Per giornale spagnolo “inutile” la bomba nucleare più potente sviluppata dall’Urss

https://it.sputniknews.com/mondo/201911028247961-per-giornale-spagnolo-inutile-la-bomba-nucleare-piu-potente-sviluppata-dallurss/?utm_source=push&utm_medium=browser_notification&utm_campaign=sputnik_it

Tsar Bomba (foto d'archivio)

© Sputnik . Mikhail Voskresensky
22:34 02.11.2019

Il 30 ottobre del 1961 l’Unione Sovietica testò la cosiddetta Tsar Bomba (nota anche come Bomba Zar o RDS-220 – ndr) nell’Artico, ma in realtà un ordigno così grande si rivelò inadatto per una vera guerra, si legge in un articolo del quotidiano spagnolo La Vanguardia.

In particolare, la Tsar Bomba, secondo il giornalista, non poteva essere lanciata a grande distanza. Inoltre gran parte della sua energia sarebbe andata dispersa nello spazio sotto forma di radiazione, sostiene l’autore dell’articolo.

L’Urss voleva intimidire le potenze capitaliste con una dimostrazione dell’insuperabile tecnologia sovietica, ma di fatto era solo un enorme bluff, si afferma nell’articolo. La leadership sovietica ne era consapevole e voleva nasconderlo, ipotizza l’autore dell’articolo.

La RDS-220 è una bomba aerea termonucleare sviluppata in Unione Sovietica tra il 1956 e il 1961 da un gruppo di fisici nucleari guidati dall’accademico Igor Kurchatov.

© SPUTNIK . MIKHAIL VOSKRESENSKIY
La copia della Tsar Bomba

Il test di questo ordigno nucleare si svolse il 30 ottobre 1961: un aereo Tu-95V sganciò la bomba nel poligono di test nucleari di Sukhoi Nos, sull’isola Novaya Zemlya. La potenza dell’esplosione venne misurata in 58.6 megatoni.

La Tsar Bomba è il più potente dispositivo esplosivo fabbricato nella storia dell’umanità. È entrato nel Guinness dei primati come il più potente ordigno termonucleare ad aver superato un test.

L’isola Calva: il Gulag dimenticato di Tito

https://www.vanillamagazine.it/l-isola-calva-il-gulag-dimenticato-di-tito/?fbclid=IwAR0b77tpdMxKuBnpMzUhwHmOlJbV2Zc9dliumhuvJ_SLEPSbkh6xZii2uUc

Nel Mar Adriatico si trovano le isole Quarnerine, una serie di isolotti di appartenenza della Croazia, fra le quali la più famosa è l’Isola Calva, sede nel secondo dopoguerra del famigerato campo di prigionia del dittatore jugoslavo Tito. L’Isola Calva (in croato Goli otok) si trova a 3,3 chilometri dalla costa croata, dalla quale è separata dal canale della Morlacca. L’isolotto è di piccole dimensioni, una superficie di 4,54 chilometri quadrati, che al momento risulta disabitata. Il nome di Calva deriva dalla sua aridità e dalla vegetazione quasi inesistente.

Un’isola brulla e anonima, come tante nell’Adriatico, se non fosse che dal 1949 al 1989 l’Isola Calva è stata sede di un campo di rieducazione politica voluto dal generale Josip Broz, passato alla storia con il nome di Tito, per isolare i suoi oppositori e convertirli al socialismo jugoslavo.

L’isola Calva, fotografia di Roberta F condivisa con licenza CC-BY SA 3.0 via Wikipedia:

Tito era stato a capo dei partigiani jugoslavi durante l’ingresso della Jugoslavia nella Seconda guerra mondiale a fianco delle forze alleate britanniche, francesi e sovietiche. Concluso il conflitto bellico, nel 1949 il futuro dittatore jugoslavo, definito lo strappo con l’URSS di Stalin con l’inizio del “Periodo Informbiro”, è Primo ministro della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia sotto la presidenza di Ivan Ribar.

In quell’anno Tito, libero da ogni dovere nei confronti dell’Unione Sovietica e persuaso che sia il momento adatto per rafforzare il suo potere, decide di mettere su un campo di concentramento destinato a ospitare tutti gli oppositori che avrebbero potuto contrastare la sua ascesa allo scranno di Presidente della Repubblica, avvenuta nel 1953, e da lì al ruolo di dittatore del paese.

Sotto, celebrazione del primo Maggio sull’isola di Goli Otok (la fotografia risale probabilmente al 1954). Immagine rubata da un prigioniero negli archivi della polizia di Goli Otok. Per molti anni è stata l’unica testimonianza dell’esistenza del campo di Concentramento sull’isola

All’inconsistente ombra del monte Glavina (il punto più alto dell’isola con i suoi 227 metri sul livello del mare), vicino l’insediamento ora abbandonato di Maslinje, nasce così il campo di prigionia dell’Isola Calva – per gli slavi conosciuta come l’Isola Nuda – un piccolo complesso di costruzioni rettangolari sferzate dal vento e invecchiate dal sole.

BEIRUT, BAGHDAD, CAIRO, HONG KONG, QUITO, SANTIAGO, LA PAZ… C’E’ ORO E C’E’ SIMILORO —– MASSE AUTODETERMINATE, MASSE ETERODIRETTE

https://fulviogrimaldi.blogspot.com/2019/11/beirut-baghdad-cairo-hong-kong-quito.html

MONDOCANE

VENERDÌ 1 NOVEMBRE 2019

 

Otpor a Beirut

“Credo che tutta questa operazione è un trucco. Baghdadi verrà ricreato con un nome diverso, un diverso individuo e l’Isis, nella sua interezza, potrà essere riprodotto con un  altro nome, ma con lo stesso pensiero e gli stessi scopi. Il direttore di tutta la commedia è lo stesso, gli americani”. (Bashar al Assad)

E, alla luce di Storia e cronaca, mi fido più di Assad che di qualsiasi fonte occidentale.

https://twitter.com/i/status/1189650911888642055 video del Pentagono su uccisione di Al Baghdadi, un bombardamento sul presunto bunker. Punto.

Sesta morte di Al Baghdadi

Per prima cosa dobbiamo smettere di sghignazzare- peraltro rabbiosamente – sull’ennesima eliminazione del turpe socio del noto fu senatore McCain, Al Baghdadi, che piagnucola e si fa scoppiare senza che nessuno lo possa riprendere, dato che tutto quello che gli Usa hanno fatto con i Chinook è polverizzare un presunto bunker, mettere al confronto qualche lembo di qualcuno con le mutande che un presunto curdo avrebbe sottratto a un presunto califfo e disperdere ogni presunta prova scientifica e inoppugnabile in mare. Copia poco fantasiosa di quanto questi illusionisti da baraccone dello Stato Profondo avevano fatto con Osama bin Laden, o a Pearl Harbor, o nel Golfo del Tonchino, o l’11 settembre, o con John e Robert Kennedy quando volevano smetterla in Vietnam, o con Nixon, quando strinse la mano a Mao. Quanto, ma quanto ci hanno fatto ridere. Con tanto di smorfia.

Oro o vermiculite (lega di  finto oro )?

Veniamo a noi. Se, seguendo il mio rozzo, ma efficace criterio di valutare, almeno approssimativamente, gli eventi alla luce di chi li appoggia e chi li disapprova, direi che a Beirut, come in Iraq, è in atto una bella rivoluzione colorata, finalizzata all’ennesimo regime change da Stato Profondo Usa, agli ordini della cupola militar-finanziaria capitalista. A prova adduco l’analisi dell’ISPI, quell’Istituto di studi di politica internazionale che più atlanticista non si può e il cui direttore ci viene presentato in ogni congiuntura come il guru delle verità geopolitiche. Il succo del pippone ISPI – pifferaio “tecnico” seguito con devozione dal monopolarismo mediatico, “il manifesto” in testa – è che il nemico della democrazia e del cambiamento in Libano, e dunque dei bravi manifestanti, non sono altri che Hezbollah e il loro alleato Michel Aoun, capo dello Stato e del partito dei Cristiani Liberi, peraltro storicamente primo esempio di convivenza e alleanza tra settori confessionali la cui separazione istituzionale il colonialismo francese in partenza impose  con il classico “divide et impera” confessionale e geografico.

Le analoghe rivolte libanesi del 2015 e del 2005, come queste e quelle di altre rivoluzioni colorate iconicamente rappresentate dalle prime file di signorine, signore e giovanotti freschi di moda e di trucco, come a Belgrado, Caracas, La Paz, Kiev, Hong Kong, poi spesso integrate da misteriosi cecchini che sparano equamente su polizia e dimostranti, furono parimenti apprezzate dall’ISPI, ma anche dalla finta sinistra talmudica e laica, con mosca cocchiera l’ex-“Liberazione” e oggi “il manifesto”, Guido Caldiron.

Passeggiate mediorientali

Pubblicità non occulta. Perdonate.

Metto le mani avanti. Mi picco di saperne un po’ di Libano, frequentato fin dal 1967, Guerra dei Sei Giorni, quando ci passai espulso da Israele per i miei pezzi al Paese Sera. Ma anche di Palestina, Egitto, Siria e Iraq, di cui fino a oggi ho scritto pezzi, libri e girato documentari. Del Libano credo di conoscere alcuni dei più significativi protagonisti: Walid Jumblatt, capo dei Drusi e spesso kingmaker, i dirigenti palestinesi, le grandi famiglie maronite fascistizzanti Chamoun, Gemayel, Geagea, Naim Kassem, vicesegretario degli Hezbollah, gli stessi Hezbollah con i quali e con Stefano Chiarini, il migliore giornalista mai incontrato, abbiamo girato il sud del paese. E poi i militanti, i combattenti nella guerra civile 1975-1990, i contadini, i palestinesi dei campi, Talal Salman, il grande direttore del quotidiano di sinistra Al Safir, per il quale ho scritto anni fa. Lo dico perché un po’ di antropologia e relativa morfologia mi è rimasta attaccata da tante frequentazioni, per cui, quando vedo una folla, non mi è difficile intuirne classe, motivazione e obiettivi.

