estraneo alla geopolitica. Ciò può essere realizzabile nelle prime fasi, ma se  vi sarà una guerra fredda per delega, gli amici di ogni parte si aspetteranno che ne diveniamo alleati. Una simile miopia studiata informa il grande piano di tutti i membri del forum Asia-Pacific Economic Cooperation (APEC) e i loro altri accordi aggregati a questo trattato USA-centrato che  forma l’accordo di libero scambio regionale dell’APEC. I ripetuti tentativi di raggiungere tale obiettivo sono falliti da quando fu proposto, nei primi anni ’90, perché vi sono modelli economici e relazioni strategiche divergenti tra i 23 membri dell’APEC. E’ vero che tutti i Paesi TPPA hanno le loro ragioni per partecipare a questo gioco, e alcuni come il Vietnam, lo vedono per costruire un proprio baluardo contro la Cina. Ma non ci sono prove che suggeriscano che quei decenni di resistenza al modello vincolante ed esecutivo statunitense per la regione Asia-Pacifico,  semplicemente si sciolgano.

 Il secolo del Pacifico degli Stati Uniti

Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama e la segretaria di Stato Hillary Clinton hanno suscitato dubbi al vertice  dell’APEC ospitato a Honolulu nel novembre 2011, circa gli scopi del TPPA. Gli Stati Uniti si propongono di far rivivere le proprie geopolitica, influenza strategica ed economica nella regione asiatica per contrastare l’ascesa della Cina, in parte attraverso la costruzione di un regime giuridico regionale, al servizio dei loro interessi, e gestito dagli Stati Uniti e dalle loro aziende. Nel contesto del TPPA, ciò che gli Stati Uniti vogliono è in definitiva ciò che conta. Ampliando l’articolo intitolato ‘US Pacific Century’ sul numero di novembre 2011 della rivista Foreign Policy, Clinton ha detto che le sfide alla sicurezza ed economiche che attualmente affronta l’Asia-Pacifico, ‘richiede la leadership statunitense’. I funzionari hanno descritto il ruolo degli Stati Uniti come ‘l’ancora della stabilità regionale‘, impegnata ‘nella gestione del rapporto con la Cina, economicamente e militarmente’. Secondo i consiglieri di Obama, è divenuto ‘molto chiaro‘ nei  colloqui bilaterali con il presidente della Cina Hu Jintao ‘che il popolo e la comunità imprenditoriale statunitensi sono sempre più impazienti e frustrati verso il cambiamento nella politica economica della Cina e l’evoluzione del rapporto economico USA-Cina‘. La Cina non era riuscita a dimostrare lo stesso senso di ‘leadership responsabile’ che gli Stati Uniti avevano cercato di avere.

Al vertice dei leader TPPA, Obama aveva parlato di stabilire norme internazionali che sarebbero ‘un bene per gli Stati Uniti, l’Asia, il sistema del commercio internazionale, per qualsiasi Paese che affronti questioni come l’innovazione e la disciplina Stato-imprese statali (SOE), creando un campo di gioco competitivo e di livello‘. Soprattutto, il TPPA creerebbe norme internazionali che sarebbero ottime per riesumare l’egemonia strategica e economica degli USA.

