Incubo 5G, il Governo aumenta di 110 volte l’elettrosmog? Il libro denuncia di Martucci per Grillo (Ministro Salute): “Cittadini come cavie umane, si viola Codice di Norimberga!” E’ già tardi?

Dopo l’estate tutti gli “italiani saranno esposti a campi elettromagnetici ad alta frequenza, con densità espositive e frequenze sino ad ora inesplorate. Dopo Settembre l’operazione avrà respiro nazionale. Sottovalutare o ignorare il valore delle evidenze scientifiche disponibili non appare eticamente accettabile”. Pericoloso lascito dai predecessori: ignorati gli appelli precauzionali dei medici ISDE che continuano ad invocare una sensata moratoria, per compiacere Europa e lobby del 5G il Governo Conte potrebbe aumentare di 110 volte il valore limite di campo elettrico emesso dalle stazioni radio base (antenne di telefonia mobile), sommergendo la popolazione con un’irradiazione elettromagnetica multipla e cumulativa di dubbia innocuità, per altro già documentata come (potenzialmente) cancerogena da innumerevoli e accreditati studi nonché (seppur tra le polemiche per una classificazione 2B al ribasso!) dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Lo spauracchio è nella bozza di decreto stesa dal dicastero dell’ex ministro Galletti il 18 Aprile scorso e ora al vaglio di Sergio Costa. C’è scritto: considerati gli attuali limiti di legge (6 V/m nella rilevazione su 24 ore e dentro la struttura degli edifici) una “barriera per lo sviluppo della tecnologia” di quinta generazione (5G), il ministro dell’ambiente (di concerto con l’omologa della salute) decreterebbe l’applicazione di nuovi standard per i valori di attenzione “sulla base delle evidenze scientifiche in materia” da tradurre in ben 61 V/m, ovvero innalzando di 110 volte l’elettrosmog (in fisica il vettoriale delle radio frequenze è calcolato al quadrato, cioè campo elettrico+magnetico) per favorire nuove bande simultanee (s’aggiungeranno alle attuali 2G, 3G, 4G) e migliaia di nuove micro-antenne ubiquitarie (si pensa una sul tetto di ogni 12 abitazioni o sui lampioni della luce!) da disseminare senza tregua ovunque, in ogni angolo delle città ma pure in campagne e parchi. Cosa ci aspetta?
 
Snobbato il fronte precauzionista, l’unico criterio seguito sarebbe in ossequio (reverenziale!) ai desiderata degli operatori delle telecomunicazioni, recentemente riuniti a Roma da Eunews per chiedere “una revisione al rialzo dei limiti sulle emissioni elettromagnetiche”, giudicate restrittive, cioè da esplodere verso l’alto al grido di “serviranno molte antenne”!
La prerogativa, ad esclusivo appannaggio del business per l’ipercomunicazione di massa stimato in 225 miliardi di euro fino al 2025, vorrebbe l’assenza (sic!) di una dimostrata evidenza scientifica sugli effetti per la salute dell’uomo esposto alle irradiazioni, ritenuta ingiustificata l’applicazione del principio di precauzione da un punto di vista tecnico ed epidemiologico. Ma è davvero così? Ci possiamo fidare di Wi-Fi, wireless e 5G? E su quali premesse di tutela per la salute pubblica? Oppure c’è qualcosa che non ci viene detto? Qualcosa che ci tengono nascosto?
Per confutare quest’assioma stereotipato, fondato su ricerche superate e di dubbia indipendenza, ho scritto l’inchiesta “Manuale di autodifesa per elettrosensibili. Come sopravvivere all’elettrosmog di wi-fi, telefoni cellulari, smartphone e antenne di telefonia. Mentre arrivano 5G e wi-fi dallo spazio!”
 
Manuale di autodifesa per elettrosensibili_cop_fronte
 
(il libro uscirà ai primi di Luglio per Terra Nuova Edizioni), una libera (e scevra da condizionamenti) panoramica sui subdoli rischi dei pervadenti campi elettromagnetici, tracciato il perimetro del pericolo ambientale d’Era Elettromagnetica (patito in primis dagli ammalati – sempre più numerosi – di Elettrosensibilità), svelando incongruenze, distorsioni metodologiche e conflitti d’interesse alla base del cosiddetto fronte negazionista, passate in rassegna le maggiori sentenze di tribunale sul nesso giuridicamente accertato telefonino=cancro e gli studi (migliaia!) sugli effetti non termici di wireless e antenne di telefonia mobile.
 
Riporto: “I governi e le agenzie pubbliche di protezione della salute si nascondono di solito dietro obsolete linee guida ufficiali, che sono state redatte quando si pensava che l’unico modo in cui la radiazione da radiofrequenza poteva influenzare la salute era per l’intensità del campo sufficientemente alta o per l’eventuale potere di riscaldamento, come se il corpo umano fosse una bambola di plastica riempita di liquidi. Questo è falso perché innumerevoli studi scientifici hanno dimostrato che possono arrecare danni alla salute dei campi elettromagnetici molto al di sotto dei livelli delle linee guida ufficiali. Ci sono oggi forse 4 o 5 miliardi di cellulari in uso nel mondo e l’effetto cumulativo può mettere in pericolo l’essere umano”. E poi: “La strategia dell’industria è quella di finanziare studi a basso rischio che assicureranno risultati positivi, e poi di usarli per convincere i media e il pubblico che sono le prove dell’inno¬cuità dei cellulari”.
Infine: “L’anello debole della catena è comunque sempre il cittadino, che a fronte di una serie di disponibilità tecnologiche sicuramente utili e appaganti si trova comunque esposto a un rischio quantomeno possibile”.vero – che Fiorella Belpoggi (per l’Istituto Ramazzini direttrice della più grossa ricerca al mondo sugli effetti biologici delle radiofrequenze delle antenne, anticipata nei risultati parziali del 2018) ha ripetuto che “abbiamo identificato un pericolo. Non può accadere come è successo con il benzene, per il quale ci sono voluti 30 anni affinché fossero presi provvedimenti”, tanto che secondo Lorenzo Tomatis (fondatore IARC, Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) far finta di nulla oggi “equivale ad accettare che un effetto potenzialmente dannoso di un agente ambientale può essere determinato solo a posteriori, dopo che quell’agente ha avuto tempo per causare i suoi effetti deleteri”.
Infatti (che lo si sappia!), ricerca e medicina forzatamente seguono a rimorchio la più veloce innovazione tecnologica, con l’inevitabile conseguenza che per attendere riscontri medici definitivi bisogna attendere (anche) 10, 15, 20 anni dal momento in cui è stato lanciato l’Hi-Tech sul mercato (in soldoni, con affanno si studiano gli effetti del 3G quando in commercio esce il 5G!). Quindi la misura del problema la conosce, eccome!
 