Quando il pugno racchiude stelle e strisce

In Libano le prime file sono uguali a quelle che ho visto a Belgrado, nei moti che portarono al rovesciamento di Milosevic, visto appresso a Greta Thunberg, visto in tutte le operazioni di regime change Usa: benvestiti, lisci e belli, curati e che, fino a quando non arrivano quei certi cecchini (in Ucraina, Hama, Bengasi, Iraq, e Libano), appaiono personcine educate da ammirare e vezzeggiare. Non fosse per un particolare: il pugno, il pugno di Otpor, la camarilla delle manifestazioni popolari catturate e pervertite, creata dalla Cia in Serbia e poi riemersa e adoperata in tutte le rivoluzioni colorate. Pugno chiuso rubato furbescamente all’iconografia di antiche, autentiche sollevazioni per libertà e giustizia. Proprio come l’ormai abusatissima e dunque screditata “Bella Ciao” (contaminata perfino dalle ugole dei parlamentari PD), e che ora echeggia tra certe folle libanesi, egiziane, irachene.

Anche a Baghdad s’è visto il pugno, anche se lì la morfologia umana è più varia e a prevalenza di poveri e arrabbiati, merito di cui può vantarsi il mullah Moqtada al Sadr, passato dall’ obbedienza iraniana a quella saudita, ambiguo Masaniello che si è assicurato un vasto seguito tra gli strati sciti più deprivati. Il che non toglie nulla, né alle rivendicazioni dei partecipanti, tanto giuste, quanto strumentalizzate, né all’identità della manina spuria di chi s’è messo a capo di organizzazione e rifornimenti (del resto di una qualità, quantità e omogeneità incompatibili con quanto si definisce “protesta spontanea e senza capi”: tende, caschi, maschere antigas, comunicazioni, logistica, fino agli slogan e alle pubblicazioni. E ai finanziamenti di NED, Usaid, Soros).

“In Iraq come in Cile”?

Il trucco, cui quasi tutti i media ricorrono, per imporre una grandiosa mistificazione dei sommovimenti in atto in diversi continenti, è emblematicamente rappresentato dal “manifesto”, fidanzato di tutti i mediorientali purché curdi, quando scrive “In Iraq come in Cile”. Cosa deve metabolizzare il lettore di tale “questa e quella per me pari sono”, cantato da tutti gli altri fakenewisti, nel sincronismo che li unisce quando si tratta di far echeggiare la voce del padrone? Il Cile è al di là di ogni discussione. Incombe, nella figura, nello squilibrio sociale, nella garrota economica, nei carri armati in strada, con tale evidenza l’ombra del dittatore Pinochet; è talmente enorme e traversale l’insurrezione, dai nativi Mapuche, agli studenti, agli operai, ai professionisti e, soprattutto, talmente forte la ripulsa degli yankee da parte del “pueblo unido jamas serà vencido”, che perfino i più accaniti fan dei Chicago Boys e della Cia sono costretti a scappellarsi, “chapeau.

Ed è questa, per altri versi fortunata circostanza che gli permette di infliggerci la Grande Mistificazione: visto che i manifestanti di Santiago sono bravi e hanno ragione, come non può essere così anche per quelli, ugualmente giovani, con tante donne, spontanei, senza capi, senza partiti, del Cairo, di Baghdad, Beirut, Bassora, La Paz? Ed ecco che tutti, perfino gli ultimi lettori del “manifesto”, i creduloni che ritengono i talk-show di “Fake News” su cui costruire “Fake Thoughts” (falsi pensieri), condotti da Gruber, Zoro, Floris, Formigli, Giletti e, ahimè, a volte anche del mio vecchio collega e amico, Ranucci, credibili finestre sul mondo, sono convinti che da Iraq, Libano, Egitto emani lo stesso profumo della Rivoluzione dei Garofani portoghese (che LC, meglio di altri, raccontò in Italia).

Ribadisco: non v’è dubbio che nei ceti dirigenti di quei paesi vi siano magagne a josa, che ci siano dominati in malessere e dominanti al caviale. Come da noi, forse di meno, forse di più, come dappertutto. In particolare dove le forze della globalizzazione, tanto benefiche verso la terra quanto benevole verso i deprivati, hanno fatto piovere i propri principi di democrazia, libertà, “law and order”, magari scortati da sanzioni, truppe, forze speciali, crociati e cultori di mezzelune impiegate sui colli.

Il non detto delle “rivoluzioni”

Dunque le colpe ci sono: corruzione, inefficienza, disuguaglianze, prepotenze, clientelismi, polizie brutali. Insomma, un bel po’ di pidismo, renzismo, andreottismo, leghismo. E da mo’ che ne soffriamo, loro e noi. Ma per scatenare oggi quelle proteste, far riemergere quel pugno chiuso, c’è qualcosa di non detto, come sempre. Qualcosa che non piace proprio, non tanto alla piazza, che si batte per i cazzi suoi, quanto a chi, lontano e in alto, non gradisce certi comportamenti di certi governi.

Vediamo. Per due volte il Libano ha ricacciato a casa sua chi lo aveva invaso, gli aveva inflitto Sabra e Chatila, ne viola da decenni la sovranità, lo ha messo in ginocchio a forza di missili, lo ha avvelenato con armi proibite. Ancora mi batte il cuore quando, nel 2006, a Bint Jbeil, rasa al suolo quanto Beirut e tutte le altre città libanesi, vidi le truppe israeliane scappare come lepri davanti agli sgarrupati guerriglieri Hezbollah, per la seconda volta vittoriosi. Il Libano era in macerie. Gli Hezbollah furono acclamati da tutto il popolo liberatori della patria e ne furono consacrati difensori in perpetuo. E l’Iran maledetto aveva trovato sul Mediterraneo un alleato forte e affidabile. Ne era nata un’unità nazionale con tutti i movimenti rappresentativi delle varie comunità e confessioni al governo, compresi gli Hezbollah con tre ministeri, e un presidente, il general Michel Aoun, cristiano ma loro alleato. E poi, quegli Hezbollah, non sono andati a combattere e vincere anche in Siria e Iraq? Intollerabile carcinoma nel Medioriente arabo da frantumare.

Saad Hariri, uomo dei sauditi e, dunque, degli Usa, si dimette a seguito, dice, delle proteste. I manifestanti puliti e civili si scontrano con omaccioni che si fanno passare per Hezbollah e Amal, l’altro partito scita. Saad, figlio del più grande e ricco speculatore libanese, ucciso in un attentato, chiede ad Aoun un esecutivo di tecnici: via dalle scatole gli Hezbollah. Libano aperto alle vendette israeliane. Ciò che deve crollare è l’accordo che ha posto fine alla guerra civile: l’unità nazionale di segno patriottico. Chi ne godrebbe?

A Baghdad si rialza la cresta

Poi le colpe degli iracheni, in primis delle Unità di Mobilitazione Popolare che, assieme al ricostituito esercito iracheno, hanno inflitto all’Isis la sconfitta più cocente, ricuperando per intero il territorio nazionale (tranne una striscia occupata dal solito Erdogan) e costringendo le mafie curde di Barzani e Talabani alla mera autonomia regionale. Il governo di Abdul Mahdi, meno prono ai voleri dei tuttora occupanti Usa, non si è opposto a che il parlamento e le milizie popolari denunciassero il sostegno dato dagli Usa all’Isis durante tutto il conflitto e alle recenti incursioni israeliane e chiedessero alle truppe Usa, evacuate dalla Siria e entrate in Iraq, di togliere il disturbo entro 30 giorni.

Chi ha ridotto l’Iraq in quello stato?

Gli apologeti nostrani dei rivoltosi, in effetti duramente repressi dopo aver dato alle fiamme edifici e personale governativo, denunciano i black out elettrici, la carenza di acqua potabile, lo sfascio delle infrastrutture, gli alti prezzi. Non si sognano neanche di accennare a due guerre distruttive, inframmezzate da bombardamenti clintoniani ogni quattro giorni per sei anni, al petrolio, che dovrebbe fornire l’energia e permettere la ricostruzione, per intero in mano ai grossi petrolieri anglosassoni insieme ai suoi proventi, l’acqua del Tigri e dell’Eufrate ridotti a fiumiciattoli dalle nuove, abusive, dighe turche. E se il bluff Moqtada, raffigurato come colui il cui seguito resistette agli occupanti Usa e Nato, mentre contro questi non ha mai sparato un colpo (la resistenza era tutta saddamita e Baath), ora chiede le dimissioni del governo di cui faceva parte e scende in piazza con i manifestanti, vuol dire che al gioco partecipano sauditi, americani e israeliani.

Del Cairo e di Al Sisi mette poco conto parlare. Bastano Amnesty International, HRW, Avaaz, gli atlantisti all’orgasmo del “manifesto”, “Fatto Quotidiano” e tutti gli altri pappagallini a farci capire di chi è nemico al Sisi e di chi sono amici i Fratelli musulmani. La loro descrizione dell’Egitto del presidente che si è avvicinato alla Russia, sostiene Haftar in Libia, ha pacificato il paese, ha raddoppiato il Canale, erige una nuova capitale per decongestionare il Cairo, ha costruito più case popolari di qualsiasi predecessore, deve affrontare ogni giorno un terrorismo jihadista sanguinario quanto e più di quello in Siria (e nessuno ne parla), fa della Giudecca di Dante un parco giochi.

Toccherebbe andare a vedere con i propri occhi. I dossier di Amnesty meritano la sorte dei diari di Hitler. Strillano che chiunque parli contro il “regime” finisce incarcerato, torturato e ucciso. Come Regeni. Come la grande operazione Regeni. Poi, per sostanziare l’affermazione citano “giornali d’opposizione”, “attivisti dei diritti civili”, “Ong”, tutti vivi e vegeti e parlanti. Strano.

E ora vediamo come la mistificazione dei destri-sinistri e destri-destri si estenda all’America Latina. Anche di questa, permettete, qualcosina ne so, e non solo sul piano fisionomico.

Americas reaparecidas

 Cile e Argentina

Quanto al Cile, con codesti impresentabili continuisti del macello sociale nel paese del miracolo economico latinamericano, nessuno ha potuto sottrarsi, salvo qualche testa di Bolton, McCain, Ong, setta evangelica, o ISPI, al riconoscimento che qui si tratta della rivoluzione di un popolo contro il pinochettismo. Una “democratura” confermata nella pratica e nella Costituzione anche negli anni dei fasulloni della democrazia riconquistata. Personaggi sbaciucchiati dalla sinistra Deep State, alla “manifesto”, tipo Azocar, Escobar, la fellona Bachelet, corsa in Venezuela a dar mano forte al guappo amerikano Guaidò e alle calunnie di Pompeo. Cile nel quale, cosa non riferita dai mass media e non vista né al Cairo, né a Baghdad, né a Beirut, alle spalle del caudillo da abbattere, i manifestanti prendono univocamente per bersaglio i gringos.