Il tono bellicoso s’era intensificato durante la campagna per le presidenziali del 2012 negli Stati Uniti. Il candidato repubblicano Mitt Romney si era lamentato che Obama non era stato abbastanza duro verso la Cina e aveva avallato il TPPA come ‘drammatico baluardo geopolitico ed economico contro la Cina‘. Obama era altrettanto bellicoso. Mentre la Cina potrebbe essere un partner, gli USA ‘inviavano un segnale molto chiaro’ di essere una potenza del Pacifico destinata ad avervi presenza. In un riferimento codificato al TPPA, disse ‘Stiamo organizzando relazioni commerciali con Paesi diversi dalla Cina, in modo che la Cina inizi a sentire una maggiore pressione nell’aderire agli standard internazionali fondamentali. Questo è il tipo di leadership che abbiamo dimostrato nella regione. Questo è il tipo di leadership che continueremo a mostrare‘. Vi è una certa tensione antagonistica tra la posizione in politica estera del dipartimento di Stato e gli obiettivi commerciali del TPPA. La Cina è l’obiettivo finale di ogni grande proposta degli Stati Uniti in questo ‘accordo di nuova generazione del XXI° secolo‘, in particolare la tutela più rigorosa dei diritti di proprietà intellettuale, le discipline ‘anticoncorrenziali’ sulle imprese di proprietà dello Stato e processi e regole per fermare una regolamentazione ‘ingiustificata ed eccessivamente onerosa’. Non è chiaro in che modo intendano spingere la Cina ad adottare tali regole. A volte sembra una strategia di accerchiamento, creando un modello che domini l’Asia-Pacifico e la Cina in primo luogo, forzandola ad adattarsi e in ultima analisi ad aderire al TPPA. Altre volte, l’obiettivo sembrano essere alleanze e operazioni della Cina in Paesi terzi, per minarne le basi d’appoggio economico e  d’influenza strategica.

La potenziale leva degli Stati Uniti sulla Cina s’è intensificata con l’annuncio a febbraio 2013 dei negoziati per una Trans-Atlantic Free Trade Area (TAFTA) tra gli Stati Uniti e il blocco dei 27 Paesi UE. Esiste una sinergia tra la strategia globale dell’UE per esternalizzare il suo regime normativo interno e l’obiettivo degli Stati Uniti per il TPPA di fornire un contesto normativo trasparente per capitali, beni, servizi, dati e personale d’elite nella regione Asia-Pacifico. Ma c’è la questione appiccicosa di quale regime governerebbe, dati i vecchi conflitti in settori quali l’agricoltura, la sicurezza alimentare, le telecomunicazioni e la proprietà intellettuale. L’attrattiva commerciale e strategica di un patto transatlantico è evidente, soprattutto per gli Stati Uniti. Se potessero stipularli gli USA abbraccerebbero i potenti blocchi TPPA e TAFTA, aumentando massicciamente la loro potenza nei confronti dei BRICS.

 

La risposta diplomatica della Cina

la risposta pubblica cinese è stata misurata. Alla fine di settembre 2011, l’ambasciatore della Cina nell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) disse diplomaticamente che aveva ‘obiezioni al TPP‘ ed era in attesa di vedere se c’era la possibilità che la Cina potesse essere coinvolta nelle discussioni. Parlando immediatamente prima del vertice APEC nel 2011, un alto funzionario cinese criticò aspramente gli obiettivi degli Stati Uniti come ‘troppo ambiziosi’ e chiese equilibrio tra la TPPA e ‘altre vie per la liberalizzazione del commercio multilaterale e regionale‘. I negoziati del TPPA dovrebbero essere ‘aperti’, e la Cina non era stata invitata a parteciparvi. Gli Stati Uniti  risposero che ogni Paese deve chiedere di aderire e dimostrare di esser pronto ad agire secondo regole del gold standard del 21° secolo del TPPA. La Cina ha un certo numero di opzioni.  Ignorando il TPPA, nella speranza che vada in stallo, e che seguire i negoziati dell’OMC del Doha Round e della moribonda Area di Libero Commercio delle Americhe, comporti un rischio troppo elevato. La Cina potrebbe cercare di aderire ai colloqui indirettamente tramite Hong Kong, ma  portando le estese proprietà delle aziende di Stato cinesi di Hong Kong sotto la disciplina del TPPA. Ciò esporrebbe anche i processi governativi di Hong Kong ad obblighi sgradevoli su gestione, divulgazione e partecipazione esterna. La Cina potrebbe fare una richiesta diretta per partecipare al TPPA. Cosa che scatenerebbe frenesia tra i Paesi negozianti il TPPA che non hanno un accordo di libero scambio con la Cina: gli Stati Uniti, oltre a Canada, Giappone, Messico e Australia. Ma l’adesione comporta un processo lungo e umiliante di discussioni bilaterali e approvazione da ciascun membro partecipante, quindi la decisione collettiva per consentirne l’ingresso, seguita da una notifica di 90 giorni dal Congresso degli Stati Uniti. Il processo per il Canada e il Messico durò un anno. Dissero che dovettero accettare tutto ciò che era stato concordato nel momento in cui formalmente aderirono ai negoziati, ma non ebbero il permesso di vederne il testo prima. Anche se gli Stati Uniti assicurarono che l’adesione del Giappone fosse accelerata, arrivò ai negoziati di fine luglio 2013 nelle stesse condizioni: il Giappone non ebbe accesso ai testi formali e non potrà riaprire tutto ciò che era già stato concordato nei negoziati. In realtà, molti dei capitoli di maggiore interesse per il Giappone non sono stati conclusi, facendo in modo che la scadenza di ottobre sia irraggiungibile.