Non possiamo aspettare decenni per farci (colpevolmente) ripetere dai governanti di turno, “scusate, c’eravamo sbagliati, l’elettrosmog è certamente cancerogeno!”, con chissà quale conta per le persone eventualmente colpite e danneggiate. Per questo, in conferenza a Firenze, venerdì ho preso un impegno pubblico: manderò il mio libro (in uscita a giorni) al neo-ministro Giulia Grillo perché non possa dire di non sapere. Da consapevole attivista e poi all’opposizione, s’è battuta anche in Parlamento per scongiurare l’incubo MUOS in Sicilia, partecipando persino ad un dibattito pel riconoscimento di Sensibilità Chimica Multipla ed Elettrosensibilità.Non vorrei che, sostituita la Lorenzin, come suoi illustri predecessori anche la Grillo finisse per avallare una scellerata manovra politico-lobbistica (e non di precauzione sanitaria) che dopo ferragosto ci catapulterebbe (tutti quanti, nessuno escluso) in un pericoloso punto di non ritorno: la tutela della salute pubblica viene prima del 5G! Altrimenti si rischia di violare apertamente il Codice di Norimberga, trasformando la popolazione civile in cavie umane su cui sperimentare nuove tecnologie. E questo non è (assolutamente) ammissibile.
di Maurizio Martucci mercoledì 27 giugno 2018
 
 
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Tav, perché i 5 Stelle non possono permettersi di dire di sì (nonostante il contratto con la Lega)

Corriere 27 luglio 2018 – 14:11

Le diverse bozze — fino a quella finale — del contratto di governo tra Lega e 5 Stelle riflettono l’ambivalenza del Movimento sul tema della Tav. Perché il no alla Torino-Lione sta nel dna dei pentastellati. E un sì ne segnerebbe la definitiva mutazione

di Marco Imarisio

La verità è nella brutta copia del contratto. «Con riguardo alla Linea ad Alta Velocità Torino-Lione, nell’applicazione dell’accordo tra Italia e Francia, ci impegniamo a sospendere i lavori esecutivi e ridiscuterne integralmente il progetto. Con riferimento invece alla realizzazione del “terzo valico” ci impegniamo al completamento dell’opera». Era la metà di maggio, il governo non era ancora stato varato, e l’Huffington postpubblicò in esclusiva una bozza preliminare del contratto di governo.

L’attenzione degli osservatori cadde su faccende ancora più importanti, come l’uscita dall’euro. Ma il passaggio sulla Tav era rivelatore delle intenzioni, mai nascoste, del Movimento 5 stelle. Si parlava infatti di sospensione dei lavori esecutivi, e di ridiscussione integrale del progetto.

Le reazioni produssero un effetto uguale e contrario, perché nel testo definitivo poi varato dai due contraenti, ovvero M5S e Lega, lo stop ai lavori scomparve del tutto, per lasciare spazio a una formula vaga, una generica ridiscussione del progetto ma sempre «nell’applicazione dell’accordo tra Italia e Francia» che certo non prevede alcun blocco dell’opera.

Da allora, il rapporto tra il movimento No Tav e i Cinque stelle, due entità che in Piemonte per molto tempo si sono sovrapposte, si incrinarono. La Tav non è un argomento sul quale M5S si possa permettere di discutere con serenità, o con razionalità, perché il «No» all’alta velocità Torino-Lione è un elemento fondante dell’identità pentastellata. È una simbiosi che nasce molto tempo fa, quando ancora M5S non esisteva.

Nella notte tra il 5 e il 6 dicembre 2005 l’occupazione da parte delle forze dell’ordine dei tre ettari di terreno a Venaus, sui quali doveva essere allestito il cantiere dell’Alta velocità secondo il progetto iniziale, e la successiva «liberazione» tramite una marcia pacifica divenne l’episodio fondante della mitologia No Tav, segnando l’inizio di una totale condivisione di intenti con Beppe Grillo, che resta pur sempre l’«Elevato» di M5S.

«Sono valsusino» scrisse Beppe Grillo sul suo blog. «Venaus è il cuore del Movimento» ha ribadito nel 2015 Alessandro Di Battista alla fine della manifestazione per il decennale, mentre la gente intorno a lui intonava cori contro Silvio Berlusconi, presidente del Consiglio dell’epoca.

Alla grande manifestazione del 3 luglio 2011, che degenerò in scontri violentissimi con le forze dell’ordine, Grillo era in prima fila (foto sopra), abbracciato ad Alberto Perino, l’ex bancario divenuto leader del movimento No Tav. Non è una questione economica, si tratta dell’essenza stessa di M5S così come l’abbiamo conosciuto fino alle elezioni politiche dello scorso 4 marzo.

Il brusco cambio di versione fatto pochi giorni fa dal ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli, passato in poche ore dal dire che la Tav si farà, seppur migliorata, al ribadire una versione simile a quella della bozza non ufficiale del contratto di governo, è stato indotto dalle proteste fortissime dei consiglieri regionali e comunali dei Cinque stelle.

In Piemonte, M5S è già alle prese con un faticoso «sì» alle Olimpiadi invernali del 2020, un boccone che la base non ha certo digerito. I sondaggi affermano che a Torino, e non solo, M5S non si può permettere di dare il via libera all’opera divenuta nell’immaginario penstastellato il simbolo di ogni male possibile. La Tav non si deve fare, o almeno deve essere fermata in via più o meno ufficiale.Ne va dell’identità stessa di M5S. Costi quel che costi. E infatti costerà moltissimo.

Li votano i ricchi ma non chi ha cultura

 

È il cavallo di battaglia e la battuta preferita dei “sinistri”, quelli (autodefinitisi) “intelligenti” e “dotti”: “gli ignoranti votano Lega/5S”, “se non leggi, ovvio che voti loro”, “i partiti dei fannulloni”, “dipendenti pubblici con il culo al caldo”, etc…
Eppure, tralasciando anche il fatto che la cultura accademica non corrisponde necessariamente a buona conoscenza (spesso solo a indottrinamento ed esamificio), così come leggere non significa avere necessariamente gli strumenti, la capacità di saper scegliere cosa leggere, l’avere capacità d’analisi o di approfondimento, né garanzia di buona comprensione di ciò che si legge, si può anche definire la bufala elettorale del 2018.
A ben vedere, la maggioranza relativa dei laureati ha dato il suo voto a 5S/Lega con il 40,6%. Maggioranza, che diviene assoluta, se si calcolano i diplomati con il 50,4%. Solo il 27,4% dei laureati lo ha dato ai “colti” (PD+Leu) e ancor meno i diplomati (20,4%).
Anche tra i dipendenti pubblici si consuma l’ennesima narrazione inutile e fallace. La maggioranza assoluta ha votato Lega/5S dando il 53,4% delle preferenze.
Invece, dato che dovrebbe far più riflettere di altri e che prescinde dal titolo di studio, gli Imprenditori (medi e piccoli)e artigiani (55,4%) operai (60,8%), ossia i ceti più produttivi e ossatura dell’Italia, hanno dato in massa il loro voto ai due partiti di governo.
Disoccupati (55,4%) e persino le tanto vituperate casalinghe (55%).
Non così la maggioranza garantita dei pensionati,unica che premia relativamente il PD ( 27,6%), che certamente hanno più tempo per leggere (o guardare la TV?) e pensione per poterselo permettere, e quel 31% di classi di reddito elevato (22% tra grandi imprenditori e dirigenti), che sommati ai vari scorpori delle altre categorie, sembra tanto poter comporre quel famoso “20% più ricco degli italiani che  detiene poco più del 69% della ricchezza nazionale” e che, con “il successivo 20% (quarto quintile), che controlla il restante 17,6% della ricchezza”, lascia al 60% più povero dei nostri concittadini appena il 13,3% di ricchezza nazionale. Questo conta più di tutto il resto.
Insomma, l’unico dato vero è che il Pd si è connotato chiaramente come partito delle élite, bon per cultura, ma per reddito.
Il cuore dello scontro è tutto qui, con i relativi contorni di utili idioti.
Narrazioni inutili e stucchevoli, buone solo per mettere in luce tanta insicurezza, mancanza di argomenti e troppa autoreferenzialita’.
Lo scrivo pur sapendo bene che i destinatari del post NON lo leggeranno, né cercheranno i dati per confutarlo, perché si sa che Loro leggono (forse) solo ciò che più gli garba (sicuro). Per il resto, c’è Saviano per gli eletti e la disinformazione mediatica per tutti.
Ps fonte IPSOS e the Globalist
Janos Dex  giovedì 5 luglio 2018