Così in Argentina, dove vedo ripresentarsi, grazie a 4 anni di neoliberismo sotto ferula FMI (40 miliardi di dollari da trasformare nel debito di 45 milioni di argentini (escluso lo 0,01 % che ha incamerato il prestito), l’identica situazione lasciata dall’altro ladrone, Carlos Menem. Situazione aberrante che ho filmato nel 2002, attraversando un paese dove il 60% della gente, ridotta alla fame, veniva tenuta in vita dalle mense e dagli ambulatori delle organizzazioni popolari di sinistra. I soliti media, sempre col gufo “manifesto” in testa, masticano amaro. Tanto, che costretti a riconoscere una sollevazione sacrosanta contro l’ennesimo restauratore amerikano del “cortile di casa”, si rifugiano negli acidi sospetti su una Cristina Kirchner, già protagonista col marito Nestor della rinascita argentina. Cristina farebbe la vicepresidente dell’altro peronista Fernandez (più moderato, nella speranza dei media) per garantirsi l’impunità da una serie di inchieste montatele contro da una magistratura che fa il paio con la brasiliana dell’incarceratore di Lula, il procuratore Sergio Moro, poi premiato da Bolsonmaro con il ministero della…Giustizia.

In Bolivia, dove limpidamente ha vinto per la quarta volta Evo Morales, l’uomo che ha estromesso l’FMI, registrato un miglioramento delle condizioni di vita e della macro e micro-economia senza precedenti nella storia del paese, siamo alle solite: contestazione del risultato e accusa di brogli. La rivolta, del tutto analoga negli obiettivi, nei protagonisti e nelle manipolazioni di quelle di Libano e Iraq, stesso padrino, stesse Ong, parte come altre volte da Santa Cruz, feudo e regione di irriducibili latifondisti e covo dei revanscisti dell’alta borghesia, oggi guidata dallo sconfitto Carlos Mesa. Morales, in un soprassalto di generosità, ha invitato l’Organizzazione degli Stati Americani (OEA), a verificare i risultati. Visto la natura di zerbino yankee di questa organizzazione e del suo segretario, Luis Almagro, ha assunto un notevole rischio.

Ecuador: la vittoria tradita

Un discorso a parte merita l’Ecuador dove tutti, chi inconsapevole, chi da sorcio nel formaggio, festeggiano l’accordo tra il presidente Lenin Moreno, traditore e poi persecutore dell’ex-presidente Rafael Correa, che, in cambio del solito prestito miliardario FMI, s’era venduto il paese e Assange agli Stati Uniti. Correa  aveva fatto entrare il paese nell’ALBA, la coalizione antimperialista messa in piedi da Chavez, e adottato misure contro l’endemica povertà, in difesa dell’ambiente. Aveva anche lui cacciato il FMI. Sostenuto dalla Rivolucion Ciudadana, aveva risollevato il suo popolo dalle disastrose condizioni in cui l’aveva lasciato tutta una serie di fantocci di Washington.

Ho avuto la fortuna di passare con telecamera e taccuino dalle parti di Ecuador e Bolivia, proprio nella fase del passaggio dall’abiezione colonialista a una liberazione-emancipazione conquistata da enormi insurrezioni popolari e da due nuovi leasder. A Quito avevo intervistato Luis Macas, segretario della CONAIE, il coordinamento delle associazioni indigene e ne avevo notato la totale estraneità alla lotta e ai suoi obhiettivi anticapitalistici. Fatto da collegarsi al sostegno della Conaie al presidente Lucio Gutierrez, indigeno anche lui ma filo-americano e dollarizzatore del paese, abbattuto dall’insurrezione.

Indigeni alla vermiculite

Ebbene, oggi la stessa Conaie, stavolta protagonista delle rivolta, ma che aveva tentato di espellerne il movimento di Correa, Alianza Pais, ha concluso con Moreno un accordo nettamente a ribasso, confermandolo a una presidenza che le masse avevano voluto ritirata, rimandando a casa, nelle lontane province amazzoniche, le tribù che si erano mobilitate. Contro la promessa, si badi bene: promessa, di ritirare il paquetazo che aveva innescato la lotta, un insieme di tagli dei sussidi e di aumento dei prezzi, soprattutto del combustibile, la Conaie ha accettato che tutto rimanesse com’era: il caudillo Moreno, il sistema neoliberista, un’economia estrattivista al servizio delle multinazionali Usa. Un nuovo tradimento.

Non sempre le organizzazioni indigene, si veda Bolivia e, appunto, Ecuador, ma anche gli zapatisti dell’ex Marcos in Chiapas, sono esenti da ambiguità e corporativismi etnici, a dispetto degli indigenisti nostrani che, chiunque sia o qualunque cosa faccia l’indigeno, spesso in combutta con interessate Ong, si schierano senza se e senza ma dalla sua parte. Come con i migranti, fossero anche la mafia nigeriana.

Concludendola fattucchiera che, da capa del tritacarne FMI, ha ridotto l’America Latina nelle condizioni viste, salvo Bolivia e Venezuela dalle quali era stata cacciata, ce l’abbiamo oggi alla testa della grattugia BCE. Volessero gli dei che anche da noi cominciasse a spirare il vento che oggi gonfia le vele dell’America Latina.

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 17:55

EN EXCLUSIVITE LE ‘GRAND JEU’, L’ÉMISSION DE GÉOPOLITIQUE DE LUC MICHEL : LA SECONDE EMISSION DE LA SAISON III AVEC LA SUITE DE NOTRE EDITION SPÉCIALE SUR LE SOMMET RUSSIE-AFRIQUE A SOTCHI !

 

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE/

Luc MICHEL pour EODE/

Quotidien géopolitique – Geopolitical Daily/

2019 10 28/
PUB LM.GEOPOL DAILY - Pub grand jeu sotchi II (2019 10 27) FR

Avec le géopoliticien Luc MICHEL

Et Fabrice BEAUR (adm de EODE-ROSSIYA)

en duplex depuis Sotchi

Présenté par le journaliste iranien Amir FATI

Avec des images exclusives EODE-TV du Sommet de Sotchi

# AFRIQUE-MEDIA-BRUXELLES & EODE-TV/
EDITION SPECIALE DU « GRAND JEU GEOPOLITIQUE » (SAISON III – 2 ) : SOMMET RUSSIE-AFRIQUE DE SOTCHI (PARTIE II). PASSE ET PRESENT D’UNE GRANDE IDEE

* AFRIQUE-MEDIA-BRUXELLES & EODE-TV/
EDITION SPECIALE DU « GRAND JEU GEOPOLITIQUE » ( SAISON III – 2 ) :
SOMMET RUSSIE-AFRIQUE DE SOTCHI (PARTIE II).
PASSE ET PRESENT D’UNE GRANDE IDEE
sur https://vimeo.com/369066216

Thématique de la Partie II :

* RETOUR EN ARRIERE.

LA CONSTRUCTION DE LA « RUSSOSPHERE » EN AFRIQUE

6) Luc Michel : Le retour de Moscou a été préparé par un intense travail de lobbyisme, pouvez-vous nous en dire plus ?

7) Fabrice Beaur (depuis Sotchi) : Nous retrouvons Fabrice BEAUR depuis Sotchi, ou il est l’envoyé spécial d’Afrique Média et EODE TV. Fabrice, vous avez vous aussi joué un rôle très actif dans la construction de cette « Russosphère » qui fait très peur aux médias occidentaux ?

8) Luc Michel : Vous avez vous-même joué un rôle dans la construction de cette Russosphère en Afrique. L’hebdo parisien « L’express » a dit de vous que vous êtes « omniprésent dans la Russosphère internationale ». Son édition belge « Le Vif-L’Express » a encore dit que vous étiez « le plus visible en Belgique dans les réseaux de Kremlin » ?

9) Luc Michel : Dans de nombreuses interviews, vous dites que ce qui vous a conduit à être « un homme de Moscou », ce sont des raisons qui sont à la base même de la géopolitique. Expliquez nous cela ?

* VERS LA GEOPOLITIQUE DU FUTUR.

AXE EURASIE-AFRIQUE ET AFROEURASIE

10) Luc Michel : Depuis 2014, vous avez développé la thèse géopolitique dite de « l’Axe Eurasie-Afrique », quelle est votre thèse ?

11) Luc Michel : Y a-t-il des liens entre les « nouvelles routes de la Soie » de Xi Jinping, le Néoeurarisme (ou la « Grande-Europe de Vladivostok à Lisbonne ») de Poutine et Lavrov, et votre « Axe Eurasie-Afrique » ?

A PROPOS DE NOTRE SECONDE EMISSION SUR LE SOMMET RUSSIE-AFRIQUE DE SOTCHI

Bonjour à tous, bienvenue pour la seconde émission de cette saison III du Grand Jeu, nous continuons notre interview avec Luc MICHEL, grande figure de la « Russosphère », et consacrée à la suite de notre analyse de fond sur le sommet Russe-Afrique de Sotchi. Nous

retrouverons aussi, sur place à Sotchi, Fabrice BEAUR, collaborateur de Luc MICHEL en Russie, administrateur de EODE- ROSSIYA. A la différence de notre précédente émission, nous vous livrerons, cette fois, des images inédites du sommet de Sotchi.

Si dans la première partie de notre analyse, nous avions examiner au fond le dossier Russie-Afrique, et l’événement qu’est ce premier sommet à Sotchi, dans cette seconde partie, nous irons dans le passé, vous expliquer comment s’est constituée la « Russosphère » en Afrique et avant en Eurasie. Luc MICHEL possède à fond ce sujet, puisqu’il est l’un des initiateurs du lobby pro-russe, mais nous irons aussi en seconde partie, dans le futur, ou nous vous parlerons de l’axe Eurasie-Afrique et de l’afro-Eurasie.