Sembra inconcepibile che la Cina si accordi a un processo di discussioni bilaterali e ardue precondizioni solo per arrivare al tavolo dei negoziati ed accettare una serie di regole elaborate dagli USA volte a paralizzare le principali basi del vantaggio commerciale della Cina. L’opzione più realistica per la Cina è accrescere il proprio mega-gruppo. Cosa già avviata. La Cina ha un accordo di libero scambio con l’ASEAN, la cui portata si è progressivamente ampliata dai beni ai servizi agli investimenti. Ed ha iniziato negoziati bilaterali con la Corea del sud e le prime trattative Cina-Giappone-Corea si sono svolte a marzo 2013. Queste relazioni sono fondamentali per la Cina. Vi sono tensioni in politica estera con il Giappone sulle isole contese di Diaoyu/Senkaku e questo è chiaramente un fattore che ha spinto il Giappone ad unirsi ai colloqui TPPA, nonostante la vigorosa opposizione interna. Tuttavia, la Corea del Sud ha detto che non farà altrettanto, in questa fase, perché si concentra sulle trattative con la Cina e l’accordo a tre con il Giappone. Altra grande contromanovra della Cina è il partenariato regionale globale economico (RCEP) di 16 nazioni, che coinvolge la Cina, i 10 Paesi dell’ASEAN, India, Corea del Sud, Giappone, Australia e Nuova Zelanda, ma non gli Stati Uniti. I colloqui furono avviati nel novembre 2012. La retorica è simile al TPPA, con i sostenitori che lo descrivono come ‘un quadro entro cui le imprese possono utilizzare le risorse della regione per migliorare e generare più alti standard di vita e di benessere per i popoli della regione’. Vi sono aspettative simili nella liberalizzazione di servizi, investimenti, filiere e  connettività, ma sono più deboli in materia di proprietà intellettuale, riforme normative nazionali, ambiente, lavoro, appalti pubblici e misure non tariffarie, quali le leggi di tutela dei consumatori.

Mentre gli Stati Uniti vedono il TPPA come veicolo per la loro leadership nella regione Asia-Pacifico, i ricercatori dell’ASEAN affermano sia nell’interesse dell’Asia orientale e del mondo intero che ‘l’Asia orientale sia il motore della crescita dell’economia mondiale‘, pur essendo aperta al resto del mondo. I negoziati e l’accordo RCEP dovrebbero seguire il precedente della Comunità economica dell’ASEAN, seguendo la ‘via dell’ASEAN‘. L’ethos del progetto della Cina e dell’ASEAN, è fondamentalmente diverso dal TPPA degli USA. Invece di un impegno comune a un ‘accordo gold-standard del XXI.mo secolo‘, il RCEP riconoscerà ‘circostanze individuali e diverse ai Paesi partecipanti‘. Considerando che il TPPA rifiuta qualsiasi trattamento speciale e differenziato per i Paesi più poveri oltre un certo periodo e qualche assistenza tecnica, mentre il RCEP promette di ‘includere adeguate forme di flessibilità tra cui l’accantonamento per un trattamento speciale e differenziato‘, soprattutto per i Paesi meno sviluppati.