La decomposizione dell’UE

 

L’Unione europea si spezza. Molto chiaramente, il problema dei “migranti” ha giocato il ruolo di detonatore. A tale questione si sommano errori politici, e la pretesa morale che si rivela fondamentalmente un’enorme ipocrisia. Ne è prova il caso dell’Acquarius, nave noleggiata dall’ONG SOS-Mediterranean. Ma in sostanza il problema riflette le contraddizioni sviluppatesi nell’UE. In un certo senso, è probabile che pochi capi “credano” in una UE federale. Tale decomposizione potrebbe portare a varie soluzioni, e anche se il nome “Unione europea” dovesse sopravvivere, è chiaro che non sarà più l’UE immaginata e attuata dopo il voto del famoso “Atto unico” del 1986. Si assiste al crollo di oltre trent’anni di “costruzione europea”.
Un contesto occupato
Prima fu la Brexit, votata nel 2016, e alcuni speravano di vederla rovesciata con una trappola “legale” ignota. Tuttavia, col recente voto nel Parlamento inglese in cui Teresa May sconfisse la fazione pro-UE , è chiaro che la Brexit avrà luogo. Il Regno Unito lascerà l’Unione europea (UE). Le elezioni generali degli ultimi 6 mesi, in Ungheria, Austria ed anche in Slovenia, hanno portato (o mantenuto) al potere governi chiaramente euroscettici che desiderando un profondo cambiamento nelle regole dell’UE. Infine, l’azione dell’attuale governo italiano, risultante dalla coalizione tra M5S e Lega, ha messo in luce tali contraddizioni. La decisione del ministro dell’Interno italiano, Matteo Salvini, di rifiutare il permesso all’Acquarius di sbarcare i migranti raccolti scandalizzava. Le buone anime vi si opposero. Tuttavia, quest’ultimo rispetta da un lato la legge marittima internazionale, e il fatto che l’ONG in questione non attaccasse il governo italiano lo testimonia, e dall’altro i casi di emergenza umanitaria sono stati rispettati. Nonostante le dichiarazioni sconvolgenti, Salvini ha convenuto che donne incinte e gravemente malato sbarcassero, e la Guardia di costiera italiana continuava le missioni di soccorso. L’Acquarius era scortato da una nave della Guardia Costiera italiana, come riconosceva la stessa ONG SOS-Mediterranean.
Ipocrisia franco-tedesca
Ciò che è quindi in gioco è una politica caratterizzata da cecità ed immensa ipocrisia dell’UE, ma anche di Germania e Francia. È tale ipocrisia in particolare che ha scaricato all’Italia il peso quasi esclusivo dell’accoglienza dei “migranti” negli ultimi tre anni. La ritirata del presidente francese, Emmanuel Macron, che dopo aver denunciato l’atteggiamento dell’Italia moralmente, piuttosto che politicamente, fu costretto ad abbassare i toni, è significativa. Tornava ad una posizione più ragionevole, a costo dell’umiliazione internazionale. I due capi hanno dimostrato un accordo ancora più cordiale, poiché sapevamo di aver superato il limite della crisi. Ma tale crisi arrivava in Germania, dove Angela Merkel fu costretta a trattare col suo ministro dell’Interno Horst Seehofer. Quest’ultimo, sostenuto dalla maggioranza dei deputati CDU-CSU, vuole che la Germania raggiunga un accordo con Grecia ed Italia sulla questione dei migranti, che permetta alla Germania di respingere tutti i migranti non registrati. Un incontro dei tre ministri degli interni di Germania, Austria e Italia fu discussa sulla questione dell’immigrazione clandestina. Ciò dimostra la volontà dei governi di coordinarsi. Ma, e questo non è sfuggito a nessuno, è un coordinamento intergovernativo tra Stati sovrani che abilmente elude procedure ed abitudini dell’UE e che, probabilmente, ne metterà in dubbio le regole… Segno dei tempi?
Il peso dell’economia in questa decomposizione
Si potrebbe pensare che la questione dei “migranti” stia esaurendo l’agenda dell’UE. Non è così. Il governo italiano annunciava di proporre al Parlamento di non ratificare il CETA, l’accordo di libero scambio tra Canada e Pesi dell’UE. Una decisione che potrebbe provocare la cancellazione di tale trattato. Questa decisione del governo italiano, in contraddizione con la volontà della Commissione europea di decidere, invece degli Stati, su questioni commerciali, ribadisce il ruolo primario e fondatore della sovranità degli Stati. Allo stesso modo, il governo italiano suggeriva di opporsi al rinnovo delle sanzioni alla Russia. Anche in questo caso, si aveva a che fare con una decisione consensuale. Se un Paese violasse tale consenso, ne seguiranno altri. Le questioni economiche e commerciali svolgono un ruolo importante nel processo di decomposizione dell’UE. Un processo sottolineato dalla decisione della Germania di respingere la maggior parte delle proposte avanzate dal presidente francese Macron. La recente pubblicazione da parte dell’OFC di un testo sul ruolo deleterio dell’euro nelle economie francese e italiana lo conferma (1). In effetti, scopriamo che la “coppia franco-tedesca” non esiste, tranne che nei deliri degli editorialisti francesi. Le forme prese dalle “storie” sulla crisi generate dall’Italia, al primo posto delle quali si trova la “scandalosa” stampa tedesca, ed anche le accuse estremamente aspre di Emmanuel Macron, sono sintomo della decomposizione dell’Unione europea, ma anche una delle cause.
Della sovranità delle nazioni
Tale decomposizione dell’UE, tuttavia, è un processo a lungo termine. In tale contesto, il gesto di Matteo Salvini sull’Acquarius, approvato o no, causava una frattura importante, dimostrando che un Paese potrebbe liberarsi dalle regole dell’UE ed anche l’inesistenza della “sovranità europea”, mito tanto caro a Emmanuel Macron, e l’esistenza della propria sovranità. Questo gesto avrà conseguenze. Da fiducia agli italiani nel governo del Paese e nelle capacità di esso. Ma questo gesto è importante anche per gli altri Paesi dell’Unione europea. Perché se l’Italia può recuperare la propria sovranità, in un momento di crisi può decidere sia l’agenda dei problemi da trattare che la natura delle soluzioni, una definizione di sovranità, ed allora altri Paesi ricorderanno la lezione.
1) Villemot S., Ducoudré B., Timbeau X., “Taux de change d’équilibre et ampleur des désajustement internes à la zone euro“, Revue de l’OFCE, n°156 (2018)
Traduzione di Alessandro Lattanzio
Jacques Sapir, Sputnik 16.06.2018

L’Africa siamo noi

La miseria dell’Africa, certo, non è stata provocata solo da questa moneta, ma dalle politiche neoliberiste imposte a partire dagli anni ’80 dal Fmi e dalla Banca Mondiale.