VOICI LA SAISON III DU « GRAND JEU »

Bienvenue pour cette nouvelle Série de notre émission LE GRAND JEU. AU CŒUR DE LA GEOPOLITIQUE MONDIALE, produites avec Luc MICHEL, géopoliticien et administrateur  d’AFRIQUE-MEDIA-BRUXELLES et patron d’EODE-TV, qui apporte son expertise à l’émission. Et nous dévoile le dessous des cartes de la géopolitique mondiale et des idéologies qui mènent le monde. Avec sa vision transnationale ouverte sur les dimensions continentales, Luc MICHEL nous donne les clés des géopolitiques rivales vues de Moscou, Washington, Bruxelles ou encore ici de Pékin …

* Avec le Géopoliticien de l’Axe Eurasie-Afrique :

Géopolitique – Géoéconomie – Géoidéologie – Géohistoire –

Géopolitismes – Néoeurasisme – Néopanafricanisme

(Vu de Moscou et Malabo) :

PAGE SPECIALE Luc MICHEL’s Geopolitical Daily

https://www.facebook.com/LucMICHELgeopoliticalDaily/

________________

* Luc MICHEL (Люк МИШЕЛЬ) :

WEBSITE http://www.lucmichel.net/

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* EODE :

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Edizione straordinaria!!! Dichiarazione bomba di Donald Trump sull’eliminazione di al-Baghdadi. C’è da rimanere attoniti, senza parole. Leggete e capirete perché.

Si, e gli asini volano. Come volavano quando i Navy Seals avrebbero ucciso Osama bin Laden nel 2011, sorvolando sul fatto che l’affetto da diabete e perennemente attaccato alla macchina della dialisi, dove l’aveva trovato anche il capostazione Cia a Dubai, era morto, con comunicazione su tutti i media, nel Pakistan, in ospedale, nel dicembre 2001.  Corpo ovviamente sottratto a ogni esame autoptico per accertarne l’identità e gettato in mare dalla nave Usa che avrebbe dovuto esibirlo al mondo per comprovare il fatto. Niente riprese video mostrate al pubblico di quanto i Navy Seals avrebbero certamente dovuto filmare da telecamere piazzate sugli elmetti.

Analogamente, ma proprio analogamente, Al Baghdadi (per l’attacco al quale gli Usa si sarebbero anche serviti di curdi, a Idlib, dove un curdo non s’è mai visto e dell’assistenza russa, smentita da Mosca) si sarebbe polverizzato da solo insieme alle sue donne, per cui niente cadavere, niente esame autoptico, niente prove.

Tutto questo a prescindere dagli asini che volano anche sulle teste di coloro che accreditano essere stati Osama e Al Baghdadi liberi e indipendenti combattenti islamici contro l’Occidente e non di quell’Occidente particolarissimo, creature e fedeli esecutori.

Fulvio

Da: Piero Pagliani
Inviato: domenica 27 ottobre 2019 19:10
Oggetto: Edizione straordinaria!!! Dichiarazione bomba di Donald Trump sull’eliminazione di al-Baghdadi. C’è da rimanere attoniti, senza parole. Leggete e capirete perché.

Donald Trump ha hannunciato ufficialmente che gli USA hanno ucciso al-Baghdadi nel raid di ieri, assieme a tre bambini che lui aveva portato nel tunnel dove cercava di nascondersi, mentre altri 11 bambini erano stati fatti evacuare.

Un ufficiale dell’Intelligence irachena ha dichiarato che i servizi segreti iracheni hanno contribuito a localizzare al-Baghdadi ad Idlib.

Chissà se i media mainstream la smetteranno adesso di dire che a Idlib c’è l’opposizione “democratica”. Dovrebbero farlo, ma non è detto, visto a chi devono rispondere. Magari, al contrario, condanneranno quest’azione del detestato Trump (e a ragione: tutto sommato sia l’ISIS che al-Qaeda erano “assets” dei guerrafondai neo-liber-cons clintonoidi, quelli che da una parte sono tanto filo LGBT e dall’altra finanziano e armano abominevoli tagliagole che gli LGBT li lapidano o li gettano dall’alto delle torri).

E la nota ufficiale di Donald Trump sembra essere stata concepita proprio per dichiarare guerra al’establishment clintonoide, alla CIA e al Deep State.

Perché c’è un colpo di scena straordinario. Fate bene attenzione perché sembra di vivere in un’epoca diversa o in un altro mondo.

Verso la fine della sua dichiarazione ufficiale il presidente degli Stati Uniti ringrazia per il successo dell’operazione la Russia (sì, avete capito bene), la Turchia, la Siria (sì, avete capito ancora bene), l’Iraq e i Curdi siriani:

I want to thank the nations of Russia, Turkey, Syria and Iraq, and I also want to thank the Syrian Kurds for certain support they were able to give us.

( https://www.whitehouse.gov/briefings-statements/statement-president-death-abu-bakr-al-baghdadi/)

Non so voi, ma io ho la sensazione che ne vedremo delle belle.

Milano, assedio al consolato turco: razzi e bombe carta durante il corteo in difesa dei curdi

https://www.lapresse.it/cronaca/milano_assedio_al_consolato_turco_razzi_e_bombe_carta_durante_il_corteo_in_difesa_dei_curdi-1964668/video/2019-10-26/?fbclid=IwAR1DOi9sRKJiN5HX9zqXUcidPOUCIhkLq8cUOVh1CB6XVH1KYi_hQqEMi8gblob:https://www.lapresse.it/df297e6d-6868-44ce-8aa8-8d26e74dcb6b
milano curdi

(LaPresse) Blitz del corteo in favore del popolo curdo “Defend Rojava” contro il consolato turco di via Canova a Milano. Un vero e proprio assedio con fumogeni e bomber carta lanciate verso la sede consolare, difesa da transenne e da un importante dispiegamento di forze di polizia. Secondo i promotori della manifestazione, organizzata per protestare contro l’offensiva turca nel nord della Siria, sono circa diecimila le persone scese in piazza contro la Turchia di Erdogan.

SIRIA: CHI HA VINTO, CHI HA PERSO. CHI SONO I CURDI. —- MEDIORIENTE: YANKEE GO HOME

https://fulviogrimaldi.blogspot.com/2019/10/siria-chi-ha-vinto-chi-ha-perso-chi.html

MONDOCANE

VENERDÌ 25 OTTOBRE 2019

Cosa ne viene da Sochi

Del miscione che gli arnesi stampati e videoriprodotti del colonialismo 2.0 ci rifilano,  confondendo in obnubilante simmetria rivolte contro il Potere e sommosse gestite dal Potere, da Libano e Iraq a Ecuador, Cile e Bolivia, parleremo nel prossimo articolo. Prima, ci interessa evidenziare con grande soddisfazione la rabbia da rettili pestati sulla coda con cui i media reagiscono agli esiti della soluzione (positiva, ma parziale, s’intende) che Putin, con il concorso obtorto collo di Erdogan, ha saputo imporre al branco di sbranatori della Siria. Media tra i quali riconosciamo il ruolo da mosca cocchiera al giornaletto anticomunista “il manifesto”. La vocina vernacolare del Governo Parallelo Usa (obamian-clintoniani, Intelligence, Pentagono, Wall Street, lobby talmudista), si è distinta per accanimento a stigmatizzare come imperialismo russo la difesa vincente della (quasi) integrità territoriale e della stessa sopravvivenza della Siria, aggredita e maciullata, e il ridimensionamento drastico degli appetiti degli aggressori (Turchia, illuministi coronati del Golfo, esportatori di diritti umani americani e israeliani).

Il grande lamento degli amici degli amici

Per questo pifferaio di carta, che è riuscito a trascinare nel baratro la colonna sperduta dei bambinelli di sinistra, l’esito del vertice di Sochi è una catastrofe planetaria. Catastrofe, ovviamente, per chi si riprometteva, come l’augusta fondatrice Rossanda ai tempi della Libia, uno Stato libero, sovrano, prospero ed equo cancellato dalla faccia della terra per mano di sicari tagliagole, scatenatigli contro dal meglio delle pluto-mafio-psicopatocrazie occidentali.

La tragedia, come rappresentata da questo portavoce dell’unipolarismo mediatico nell’era delle Grande Finzione, si articola in questi punti:

–       Il fallimento del progetto, formulato esplicitamente da Parigi anni fa, di costituire in un terzo della Siria, zona di ricchezze petrolifere e agricole, un mini-Israele curdo, assimilabile, in quanto “democratico, libertario, inclusivo, femminista ed ecologista”, all’ “Unica Democrazia del Medio Oriente” e con esso in combutta per frantumare la Siria. Il fallimento del progetto è completato dalla riduzione degli invasori e pulitori etnici curdi del Rojava alla zona di loro origine di Qamishli, nell’estremo Nord-Est della Siria, unica zona in cui vi è una maggioranza curda.

–       La sostituzione delle forze armate Usa e Nato – abusive poiché mai invitate – con le rispettive basi nell’area più ricca di risorse della Siria, dal confine turco a Raqqa, nel cuore del paese, con l’Esercito Arabo Siriano, forza armate del governo legittimo, sostenuto da unità russe, legittimate dall’invito di Damasco.

–       La riduzione della “zona di sicurezza” turca su territorio siriano dai 440 x 32 km concordati con Washington, a soli 100 x 10 km, da Tell Abyad a Ras al-Ayn, pattugliati da unità congiunte turco-russe, con il resto del confine sotto controllo governativo siriano e pattuglie congiunte russo-siriane, a garanzia contro reviviscenze jihadiste (vedi mappa).

Per la proprietà transitiva, dovrebbero essere considerati, dal felice connubio mediatico destro-sinistro, sviluppi da sostenere: il trasferimento in Iraq delle unità Usa costrette a lasciare la Siria, affrontate peraltro dall’inspiegabile insoddisfazione degli iracheni che, tramite governo, hanno chiesto ai nuovi ospiti di togliere il disturbo entro 30 giorni; la permanenza di una grande base Usa in Siria, ad Al Tanf, centro di raccolta e addestramento di mercenari Isis disoccupati; il presidio militare conservato da Trump intorno al petrolio siriano, così che non se ne approfitti il dittatore per ricostruire con i proventi il paese dagli stessi aggressori distrutto; la persistente occupazione della provincia di Idlib da parte di truppe turche e loro mercenari Al Qaida-Isis, per mantenere aperta la possibilità di una riconquista turca di Aleppo, indebitamente sottratta approfittando della caduta dell’impero ottomano; l’annessione israeliana di un altro pezzo di Golan, dal quale insegnare a siriani e Assad, a forza di missili, che il troppo di sovranità ed integrità nazionale stroppia.