Sette Paesi attualmente seguono entrambe le trattative: Australia, Brunei, Giappone, Malesia, Nuova Zelanda, Singapore e Vietnam. Il lasso di tempo per concludere un accordo RCEP è entro la fine del 2015. Gli Stati Uniti evidentemente non vogliono che questi negoziati vadano avanti finché non avranno bloccato i Paesi interessati nell’orbita delle proprie regole TPPA, specialmente quelli con cui non dispone già di un accordo di libero scambio. Cosa che diventerà difficile nel negoziato con il Giappone. Se entrambi gli accordi saranno conclusi, Paesi come la Nuova Zelanda, che vi partecipano, dovrebbero affrontare alcune decisioni difficili, alla fine. I due accordi riflettono paradigmi così come alleanze geopolitiche divergenti. Le parti sarebbero tenute a implementare  obblighi abbastanza diversi, e il loro rispetto verrebbe imposto da Stati ed imprese straniere.

 

 

Jane Kelsey è professoressa di diritto presso l’Università di Auckland in Nuova Zelanda. Da diversi decenni il suo lavoro s’incentra sul rapporto tra globalizzazione e neoliberismo nazionale, in particolare nella libertà degli accordi commerciali e di investimento. Dal 2008 ha svolto un ruolo centrale nella campagna internazionale e nazionale per sensibilizzare e opporsi all’accordo di partenariato trans-Pacifico. Quanto sopra è estratto dal suo nuovo libro Hidden Agendas: What We Need to Know About the TPPA (Bridget Williams Books, Maggio 2013).

Copyright © 2013 Global Research

 Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

http://aurorasito.wordpress.com/2013/11/13/relazioni-usa-cina-e-la-geopolitica-del-trans-pacific-partnership-agreement-tppa/

Cartoline del belpaese che ha tanto benessere da distribuire

NOVENTA VICENTINA: PROPRIETARIO NON PAGA MUTUO, LA BANCA SFRATTA LE FAMIGLIE
22 novembre 2013
Una cinquantina di attivisti della rete delle Assemblee sociali per la casa, l’Asc, ha assistito giovedì mattina un gruppo di famiglie di Noventa Vicentina che ha ricevuto il decreto di sfratto. Il condominio è composto da otto appartamenti. Tre famiglie se ne sono già andate. Le altre cinque restano lì. Il condominio è al centro di una battaglia legale. Le famiglie, infatti, per due anni hanno pagato l’affitto al vecchio proprietario che nel frattempo, però, era fallito e si era visto pignorare il condominio da una banca.
Le famiglie sono rimaste all’oscuro di questo particolare e hanno continuato a pagare al vecchio proprietario, risultando perciò morose nei confronti della banca (…)
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CASSINETTA DI LUGAGNANO: HUSQVARNA, OPERAI BLOCCANO TIR PER PROTESTA
21 novembre 2013
Le speranze per gli operai di Husqvarna che il sito di Cassinetta di Biandronno possa essere rilevato e rilanciato pare stiano “evaporando” come tante altre promesse. Per questo, quando si è saputo dell’arrivo di alcuni TIR provenienti dal Veneto carichi di pezzi di ricambio da scaricare nei magazzini di Cassinetta, i lavoratori hanno deciso sbarrare loro il passo. Farli entrare in fabbrica, hanno detto, significava dare via libera al progetto di KTM di trasformare il sito di Cassinetta in un semplice magazzino di ricambi. Un’azione forte (e totalmente pacifica, è giusto sottolinearlo, guardate qui sotto il video realizzato dal giornale Varese News) che sarà ripetuta a spot anche nei prossimi giorni. Si è infatti stimato che per trasferire tutti i ricambi dal magazzino centrale di Volargne (di proprietà di BMW che ha ceduto in estate Husqvarna in KTM) a Cassinetta saranno necessari circa 50 viaggi. I primi tre sono stati rispediti al mittente, in attesa che qualcosa cambi.(…)