Peccato che Boldriniani saviani, pretaglia varia, mogherini e tutti i porci del trogolo MAFIA CAPITALE  NON SI INDIGNIO NE’ DENUNCINO niente a riguardo. Sia mai a sta gente tanto afflitta del povero che scappa dalla miseria se parli di PROTEZIONE DELLE ATTIVITA’ LOCALI diventano FUORIOSI, protezionismo? GUAI
CHISSA’ PERCHE’
L’Africa siamo noi
L’Africa siamo noi
Per capire qualcosa di quello che sta succedendo in Africa e dell’emigrazione di massa da quel Continente bisogna anzitutto disintossicarsi da quello che scrivono quotidianamente i giornaloni o che pubblicano le case editrici del mainstream, e magari iniziare con la lettura di libro pubblicato di recente da Amazon e Youcanprint (sia come ebook che in cartaceo).
L’autrice, Ilaria Bifarini, è una giovane studiosa, che si presenta come una «bocconiana redenta», già nota per un volume, Neoliberismo e manipolazione di massa (2017), che ha venduto on line migliaia di copie. Il suo nuovo libro, intitolato I coloni dell’austerity. Africa, neoliberismo emigrazioni di massa (2018) prosegue lo stesso percorso teorico critico nei confronti della dottrina neoliberista, affrontando in una ottica controcorrente il tema, oggi di grande attualità, delle migrazioni di massa. La tesi fondamentale è presto detta: togliamoci dalla testa la narrazione di comodo che fa risalire l’attuale sottosviluppo africano al passato coloniale. Questa tesi viene spesso oggi sostenuta per giustificare l’accoglienza incontrollata. Ma è falsa.
La disgregazione degli imperi coloniali a partire dagli anni ’50 ha prodotto la formazione di Stati nazionali indipendenti, i quali però non hanno avuto la possibilità di sviluppare le loro economie autonomamente perché sono stati impediti dal farlo: il colonialismo è stato così sostituito da qualcosa di ancora peggiore, una forma di postcolonialismo, incentrato sul controllo economico, che ha impedito alle economie locali di crescere e di svilupparsi.
SVILUPPO TARGATO FMI
Nonostante la raggiunta indipendenza infatti «le multinazionali e i poteri finanziari hanno presto addomesticato i rappresentanti della classe politica e delle élite locali… hanno così creato una fatiscente borghesia nazionale che amministra il paese in rappresentanza e in difesa di interessi esteri» (p. 85). Il sistema economico e la vita politica di questi Stati sono eterodiretti. Nonostante l’indipendenza, non hanno mai raggiunto una sostanziale sovranità politica ed economica. Un esempio concreto? Il franco delle colonie francesi africane, ora ancorato all’euro, resta sempre sotto il controllo delle autorità francesi, le quali determinano le politiche monetarie delle due più importanti banche centrali africane. Se il cambio fisso ha il vantaggio di annullare i rischi per gli investimenti delle multinazionali ciò avviene a scapito delle economie reali locali. È il franco CFA a costituire oggi un «ostacolo insormontabile per la crescita e lo sviluppo delle ex colonie, che andrebbe rimosso» (p. 192). Un po’ come l’euro per noi, verrebbe da aggiungere.
La miseria dell’Africa, certo, non è stata provocata solo da questa moneta, ma dalle politiche neoliberiste imposte a partire dagli anni ’80 dal Fmi e dalla Banca Mondiale.
Queste politiche sono state sperimentate per la prima volta proprio in Africa, dopo aver imposto un modello di sviluppo che ha costretto i Paesi africani ad indebitarsi sempre di più e a entrare in quella spirale del debito che in anni più recenti anche noi abbiamo sperimentato.
«I paesi africani sono stati investiti dalle dinamiche spregiudicate del libero mercato internazionale senza una preventiva protezione del settore industriale e agricolo, costretti da un lato ad acquistare beni manifatturieri e macchinari a prezzi sempre più cari, dall’altro a vendere le proprie materie prime sempre più a buon mercato. Per conquistare i mercati esteri hanno favorito lo sviluppo delle coltivazioni d’esportazione a scapito dell’autosussistenza, producendo esclusivamente per il mercato estero e non per il consumo locale. Paradossalmente, la fame in Africa non è causata dalla mancanza di risorse, bensì dalla loro esportazione: si esporta la produzione invece di consumarla» (p. 76). E tutto quello che si riusciva a guadagnare attraverso l’esportazione è stato destinato a pagare il debito estero, alimentando un circolo vizioso che ha provocato miseria e povertà crescente.
QUESTIONE DEMOGRAFICA
A ciò si aggiunga un fenomeno demografico singolare. Di solito ogni popolazione passa da una situazione iniziale di alta mortalità e di alta fecondità ad una condizione di scarsa mortalità e bassa fecondità. Nell’Africa subsahariana la mortalità è sì diminuita, ma il tasso di fecondità continua ad essere il più elevato del mondo. Negli anni Sessanta la popolazione africana era circa di 300 milioni, oggi è di 1,2 miliardi, nel 2050, se non intervengono cambiamenti, sarà di circa 2,5 miliardi. È del tutto evidente che il Continente nero avrebbe bisogno di politiche economiche e sociali orientate alla qualificazione della forza lavoro e di un’adeguata politica del controllo delle nascite. Invece si incentiva la popolazione giovanile locale ad abbandonare i propri Paesi e a continuare a fare più figli trasferendosi in Europa.
Non sono profughi (se non in minima parte) che fuggono da guerre, ma in larga parte migranti economici alla ricerca di quelle condizioni di lavoro che non riescono a trovare nel Continente africano a causa delle nefaste politiche economiche neoliberiste che hanno aumentato le diseguaglianze e messo a repentaglio qualsiasi sviluppo interno. Vengono in Europa, non i più poveri, ma quelli disposti persino ad indebitarsi accentando prestiti e crediti offerti dalle Ong (qualche spunto al riguardo a p. 39-40), nell’illusione di poter trovare qui quello che non trovano nel loro Paese. Ma l’Europa oggi si trova in grosse difficoltà proprio per quelle stesse politiche economiche e monetarie che hanno sinora condannato l’Africa ad una stagnazione permanente.
Le grandi migrazioni, in fondo, oggi danneggiano tanto l’Africa quanto l’Europa e gli unici a guadagnarci sono le élite globaliste, i grandi uomini d’affari, gli speculatori della finanza alla Soros, che dopo aver spremuto l’Africa come un limone si dedicano ora, per dare il colpo di grazia anche all’Europa, al grande business delle Ong.
di Paolo Becchi – 27/06/2018 Fonte: Paolo Becchi

Ricordiamo, furono i francesi ad uccidere Enrico Mattei

 

Ricordiamo, furono i francesi ad uccidere Enrico Mattei
Fonte: Maurizio Blondet
Nell’attuale  campagna di odio  lanciata  da Macron contro i nostri governanti, mi ha preoccupato questo titolo  su Dagospia, che riporta un articolo de Il eEssaggero:
TIM ACCUSA LA COMPAGNIA LOW COST FRANCESE, ARRIVATA IN ITALIA CON UN’OFFERTA ULTRA COMPETITIVA: “ILIAD VIOLA LE LEGGI ANTITERRORISMO”.
SECONDO GENISH IL MECCANISMO DI ATTIVAZIONE DELLE SIM NON PREVEDE IL RICONOSCIMENTO DIRETTO DEL TITOLARE, CHE NON DEVE NECESSARIAMENTE COINCIDERE CON L’INTESTATARIO…
 
