Relazioni USA-Cina e la geopolitica del Trans Pacific Partnership Agreement (TPPA)

la Nato economica anche per ANNETTERE l’eurasia all’Impero
Relazioni USA-Cina e la geopolitica del Trans Pacific Partnership Agreement (TPPA)

novembre 13, 2013

Jane Kelsey Global Research, 11 novembre 2013

 Nel criticare i leader della sua nativa Nuova Zelanda per la loro miopia nel trattare il TPPA da accordo internazionale depoliticizzato, Jane Kelsey sostiene che la Cina è l’obiettivo finale di ogni grande proposta degli Stati Uniti per tale ‘accordo di nuova generazione, del ventunesimo secolo’.

 Il termine ‘imperialismo competitivo’ si applica dove il ‘libero commercio è asservito al fine di proiettare l’influenza su un altro Paese o territorio di una regione, e il controllo effettivo o percepito dei reciproci sforzi da un’altra potenza’. Nell’ultimo decennio è stato utilizzato per descrivere la corsa tra Stati Uniti e Unione europea (UE) per garantirsi accordi di libero scambio di nuova generazione (ALS) per motivi strategici. Oggi, l”imperialismo competitivo‘ è più propriamente usato per descrivere la crescente disperazione degli USA nel neutralizzare l’ascesa dei ‘Paesi BRICS’, Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa. La Cina è preminente tra essi, al punto che anche se non fa parte del proposto accordo di partenariato trans-Pacifico (TPPA), è l’elefante  costantemente in camera ed obiettivo finale delle proposte sempre più aggressive degli USA.La dimensione strategica e diplomatica del TPPA ha particolarmente gravi conseguenze per un Paese come la Nuova Zelanda, che vuole rimanere la migliore amica di entrambe le parti. Da un lato, il ministro del commercio Tim Groser aveva avvertito, nel febbraio 2012, che la Nuova Zelanda si sarebbe ritirata dai negoziati se i politici degli Stati Uniti li usavano per cercare di contenere l’ascesa della Cina. Si ritiene che gli alti rappresentanti governativi di Nuova Zelanda e Australia, fossero  assai a disagio con una certa retorica anticinese di Washington. Come di seguito dettagliato, la retorica non accenna a diminuire, ma prevedibilmente Groser non se ne allontana. Altre volte, i leader politici e i giornalisti ricorrono a quel luogo felice ove la Nuova Zelanda può rivendicare la neutralità di piccola potenza indipendente e giocare in entrambe le squadre. Alla fine del 2012, il primo ministro John Key accolse con favore i colloqui per un mega-accordo con la Cina e l’Associazione del Sud-Est asiatico (ASEAN), ‘ma il TPP è la nostra grande scommessa in questo momento‘.

L’approccio della Nuova Zelanda è trattare il TPPA come accordo economico internazionale depoliticizzato ed estraneo alla geopolitica. Ciò può essere realizzabile nelle prime fasi, ma se  vi sarà una guerra fredda per delega, gli amici di ogni parte si aspetteranno che ne diveniamo alleati. Una simile miopia studiata informa il grande piano di tutti i membri del forum Asia-Pacific Economic Cooperation (APEC) e i loro altri accordi aggregati a questo trattato USA-centrato che  forma l’accordo di libero scambio regionale dell’APEC. I ripetuti tentativi di raggiungere tale obiettivo sono falliti da quando fu proposto, nei primi anni ’90, perché vi sono modelli economici e relazioni strategiche divergenti tra i 23 membri dell’APEC. E’ vero che tutti i Paesi TPPA hanno le loro ragioni per partecipare a questo gioco, e alcuni come il Vietnam, lo vedono per costruire un proprio baluardo contro la Cina. Ma non ci sono prove che suggeriscano che quei decenni di resistenza al modello vincolante ed esecutivo statunitense per la regione Asia-Pacifico,  semplicemente si sciolgano.

