Bambini morti: l’ultima arma dei mondialisti contro Salvini

i bambini asciutti, con uno strano rigor mortis, in un video diffuso da loro poi scomparso questi braccini oscillavano vistosamente come fanno quelle delle bambole reborn (usare google per vederli), beh da chi si auspica naufragi in continuazione inclusi bambini non stupirebbe ricorrere alle messe in scena, non è certo la prima volta, come non dimenticare Neda, la ” “ribelle” uccisa dal “brutale” regime iraniano salvo poi essere beccata ad insegnare presso un ateneo americano, o la spia russa uccisa dal cattivo Putin salvo essere beccata su una spiaggia (cosa riconosciuta pure dai giornalacci mainstream) ….

Ovviamente l’italia si deve sentire responsabile per chi naufraga davanti alla Libia, i trafficanti? Anime sante, gli scafisti? Benefattori.
 
Che la sinistra, non solo italiana, volesse i migranti si era capito da tempo. Che li volesse soprattutto morti, meglio ancora se bambini, lo si scopre ora. Non è altrimenti spiegabile lo stato di eccitazione collettiva di tutto l’ambiente liberal provocato dall’opportunità di poter finalmente sfogare contro il Governo italiano qualche protesta per le disgrazie del mare. D’altronde le avvisaglie c’erano state. Basti ricordare che lo scrittore e intellettuale di sinistra Edoardo Albinati, qualche giorno fa, scatenando un putiferio, aveva affermato: “devo dire, con realpolitik di cui mi sono anche vergognato, ho pensato, ho desiderato che morisse qualcuno sulla nave Aquarius. Ho detto: adesso, se muore un bambino, io voglio vedere che cosa succede per il nostro governo. Più chiaro di così.
E infatti, a partire dalla ONG spagnola Open Arms, sono subito state mosse accuse al Governo italiano per il naufragio di un gommone avvenuto venerdì, con oltre 100 morti. Peccato che l’incidente sia avvenuto a sei chilometri dalla costa libica, quindi in acque territoriali libiche, come hanno giustamente fatto notare le autorità di Roma. Ma non è finita, perché ieri i media hanno acceso i riflettori sul naufragio di un altro gommone, questa volta segnalato dall’UNHCR, avvenuto sempre al largo delle coste della Libia, per il quale risulterebbero 63 dispersi.
Tuttavia, per districarsi nel bombardamento mediatico prodotto dalla solita fabbrica della mistificazione della sinistra mondialista e dei suoi agenti, che come sempre hanno prontamente e sapientemente fatto ricorso alla comunicazione emozionale (i video dei cadaveri di bambini recuperati dalle acque) per indirizzare il consenso delle masse, è necessario fare chiarezza. Innanzitutto non si capisce per quale ragione l’Italia possa o debba avere delle responsabilità in un incidente avvenuto ben al di fuori dei suoi confini. Per capirci è come se, per ogni sinistro stradale nel Canton Ticino o in Slovenia fosse chiamata in causa la Polizia Stradale italiana di Como o di Trieste. Non avrebbe alcun senso. Domenica 24 giugno la Guardia Costiera italiana ha, a tal proposito, inviato un messaggio a tutte le imbarcazioni attive nei pressi della sponda libica del Mediterraneo, spiegando come, in caso di problemi al largo di quelle coste, sia necessario contattare le competenti autorità libiche e che, comunque, gli scali portuali più vicini sono quelli maltesi e tunisini, non quelli italiani. Fatto banale certo. Ma che dimostra come finalmente si stia tornando alla normalità, dopo anni di collaborazionismo anti-nazionale dei governi di sinistra che, evidentemente, non reputavano necessario neppure il rispetto di regole sacrosante.
 
In tal senso, la visita del Ministro dell’Interno Matteo Salvini in Libia della scorsa settimana ha avuto un significato fondamentale, quello di dimostrare la volontà di ricostruire, oltre che un protocollo operativo per contrastare le attività di scafisti e ONG, rapporti diplomatici più intensi con uno storico Paese partner. È il segnale che la guerra nei confronti dei nemici dell’ordine, delle multinazionali del buonismo con curiosi e ramificati rapporti internazionali, è finalmente cominciata, nel Mar Mediterraneo. Il mare dove l’Italia, nei secoli, ha sempre fatto sentire la propria voce.
Ma la guerra, purtroppo, prevede che, oltre a colpire, ci si prepari ad essere colpiti. La sinistra internazionale ha messo il nuovo Governo italiano (o, meglio, la Lega di Salvini, perché il Movimento 5 Stelle, concentrato sui vitalizi parlamentari, desta molto meno interesse) nel mirino. La scelta di chiudere i porti alle navi delle ONG straniere è stato un momento di svolta. Lo ha fatto capire George Soros, lo speculatore e grande vecchio del progressismo mondialista con il vizietto di destabilizzare gli stati non allineati con generosi finanziamenti a poco spontanei movimenti di protesta, che proprio nei giorni della vicenda Aquarius aveva pubblicato su Twitter una frase criptica e minacciosa, promettendo di raddoppiare gli sforzi contro “nazionalismi e valori illiberali“. Lo stesso Soros che con il Governo Gentiloni in carica veniva ricevuto con tutti gli onori a Palazzo Chigi.
 