La Siria recuperata

Il presidente Assad, pur dichiarando di approvare i risultati del vertice di Sochi, ha aggiunto che “la Turchia deve smettere di rubare terra siriana e che il governo siriano sosterrà ogni formazione che attuerà resistenza popolare contro l’aggressione turca”. Nel che si può individuare l’ennesima divergenza tra le istanze nazionali di Damasco e l’approccio compromissorio, o magari solo gradualista, di Mosca. Naturalmente Assad fa bene a ribadire l’irrinunciabilità dell’integralità territoriale siriana, confermata a parole anche da Mosca e Ankara, e a cautelarsi contro certe espressioni di realpolitik russa, anche alla luce dell’incredibile tolleranza dei russi vis a vis le incessanti incursioni aeree israeliane e il silenzio sull’annunciata annessione del resto del Golan occupato nel 1967. Ma il dato acquisito che i turchi si dovranno limitare a una fetta di Siria di soli 10 km di profondità e 100 km di lunghezza, oltre tutto controllata congiuntamente con i militari russi, e che il resto dell’agognato cuscinetto di 32 x 440 verrà invece reso alla sovranità siriana, a sua volta garantita da forze siriane e russe, è sicuramente un passo avanti.

… e da ricuperare

Rimane da vedere in che misura i russi saranno disposti a sostenere l’indispensabile offensiva siriana per recuperare anche l’area di Idlib, controllata da truppe turche in alleanza con la peggiore feccia jihadista e dalla quale, perduta Aleppo e relativa provincia, Al Qaida e Isis continuano a operare incursioni terroristiche contro la città liberata e in fase di rapida ricostruzione. Rimane anche da vedere se i quasi due milioni di profughi siriani nei campi turchi, selezionando tra rifugiati jihadisti e famiglie fuggite all’aggressione, verranno concentrati nella “fascia di sicurezza” turca, per costituire anche da lì una perenne minaccia, sia terroristica alla Siria, sia di ondate migratorie verso l’Europa, o se gli si darà modo di tornare alle proprie case, distribuendosi in tutto il paese. Incognite che vanno sorvegliate e poi risolte, ma che non negano l’evoluzione in direzione di giustizia e pace ottenute dal valore dei resistenti siriani e dall’abilità diplomatica di Putin.

Confrontiamo il quadro di oggi, con quello che si presentava in Medioriente solo un anno fa. Gli Usa non solo hanno dovuto restituire alla Siria una vasta fetta del proprio territorio, l’espansionismo neo-ottomano di Erdogan ha subito una robusta battuta d’arresto, la Siria sta rientrando gradualmente nei propri confini. E’ in stagnazione quella che avrebbe dovuto essere, nelle intenzioni di un Netaniahu – oggi detronizzato e a rischio di galera per una sfilza incredibile di reati – e dei suoi complici obamian-clintonian-neocon, l’eliminazione del principale alleato dell’Iran e l’assalto a quest’ultimo. Dopo quasi 5 anni dall’attacco di Arabia Saudita ed Emirati, orchestrato da Pentagono e Cia, e 9 anni dall’inizio dell’insurrezione popolare yemenita, gli Huthi a dispetto di blocco totale, colera, fame, distruzione di una delle meraviglie storiche e ambientali del mondo, controllano la maggior parte del paese. Vedono i due paesi aggressori azzannarsi tra loro. Con la distruzione della metà della capacità produttiva dell’Arabia Saudita, hanno inflitto al massimo alleato degli Usa nella regione un colpo, se non mortale, probabilmente decisivo per l’esito del conflitto, ma anche per la strategia reazionaria e imperialista di lunga lena.

L’esito finale del grande rimescolamento mediorientale non è certo la vittoria definitiva della Siria, che da molte sognanti parti si sente proclamare. E’di sicuro una formidabile affermazione della giustizia che il piano iniziale della cancellazione della Siria sovrana e unita sia fallito, per merito in prima linea del popolo siriano e della sua dirigenza. Ma la questione dell’egemonia nella regione non è di certo risolta e la Turchia di Erdogan non è minimamente disposta ad abbandonarla. In prospettiva, lo scontro tra Turchia e Siria rimane inevitabile, che è anche lo scontro tra l’integralismo da Fratelli musulmani e laicità. Saprà la Russia, con i suoi piedi in tante staffe (Siria, Turchia, Iran, Saudia) contenere l’urto o, in alternativa, volgerlo a vantaggio di un equilibrio non islamista e non reazionario della regione? E i neocon obamian-clintoniani, con il loro retroterra di Intelligence e Pentagono, si rassegneranno all’uscita di scena? O costringeranno, con nuovi ricatti e nuove bufale alla Russiagate, il volatile Trump a rimangiarsi le tentazioni isolazionistiche?

Dagli amici dovrei guardarmi io

Meritano un paragrafo finale i cocchi del nostro sistema mediatico unipolare. La questione curda, nel suo profilo storico è manipolata e in quello attuale rovesciata nel suo contrario. Diversamente dalle realtà anticolonialiste africane, arabe e persiane, o di quelle latinoamericane da Bolivar a Guevara-Castro a Chavez, i curdi non hanno mai saputo elaborare un progetto di società autenticamente unitario, inclusivo, plurietnico ed emancipatorio, che superasse la loro struttura feudale, clanista, regressiva, rigidamente patriarcale. Alle origini della loro mancata realizzazione di uno Stato unitario, non sta tanto la mancata implementazione del trattato di Sèvres del 1920, quanto la separatezza tribale e culturale tra i segmenti divisi tra i quattro paesi ospitanti, Turchia, Iraq, Iran e Siria, e, al loro interno, una costante di arcaiche faide interfamigliari e intertribali. Con la conseguente assenza di un teoricamente solido movimento unitario irridentista.

zona curda originaria in Siria e zona occupata dai curdi

In tutto questo, i curdi sono, insieme ai guerrafondai nel regime Usa (che ora ripuntano all’Iraq), i sicuri perdenti. Non è chiaro se l’ipotesi del loro inserimento nelle forze armate siriane, per la comune difesa contro terroristi e invasori, sopravviverà all’accordo russo-turco per il loro disarmo totale e per il rientro nel territorio storicamente da loro abitato, a Qamishli. Certa è invece la scomparsa dallo scenario mediorientale di una riedizione curda in Siria di quanto inflitto alla Palestina nel 1948 e seguenti. Ai dirigenti dell’YPD-YPG, in effetti del PKK, rimane da riflettere sulla saggezza di un’alleanza con i nemici dei popoli liberi al fine di acquisire vasti territori, che non gli spettano, a forza di violente pulizie etniche. Riflettere anche sulla convenienza di aver ripetuto in Siria, magari su scala minore, quanto gli viene addebitato dagli armeni quando, al tempo di quel genocidio turco, si rivelarono tra i massacratori più feroci. Oppure sulla scelta, sempre praticata, di ricorrere per raggiungere i propri obiettivi, contro uno Stato unitario, a complicità subalterne con padrini interessati solo allo sfruttamento di mercenari per scopi coloniali e imperialisti.

Ho frequentato per decenni i paesi nei quali è divisa l’etnia curda ed ho esperienza diretta di quanto scrivo. In particolare per ciò che concerne il carattere retrogrado della struttura sociale che, di conseguenza, si è sempre appoggiata, per la realizzazione degli interessi dei propri capiclan, più che del popolo nel suo insieme, a forze esterne parimenti reazionarie, ma perdipiù colonialiste e imperialiste. Come gli Usa e la Cia, con in Iraq il capoclan Mustafà Barzani e poi suoi figlio Massud, entrambi strumenti Cia per la destabilizzazione dell’Iraq. O come con Israele, principale alleato e massimo proprietario immobiliare nel Kurdistan iracheno, affidato a feudatari narcotrafficanti, come i Barzani o i Talabani, in perenne conflitto tra di loro. Il vittimismo curdo è sempre stato lo strumento propagandistico occidentale, di sinistra come di destra, per perseguire obiettivi di revanchismo coloniale.

Il tanto propagandato e osannato progressismo curdo sotto tutela Usa-Nato in Siria, basilarmente diffondendo immagini di ragazze in mimetica e racconti di foreign fighters in Siria, tesi a occultare l’operazione di occupazione e smembramento della Siria araba e multietnica, ha la stessa valenza del “sovranismo” di un Salvini, tanto patriota da voler staccare dall’Italia le regioni più prospere per porle a disposizione della centralità imperiale franco-tedesca.

Tutto questo non è andato a discapito solo degli Stati multietnici e multiconfessionali, laici e sovrani, usciti vittoriosi e uniti dalla lotta anticolonialista, ma anche delle stesse popolazioni curde, finite sistematicamente soggette a ceti dirigenti corrotti e opportunisti e a protettori stranieri, al dunque meri utilizzatori finali del sangue, delle speranze e degli interessi di quelle comunità. Il bel risultato è stato, nella contingenza specifica, l’avallo dell’aggressione occidentale, israeliana, turca e del Golfo a uno degli Stati più emancipati della regione, l’ennesimo fallimento dell’aspirazione all’entità nazionale monoetnica, l’utilizzo per un’ignobile pulizia etnica in territori abusivamente occupati, reminiscente di quella sugli armeni, l’abbandono del protettore imperiale e il rientro nel proprio territorio originale.

Sia chiaro, quando qui si parla di “curdi”, ci si riferisce a chi, nelle varie fasi, ne ha assunto la direzione, affidandosi sistematicamente al peggio del peggio del quadro geopolitico, per realizzare i propri interessi di ceto dominante. Al popolo curdo spetta al massimo la “colpa” di essersi fatto rendere alibi per le mire razziste, colonialiste e imperialiste dell’Occidente. Ma chi siamo noi per lanciare la prima pietra?