 Il secolo del Pacifico degli Stati Uniti

Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama e la segretaria di Stato Hillary Clinton hanno suscitato dubbi al vertice  dell’APEC ospitato a Honolulu nel novembre 2011, circa gli scopi del TPPA. Gli Stati Uniti si propongono di far rivivere le proprie geopolitica, influenza strategica ed economica nella regione asiatica per contrastare l’ascesa della Cina, in parte attraverso la costruzione di un regime giuridico regionale, al servizio dei loro interessi, e gestito dagli Stati Uniti e dalle loro aziende. Nel contesto del TPPA, ciò che gli Stati Uniti vogliono è in definitiva ciò che conta. Ampliando l’articolo intitolato ‘US Pacific Century’ sul numero di novembre 2011 della rivista Foreign Policy, Clinton ha detto che le sfide alla sicurezza ed economiche che attualmente affronta l’Asia-Pacifico, ‘richiede la leadership statunitense’. I funzionari hanno descritto il ruolo degli Stati Uniti come ‘l’ancora della stabilità regionale‘, impegnata ‘nella gestione del rapporto con la Cina, economicamente e militarmente’. Secondo i consiglieri di Obama, è divenuto ‘molto chiaro‘ nei  colloqui bilaterali con il presidente della Cina Hu Jintao ‘che il popolo e la comunità imprenditoriale statunitensi sono sempre più impazienti e frustrati verso il cambiamento nella politica economica della Cina e l’evoluzione del rapporto economico USA-Cina‘. La Cina non era riuscita a dimostrare lo stesso senso di ‘leadership responsabile’ che gli Stati Uniti avevano cercato di avere.

Al vertice dei leader TPPA, Obama aveva parlato di stabilire norme internazionali che sarebbero ‘un bene per gli Stati Uniti, l’Asia, il sistema del commercio internazionale, per qualsiasi Paese che affronti questioni come l’innovazione e la disciplina Stato-imprese statali (SOE), creando un campo di gioco competitivo e di livello‘. Soprattutto, il TPPA creerebbe norme internazionali che sarebbero ottime per riesumare l’egemonia strategica e economica degli USA.

Il tono bellicoso s’era intensificato durante la campagna per le presidenziali del 2012 negli Stati Uniti. Il candidato repubblicano Mitt Romney si era lamentato che Obama non era stato abbastanza duro verso la Cina e aveva avallato il TPPA come ‘drammatico baluardo geopolitico ed economico contro la Cina‘. Obama era altrettanto bellicoso. Mentre la Cina potrebbe essere un partner, gli USA ‘inviavano un segnale molto chiaro’ di essere una potenza del Pacifico destinata ad avervi presenza. In un riferimento codificato al TPPA, disse ‘Stiamo organizzando relazioni commerciali con Paesi diversi dalla Cina, in modo che la Cina inizi a sentire una maggiore pressione nell’aderire agli standard internazionali fondamentali. Questo è il tipo di leadership che abbiamo dimostrato nella regione. Questo è il tipo di leadership che continueremo a mostrare‘. Vi è una certa tensione antagonistica tra la posizione in politica estera del dipartimento di Stato e gli obiettivi commerciali del TPPA. La Cina è l’obiettivo finale di ogni grande proposta degli Stati Uniti in questo ‘accordo di nuova generazione del XXI° secolo‘, in particolare la tutela più rigorosa dei diritti di proprietà intellettuale, le discipline ‘anticoncorrenziali’ sulle imprese di proprietà dello Stato e processi e regole per fermare una regolamentazione ‘ingiustificata ed eccessivamente onerosa’. Non è chiaro in che modo intendano spingere la Cina ad adottare tali regole. A volte sembra una strategia di accerchiamento, creando un modello che domini l’Asia-Pacifico e la Cina in primo luogo, forzandola ad adattarsi e in ultima analisi ad aderire al TPPA. Altre volte, l’obiettivo sembrano essere alleanze e operazioni della Cina in Paesi terzi, per minarne le basi d’appoggio economico e  d’influenza strategica.