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ESTE: HA LAVORI PER 5 MILIONI MA LA BANCA NON ASPETTA, STEFANELLI FALLISCE
 21 novembre 2013
«Siamo carne da macello. Siamo l’ennesima vittima della crisi e soprattutto del sistema creditizio italiano». A parlare è Stefano Stefanelli, titolare delle Officine Stefanelli, azienda dalla storia ventennale e per anni leader nel settore delle costruzioni meccaniche: da ieri mattina l’imprenditore e i suoi lavoratori – 17 operai e 3 impiegati – sono barricati all’ingresso della sede di via Volta per denunciare la grave situazione che sta vivendo l’azienda. Giovedì scorso, 14 novembre, il Tribunale di Padova ha infatti pubblicato la procedura di fallimento delle Officine Stefanelli, che ai tempi d’oro contavano addirittura su 300 addetti. «La comunicazione ci è arrivata lunedì sera, mentre stavamo ancora lavorando» denuncia Stefanelli «Ora siamo costretti ad attendere il curatore, Anna Maria Grazian, che doveva presentarsi nel primo pomeriggio ma che non si è ancora visto».
La fine della storica azienda è stata tra le più ingloriose: «A metterci nei guai è stato il fallimento di un nostro cliente, che ci ha lasciato un buco di 600 mila euro».(…)
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FIRENZE: EUROPEAN AIR-CRANE CHIUDE L’ANTINCENDIO BOSCHIVO, 8 LICENZIAMENTI

21 novembre 2013
Il Ministero taglia le risorse per la lotta agli incendi, la Forestale e l’azienda si rimpallano la responsabilità di un appalto saltato e a farne le spese sono 8 lavoratori che rischiano il licenziamento. E’ la vicenda della European Air-Crane spa, operatore di servizi elicotteristici. L’azienda, che ha sede a Firenze e fa capo alla statunitense Erickson Air Crane, ha deciso di esternalizzare l’intero ramo amministrativo, licenziando 8 impiegati.(…)

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le vittime che non esistono e che non interessano ai dirittoumanisti della società civile…..a proposito di discriminazioni

FIRENZE: 86ENNE VEDOVO E SOLO RICEVE LO SFRATTO ED È COLTO DA MALORE

22 novembre 2013
Momenti di apprensione ed angoscia vissuti oggi presso la sede del sindacato inquilini SUNIA di Firenze per le sorti di un anziano signore.
Si tratta di Ugo 86 anni, fiorentino, vedovo, abitante in zona San Jacopino, colpito da sfratto per morosità dal febbraio scorso, perche’ impossibilitato, a causa della bassa pensione e del peggiorare delle condizioni di salute a corrispondere l’affitto mensile di 500 euro.
Qualche giorno fa si è visto recapitare il preavviso di rilascio dell’immobile , l’anticamera dello sgombero con la forza pubblica.
Il SUNIA lo segue da tempo e con il sindacato ha fatto la domanda per il bando case popolari del 2012 ottenendo solo 5 punti perché ancora non aveva lo sfratto.
“Questa mattina mentre il signor Ugo si apprestava piangente a mostrare l’avviso di sgombero”, riferisce l’avvocato del SUNIA Emanuele Rindori, “ha accusato subito stramazzando al suolo, un mancamento con convulsioni e conati di vomito fino a perdere conoscenza” (…)
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POTENZA: CINEMA 2 TORRI IN CRISI, IL DIRETTORE 55ENNE SI SUICIDA
23 novembre 2013
La crisi economica e imprenditoriale diffusa continua a mietere vittime. Questa volta è toccato a Vito Di Canio, 55enne potentino, direttore del cinema 2 Torri, che ieri pomeriggio si è tolto la vita all’interno della sala macchine, dopo aver aperto, come sempre, la struttura.(…)
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TIVOLI: FABBRO 63ENNE SI SUICIDA CON UNO SPARO AL PETTO. ERA STROZZATO DAI DEBITI
22 novembre 2013
Dramma della crisi a Tivoli. Un fabbro di 63 anni si è tolto la vita questa mattina nella piccola azienda. A scoprire il corpo il suo socio in via di Villa Cocuzza, nella cittadina sulla via Tiburtina. Secondo una prima ricostruzione il fabbro avrebbe attaccato una corda a una carrucola sul soffitto e tentato di impiccarsi, rimanendo però in bilico senza soffocare. A quel punto, per essere sicuro di morire, si sarebbe sparato al petto con un fucile che teneva tra le braccia.(…)
Leggi tutto su romatoday
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“Parroco vergogna”, blitz degli animalisti anti Madonna col Fucile