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 16:08

SIRIA, RUSSIAGATE, UCRAINAGAGATE AL TEMPO DEL MINISTERO DELLA VERITÀ —– THE DONALD NON VA ALLA GUERRA? IMPEACHMENT !

https://fulviogrimaldi.blogspot.com/2019/10/siria-russiagate-ucrainagagate-al-tempo.html

MONDOCANE

LUNEDÌ 21 OTTOBRE 2019

“La bussola va impazzita all’avventura e il calcolo dei dadi più non torna” (Eugenio Montale, “La casa del doganiere”)

Giornalisti e sinedri

Di certezze, in questo mondo di spinte e controspinte in costante e confusa moltiplicazione, che lo fanno sembrare un cesto di serpenti in fregola di libera uscita, ce ne sono poche. Ce l’hanno in esclusiva inconfutabili mediatici che questo mondo lo interpretano con la saggezza, l’indipendenza e la competenza  che gli assegna l’Ufficio delle Risorse Umane del rispettivo datore di lavoro, a sua volta responsabile verso qualche sinedrio molto in alto e poco conoscibile. Sinedrio che, tra gli altri, cura il ministero della “Difesa” e quello, di orwelliana definizione, della “Verità” (“Miniver”). Noi che ritenevano come i giornali di opposizione dovessero criticare e contestare l’esistente e il governante, nel caso “il manifesto” o “Il Fatto Quotidiano”, ci dobbiamo rassegnare al dato che quell’ufficio delle risorse umane e quel sinedrio non permettono giri di valzer a nessuno. Su quel che conta nel sinedrio, il coro è uno e unico. E allora la possibilità di una ricerca, non tanto di certezze, ma di qualche brandello di probabilità sfuggito al coro di queste eccellenze ministeriali, si riduce a un criterio molto primitivo, rozzo, ma di discreta approssimazione.

Anche per quei due giornali si può tranquillamente ragionare, al netto delle oneste penne, non intinte nel veleno di quegli altri rettili, che insistono a fornirgli foglie di fico, su un criterio di questo tipo: ciò che essi sostengono e promuovono, va avversato e respinto; viceversa, ciò che li irrita e li muove al vituperio, ha ogni probabilità di meritare consenso e appoggio. Per esemplificare il paradigma, basta ricordarsi del trattamento riservato al M5S quando era ancora tale e pareva la famosa leva di Archimede. O quando parlano di Assad “macellaio di Damasco” e di “ribelli nella guerra civile siriana”. Strumento di misura infallibile è poi Roberto Saviano. Basta un suo appello pro o contro, per sapere con assoluta chiarezza dove collocarsi. In questo caso l’appello è pro-curdi, ovviamente; in un altro è anti-Chavez, ovviamente. Il nostro è una specie di Bernard Henry Levy cispadano (l’originale ha infatti firmato il suo appello, nel bel mezzo di una delle feste di tagliagole che frequenta in Medioriente).

Vediamo un numero a caso del “manifesto”. Quello del 19 ottobre u.s. E’ assoluta e capillare la sintonia, su tutti i temi di rilevanza internazionale, con quanto garba e viene argomentato e promosso nei cunicoli dello Stato Profondo Usa, a sua volta formattato da una delle sopra citate consorterie. Quelle che reggono in piedi e abitano l’edificio del capitalismo di caveau e di guerra.

Sinite parvulos ad nos venire

Che si dice della Siria? Si abbaia con virulenta indignazione, pari a quella dei cani da guerra Usa, in questi giorni capeggiati dalla primatista del bellicismo Usa, Hillary Clinton (prediletta del “manifesto”) e dei sottoposti botoli Nato, contro il “tradimento di Trump e l’abbandono dei curdi da parte dei militari americani”. I migliori solisti del giornale, riuniti in coro con quelli della meglio stampa bellicista Usa, quasi un tonitruante “Pavarotti and friends”, ci informano che “i curdi combattono anche per noi” (Sgrena), che quello dei curdi “è un progetto ambizioso e rivoluzionario persino per gli standard occidentali” (sempre Sgrena); che lo sterminio del popolo curdo ricorda “come sono stati malvagi i tedeschi (tutti! N.d.r.) a sterminare sei milioni di ebrei e zingari” (Ginevra Bompiani), che i curdi “combattono per l’umanità intera”, “che vanno aperte le prigioni dove 3 milioni di esseri umani sono oppressi e torturati e che noi accoglieremo in modo decente e diffuso” (sempre Bompiani).

A sua volta il tenore Alberto Negri denuncia la “vecchia cara pulizia etnica” dei curdi, lamenta “l’annessione di interi territori sottratti ai curdi”, ovviamente “traditi per l’ennesima volta” e l’aiuto che forse riceveranno da Assad e dalla Russia è naturalmente “assai

interessato”, Lo stesso Michele Giorgio che, in un giornale del tutto in sintonia con i propositi strategici della nota lobby sion-mondialista, salva le apparenze informando sulle cattive azioni degli occupanti della Palestina, denuncia pulizie etniche sui curdi e si riconosce in Amnesty International, “l’Ong a difesa dei diritti umani che denuncia esecuzioni sommarie e attacchi indiscriminati contro una casa, una scuola, una panetteria (sic)”.

https://twitter.com/Ruptly/status/1183660634417909760 Qamishli, truppe siriane festeggiate dagli abitanti

“Pulizie etniche” e pulizie etniche

Siriani arabi e miliziano curdo

Che dire? Adottiamo il meccanismo per la ricerca di qualche spiraglio di luce. Lamentare che Trump abbia tradito i curdi, esponendoli all’attacco turco, è come deplorare che la Sublime Porta, con il Sultano Murad I, invasore dei Balcani, abbia mollato in Serbia i suoi mercenari  Giannizzeri (“Nuova Milizia”), tagliagole antenati di Al Qaida e Isis. Quando poi si arriva a dire che i curdi “combattono anche per noi”, si parla di un mistero glorioso, per i carnefici e doloroso per le vittime, occultando che i curdi si sono fatti fanteria degli aggressori Usa, Nato, sauditi, turchi, israeliani, che intendevano far fuori uno Stato baluardo di antimperialismo, antisionismo, emancipazione, laicità e convivenza di etnie e confessioni. Stato davvero impegnato alla morte contro la barbarie Nato-Isis. Quindi per i valori che si suppongono facciano civiltà. Chi allora ha combattuto per l’umanità?

Quanto a pulizie etniche e a “territori sottratti ai curdi”, i turchi stanno invadendo territori sovrani della Siria, nei quali i curdi, grazie all’appoggio bombarolo Usa e al sostegno materiale e politico di Israele e sauditi, si sono allargati, decuplicando la propria area di origine, cacciando da case, villaggi, istituzioni, terre e ricchezze petrolifere, i rispettivi titolari siriani arabi. Chi ha fatto pulizia etnica? E’ codesto il “progetto ambizioso e rivoluzionario persino per gli standard occidentali” celebrato dalla Sgrena? In effetti, se pensiamo agli standard occidentali degli ultimi secoli nei confronti dei popoli “altri”, magari lo è. E sotterriamo, per rispetto a femministe meno faziose, l’indecente, per tutti i versi, similitudine vergata tra i “sei milioni di ebrei e zingari trucidati dai malvagi tedeschi” (tedeschi tutti!) e le decine di vittime provocate dall’invasione turca.

Hillary e Suzanne nel Miniver

Chiudo con Amnesty, che non solo Giorgio, ma “il manifesto” con particolare trasporto e tutta la stampa di regime amano esporre nella vetrina del proprio arsenale di bombe vere e notizie taroccate. Negli anni degli assalti a Libia e Siria, perdurando quelli a Iraq, Afghanistan, Somalia e Yemen), era direttore esecutivo di Amnesty International, dopo essersene guadagnata i galloni da collaboratrice “per i diritti umani” di Hillary Clinton al Dipartimento di Stato, Suzanne Nossel. Oggi, coerentemente, direttrice di “PEN America”, associazione di letterati e comunicatori d’ordinanza che assegna premi ai meritevoli.  

Hillary Clinton, Suzanne Nossel

Mentre la sua capa organizza il massacro della Libia e si compiace sghignazzando dell’impalamento di Muammar Gheddafi, la Nossel, inaugura la serie di “dossier”, sistematicamente da fonti anonime o di oppositori, che satanizzano i resistenti alle spedizioni belliche e alle sanzioni di Washington, attribuendogli fantasiose turpitudini e scelleratezze inimmaginabili, esonerandone coloro che stanno dalla parte giusta. La rete è vasta: ad Amnesty, si affiancano  HRW, Save the Children, Avaaz  e quasi tutte le associazioni di cosiddetti “giornalisti investigativi” Numerosi i ripetitori installati in Italia, a destra e ancor più a “sinistra”.

Cosmesi e controcosmesi

Quello cui puntano tutti questi aggiustatori della verità nell’apparato mediatico e diritto-umanista, che l’imperialismo s’è costruito per sostenere le sue operazioni, è di farci spettatori di un teatrino dei burattini dietro al quale occultare la realtà di un’intera regione del mondo insanguinata e fatta a pezzi. Il crimine non è più il tentato sbranamento di un paese sovrano, Siria, Libia, Iraq, Afghanistan tra gli altri, con l’assassinio e la dispersione dei loro popoli, bensì l’attacco turco ai curdi. Non più i bombardamenti di massa e l’invasione di bruti psicopatici raccattati tra la feccia di mezzo mondo, bensì il ritiro degli invasori dal luogo del loro delitto. Non più la pulizia etnica inflitta dai curdi agli arabi della Siria e la balcanizzazione di quella nazione, ma la pulizia etnica che subirebbero i curdi nei territori da loro invasi. E sono i curdi ad aver debellato il tumore Isis, quando agli Usa conveniva sostituire il proprio mercenariato sputtanato con uno ammantato di ecofemminismo, mica, da otto anni su mille fronti, un popolo eroico in armi dagli oltre centomila caduti.

Per ora è vittoria

Come ora andrà a finire ce lo dicono gli apodittici depositari di certezze annidati nel Ministero della Verità. E’ vero che finora hanno vinto il popolo di Assad con i suoi alleati e tutti gli altri, carnefici e mercenari, hanno dovuto rinunciare agli obiettivi posti, restando solo appesi alla rete lacerata delle loro menzogne. Ma restano da togliere di mezzo il bubbone tumorale di Al Tanf, base Usa zeppa di jihadisti e la massa di terroristi Al Qaida e Isis ammassati dai turchi a Idlib. E c’è da far saltare l’indecente accordo Usa-Russia-Turchia sulla “fascia di sicurezza” di 32 km per 440, con cui Erdogan si vuole assicurare un pezzo dei più ricchi della Siria. Lasciando i curdi al di là, ma sempre su suolo arabo siriano. E restano da neutralizzare i furori mai spenti del groviglio bellicista Usa, quello detto Stato Profondo militar-industriale, dei neocon, clintoniani, Democratici, con i loro corvi mediatici (scuse ai corvi), che qui si fanno passare per giornalisti e, addirittura, per giornalisti comunisti.