Pare perciò facile da prevedere che, come nel 2011 aveva attaccato Berlusconi con la scusa dello spread, oggi la sinistra mondialista si prepari ad attaccare Salvini con la scusa dei naufragi (e magari con l’appoggio di qualche testimonial tra i grillini, leggi Roberto Fico e Gregorio De Falco), per farlo passare come un cinico assassino e costringerlo a riaprire i porti. Stia quindi all’occhio il neo ministro. E non molli. Perché, su questo tema, ha un intero popolo dalla sua parte. E perché i nemici della nazione, questa volta, non devono passare.
Questo articolo è stato scritto lunedì 2 luglio 2018 alle 15:11 nella categoria Politica.

la volontaria che si inventa i naufragi

L'immagine può contenere: 1 persona, con sorriso, testo

come ha scritto Luigi Cianciox La Seefuchs sta per andare a caricare 120 migranti, da Roma avvertono che , essendo in zona libica, dei migranti si occuperà la Libia.

La Libia non segnala nessun naufragio né morti.

Ma la” volontaria “di Cambridge va in giro per giornali e TV a dire “presumo che siano annegati e mi sento in colpa”Repubblica e la7 ospitano una persona che,senza alcuna prova ,parla …di morti in mare.
Esempio: passeggiando incroci un gatto che sta per attraversare la strada.
Non vedo nessun investimento..
Ma vai in giro a dire “presumo che quel gatto sia stato investito”.

Ecco la consistenza della tesi di codesta volontaria.
0 prove
0 notizie di naufragio
Sia da Roma che dalla Libia che dai vari mercantili che attraversano il Mediterraneo.

Ma la “volontaria” può andare in TV ad accusare il governo con il placet dei giornali che si ergono a debunker e superiori intellettualmente.

Il titolo di Repubblica è una mega bufala.

E dimostra che mai nessun populismo poté in cattiveria quanto il #populismo petaloso. Altro…

No TAV – Comunicato Stampa 3 luglio 2018 – Torino – Lione, pausa francese e revisione italiana a confronto – Ricorso alla Corte dei conti – Gli amici francesi di Salvini contrari alla Torino-Lione

PresidioEuropa

Movimento No TAV

Comunicato Stampa

3 luglio 2018

http://www.presidioeuropa.net/blog/?p=15532

TORINO-LIONE

PAUSA FRANCESE E REVISIONE ITALIANA

A CONFRONTO

VERO: un chilometro del tunnel costerebbe 300 milioni di € all’Italia e 60 milioni alla Francia a causa della divisione asimmetrica dei costi tra Italia e Francia

FALSO: faraoniche penali da pagare in caso di annullamento

Esposto alla Corte dei conti

Gli amici francesi di Salvini contrari alla Torino – Lione

Il 19 luglio sarà celebrato il primo anniversario della pausa francese della Torino-Lione annunciata dalla ministra Elisabeth Borne con queste lapidarie parole: “Le projet ferroviaire Lyon Turin entre en pause”.

La saggia decisione francese è stata presa lo scorso anno anche alla luce degli argomenti contro il progetto Lyon Turin espressi fin dal 1998 dalle Amministrazioni centrali francesi: Consiglio Generale dei Ponti e delle Strade, Ispezione generale del Tesoro, Direzione del Tesoro, Corte dei conti.

Una convincente sintesi degli argomenti contro il progetto e delle alternative è stata presentata da Daniel Ibanez, economista, nel corso dell’audizione alla Commissione Trasporti del Parlamento europeo sul progetto Torino-Lione del 20 giugno 2018.