La potenziale leva degli Stati Uniti sulla Cina s’è intensificata con l’annuncio a febbraio 2013 dei negoziati per una Trans-Atlantic Free Trade Area (TAFTA) tra gli Stati Uniti e il blocco dei 27 Paesi UE. Esiste una sinergia tra la strategia globale dell’UE per esternalizzare il suo regime normativo interno e l’obiettivo degli Stati Uniti per il TPPA di fornire un contesto normativo trasparente per capitali, beni, servizi, dati e personale d’elite nella regione Asia-Pacifico. Ma c’è la questione appiccicosa di quale regime governerebbe, dati i vecchi conflitti in settori quali l’agricoltura, la sicurezza alimentare, le telecomunicazioni e la proprietà intellettuale. L’attrattiva commerciale e strategica di un patto transatlantico è evidente, soprattutto per gli Stati Uniti. Se potessero stipularli gli USA abbraccerebbero i potenti blocchi TPPA e TAFTA, aumentando massicciamente la loro potenza nei confronti dei BRICS.

 

La risposta diplomatica della Cina

la risposta pubblica cinese è stata misurata. Alla fine di settembre 2011, l’ambasciatore della Cina nell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) disse diplomaticamente che aveva ‘obiezioni al TPP‘ ed era in attesa di vedere se c’era la possibilità che la Cina potesse essere coinvolta nelle discussioni. Parlando immediatamente prima del vertice APEC nel 2011, un alto funzionario cinese criticò aspramente gli obiettivi degli Stati Uniti come ‘troppo ambiziosi’ e chiese equilibrio tra la TPPA e ‘altre vie per la liberalizzazione del commercio multilaterale e regionale‘. I negoziati del TPPA dovrebbero essere ‘aperti’, e la Cina non era stata invitata a parteciparvi. Gli Stati Uniti  risposero che ogni Paese deve chiedere di aderire e dimostrare di esser pronto ad agire secondo regole del gold standard del 21° secolo del TPPA. La Cina ha un certo numero di opzioni.  Ignorando il TPPA, nella speranza che vada in stallo, e che seguire i negoziati dell’OMC del Doha Round e della moribonda Area di Libero Commercio delle Americhe, comporti un rischio troppo elevato. La Cina potrebbe cercare di aderire ai colloqui indirettamente tramite Hong Kong, ma  portando le estese proprietà delle aziende di Stato cinesi di Hong Kong sotto la disciplina del TPPA. Ciò esporrebbe anche i processi governativi di Hong Kong ad obblighi sgradevoli su gestione, divulgazione e partecipazione esterna. La Cina potrebbe fare una richiesta diretta per partecipare al TPPA. Cosa che scatenerebbe frenesia tra i Paesi negozianti il TPPA che non hanno un accordo di libero scambio con la Cina: gli Stati Uniti, oltre a Canada, Giappone, Messico e Australia. Ma l’adesione comporta un processo lungo e umiliante di discussioni bilaterali e approvazione da ciascun membro partecipante, quindi la decisione collettiva per consentirne l’ingresso, seguita da una notifica di 90 giorni dal Congresso degli Stati Uniti. Il processo per il Canada e il Messico durò un anno. Dissero che dovettero accettare tutto ciò che era stato concordato nel momento in cui formalmente aderirono ai negoziati, ma non ebbero il permesso di vederne il testo prima. Anche se gli Stati Uniti assicurarono che l’adesione del Giappone fosse accelerata, arrivò ai negoziati di fine luglio 2013 nelle stesse condizioni: il Giappone non ebbe accesso ai testi formali e non potrà riaprire tutto ciò che era già stato concordato nei negoziati. In realtà, molti dei capitoli di maggiore interesse per il Giappone non sono stati conclusi, facendo in modo che la scadenza di ottobre sia irraggiungibile.