Lo scandalo  di un vicepresidente merita l’impeachment  di un presidente

Un altro capitoletto va dedicato a quello che, sulla falsariga di quanto abbiamo appena illustrato sull’inversione della realtà, di tutto questo è un esempio stupefacente. Gli attori  sono sempre quelli. Trump, che ha colto in fallo un suo antagonista nelle prossime presidenziali, lo smemorato Joe Biden e, dal lato opposto, la vera estrema destra globalista che si ritrova nello Stato Profondo e si esprime politicamente nel Partito Democratico. In Italia tra i suoi pifferai di punta, troviamo quello Stefano-Bilderberg-Feltri che, nel Fatto Quotidiano, è  un valido chierico del culto antlantosionista  e della russofobia.

Per sommi capi. Riuscito a Obama-Hillary, con la mattanza dei loro cecchini a Maitan, il colpo di Stato in Ucraina, imposto dalla vice della belluina Clinton per l’Europa, Victoria – “in culo all’UE” Nuland, un premier made in yankee (Arseniy Yatsenyuk, per Victoria “il caroYats”), un battaglione di oligarchi economici Usa e ucraini si gettò a capofitto su istituzioni e beni ucraini, rinnovando in Ucraina i fasti dell’era Eltsin. Fra loro il vicepresidente Biden per interposto figlio Hunter. Che nel 2014, pure totalmente ignaro di questa, come di qualsiasi altra materia, venne infilato nel CDA di una corrottissima società del gas, la “Burisma”, a 50mila dollari al mese (sic!). Società distributrice di tangenti a destra e a manca, che già aveva ricompensato il lobbying a suo favore di papà Joe con 900mila dollari, ma che finisce poi, assieme a Hunter, sotto inchiesta del PM Victor Shokin. A questo punto il vice di Obama che fa? Si dà da fare perché le massime autorità ucraine archivino i procedimenti contro il fondatore e padrone di “Burisma”, Zlochevsky, e i suoi  manager e chiede al presidente addirittura di rimuovere il PM dal caso. Se non lo avesse fatto, il governo Usa avrebbe trattenuto il miliardo di dollari, promesso a Kiev. E Shokin viene rimosso.

Obama, Biden Sr, Biden Jr

Sgonfiato il Russiagate, gonfiamo l’Ucrainagate

Ci sarebbe stato, per la maggioranza democratica al Congresso, ampia ragione per chiedere, se non un impeachment, stavolta motivato, almeno le dimissioni del vicepresidente corruttore, mentre il governo ucraino, non fosse poco più di un carillon in mano ai Democratici, avrebbe dovuto perseguire Biden per ingerenze nel sistema giudiziario e tentata corruzione. Che fanno invece Nancy Pelosi e gli altri chierichietti delle rivoluzioni colorate di Obama? Vedovi inconsolabili del Russiagate, l’hanno visto radere al suolo dallo stesso rapporto del procuratore Mueller, ex-capo FBI. Sono in ambasce per gli abusi da galera, tra le tante altre nefandezze, compiuti da Hillary con l’uso del suo computer privato per migliaia di comunicazioni sotto segreto di Stato. Sono sotto pressione dal nuovo ministro della Giustizia, William Barr, finalmente non imposto dallo Stato Profondo, il quale sta trovando il filo rosso, anche tra gli obamiani nostrani, che collega, fin dal sabotaggio di Sanders da parte del Comitato Nazionale Democratico, gli intrighi clintonian-obamiani per portare Hillary alla Casa Bianca anche e soprattutto grazie allo sputtanamento di Trump tramite Russiagate.

E allora ecco la trovata. Morto il Russiagate, ecco l’Ucrainagate. Mica quello di una combriccola Clinton-Biden che s’impadronisce dell’Ucraina, muove la sua potenza militare ai confini della Russia, promuove un governo e un esercito nel segno delle SS naziste che vanno a massacrare chi né nazista, né amerikano vuole essere (a proposito, dove sono nella contingenza, gli urlatori antifascisti d’Italia?). Figurati! E’ il suo contrario: una corsa per oscurare le malefatte del fellone Biden, che si è perfino gloriato in tv di aver ricattato gli ucraini perché cacciassero l’accusatore del figlio e della sua ditta, e per incriminare The Donald per esseri permesso di chiedere al premier ucraino, Zelensky, di continuare a indagare su un cittadino Usa accusato di corruzione. Suo dovere, tra l’altro. Anche per evitare che domani possa finire nella sala ovale uno che ricatta il governo di un altro paese per mettere al sicuro il figliolo da provvedimenti giudiziari. Biden buono,Trump cattivo. Uguale a curdi buoni, Assad e siriani cattivi. Come anche proclama Bergoglio. E Feltri, e tutti gli altri, appresso. E’ il Ministero della Verità. Infallibile come il papa.

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 16:50

Prima dello sbarco dei mille, la Sicilia era uno degli Stati più ricchi d’Europa.

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Luglio 19, 2019 

I libri di scuola ci hanno insegnato che il Regno delle Due Sicilie era uno stato arretrato e povero, ma non era così. Prima dello sbarco dei garibaldini, la Sicilia  possedeva la seconda flotta di Europa (9.848 bastimenti con 259.910 tonnellate di stazza totale), un debito pubblico ininfluente e una moneta forte. Il complesso siderurgico del Napoletano, vantava un fatturato che al Nord si sognavano. I Siciliani furono la prima nazione ad esportare in Russia, instaurando anche solidi rapporti commerciali con l’America.

Gli armatori De Pace, con le loro navi, collegavano l’Europa con il Nuovo Mondo e i Florio avevano iniziato la loro scalata industriale e commerciale. La prima ferrovia d’Italia fu la Napoli – Portici, inaugurata il 3 ottobre 1831.
Prima dell’annessione, il Regno del Sud, nel settore dell’industria, contava 2 milioni di occupati a fronte dei 400.000 della Lombardia, possedendo 443 milioni di moneta in oro, ossia l’85% delle riserve auree di tutte le province. 
Ancora prima dell’Unità, fioriva nelle due maggiori città dell’Isola, Palermo e Catania, l’industria della seta esportata con successo, per la qualità dei suoi prodotti, nei mercati europei e mediterranei.
L’industria del tabacco produceva migliaia di tonnellate di manufatti all’anno, occupando tra operai e indotto, diverse migliaia di Unità lavorative.
Fiorenti, a quei tempi, erano anche le attività cantieristiche, navali, metalmeccaniche, chimiche, della lavorazione del cotone e del lino, l’industria conserviera, la produzione e la commercializzazione dei vini e l’estrazione e la lavorazione dello zolfo, quest’ultima la più importante e ricca d’Europa.
Vero fiore all’occhiello, poi, dell’economia isolana era la flotta mercantile con la compagnia Florio che gareggiava con le principali marinerie del Mediterraneo.
Nel decennio che va dal 1850 al 1860 era stato varato, dal punto di vista amministrativo, un notevole numero di provvedimenti, a salvaguardia dell’economia isolana, di innegabile portata. Fu costituito un debito pubblico con un immediato risveglio nel movimento dei capitali.
Fu creato il Banco Autonomo di Sicilia, due casse di sconto e numerose casse di risparmio.
Con l’Unità d’Italia di tutto questo non rimase più nulla. Il nascente sistema industriale e le risorse del Sud furono progressivamente smantellate e trasferite al Nord. E fu appunto allora che con l’Unità d’Italia sorse “La questione meridionale”.
E fu così , con l’impoverimento e le spoliazioni del Sud e della Sicilia, che iniziarono i grandi flussi migratori dalla Sicilia verso le Americhe e verso altri Stati europei e verso altri Paesi del mondo. Prima della costituzione del nuovo Stato unitario, ossia prima del 1860, negli Stati Uniti, per esempio, si contavano molti più emigranti del Nord che del Sud. L’impoverimento e lo stravolgimento delle regioni meridionali invertirono tali tendenze.
Le rimesse e i risparmi degli emigranti meridionali finirono poi, negli anni a venire, paradossalmente, per favorire lo sviluppo delle fiorenti industrie del Nord e l’acquisto delle materie prime necessarie alla loro crescita.
Le enormi risorse drenate e rapinate, i grandi sacrifici imposti, l’impoverimento del Sud a favore del Nord, le repressioni soffocate nel sangue furono un prezzo che il Mezzogiorno e la Sicilia furono costretti a pagare, più di tutti gli altri, al processo di Unità nazionale. E nella perdurante logica economica che si instaurò allora un Paese “programmato” a due velocità con un Nord ricco e produttivo e un Sud povero, colonizzato ed assistito che ancora oggi continuiamo a pagarne le drammatiche conseguenze.