Il futuro del tunnel ferroviario di 57 km sotto le Alpi è oggi nelle mani di Emmanuel Macron e in quelle del governo italiano, che ha scritto a pagina 50 del suo Contratto per il governo del cambiamento: “Con riguardo alla Linea ad Alta Velocità Torino-Lione, ci impegniamo a ridiscuterne integralmente il progetto nell’applicazione dell’Accordo tra Italia e Francia.”

Ricordiamo di passaggio che François Hollande aveva correttamente definito nel 2015 la Torino-Lione: “Non un progetto ferroviario, ma un affare geopolitico tra la Francia e l’Italia”.

Per questa Grande Opera il tempo si è quindi fermato, ma non se n’è ancora accorto Mario Virano, direttore generale di TELT, società promotrice della madre di tutte le Grandi Operi Inutili e Imposte, il quale continua tranquillamente a raccontare ai media storie di cantieri che proseguono con i lavori a tutta velocità e di appalti per 5,5 miliardi di € che presto, anzi prestissimo, sarebbero affidati a società di costruzione a lui ben note. Questi suoi annunci non rispettano le disposizioni della disponibilità preliminare del finanziamento di cui all’Articolo 16 dell’Accordo del 2012 e devono essere considerati come una colpa grave che può causare una perdita di fiducia del suo operato a causa della gestione non corretta del denaro pubblico.

Ora il Governo italiano ha la possibilità di fermare definitivamente questo inutile progetto che favorisce solo gli interessi economici francesi dato che la gran parte dei costi della Torino-Lione sarà a carico dell’Italia.

Informiamo i media e l’opinione pubblica che la divisione asimmetrica dei costi del progetto tra Italia e Francia è stata decisa a Parigi il 5 maggio 2004 nel corso di un vertice tra i ministri dei trasporti italiano Pietro Lunardi e francese Gilles de Robien.

Quel giorno i due ministri hanno firmato un accordo, mai ratificato dai due Stati, il cui testo, che dovrebbe contenere il principio del maggiore pagamento italiano, non è stato mai reso pubblico in nessun modo.

Il capo della segreteria tecnica di Pietro Lunardi nel secondo governo Berlusconi era Ettore Incalza: è molto probabile che sia stato proprio questo abile alto funzionario dello Stato a redigere la bozza dell’iniquo accordo con l’Italia.

Questo accordo non è mai stato citato nei successivi accordi tra Italia e Francia del 2012, 2015 e 2016, un altro modo per secretare questo accordo.

Con l’Accordo di Roma del 2012, poi ratificato, l’Italia si è quindi impegnata a pagare la stragrande maggioranza dei costi (il 57,9%) di un tunnel che si trova per 45 chilometri su 57 nel territorio francese: un chilometro del faraonico tunnel costerebbe ben 300 milioni di € per l’Italia e solo 60 milioni di € per la Francia.

Si tratta di un regalo dell’Italia alla Francia taciuto da tutti i governi italiani che si sono succeduti dal 2004 al marzo 2018.

Sembra ora che la Francia si stia incamminando verso il congelamento del progetto: in questi ultimi giorni Emmanuel Macron e Giuseppe Conte si insultano, parlano, litigano, si riconciliano, litigano ancora, ma secondo i media non hanno scambiato una parola sul futuro della Torino-Lione.

Incontri telefonici tra i ministri dei trasporti dei due Paesi Danilo Toninelli e Elisabeth Borne vengono da tempo annunciati, ma la Francia appare molto prudente e per nulla decisionista nell’attuale contingenza dei rapporti con l’Italia.

Mentre Toninelli conferma che la Torino-Lione sarà sottoposta ad un’analisi dettagliata, i partiti di opposizione – Forza Italia e Pd –  che sostengono da sempre la Torino-Lione, accusano il governo di non aver predisposto procedure trasparenti per la ridiscussione integrale del progetto prevista nel contratto di governo.

Salvini, dopo le prime affermazioni a sostegno del progetto, rimane tuttavia silente. È forse cosciente del fatto che i suoi amici francesi, il Rassemblement National (ex Fronte Nazionale) di Marine Lepen e Nicolas Dupont-Aignan, leader del partito Debout La France, già candidato alle presidenziali del 2017, hanno sempre espresso la loro opposizione alla Lyon Turin?