  1. Mar. per “il Messaggero    Il testo:
La questione sarebbe stata presa molto sul serio. Da qualche giorno sarebbero anche partite delle verifiche sul campo per controllare se, quanto denunciato da Tim, sia vero. La società guidata da Amos Genish ha acceso un faro sulle modalità di attivazione delle sim card di Iliad, la compagnia low cost francese che fa capo a Xavier Niel, da poco sbarcata in Italia.
Tim ha inviato nei giorni scorsi un’ istanza con la quale chiede al Dipartimento di Sicurezza del ministero dell’ Interno, alla Polizia Postale, alla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo e alla Direzione generale per i servizi di comunicazione del ministero dello Sviluppo, se il meccanismo di attivazione, sia online che fisico, delle sim card di Iliad non violi le norme della legge Pisanu contro il terrorismo.
 Il punto, come emerge dalla denuncia di Tim, è che le norme prevedono un «riconoscimento diretto» di chi compra e attiva una sim card per il traffico telefonico. «Ogni impresa», spiega nella sua istanza Tim, «è tenuta a rendere disponibili, anche per via telematica, al centro di elaborazione dati del ministero dell’ interno, gli elenchi di tutti i propri abbonati e tutti gli acquirenti del traffico prepagato della telefonia mobile, che sono identificati prima dell’ acquisizione del servizio».
 Invece, nelle procedure messe in atto da Iliad, sostiene Tim, ci sarebbero diversi bug. La procedura online di acquisto della sim di Iliad, per esempio, prevede l’ inserimento dei dati in anagrafica, la registrazione di un videomessaggio e l’ upload di un documento, che però, sostiene Tim, sono asincroni e senza riconoscimento de visu.
Il controllo dei documenti verrebbe fatto da un consulente prima della spedizione della sim, ma non è necessario che il titolare della carta di credito coincida con l’ intestatario della nuova linea. La sim, poi, viene attivata direttamente dal cliente nell’ area self service della società telefonica.
 
IL PROCESSO
Secondo Tim la legge Pisanu antiterrorismo escluderebbe la possibilità per gli operatori di ricorrere a procedure totalmente automatizzate che prevedano l’ acquisizione dei dati anagrafici del cliente e l’ acquisizione della riproduzione del documento tramite modalità telematiche, o per corrispondenza, senza espletare nemmeno al momento della consegna della sim l’ attività di controllo dell’ identità del sottoscrittore.
La procedura di Tim per la vendita on line delle sim, prevede in diversi passaggi il riconoscimento diretto. È prevista una videochiamata con un operatore che verifica che il viso del cliente corrisponda a quello sul documento e, inoltre, la coincidenza dell’ intestazione della carta di pagamento.
La sim poi viene attivata dopo il riconoscimento con una videochiamata oppure effettuato direttamente dal postino che la consegna. Dubbi, la società guidata da Genish, li ha espressi anche sulla vendita delle sim card di Iliad tramite i cosiddetti «sim box», dei distributori automatici installati per adesso in alcuni centri commerciali ma che presto potrebbero sbarcare anche nelle stazioni.
In pratica, secondo il dossier messo a punto da Tim, per ottenere tramite queste sim box la scheda telefonica, basta inserire i dati anagrafici, registrare un videomessaggio e caricare il documento, due fasi che avvengono in maniera asincrona e senza riconoscimento de visu. La presenza dei commessi, denuncia Tim, è solo per l’ assistenza operativa senza nessuna consegna di documentazione di attivazione.
Anche in questo caso non sarebbe necessario che la carta di credito o il bancomat siano intestati al titolare della sim. Il processo di acquisto, denuncia insomma Tim, si perfeziona anche se il titolare della carta di credito, e quindi del conto corrente, è diverso dall’ intestatario della sim. La richiesta della società di Genish, in realtà, non è quella di bloccare le modalità di vendita di Iliad, ma semplicemente, se lecite, di consentirle anche agli altri operatori in modo da non falsare la concorrenza”.
Fin qui l’articolo.
Amos Genish, israeliano, Amministratore Delegato e Direttore Generale di Telecom Italia.
Chi è Amos Genish? Israeliano anni 57, secondo  Haaretz,  è cresciuto con 11 fratelli in un quartiere di Netanya. Con la sua famiglia viveva in un piccolo appartamento e non aveva neppure un letto proprio. Ma a 14 anni gli fu permesso di studiare a Gerusalemme nella prestigiosa scuola Himmelfarb, la scuola dei ricchi. Ha combattuto anche come capitano nella prima guerra del Libano, consapevole che “per avere successo in seguito, dovevo essere ufficiale di un’unità di combattimento”. La favola bella del giovane povero ma selezionato misteriosamente per la scuola dei ricchi, capitano combattente, sembra confezionata come biografia di comodo di un asset del Mossad.
Sicuramente il campo in cui opera,le telecom, è centrale negli interessi dei servizi sionisti, basta pensare alle  possibilità di intercettazione  e spionaggio. Prosegue la biografia:
“A Washington. Genish ha conosciuto, come papà di un compagno di scuola di uno dei suoi figli, Joshua Levinberg, imprenditore visionario ed ebreo come lui. Levinberg lancia l’idea di servire una parte dei 3 miliardi di persone che alla fine dello scorso millennio non avevano accesso alle telecom: l’idea era costruire una rete telefonica satellitare per raggiungere i luoghi più remoti del Sud America. Così nasce Gvt, il villaggio globale delle telecom”.
A Gvt fu assegnata la licenza ventennale per le linee fisse nelle zone centrale e meridionale del Brasile. Un’area abitata da 38 milioni di persone in nove Stati. Continua la  favola bella: “l segreto di Gvt è stato tutto nel fare scelte controcorrente: quando nel 2002 era quasi al collasso e piena di debiti, riuscì a negoziare con i creditori. E mentre Sprint, ITT, France Telecom e le altre abbandonavano il Brasile, gli imprenditori israeliti resistevano”.
Certo  sarà stato difficilissimo per un  ebreo farsi salvare da creditori ebrei. Il suo impero (“nelle giungle del Brasile”, dice l’agiografia) è  valutato 9 miliardi. In Italia è sbarcato con Bollorè.  Che lo mette ai vertici di Telecom (e di tutti gli ascolti e intercettazioni possibili) , con il beneplacito di Gentiloni, che, scrisse La Stampa, con Vivendi “ mette l’ infrastruttura telefonica del Paese nelle mani di un manager che non è né francese, né italiano”, e  “gestisce il dossier in prima persona”.
Viene ceduto così anche il controllo di Sparkle e Telsy.
 
Cosa sono? “Sparkle, con i suoi 560 mila chilometri di cavi  sottomarini, di cui 10.800 nel solo Mediterraneo – è un nodo strategico delle comunicazioni fra Continente europeo, sud ed est del mondo. Nel 2014 Le Monde raccontò – sulla base delle rivelazioni dell’ ex funzionario Edward Snowden – che la National Security Agency americana usò un programma per avere l’ accesso dei metadati che transitano dalle connessioni siciliane di Sparkle. …E’  un pezzo del sistema linfatico che collega il mondo intero e nel quale transitano dati di ogni tipo. Basti qui un esempio: “SeaMeWe3” – una delle infrastrutture più lunghe – conta 39mila chilometri e collega la Germania all’ Australia passando per Italia, Egitto, Indonesia, Cina e Taiwan. A Mazara del Vallo c’ è per l’ appunto il suo terminale “italiano”. Ecco perché l’ atto di ieri del comitato strategico – pur trattandosi di un pro forma – è anche l’ ennesimo e amichevole avvertimento al signor Bolloré: fidarsi è bene, non fidarsi è meglio.
 