Gli attivisti nella notte hanno affisso uno striscione e dei volantini con scritte molto pesanti contro i cacciatori: “La statuina ancora lì, toglietela”

 La Redazione19 Novembre 2013

Storie Correlate

Incursione notturna, una delle tante cui gli attivisti di “Centopercentoanimalisti” effettuano sul territorio. Nel loro mirino stavolta la chiesa di Cavallino-Treporti, “rea” di ospitare nel proprio territorio la “Madonna col fucile”, la statuetta dorata situata lungo il canale San Felice. La figura religiosa ha le braccia aperte in segno di preghiera, ma in una mano tiene l’arma.

 “A protezione di tutti colore che amano l’ambiente lagunare”, si legge nella sottostante targhetta firmata “I cacciatori di Cavallino Treporti”. Sul web quindi si è accesa una polemica contro questo accostamento. “Tutto è però rimasto come prima”, spiegano gli attivisti. Per questo sono stati esposti uno striscione e dei manifesti contro i cacciatori e contro il parroco del paese. “Ci chiediamo cosa aspettino il patriarca di Venezia e il sindaco di Cavallino a far rimuovere la statuetta”.

 IL VIDEO IN CUI SI MOSTRA LA MADONNA COL FUCILE

http://www.veneziatoday.it/cronaca/statua-madonna-fucile-cavallino-treporti-animalisti.html