TORINO-LIONE – ESPOSTO ALLA CORTE DEI CONTI, MAGGIO 2018

Delibera CIPE Torino-Lione: Costi aggiornati al 2017 – L’Italia pagherebbe il tunnel 286,9 milioni di Euro al km – Asimmetria dei costi tra Italia e Francia – Mappa Progetto

PRETENDIAMO DAI PROMOTORI DELLA TORINO-LIONE DI NON METTERE IN CIRCOLAZIONE DELLE FAKE-NEWS CIRCA I RIMBORSI PER L’ABBANDONO DEL PROGETTO FRANCO-ITALIANO

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L’ultima della UE: il web senza immagini (e senza idee). Si chiama censura. Io non ci sto. E tu? – Come Don Chisciotte – Controinformazione – Informazione alternativa

BELLA L’EUROPA DEI POPOLI EH? TANTI DIRITTI E BENESSERE PER TUTTI VERO?

internet

ma tu guarda, la proposta viene da Oettinger, quello che voleva delegare i mercati a rieducare gli italiani che sbagliano a votare

Tutte le gaffe di Oettinger, il commissario europeo forse tradito da una sintesi sbagliata

Ma d’altronde tutte le sinistre sono d’accordo, qualsiasi cosa è legittima per ritornare ad occupare le poltrone e fare i servi della finanza, ah no, per salvare il popolo dall’ignoranza etc etc Ovviamente in piazza non si vedrà nessuno, la Ue sa fare il bene della gente no?

L’ultima della UE: il web senza immagini (e senza idee). Si chiama censura. Io non ci sto. E tu?

Il Cuore Del Mondo

Ci stanno provando in tutti i modi da tempo, negli Stati Uniti e, soprattutto, in Europa. Chi segue questo blog sa come la penso: da quando l’establishment ha perso il controllo della Rete e soprattutto dei social media, veicolando idee non mainstream e favorendo l’affermazione di movimenti alternativi, quelli che vengono sprezzamentemente definiti “populisti”, ogni pretesto è buono per favorire misure per limitare la libertà di pensiero. Ci hanno provato usando l’ariete delle “Fake news” e il tentativo è ancora in corso, in queste ore stanno usando un altro grimaldello, il copyright.

Come ha denunciato, in perfetta solitudine, Claudio Messora su Byo Blu   la Commissione Affari Legali del Parlamento europeo, su proposta dell’immancabile commisario tedesco Oettinger,  ha dato il primo via libera alla legge sul Copyright, che di fatto, se verrà approvata anche in Aula,  permetterà di introdurre misure censorie.

L’articolo 11, instaura la cosiddetta “tassa sui link”. Non stiamo parlando, a scanso di equivoci di film o di canzoni o di interi libri, ma stiamo parlando del testo che, citato testualmente si riferisce, “anche ai più piccoli frammenti di articoli contenenti notizie”, che “devono avere una licenza”. Avete presente quel piccolo testo di anteprima che appare a fianco o sotto a un link, in mancanza del quale nessuno sano di mente si sogna di cliccare? Ecco, anche quello dovrebbe disporre di un’adeguata licenza!

Spiega Messora, che così continua:

Secondo l’articolo 13 “le piattaforme online sono responsabili per le violazioni del copyright dei loro utenti” e “devono in ogni caso implementare filtri preventivi sugli upload”. Significa che gli algoritmi rigetteranno a priori qualunque contenuto che “potrebbe” violare il copyright, prima ancora che appaia online. Ma gli algoritmi non sono immuni ai falsi positivi e non possono certamente distinguere gli usi ammissibili, come le parodie, i meme, il diritto di critica… Non c’è nessuna concessione al concetto stesso di “Fair Use”. Ecco, ad esempio sarà impossibile pubblicare la foto di chicchessia con una scritta sotto, appunto i meme, a meno che quella foto non l’abbiate scattata voi stessi, e anche così sarete comunque giudicati “colpevoli” a meno che non vi dimostriate “innocenti” e non conduciate lunghe battaglie per riportare online i vostri contenuti.

Il messaggio è chiaro: se questa legge passerà, la diffusione di contenuti politici potrà avvenire solo senza il supporto di immagini, perché è evidente che il singolo cittadino mai potrà procurarsi le foto di un primo ministro o della guerra in Siria. E anche la citazione di brani di articoli potrebbe portare alla soppressione della vostra pagina Facebook o del vostro account Twitter. Insomma, se questa legge dovesse entrare in vigore, i blog e le pagine politiche sui social media con foto “non autorizzate” potebbero essere cancellate d’ufficio, privando la Rete di uno strumento di supporto ormai indispensabile. Quale attrattiva potrebbero avere avere pagine di solo testo? Volete davvero che la Rete venga ridotta a un’immensa bacheca di foto di gattini (solo i vostri, perché gli altri violerebbero il copyright)?