I primati del Regno delle Due Sicilie.
1735. Prima Cattedra di Astronomia in Italia
1737. Costruzione S.Carlo di Napoli, il più antico teatro d’Opera al mondo ancora operante
1754. Prima Cattedra di Economia al mondo
1762. Accademia di Architettura, tra le prime in Europa
1763. Primo Cimitero Italiano per poveri (Cimitero delle 366 fosse)
1781. Primo Codice Marittimo del mondo
1782. Primo intervento in Italia di Profilassi Antitubercolare
1783. Primo Cimitero in Europa per tutte le classi sociali (Palermo)
1789. Prima assegnazione di “Case Popolari” in Italia (San Leucio a Caserta)
1789. Prima assistenza sanitaria gratuita (San Leucio)
1792. Primo Atlante Marittimo nel mondo (Atlante Due Sicilie)
1801. Primo Museo Mineralogico del mondo
1807. Primo Orto Botanico in Italia a Napoli
1812. Prima Scuola di Ballo in Italia, gestita dal San Carlo
1813. Primo Ospedale Psichiatrico in Italia (Real Morotrofio di Aversa)
1818. Prima nave a vapore nel mediterraneo “Ferdinando I”
1819. Primo Osservatorio Astronomico in Italia a Capodimonte
1832. Primo Ponte sospeso, in ferro, in Europa sul fiume Garigliano
1833. Prima Nave da crociera in Europa “Francesco I”
1835. Primo Istituto Italiano per sordomuti
1836. Prima Compagnia di Navigazione a vapore nel mediterraneo
1839. Prima Ferrovia Italiana, tratto Napoli-Portici
1839. Prima illuminazione a gas in una città città italiana, terza dopo Parigi e Londra
1840. Prima fabbrica metalmeccanica d’ Italia per numero di operai (Pietrarsa)
1841. Primo Centro Sismologico in Italia, sul Vesuvio
1841. Primo sistema a fari lenticolari a luce costante in Italia
1843. Prima Nave da guerra a vapore d’ Italia “Ercole”
1843. Primo Periodico Psichiatrico italiano, pubblicato al Reale Morotrofio di Aversa
1845. Primo Osservatorio meteorologico d’Italia
1845. Prima Locomotiva a vapore costruita in Italia a Pietrarsa
1852. Primo Bacino di Carenaggio in muratura in Italia (Napoli)
1852. Primo Telegrafo Elettrico in Italia
1852. Primo esperimento di illuminazione elettrica in Italia, a Capodimonte
1853. Primo Piroscafo nel Mediterraneo per l’America (il “Sicilia”)
1853. Prima applicazione dei pricìpi della Scuola Positiva Penale per il recupero dei malviventi
1856. Expò di Parigi, terzo paese al mondo per sviluppo industriale
1856. Primo Premio Internazionale per la produzione di Pasta
1856. Primo Premio Internazionale per la lavorazione di coralli
1856. Primo sismografo elettrico al mondo, costruito da Luigi Palmieri
1860. Prima Flotta Mercantile e Militare d’Italia
1860. Prima Nave ad elica in Italia “Monarca”
1860. La più grande industria navale d’Italia per numero di operai (Castellammare di Stabia)
1860. Primo tra gli stati italiani per numero di orfanotrofi, ospizi, collegi, conservatori e strutture di assistenza e formazione
1860. La più bassa mortalità infantile d’Italia
1860. La più alta percetuale di medici per numero di abitanti in Italia
1860. Primo piano regolatore in Italia, per la città di Napoli
1860. Prima città d’Italia per numero di Teatri (Napoli)
1860. Prima città d’Italia per numero di Tipografie (Napoli)
1860. Prima città d’Italia per di Pubblicazioni di Giornali e Riviste (Napoli)
1860. Primo Corpo dei Pompieri d’Italia
1860. Prima città d’Italia per numero di Conservatori Musicali (Napoli)
1860. Primo Stato Italiano per quantità di Lire-oro conservata nei banchi Nazionali (443 milioni, su un totale 668 milioni messi insieme da tutti gli stati italiani, compreso il Regno delle Due Sicilie)
1860. La più alta quotazione di rendita dei Titoli di Stato
1860. Il minore carico Tributario Erariale in Euro.

Garibaldi? Ma quale eroe. Fu solo un invasore sanguinario al soldo dei piemontesi

https://laveritadininconaco.altervista.org/garibaldi-ma-quale-eroe-fu-solo-un-invasore-sanguinario-al-soldo-dei-piemontesi/?fbclid=IwAR1MZrRYUgGxwXi5fVzHwImanrWsS9QbDAT7ZCxB6vqFRirz8MNbVS34rj8

Gennaio 26, 2016 

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E’ ora di dire “basta” a questa paccottiglia su Garibaldi! In un’era in cui si revisiona la Resistenza e la Costituzione (le basi della nostra repubblica), si inizi a picconare quel falso mito del Risorgimento. Che cosa diremmo oggi se un nugolo di avventurieri, foraggiati dal governo turco, partissero alla conquista di Cipro? Come minimo si beccherebbero l’accusa di terroristi.

E’ possibile nel 2016 sorbirsi la stessa retorica delle camice rosse e dei “mille” e non ricordare che il “merito” di questi pseudoeroi mercenari (come Garibaldi) , foraggiati dalla massoneria e dai servizi segreti britannici, fu solo quello di invadere uno stato sovrano, prospero e secolare come il Regno delle Due Sicilie con la complicità della mafia e delle truppe di uno stato invasore come il regno dei Savoia, alla faccia di ogni diritto internazionale? Ma dove è questa impresa? Ma chi li voleva i “liberatori” garibaldini e sabaudi? Ma quale stato dovevano liberare? E da chi? Dai loro legittimi sovrani (i Borboni)?

Tutti questi storici ansiosi di celebrare il falso mito di Garibaldi vadano a tirar fuori i dagherrotipi e i documenti custoditi negli archivi delle Prefetture e delle Questure del Sannio, dell’Irpinia, della Puglia, della Lucania, degli Abruzzi, del Molise, della Terra di Lavoro, della Calabria (insomma di quasi tutto il Sud) e restino scioccati dalle stragi, dagli incendi, dalle devastazioni, dai genocidi compiuti dal 1860 al 1865 nel sud Italia durante quello che al storiografica dell’Italietta ottocentesca definitì “Brigantaggio” e che invece fu solo una grande guerra di popolo e di liberazione repressa nel sangue! Al confronto degli artefici di queste “imprese” Kappler, Reder e Priebke sono dei dilettanti! Tutti noi ricordiamo (e anche giustamente – Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema, Caiazzo e altri luoghi delle rappresaglie nazifasciste. Ma chi ricorda, chi ha dedicato vie e piazze e monumenti a Castelduni, Pontelandolfo, a Gaeta, a Civitella del Tronto e ai centinaia e centinaia di paesi del Regno delle Due Sicilie messi a ferro e fuoco dall’esercito invasore piemontese che trattò il neoconquistato Regno di Francesco II di Borbone come o peggio di una colonia? Nemmeno il Fascismo si spinse a così tanta barbarie e repressione nei confronti dei libici negli anni ’20 e ’30.

Non vogliamo – giustamente – avere vie e piazze intitolate a Tito, ma accettiamo che lo siano a Bixio, Farini, Cialdini e al mercenario Garibaldi, che furono solo dei criminali di guerra. Sì, anche Garibaldi perché la prima rappresaglia, quella di Bronte, fu compiuta propria dai suo fedelissimi generali. Perché non dire finalmente quella che fu la conquista del Regno delle Due Sicilie, il tradimento messo in atto dalla massoneria e dai corruttori inviati da Cavour che si comprarono ministri del governo borbonico? Perché non ricordare che i tanto celebrati “Mille” vennero a patti con la Mafia siciliana e con la Camorra napoletana per comprarsi i potentati locali? E perché non ricordare che il popolo, quello vero, i meridionali rimasero fedeli, fino alla morte più atroce, al loro Re e alla loro Patria? Le gesta di schiere di cafoni e di cosiddetti “briganti” (Ninco Nanco, il generale Borghes, Carmine Crocco), che nulla hanno da invidiare ai partigiani della Secondo Guerra mondiale? Anzi, diciamola tutta: la vera Resistenza, intesa come lotta di popolo, che l’Italia ha conosciuto non è quella del ’43-45, ma quella vissuta nel Sud Italia dal ’60 al ’65! Non sono chiacchiere: basta leggere i documenti! Invece di allestire mostre sui “cimeli” garibaldini, gli storici e i curatori di musei, facciano vedere al pubblico gli orrori che i bersaglieri, i carabinieri e i garibaldini commisero ai danni dei sudditi di Re Francesco. Immagini di stupri, torture, villaggi incendiati, di montagne deforestate. Perché nessuno ha il coraggio di ammettere che la nascente industria settrentrionale fu foraggiata con il denaro pubblico delle casse statali borboniche? Perché nessuno ha il coraggio di ammettere che il denaro pubblico e le riserve auree del secolare Regno di Napoli furono depredate per ripianare il debito pubblico del Piemonte? Perché non riveliamo che subito dopo la “liberazione” dei Mille e dei Piemontesi, nei villaggi dal Tronto allo Ionio i contadini si affrettarono ad abbattere le insegne tricolori degli invasori e ad issare di nuovo la loro vera e legittima bandiera, il giglio borbonico? Perché non ammettiamo che i famosi plebisciti del 1861 furono una farsa in quanto vi parteciparono solo il 2% della popolazione in seggi elettorali che erano tutto un trionfo di stemmi sabaudi, busti del “re” cosiddetto “galantuomo” e di tricolori che ben presto di sarebbero macchiati del sangue dei meridionali? Perché nessuno ha il coraggio di ammettere che l’eroe dei due Mondi aveva il vizio di andare a “rompere le scatole” – come diremmo oggi – agli stati sovrani, prendendosela anche con lo Stato pontificio (1866) che al tempo non aveva nulla da invidiare all’Iran degli Ayatollah in quanto a … liberalismo, ma era pur sempre uno stato sovrano i cui sudditi non smaniavano certo di passare sotto i Savoia? Perché questa sinistra che si professa libertaria, si impossessa del “mito Garibaldi” o del mito della repubblica partenopea, di realtà che in fondo erano solo l’esplicitazione della repressione delle patrie e dei popoli?

Quando si parla del Sud, del suo sottosviluppo post unitario, della sua arretratezza, bisogna una volta per tutte, anche a scapito del meriodionalismo straccione e piagnucolone di Giustino Fortunato, di De Sanctis, di Tommaseo e di altri intellettuali che oggi potremmo definire tranquillamente come “venduti e traditori”, ebbene bisogna avere il coraggio di ammettere che quel sottosviluppo ha un responsabile ben preciso: la repressione feroce, anche ambientale, che il governo di Torino compì sulla colonia quale era considerato l’ex Regno delle Due Sicilie. Da quella forzata “Unità d’Italia” si avvantaggiò quella classe borghese e arruffona che è stata la rovina del Sud e di tutta l’Italia. Se di eroi si deve parlare, questi non sono i piccolo borghesi avidi di affari al seguito del mercenario Garibaldi, Nel XXI° secolo è ora di celebrare i patrioti e gli eroi che resistettero fedeli al loro re Borbone a Gaeta e a Civitella del Tronto, e ai sudditi meridionali che furono massacrati, deportati nei lager del Piemonte, imprigionati. Quanti sanno che a Fenestrelle, vicino Cuneo, operò un vero e proprio campo di concentramento dove furono confinati e lasciati morire migliaia e migliaia di capi briganti, ex ufficiali borbonici, capi contadini, colpevoli secondo la storiografia italica di “non volere l’Italia”, in realtà colpevoli solo di voler difendere la loro Patria! A Francesco II e il suo Regno, abbandonati da tutti, da Vienna, dagli zar (pur suoi alleati), dalla Royal Navy che pure poteva intervenire per fermare i “Mille”, mancò una cosa: un esercito di popolo fatto di contadini, di artigiani, di commercianti, delle classi umile ma maggioritarie allora.

Se il Regno di Napoli avesse avuto un esercito di popolo (sul modello francese) e non di mercenari, stiamo certi che i “Mille” non avrebbe neanche fatto un passo in più sulla costa di Marsala.

Fonte:orgoglio sud