Quanto alla Telsy, “un gioiellino dell’industria nazionale”, fornisce telefonini e altri apparati a prova d’intercettazione alle istituzioni, nazionali e internazionali. Se il premier ha in tasca uno smartphone della Telsy, in teoria niente e nessuno può geolocalizzarlo, scoprendo dove si trovi. Ma Telsy aiuta anche le forze armate. Assicura, ad esempio, gli strumenti che permettono di individuare – sul territorio iracheno e in ogni altro “teatro operativo”- una pattuglia in ricognizione. E mezzi tra i più sofisticati sono garantiti alla Polizia di Stato, in tutte le missioni segrete contro mafiosi o trafficanti di droghe che richiedono comunicazioni inviolabili tra le centrali operative e gli agenti sul campo”.
Ecco cosa abbiamo messo in mano a un israeliano probabile agente del Mossad,  messo lì dai nostri amici francesi. Che possono sapere di ogni spostamento di un nostro ministro o primo ministro.
Nella nuova situazione,  diciamo non felicissima,  della  “amicizia  franco-italiana”, sarà il caso di ricordare che Enrico Mattei fu ucciso  su mandato del controspionaggi  francese per i suoi rapporti  con il Fronte di Liberazione Algerino, secondo lo stesso governo di Algeri. Il suo aereo precipito la  sera del 27 ottobre 1962. Era stato manomesso da militanti dell’OAS, come ha rievocato recentemente L’Antidiplomatico.
Sui rapporti fra Israele, il governo francese e il cosiddetto  “terrorismo islamico”  si possono scrivere volumi. I francesi gestiscono ed hanno gestito loro propri gruppi jihadisti, spesso rimpolpati da giovani islamici di nascita francese o belga (arruolati dai servizi francesi per combattere in Siria), qualche volta in proprio e qualche volta in collaborazione con la Cia e con gli israeliani. Certi eventi (da Charlie Hebdo alla uccisione dei due agenti del Mossad nel museo ebraico di Bruxelles il 24 maggio 2014 da un killer professionale, Mehdi Nemmouche)  sono da leggere come  vendette e contro-vendette fra servizi.
E’ noto che Laurent Fabius, allora ministro degli esteri, ricevendo una delegazione il 28 gennaio 2013, si lasciò sfuggire che Al Nusrah (Al Qaeda)  “sul terreno fa un buon lavoro” (un bon boulot). Frase che poi si è cercato di far passare come una “fake news” della Rete da parte dei “décodeurs”, un gruppo di giornalisti di Le Monde  incaricatisi di sfatare le supposte bufale, esattamente come la task-force scelta dalla UE al medesimo scopo (censura su Internet) di cui è stato chiamato a far parte il notorio Gianni Riotta, gran produttore di fake in proprio.
Sul  mistero del  mega-attentato “islamico”  del Bataclàn, 13 novembre 2015, ho già a suo tempo riportato come la prima foto ripresa all’interno del Bataclàn pochi minuti dopo la strage, e subito censurata perché perché mostrava l’orribile scena di decine di corpi smembrati, fosse diffusa sul web da  “IsraelHatzola”  una organizzazione  sionista di pronto soccorso con ambulanze e volontari, con sede ad Israele (che i facevano lì  a Parigi? Dentro la balera?)  è praticamente la stessa cosa di United Hatzolah, una ONG israeliana di paramedici che collabora con l’esercito di Israele.
La prima foto all’interno del Bataclàn fu diffusa da IsraeHatzolah, un servizio di ambulanze di pronto soccorso che non doveva essere lì.
I cadaveri  del Bataclan erano orribilmente mutilati; alcuni erano stato torturati,  ad altri strappati i testicoli.  L’indomani dell’attentato, il procuratore di Parigi Francois Molins ha annullato i due terzi delle  autopsie medico-legali; i Molins è noto come simpatizzante sionista.
Diverse famiglie delle vittime hanno fatto causa  contro ignoti per mancato soccorso durante l’attentato. C’erano lì vicino otto militari della operazione Sentinelle (pattugliamento delle strade) che non intervennero, su ordine di qualcuno, non identificato, che comunicò loro il comando dalla prefettura di polizia di Parigi. Il prefetto era, dall’estate, Michel Cadot, che partecipa agli anniversari di Israele.  Il Canard Enchainé, il 9 novembre 2016,  lo ha accusato  di aver ostacolato l’intervento rapido della Gendarmerie per mantenere il controllo dell’operazione coi suoi poliziotti.
 
Nello stesso pomeriggio, poche ore prima della strage, il ministro dell’interno Bernard Cazeneuve disse al suddetto prefetto: “Temo un attentato con 130 morti”.  Il numero dei morti risultò essere proprio 130.
La strana “intuizione”  o anticipazione di Cazeneuve è stata confermata dall’inviato speciale  (grand reporter) di Le Point, François Malye, in una trasmissione rievocativa, l’anno seguente, su France 5.
Insomma i governi francesi hanno molto da nascondere e sono capaci di gestire terroristi. Ricordiamolo, se all’improvvso dovessero avvenire anche in Italia attentati dell’ISIS, magari per fare la pelle ad un nostro ministro.
di Maurizio Blondet – 27/06/2018

‘Più Guerra, Più Soldi’: Le Guerre Africane Non Vedono Fine

ma su questo ONU e buonisti vari TACCIONO. Meglio trasferire tutta l’Africa qua così i mercenari per conto delle potenze occidentali per lo più FRANCESI possono fare quello che vogliono

Executive outcomes, mercenari

L’Occidente non vuole la pace in Africa, dice il leader mercenario
di Paul Antonopoulos
Le potenze occidentali sono interessate a prolungare i conflitti in Africa perché vogliono sfruttare le risorse del continente, ha detto un fondatore della compagnia militare privata. La maggior parte delle forze africane sono “pronte a essere sfaldate” da parte di consulenti stranieri , ha aggiunto.
Le nazioni occidentali vedono guerre e caos africani protratti come solo un mezzo per entrare in possesso delle ricche risorse africane , lo ha riferito a Shevardnadze della RT,  Eeben Barlow, fondatore di  “Executive Outcomes“,   una società sudafricana che ha dato il via a costituire un esercito privato di mercenari. Vedi: Soldiers of Fortune
“Finché c’è un conflitto in corso, alcuni accordi possono essere chiusi con i governi,” permettendo alle potenze straniere “di ottenere quelle risorse a loro uso”, ha aggiunto.
Barlow ha continuato dicendo che le potenze straniere, e in particolare le potenze occidentali, scelgono spesso di sostenere gruppi armati o varie forze che destabilizzano realmente la situazione nella regione, dal momento che “i ribelli non devono tassare chi ha risorse all’interno delle aree”.
I gruppi governativi sono anche usati avidamente come mezzo per “sostituire un certo governo che non è sufficientemente in linea con i desideri di coloro che si occupano dall’esterno di dirigere tali azioni”.
Per quanto riguarda i consulenti stranieri alle forze governative, la qualità dell’addestramento e della consulenza fornita ai funzionari africani è generalmente “scarsa”, si è lamentato dell’ex tenente colonnello della Forza di difesa sudafricana.
“La maggior parte delle forze armate africane sono preparate a fallire […] da forze armate straniere o da consulenti stranieri che utilizzano”, ha detto al programma SophieCo.
Le compagnie militari private straniere (PMC) di solito sono solo “lì per vedere per quanto tempo possono effettivamente prolungare un conflitto o una guerra, perché più a lungo  durano i conflitti, più soldi guadagnano per se stessi” , ha detto Barlow, aggiungendo che “crede” che molte “forze straniere in Africa non sono qui per risolvere i problemi, ma per assicurare che i problemi continuino”.
Mercenari per l’Africa
Quando i governi africani cercano di usare le forze locali, compresi i PMC africani, per aiutarli a fronteggiare conflitti, gruppi terroristici o insurrezionali, “sono costantemente minacciati che … questo sarà a loro svantaggio”.
“Queste sono minacce provenienti dall’esterno dell’Africa, ed è davvero solo una prova per noi che un’Africa stabile e sicura sembra essere di scarso interesse per le persone”, ha concluso Barlow.
Fonte: Fort Russ
Nota: La confessione del capo mercenario ci fa capire a chi fa comodo la destabilizzazione dell’Africa e come da questa opera costante di conflitti interni e di destabilizzazione derivino poi le migrazioni di grandi masse di persone che cercano la salvezza o un futuro migliore in Europa. Segui il flusso delle armi da nord verso sud e capirai quali sono le potenze che hanno interesse alla destabilizzazione del continente africano. Non è difficile individuare da dove proviene il flusso, sempre dagli stessi paesi: USA, Francia, Gran Bretagna. Sarà un caso?
Giu 27, 2018  Traduzione e nota: Luciano Lago