Salviamo Internet dalla direttiva del Copyright UE

Claudio Messora ha lanciato una petizione contro questo provvedimento, che sarà votato in aula a Bruxelles il 4 luglio. Lo scopo è di suscitare una sollevazione della Rete e siccome le grandi testate stanno , ovviamente, ignorando la notizia, l’unica possibilità è di innescare un passaparola che induca decine di migliaia di cittadini a firmare questa petizione.

Io ho firmato. E tu? Mancano pochi giorni, non perdere tempo!

Marcello Foa

Riso asiatico, grano canadese e accordo Ceta: il niet di Salvini. E senza il sì dell’Italia il trattato rischia di saltare

A marzo la Commissione europea ha aperto un’inchiesta su volumi e prezzi delle importazioni da Cambogia e Myanmar dopo la presentazione da parte dell’Italia, con il sostegno di altri 7 Paesi, di una domanda per l’attivazione della clausola di salvaguardia a tutela dei risicoltori europei. L’annuncio di Salvini rischia di superare l’iniziativa dell’Ue, che potrebbe essere messa nell’angolo qualora il Governo Conte decidesse di non ratificare l’intesa commerciale tra Canada e Unione

No all’arrivo in Italia delle imbarcazioni che portano il riso dall’Asia, Cambogia e Myanmar in primis. Azioni simili contro il grano che arriva dal Canada. Critiche all’accordo Ceta tra Unione Europea e Canada che, a questo punto, rischierebbe di saltare se l’Italia decidesse di non ratificarlo. È quanto dichiarato da Matteo Salvini in un’intervista al Corriere della Sera, dopo averlo anticipato due giorni fa al villaggio Coldiretti di Torino: “Non distinguo tra barcone e barcone: è giusto dire no al traffico di esseri umani e sono pronto anche a dire no a qualche nave che ci porta riso e cibo contraffatti”.
LA GUERRA AL RISO CAMBOGIANO – Si tratta di tre temi molto delicati, che si intersecano tra loro e che potrebbero avere degli sviluppi anche sul piano europeo. Partiamo dal riso asiatico. A marzo scorso la Commissione europea ha annunciato l’apertura di un’inchiesta su volumi e prezzi delle importazioni di riso da Cambogia e Myanmar. La decisione è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale Ue a un mese dalla presentazione da parte dell’Italia (governo Gentiloni), con il sostegno di altri sette Paesi, di una domanda per l’attivazione della clausola di salvaguardia a tutela dei risicoltori europei. “La liberalizzazione delle importazioni dai Paesi meno avanzati (Pma), avviata a settembre 2009 – denunciava a inizio 2018 Confagricoltura – ha provocato un graduale aumento delle importazioni, che hanno raggiunto il loro apice nella campagna 2015/2016 con 1,239 milioni di tonnellate di equivalente riso lavorato”. Dal 2012 al 2017 le quote di mercato di riso proveniente da Cambogia e Myanmar nell’Ue sono salite rispettivamente dal 13% al 21% e dallo 0% al 5%. La Cambogia è diventata il primo fornitore verso la Ue, con quasi metà di importazioni totali di riso Indica lavorato e semilavorato verso la Ue.
LA CRISI DEI PRODUTTORI – Effetto di queste importazioni è stato un calo consistente del prezzo del prodotto europeo. Una crisi che mette a rischio, in Europa, il primato nazionale dell’Italia, primo produttore con 1,50 milioni di tonnellate su un territorio coltivato da 4mila aziende su una superficie totale di 234.300 ettari, che copre circa il 50% dell’intera produzione dell’Unione europea. La Coldiretti ha definito l’apertura dell’inchiesta “un passo importante e urgente nei confronti dell’invasione di riso da Paesi come la Cambogia e la Myanmar, da dove nell’ultimo anno in Italia sono triplicate le importazioni arrivando a quota 22,5 milioni di chili”.  