La terra dei morti

Pellegrinaggi bisecolari in Italia 

Manipolo d`Avanguardia Bergamo

E’ così che Lamartine, sinteticamente, giudicava la nostra Italia nel lontano 1825 nel suo ‘Ultimo canto del pellegrinaggio di Aroldo’ .
La Patria , da noi conosciuta nei libri di scuola, è scomparsa nel secondo conflitto mondiale, defunta sotto i vili colpi della plutocrazia apolide che disconosce qualsiasi forma organizzata di Stato poggiante sulla Sovranità di Popolo.
Sono l’incremento della potenza delle grandi banche , la creazione di vere e proprie oligarchie economiche gli obiettivi della cricca di speculatori finanziari internazionali: gettano il seme in ogni dove, gli prestano tutte le cure necessarie e attendono i frutti che questa infestante pianta darà nel prossimo venire.
L’Italia, una serra come tante altre per i malfattori dell’Alta Finanza, ha dato nel corso del secondo dopo guerra, molteplici piante da frutto: da De Gasperi a Pertini, da Scalfaro a Napolitano, da Andreotti a Moro, da Prodi a Berlusconi … ognuno con le sue peculiari caratteristiche, atte ad accreditare , di fronte a milioni di italiani, la Repubblica italiana come una Repubblica libera e sovrana dove si alternano al Governo forme di pensiero diverso , sempre però nel rispetto reciproco, in nome della tanto stuprata Democrazia.
Piante dall’aspetto differente ma con all’interno il più importante principio attivo dell’Oppio: la morfina.
Questo alcaloide è dato a piccole dosi alla popolazione italiana -e occidentale in generale- attraverso la scheda elettorale , tenue lucciore crepuscolare di una presunta forma di Libertà, assegno in bianco per i balordi di Montecitorio .
Dopo Berlusconi, Prodi, Monti e Letta la prossima flebo di morfina popolare porterà un nuovo volto, di un piccolo omuncolo semisconosciuto politicamente di nome Matteo Renzi.
Giornali e tv , fanteria del Nuovo Ordine, hanno prodigalmente acceso i riflettori sul sindaco di Firenze , innalzandolo a futuro leader di governo. Un po’ come fecero in precedenza – in forma ridotta, dandogli la possibilità di creare una nuova e misera realtà politica (Sel) – , con Nichi Vendola, altra marionetta di questo corrotto sistema.
Il nuovo folletto ‘made in Usa’ Matteo Renzi diventerà , con molta probabilità, il prossimo Presidente del Consiglio.
Ha tutte le carte al suo posto per piacere all’amministrazione americana e israeliana:
il suo programma politico vede nella svendita della Cosa pubblica, nella cessione di sovranità nazionale e nelle liberalizzazioni, i suoi pilastri.
L’iniziazione ufficiale e pubblica è avvenuta nell’ottobre scorso, a Milano corso Italia, Fondazione Metropolitan. A dirigere la serata Davide Serra, astro nascente della finanza internazionale (è il fondatore del fondo Algebris). Serra e Renzi erano in buona compagnia con loro troviamo Enzo Chiesa (ex direttore generale di Banca Popolare di Milano), Carlo Salvatori (presidente di Allianz Italia), Andrea Soro (Royal Bank of Scotland), Flavio Valeri (Deutsche Bank Italia), Franco Moscetti (ad di Amplifon). E molti giovani manager e professionisti. Nel pomeriggio , il figlioccio di Rothschild, Matteo Renzi, ha incontrato Claudio Costamagna (presidente Impregilo), Tito Boeri (vicerettore della Bocconi), Andrea Casalini (Buongiorno) e Andrea Guerra (ad di Luxottica).
La “magnificenza” del convito laculiano rimarrà impressa nelle menti delle folle di affamati che popolano la nostra penisola?
Quando giungerà il momento -tra qualche mese- di preparare nuovi assegni in bianco ai delinquenti in doppiopetto che gozzovigliano nei palazzi del Potere, il Popolo cadrà ancora nella trappola più che secolare che lo rende schiavo accondiscendente?
Nella creazione di nuovi ‘Consigli dei lavoratori’ dove l’operaio metalmeccanico si confronta con il contadino, dove l’artigiano edile pone interrogativi al commerciante , dove il laureato si pone al servizio della prole operaia , il cittadino deve porre ogni sua risorsa e ogni sua brama di resurrezione . Un autentico circolo di solidarietà dove la suprema aspirazione degli imbecilli che è lo sventolare un portafoglio gonfio di banconota è messa al bando con violenza. Al centro del tavolo dei “Consigli” non i partiti bensì il sacro Tricolore.
Quando ciò avverrà -e il primo passo dovrà essere l’astensione elettorale- non tarderà il momento in cui sentiremo intonare , dalle finestre e dalle porte delle case d’Italia, i versi di riscatto dell’immortale poeta Giosuè Carducci :
“e sotto il volo scricchiolaron l’ossa
sé ricercanti lungo il cimitero
de la fatal penisola a vestirsi
d’ira e di ferro.
– Italia, Italia! – E il popolo de’ morti
surse cantando a chiedere la guerra; …”
E l’orizzonte dinanzi a noi non apparirà più come una solenne carcassa di un’effimera utopia adolescenziale ma rappresenterà la palingenesi di una nuova Umanità libera dalla schiavitù dell’Usura. Con buona pace di Lamartine…


15 Novembre 2013 12:00:00 – http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=22663