Neocolonialismo e «crisi dei migranti»

già, peccato che i moralmente superiori si sono tanto adoperati per la campagna di guerra contro Ghedafi che voleva un’Africa indipendente e SOVRANA e non colonia.

Peccato che questi buonisti niente abbiano mai avuto da eccepire contro la FRANCIA che prosciuga almeno 14 paesi africani “ex” colonie.
Neocolonialismo e «crisi dei migranti»
Dagli Stati uniti all’Europa, la «crisi dei migranti» suscita accese polemiche interne e internazionali sulle politiche da adottare riguardo ai flussi migratori. Ovunque però essi vengono rappresentati secondo un cliché che capovolge la realtà: quello dei «paesi ricchi» costretti a subire la crescente pressione migratoria dai «paesi poveri».
Si nasconde la causa di fondo: il sistema economico che nel mondo permette a una ristretta minoranza di accumulare ricchezza a spese della crescente maggioranza, impoverendola e provocando così l’emigrazione forzata.
Riguardo ai flussi migratori verso gli Stati uniti, è emblematico il caso del Messico. La sua produzione agricola è crollata quando, con il Nafta (l’accordo nordamericano di «libero» commercio), Usa e Canada hanno inondato il mercato messicano con prodotti agricoli a basso prezzo grazie alle proprie sovvenzioni statali.
Milioni di contadini sono rimasti senza lavoro, ingrossando il bacino di manodopera reclutata nelle maquiladoras: migliaia di stabilimenti industriali lungo la linea di confine in territorio messicano, posseduti o controllati per lo più da società statunitensi, nei quali i salari sono molto bassi e i diritti sindacali inesistenti. In un paese in cui circa la metà della popolazione vive in povertà, è aumentata la massa di coloro che cercano di entrare negli Stati uniti.
Da qui il Muro lungo il confine col Messico, iniziato dal presidente democratico Clinton quando nel 1994 è entrato in vigore il Nafta, proseguito dal repubblicano Bush, rafforzato dal democratico Obama, lo stesso che il repubblicano Trump vorrebbe ora completare su tutti i 3000 km di confine.
Riguardo ai flussi migratori verso l’Europa, è emblematico il caso dell’Africa. Essa è ricchissima di materie prime: oro, platino, diamanti, uranio, coltan, rame, petrolio, gas naturale, legname pregiato, cacao, caffè e molte altre.
Queste risorse, sfruttate dal vecchio colonialismo europeo con metodi di tipo schiavistico, vengono oggi sfruttate dal neocolonialismo europeo facendo leva su élite africane al potere, manodopera locale a basso costo e controllo dei mercati interni e internazionali.
 
Oltre cento compagnie quotate alla Borsa di Londra, britanniche e altre, sfruttano in 37 paesi dell’Africa subsahariana risorse minerarie del valore di oltre 1000 miliardi di dollari.
La Francia controlla il sistema monetario di 14 ex colonie africane attraverso il Franco CFA (in origine acronimo di «Colonie Francesi d’Africa», riciclato in «Comunità Finanziaria Africana»): per mantenere la parità con l’euro, i 14 paesi africani devono versare al Tesoro francese metà delle loro riserve valutarie. Lo Stato libico, che voleva creare una moneta africana autonoma, è stato demolito con la guerra nel 2011.
In Costa d’Avorio (area CFA), società francesi controllano il grosso della commercializzazione del cacao, di cui il paese è primo produttore mondiale: ai piccoli coltivatori resta appena il 5% del valore del prodotto finale, tanto che la maggior parte vive in povertà. Questi sono solo alcuni esempi dello sfruttamento neocoloniale del continente.
L’Africa, presentata come dipendente dall’aiuto estero, fornisce all’estero un pagamento netto annuo di circa 58 miliardi di dollari.
Le conseguenze sociali sono devastanti. Nell’Africa subsahariana, la cui popolazione supera il miliardo ed è composta per il 60% da bambini e giovani di età compresa tra 0 e 24 anni, circa i due terzi degli abitanti vivono in povertà e, tra questi, circa il 40% – cioè 400 milioni – in condizioni di povertà estrema.
La «crisi dei migranti» è in realtà la crisi di un sistema economico e sociale insostenibile.
di Manlio Dinucci – 26/06/2018 Fonte: Il Manifesto

Le ragioni della rabbia

Negli ultimi giorni ho letto, o ascoltato, decine di considerazioni che stigmatizzavano la rinnovata ‘cattiveria’ degli italiani, il loro ‘eterno fascismo’ oppure la loro stupidità, la stupidità di chi si fa dettare le opinioni politiche dalla paura. Non dunque critiche ai comportamenti, ma giudizi sulla sostanza (verrebbe quasi da dire sulla ‘razza’…): gli italiani sarebbero cattivi, o intrinsecamente fascisti, o stupidamente paurosi. Questa sarebbe la ragione per cui danno retta alle peggiori salvinate. Questa diagnosi, nella sua forma e nei suoi contenuti riesce ad essere al tempo stesso perdente, sciocca e controproducente. Che sia perdente non ha bisogno di molte argomentazioni. L’ultimo sondaggio dice che le posizioni di Salvini su immigrazione e rom sono apprezzate dal 72% della popolazione, inclusa circa la metà dell’elettorato PD. Che sia sciocca, merita invece qualche notazione in più. Per comprenderne appieno l’irritante sciocchezza bisogna seguire 3 passaggi.