Il risultato è che un pacco di riso su quattro venduto in Italia contiene prodotto straniero con la produzione asiatica che rappresenta circa la metà del riso importato in Italia. Secondo la Coldiretti nell’ultimo anno la concorrenza a dazio zero dall’Asia, con prezzi al di sotto del costo di produzione del riso di origine europea, ha reso impossibile competere ad armi pari, facendo contrarre i prezzi riconosciuti agli agricoltori italiani del 58% nel caso dell’arborio, del 57% per il carnaroli, del 41 % per il Roma e del 37% per il vialone nano. La Commissione europea ha annunciato che l’inchiesta durerà un anno e dovrà verificare se le importazioni delle campagne di commercializzazione degli ultimi cinque anni, vale a dire il periodo dal 1 settembre 2012 al 31 agosto 2017, abbiano effettivamente causato “gravi difficoltà” ai produttori europei. Se ciò verrà accertato, allora potrà essere applicata la clausola di salvaguardia a tutela del settore, misura che può durare fino a tre anni, salvo proroghe.
LE CRITICHE AL CETA, CHE RISCHIA DI SALTARE – Ma il ministro Salvini se l’è presa anche con Ceta. “Legittima la contraffazione dei prodotti italiani, apre il mercato ai parmesan, alle mozzarille e al grano canadese, sulla cui qualità è legittimo qualche dubbio” ha detto. Anche il ministro delle Politiche agricole Gian Marco Centinaio ha annunciato di non voler ratificare l’accordo commerciale tra Unione europea e Canada. Una decisione che, tra l’altro, sarebbe sostenuta da diversi schieramenti politici, tra cui il Movimento 5 Stelle. Le conseguenze sarebbero immediate. Il Ceta, infatti, è un accordo misto. Al momento è applicato in modo provvisorio solo per quelle parti a competenza Ue e non degli Stati membri. In pratica è in stand by solo la parte degli accordi che riguarda gli investimenti e che necessita della ratifica dei 28 Stati membri e poi dell’Unione (il Canada ha già firmato il 16 maggio 2017). I singoli Paesi, dunque, hanno una sorta di veto sulla piena attuazione dell’accordo. In caso di mancata ratifica dell’Italia, l’intesa salterebbe e ne verrebbe revocata anche l’applicazione provvisoria per quanto riguarda le misure di politica commerciale, tra cui l’azzeramento dei dazi, scattata il 21 settembre 2017. A confermarlo è stato, il 1 marzo 2017, lo stesso commissario europeo per il Commercio, Cecilia Malmström, rispondendo all’interrogazione di un eurodeputato. Tutto ciò potrebbe fermare, anche per il futuro, la nascita di accordi misti che, a causa dei lunghi tempi per arrivare alla ratifica di tutti gli Stati, rischiano di non vedere mai la luce.
IL GRANO CANADESE – Il Ceta, tra l’altro, prevede l’azzeramento strutturale dei dazi per l’importazione dal Canada del grano “dove – denuncia Coldiretti – viene fatto un uso intensivo di glifosato (vietato in Italia) nella fase di pre-raccolta”. In Italia sono diverse le manifestazioni degli agricoltori contro l’arrivo di tir stracolmi di grano duro estero. È la cosiddetta guerra del grano. Nel frattempo, però, qualcosa è avvenuto. I dati disponibili restituiscono la fotografia della situazione a pochi mesi dall’applicazione dell’accordo commerciale tra Ue e Canada. Secondo i dai pubblicati dall’Istat non si è registrata nessuna invasione di grano, mentre è volato l’export con un incremento del 9 per cento. “Tra ottobre e dicembre 2017 – segnala la Cia-Agricoltori italiani – l’approvvigionamento di grano canadese è diminuito del 35%, confermando la tendenza degli ultimi anni”. Secondo un’analisi di Coldiretti, sempre su dati Istat, sono risultate azzerate le importazioni di grano duro dal Canada nel gennaio 2018. Dopo molti anni, il Paese nordamericano ha drasticamente perso il ruolo di leader come esportatore di frumento in Italia. “Il cambiamento – secondo la Coldiretti – è stato determinato proprio dal fatto che in Canada il grano duro viene trattato con l’erbicida glifosato in preraccolta, secondo modalità vietate in Italia”. Dati alla mano, però, nel 2017 ne ha esportato ancora 720 milioni di chilogrammi a fronte di 4,3 miliardi di chili prodotti in Italia. Tradotto: un pacco di pasta su sei prodotto in Italia è stato ottenuto con grano canadese.

L’Italia apre un altro fronte internazionale: no al Ceta, il Trattato di libero scambio con il Canada

ALTRO RIPUDIO DELLA GLOBALIZZAZIONE, ottimo!!