Sembra inconcepibile che la Cina si accordi a un processo di discussioni bilaterali e ardue precondizioni solo per arrivare al tavolo dei negoziati ed accettare una serie di regole elaborate dagli USA volte a paralizzare le principali basi del vantaggio commerciale della Cina. L’opzione più realistica per la Cina è accrescere il proprio mega-gruppo. Cosa già avviata. La Cina ha un accordo di libero scambio con l’ASEAN, la cui portata si è progressivamente ampliata dai beni ai servizi agli investimenti. Ed ha iniziato negoziati bilaterali con la Corea del sud e le prime trattative Cina-Giappone-Corea si sono svolte a marzo 2013. Queste relazioni sono fondamentali per la Cina. Vi sono tensioni in politica estera con il Giappone sulle isole contese di Diaoyu/Senkaku e questo è chiaramente un fattore che ha spinto il Giappone ad unirsi ai colloqui TPPA, nonostante la vigorosa opposizione interna. Tuttavia, la Corea del Sud ha detto che non farà altrettanto, in questa fase, perché si concentra sulle trattative con la Cina e l’accordo a tre con il Giappone. Altra grande contromanovra della Cina è il partenariato regionale globale economico (RCEP) di 16 nazioni, che coinvolge la Cina, i 10 Paesi dell’ASEAN, India, Corea del Sud, Giappone, Australia e Nuova Zelanda, ma non gli Stati Uniti. I colloqui furono avviati nel novembre 2012. La retorica è simile al TPPA, con i sostenitori che lo descrivono come ‘un quadro entro cui le imprese possono utilizzare le risorse della regione per migliorare e generare più alti standard di vita e di benessere per i popoli della regione’. Vi sono aspettative simili nella liberalizzazione di servizi, investimenti, filiere e  connettività, ma sono più deboli in materia di proprietà intellettuale, riforme normative nazionali, ambiente, lavoro, appalti pubblici e misure non tariffarie, quali le leggi di tutela dei consumatori.

Mentre gli Stati Uniti vedono il TPPA come veicolo per la loro leadership nella regione Asia-Pacifico, i ricercatori dell’ASEAN affermano sia nell’interesse dell’Asia orientale e del mondo intero che ‘l’Asia orientale sia il motore della crescita dell’economia mondiale‘, pur essendo aperta al resto del mondo. I negoziati e l’accordo RCEP dovrebbero seguire il precedente della Comunità economica dell’ASEAN, seguendo la ‘via dell’ASEAN‘. L’ethos del progetto della Cina e dell’ASEAN, è fondamentalmente diverso dal TPPA degli USA. Invece di un impegno comune a un ‘accordo gold-standard del XXI.mo secolo‘, il RCEP riconoscerà ‘circostanze individuali e diverse ai Paesi partecipanti‘. Considerando che il TPPA rifiuta qualsiasi trattamento speciale e differenziato per i Paesi più poveri oltre un certo periodo e qualche assistenza tecnica, mentre il RCEP promette di ‘includere adeguate forme di flessibilità tra cui l’accantonamento per un trattamento speciale e differenziato‘, soprattutto per i Paesi meno sviluppati.

Sette Paesi attualmente seguono entrambe le trattative: Australia, Brunei, Giappone, Malesia, Nuova Zelanda, Singapore e Vietnam. Il lasso di tempo per concludere un accordo RCEP è entro la fine del 2015. Gli Stati Uniti evidentemente non vogliono che questi negoziati vadano avanti finché non avranno bloccato i Paesi interessati nell’orbita delle proprie regole TPPA, specialmente quelli con cui non dispone già di un accordo di libero scambio. Cosa che diventerà difficile nel negoziato con il Giappone. Se entrambi gli accordi saranno conclusi, Paesi come la Nuova Zelanda, che vi partecipano, dovrebbero affrontare alcune decisioni difficili, alla fine. I due accordi riflettono paradigmi così come alleanze geopolitiche divergenti. Le parti sarebbero tenute a implementare  obblighi abbastanza diversi, e il loro rispetto verrebbe imposto da Stati ed imprese straniere.

 

 

Jane Kelsey è professoressa di diritto presso l’Università di Auckland in Nuova Zelanda. Da diversi decenni il suo lavoro s’incentra sul rapporto tra globalizzazione e neoliberismo nazionale, in particolare nella libertà degli accordi commerciali e di investimento. Dal 2008 ha svolto un ruolo centrale nella campagna internazionale e nazionale per sensibilizzare e opporsi all’accordo di partenariato trans-Pacifico. Quanto sopra è estratto dal suo nuovo libro Hidden Agendas: What We Need to Know About the TPPA (Bridget Williams Books, Maggio 2013).

Copyright © 2013 Global Research

 Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

http://aurorasito.wordpress.com/2013/11/13/relazioni-usa-cina-e-la-geopolitica-del-trans-pacific-partnership-agreement-tppa/

Relazioni USA-Cina e la geopolitica del Trans Pacific Partnership Agreement (TPPA)ultima modifica: 2013-11-25T11:00:05+01:00da davi-luciano
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