In primo luogo è necessario ricordare che le situazioni che Salvini affronta a colpi di urticanti provocazioni rappresentano comunque problemi reali. L’esistenza di una subcultura ‘nomade’ concentrata in campi alla periferia di molti centri urbani ha creato e continua a creare significative tensioni in termini di convivenza. Questo non ha niente a che fare col razzismo, ma ha molto a che fare con una tradizione culturale endogamica che tende a considerare i ‘gadji’ (non-nomadi) dei balenghi da sfruttare e che alimenta, di conseguenza, varie forme di illegalità, dalla microcriminalità degli scippi in Metro, alla macrocriminalità dei clan Casamonica e Spada.
Similmente, tensioni si sono create e continuano a crearsi in dipendenza dalla disponibilità dei migranti (clandestini in particolare) per lavori legali o illegali di varia natura: se legali come concorrenza al massimo ribasso, se illegali spesso come manodopera criminale (in alcuni casi non più mera manodopera). Naturalmente, e va sottolineato visto il sovraccarico di odio e malafede che circola in rete, tutto ciò non ha niente a che fare con questioni di etnia o razza. Si tratta di problemi di carattere sociologico, peraltro piuttosto noti e serenamente ammessi, quando si riesce a parlarne evitando la tenzone politica. (Chi però vuole sostenere che si tratta di mere illusioni, falsità o maldicenze è invitato a informarsi meglio.) Una volta tenuto fermo che i problemi in questione non sono finzioni, bisogna capire che l’apprensione, la paura e la rabbia nei confronti di possibili danni tende a crescere quanto minore è la sicurezza (economica e lavorativa) delle possibili vittime.
Le persone meno abbienti e quelle che temono di cadere in povertà sono maggiormente suscettibili al timore di piccoli furti, aggressioni, effrazioni, danneggiamenti; e negli ultimi dieci anni la platea di questi soggetti si è ampliata enormemente. Va inoltre sottolineato che i gruppi che suscitano apprensione sono facilmente identificabili e ciò gioca sempre un ruolo determinante nel permettere ai timori di incarnarsi in modo mirato (il ladro italiano che abita nel tuo condominio, o il colletto bianco che ti imbroglia in banca, sono non meno, e forse più, dannosi, ma non sono esteriormente identificabili). L’unica strategia di risposta equilibrata, capace di disinnescare la rabbia e di restituire fiducia nello Stato sarebbe (sarebbe stata) ammettere il problema, cercando di affrontarlo con decisione, senza prestare il fianco né al razzismo né ai processi collettivi, e senza considerare le persone in oggetto né capri espiatori, né povere vittime, agendo con umanità e fermezza nei limiti del rispetto delle leggi e della Costituzione.
Sciaguratamente una parte cospicua della sedicente intellighentsia italiana, forse perché ha avuto sempre il pane facile, forse perché non si è mai sentita minacciata, forse semplicemente perché vive in un pallone aerostatico, tende a riservare le proprie scorte di compassione tutte a chi si presenta come un ‘Altro’ da manuale, meglio se esotico. Nascono così gli improvvidi giudizi di cui sopra: bisogna essere cattivi dentro, o geneticamente fascisti, o semplicemente stupidi per non voler cedere compassionevolmente un po’ del proprio privilegio e della propria sicurezza, no? In questi casi aiuterebbe forse comprendere come a parte i ‘poveri’ in senso stretto, una parte vastissima della popolazione riesce a tenere la testa sopra la linea di galleggiamento solo al costo di tantissima fatica, tanto logoramento, rischi, stress, malattie professionali, ecc. Ricordare che il pane è facile solo per esigue minoranze aiuterebbe ad adottare atteggiamenti meno supponenti e a comprendere un po’ meglio le diffuse ragioni della rabbia. Invece i riflessi condizionati e lo scandalo facile di una parte dell’intellighentsia, mediaticamente sovrarappresentata, tende a creare un muro, un muro in cui semplicemente da una parte starebbe l’umanità e dall’altra l’incomprensibile abiezione. Arriviamo così al lato controproduttivo di questo atteggiamento, che ottiene come unico risultato quello di spingere milioni di persone normali, magari non culturalmente raffinate, ma di buon senso, nelle braccia di demagoghi ed estremisti, gente che tra i tanti difetti ha però almeno il pregio di mettersi non solo nelle scarpe dell’Altro, ma anche del Prossimo.
di Andrea Zhok – 27/06/2018 Fonte: Appello al Popolo

Libia, le accuse alla Francia: “Così fanno passare i migranti”

Le truppe francesi stanziate tra il Niger e la Libia lasciano passare indisturbati migranti e trafficanti di uomini. Lo sostengono Jamal Adel, giornalista libico che vive nella zona sud-est del Kufra, e il Fezzan Libya Group, l’organizzazione che monitora il traffico di persone nella capitale libica del sud di Sebha.

Dopo la proposta del ministro dell’Interno Matteo Salvini di creare dei centri di accoglienza nei Paesi confinanti con la Libia, i libici che si trovano vicini al confine mettono ora in guardia Roma: I francesi non stanno facendo nulla per fermare il traffico di persone perché non ne soffrono le conseguenze. Quelli che soffrono davvero sono i libici e gli italiani”,  dice Adel a Gli Occhi della Guerra.
Le truppe francesi, infatti, starebbero fornendo sostegno medico ai migranti, senza però farli tornare nei loro Paesi d’origine. Anzi: i francesi permetterebbero ai migranti di passare il confine libico dove trovano alcuni trafficanti che li conducono sulle coste per poi iniziare il loro viaggio della speranza verso l’Italia.
Sia la Francia che il Niger ignorano il traffico di persone che avviene sul territorio sotto il loro controllo. “I trafficanti passano liberamente sotto il naso delle truppe francesi”, aggiunge l’organizzazione di Fezzan. “Se il Niger e la Francia pensano che il traffico di persone sia secondario, l’Italia e la Libia pensano sia un problema primario perché sono direttamente colpiti da questo fenomeno”.
Per questo i libici vorrebbero una collaborazione più forte con l’Italia. Un’operazione di questo tipo dovrà però per forza fare i conti con la presenza francese. “Quando l’Italia propose di mandare 140 militari in Niger, la missione fu abortita perché la Francia si oppose. La Francia non vuole che l’Italia prenda troppo potere geo-politico sul suo territorio”, aggiunge l’organizzazione Fezzan Libya Group.
La Francia non vuole l’Italia sul territorio del Niger perché con questo Paese ha uno stretto rapporto di interessi: dipende infatti dall’esportazione di uranio per la sua centrale nucleare nel villaggio di Arlit. A marzo infatti anche il presidente nigeriano Mahamadou Issoufou, che ha rapporti stretti con il governo francese, si oppose alla presenza italiana in Niger.
La Francia inoltre sta sostenendo la tribù di Awlad Sliman, nel Sud della Libia. Storicamente, la Francia ha sempre appoggiato questa tribù e l’ha riportata in Libia dopo l’occupazione italiana per controllare la zona del Sud del Paese, che è ricca di petrolio.
Negli ultimi mesi, specialmente durante la crisi di governo in Italia, la Francia si è ritagliata un ruolo sempre più importante nelle negoziazioni libiche: Parigi sostiene il governo dell’Est di Khalifa Haftar, rivale di quello di Tripoli, appoggiato invece dall’Italia. Allo stesso tempo, però, il governo francese cerca di mantenere un controllo indipendente da Haftar nel sud della Libia sostenendo varie tribù, tra cui anche quella del Tebu, che recentemente è stata invasa da mercenari e milizie del Ciad e dal Niger.
I libici nell’area del sud di Fezzan non hanno dunque un’opinione positiva del ruolo che la Francia sta avendo nell’area del sud della Libia, dove il traffico di essere umani è notevole. “I libici sperano che Salvini mantenga la parola data, vogliono che siano controllati i loro confini e che il traffico di persone venga fermato”, aggiunge l’organizzazione Fezzan Libya Group.
In Libia hanno apprezzato la mossa di Salvini contro gli hotspot proposti dalla Francia. Questi, infatti, avrebbero portato a maggiori migrazioni verso la Libia. “Se l’Italia non vuole i migranti, perché vorremmo volerli noi?”, si chiede il Fezzan Libya Group.
 Giu 26, 2018
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