Mentre dal G-7 arriva l’indicazione della necessità di una riforma del Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio che regola gli scambi attraverso accordi multilaterali, il nuovo governo italiano si spinge oltre chiedendo il blocco degli accordi bilaterali che stanno progressivamente sostituendo il multilateralismo.
Il ministro delle Politiche agricole Gian Marco Centinaio ha annunciato oggi l’intenzione del governo di chiedere al Parlamento di non ratificare il trattato commerciale tra Ue e Canada e «gli altri simili al Ceta, del resto è tutto previsto nel contratto di governo». In Parlamento c’è un’ampia maggioranza trasversale contraria al Trattato, così come in Europa, ha sottolineato Centinaio: «Non si tratta solo di una posizione dei sovranisti della Lega ma i dubbi su questo accordo sono comuni a tanti miei colleghi europei». In particolare il ministro ha giustificato la volontà di non ratificare il trattato con il Canada «perché – ha detto – tutela solo una piccola parte dei nostri prodotti Dop e Igp».  
Il Ceta è entrato in vigore in via provvisoria il 21 settembre scorso in attesa di essere ratificato da tutti i Parlamenti degli Stati membri Ue ma al momento si sono espressi solo 11 Paesi su 28 (Danimarca, Lettonia, Estonia, Lituania, Malta, Spagna, Portogallo, Croazia, Repubblica Ceca, Austria e Finlandia).
Per il presidente della Coldiretti, Roberto Moncalvo, «la decisione di non ratificare il trattato di libero scambio con il Canada (Ceta) è una scelta giusta di fronte ad un accordo sbagliato e pericoloso per l’Italia».
Secondo la Coldiretti «per l’Italia l’opposizione è giustificata dal fatto che con il Ceta per la prima volta nella storia l’Unione europea legittima in un trattato internazionale la pirateria alimentare a danno dei prodotti Made in Italy più prestigiosi, accordando esplicitamente il via libera alle imitazioni che sfruttano i nomi delle tipicità nazionali, dall’Asiago alla Fontina, dal Gorgonzola ai Prosciutti di Parma e San Daniele, ma sarà anche liberamente prodotto e commercializzato dal Canada il Parmigiano Reggiano con la traduzione di Parmesan».
Ferma restando la legittimità della possibile opposizione italiana e dei dubbi anche sul ruolo dell’agricoltura nelle attuali regole commerciali, resta solo una perplessità. Secondo i dati della Fondazione Qualivita, 5 grandi Dop italiane (Parmigiano reggiano, Aceto Balsamico di Modena, Pomodoro San Marzano, Pecorino Romano e Mozzarella di bufala campana) realizzano oltre il 95% dell’export di prodotti di qualità made in Italy in Canada e la stragrande maggioranza delle Dop e Igp medio piccole ha un mercato solo nazionale: viene da chiedersi se l’opposizione ai trattati internazionali sia davvero una misura di tutela del made in Italy e non si riveli invece controproducente, mettendo sul “banco degli imputati” quelle che possono essere nuove opportunità per il food italiano.
di Giorgio dell’Orefice e Alessio Romeo 14 giugno 2018

Dazi: Di Maio, protezione contro minacce

GIUSTISSIMO, OTTIMA POSIZIONE ANTI GLOBALIZZAZIONE  e  per CREARE posti di lavoro. GRANDIOSO MINISTRO!!!

Aprire paesi che ci rispettano economicamente,chiudere ad altri

 © ANSA
(ANSA) – ROMA, 26 GIU 2018 – Non sono per l’isolamento dell’Italia. Ma come Italia, con un sistema produttivo così particolare, dei prodotti così unici non dobbiamo avere paura di affrontare il tema dei dazi per proteggerci e questo non vuol dire isolarsi. Significa cominciare ad aprire i rubinetti con paesi che ci rispettano economicamente e rispettano le nostre specialità, ma chiudere i rubinetti con altri paesi che non rispettano le nostre specialità e rappresentano una minaccia con i loro prodotti a basso costo. Lo afferma Luigi Di Maio

Ufficiali dell’esercito degli Emirati Arabi Uniti hanno abusato sessualmente dei prigionieri yemeniti

NESSUNA CONDANNA DALL’ONU E DALLA UE? NESSUNA SANZIONE PER GENOCIDIO DEL POPOLO YEMENITA? vedi 

MA CHE STRANA LA UMANITA’ E SOLIDARIETA’ ED ANTIRAZZISMO DELLA MORALMENTE SUPERIORE UE ED ONU (ah sì, quest’ultima ha fatto degli appelli, cavolo, si è sforzata), LE ONG NON VANNO A SALVARE IL POPOLO YEMENITA?
 Ufficiali dell'esercito degli Emirati Arabi Uniti hanno abusato sessualmente dei prigionieri yemeniti
Un nuovo rapporto rivela che i militari degli Emirati Arabi Uniti hanno commesso abusi sessuali di massa nei confronti diprigionieri yemeniti detenuti nelle carceri nel sud dello Yemen.
Come riportato dall’agenzia di stampa statunitense Associated Press (AP), gli ufficiali degli Emirati Arabi Uniti hanno ripetutamente torturato e violentato centinaia di prigionieri yemeniti in 18 prigioni nascoste nella città portuale di Aden. nel sud del paese arabo.
Secondo questo articolo, in una di queste occasioni, avvenuta lo scorso marzo nella prigione di Beir Ahmad, 15 soldati degli Emirati Arabi Uniti hanno chiesto ai detenuti di togliersi i vestiti e giacere a terra con il pretesto di cercare degli smartphone.
L’agenzia sottolinea anche che i prigionieri che hanno resistito o hanno rifiutato di conformarsi agli ordini dell’Esercito degli Emirati e sono stati minacciati di percosse e spaventati con dei cani.
Inoltre, AP ha pubblicato diversi disegni fatti da uno dei detenuti che mostrano le pratiche a cui i soldati degli Emirati Arabi Uniti hanno fatto ricorso per torturare le loro vittime.
Tra i principali centri di tortura e stupro che le truppe degli Emirati Arabi usano ad Aden figurano la base militare di Buriqa, dove sono stati visti anche mercenari americani e colombiani; la casa di Shalal Shaye, capo della sicurezza di Aden; la discoteca Wadah, ora una prigione segreta; e la prigione di Beir Ahmad, dove si è verificata la maggior parte di questi abusi, si aggiunge nell’articolo.
Gli Emirati Arabi Uniti aiutano l’Arabia Saudita nella sua aggressione contro lo Yemen dal 2015, la comunità internazionale, in particolare le Nazioni Unite, ha fatto pressanti appelli al regime saudita e ai suoi alleati per porre fine a questa “stupida guerra”, che ha provocato 11.000 morti e circa 23.000 feriti.
Fonte: Associated Press

Ladro moldavo ucciso, i familiari chiedono 325mila euro al tabaccaio Birolo: la Cassazione respinge la richiesta…vittoria

PADOVA – La Cassazione ha respinto la richiesta di risarcimento presentata dai familiari di Igor Ursu, il rapinatore ucciso nell’aprile del 2012 dal tabaccaio di Civè di Correzzola Franco Birolo. Nella notte del 26 aprile Ursu entrò nella tabaccheria di Birolo che sparò un colpo di pistola all’uomo, uccidendolo.

In primo grado, nonostante la richiesta del pm di assoluzione per eccesso colposo di legittima difesa, il giudice condannò Birolo a due anni e otto mesi di reclusione e al risarcimento di 325mila euro alla famiglia. Sentenza ribaltata dalla Corte d’appello di Venezia che, nel marzo del 2017, ha assolto Birolo . Una sentenza contro la quale la sorella di Ursu aveva presentato ricorso in Cassazione, chiedendo che fosse ripristinato il risarcimento stabilito dal primo grado. Mercoledì sera, però, è arrivata la sentenza: il ricorso presentato dai familiari della vittima è inammissibile.
Con fonte Il Gazzettino

I giudici salvano i clandestini: non si possono più espellere. Una mossa contro Salvini?

Il tribunale contro il governo

Immigrati, i giudici di Milano fanno ricorso alla Corte europea: sospese le espulsioni
22 Giugno 2018
Il Tribunale di Milano ha fatto ricorso alla Corte di Giustizia europea per sapere se la norma Orlando-Minniti – che toglie ai migranti la cui domanda di asilo è stata rigettata la possibilità di ricorrere in Appello – contrasta oppure no con il diritto Ue. E in attesa di una risposta i giudici consentono ai clandestini di rimanere in Italia.
Insomma, nei giorni in cui la stretta di Matteo Salvini sull’immigrazione si fa sempre più forte i giudici si mettono di traverso. Come riporta il Corriere della Sera, se l’immigrato non dimostra di essere in pericolo o in fuga da una guerra, i commissari rigettano la domanda di asilo. Si parla del 60 per cento dei richiedenti che spesso con l’avvocato d’ufficio – cioè pagato dallo Stato – fanno ricorso in Tribunale. Se anche in primo grado il loro ricorso viene rigettato, dopo la Minniti-Orlando, al migrante non resta che ricorrere in Cassazione. Nel frattempo, però, il clandestino non ha diritto a restare in Italia, quindi il Viminale può espellerlo in qualunque momento.
I giudici milanesi della sezione immigrazione però si sono convinti che la norma italiana “non rispetta alcuni principi che rappresentano le pietre angolari del diritto dell’Unione Europea”.