Chiomonte, diventa un fenomeno sul web l’obbligo di firma per la nonna No Tav

sorhttp://torino.repubblica.it/cronaca/2016/06/23/news/chiomonte_diventa_un_fenomeno_sul_web_l_obbligo_di_firma_per_la_nonna_dei_no_tav-142664982/?ref=HREC1-8

 
torino.repubblica.it – 23 giugno 2016 
Chiomonte, diventa un fenomeno sul web l'obbligo di firma per la nonna No Tav

Marisa Meyer 

Anche i 99 Posse postano la foto della donna all’uscita della caserma mentre si sorregge con un bastone. L’avvocato: “La misura le è stata applicata soltanto perchè sorpresa su un furgone di antagonisti: ma lei era a bordo perchè non riesce a camminare”

di SARAH MARTINENGHI

La signora Marisa ha 71 anni, i capelli bianchi e si appoggia a un bastone per camminare. Sorride e indossa la maglietta con la scritta “No Tav” mentre esce dalla stazione dei carabinieri di Chiomonte dove deve recarsi ogni giorno a firmare. Questa immagine sta diventando virale su Internet, postata anche dal gruppo musicale dei 99 Posse, e sta facendo discutere il popolo del web: c’è anche lei infatti tra le 23 persone raggiunte da misure restrittive (di cui 9 arrestate) per l’assalto al cantiere di Chiomonte il 28 giugno di un anno fa. “Solo un paese malato impone l’obbligo di firma ad una signora di 70 anni solo perché è un’attivista #notav Signora Marisa noi siamo con te!” è la didascalia alla foto “postata” dai 99 Posse, che in breve tempo ha ottenuto centinaia di commenti e migliaia di condivisioni.
Marisa Meyer era stata identificata su un furgone utilizzato, secondo l’accusa del pm Antonio Rinaudo, come supporto logistico durante gli attacchi. Ma la donna – è la tesi della difesa –  sarebbe salita a bordo solo perché aveva chiesto un passaggio dopo la manifestazione, per i suoi problemi di deambulazione.
Nella misura emessa nei suoi confronti dal giudice per le indagini preliminari Luisa Ferracane, sono riportate le motivazioni che hanno portato l’anziana a doversi  presentare quotidianamente dai carabinieri: “E’ recidiva”, e il suo nome compare in “9 segnalazioni del data base delle forze di polizia per reati legati a manifestazioni in Val di Susa, di cui 4 procedimenti penali in iscrizione, due archiviazioni, e uno già definito con decreto penale scrive il gip”. “Ma la mia assistita è uno dei volti più conosciuti perché partecipa, da sempre, a tutte le manifestazioni e intende continuare a farlo – replica l’avvocato Danilo Ghia che l’assiste – ritengo però davvero inopportuna una misura comminata su elementi insussistenti posto che Marisa Meyer ha difficoltà evidenti di deambulazione e aveva semplicemente chiesto un passaggio in quanto non in grado di camminare”.
Marisa Meyer comparirà davanti al giudice il 28 giugno per l’interrogatorio di garanzia, e spiegherà le ragioni della sua presenza sul furgoncino in cui erano stati trovati scudi in plexiglas, maschere antigas, tute nere, bombe carta e petardi. Oltre a un pezzo di toma. Quella sì che era della signora Marisa: l’aveva portata con sé alla manifestazione, e si stava riportando a casa una fetta avanzata che le avevano messo nel bagagliaio. “Ma non aveva idea di che cosa avessero nel retro del veicolo”, chiarisce ancora  il suo avvocato.  
Questa sera alle 21 i No Tav organizzeranno una fiaccolata di solidarietà per Marisa e gli altri arrestati e indagati a Bussoleno, nella piazza del Comune.

Interrogazione del Sen.Manconi sulla condanna della giovane ricercatrice veneziana

post — 23 giugno 2016 at 16:52

Pubblichiamo l’ interrogazione depositata in Aula dal Senatore del Pd Luigi Manconi sulla condanna ai danni della giovane ricercatrice  condannata per aver partecipato ad un’iniziativa notav ed averne fatto una tesi scrivendo addirittura “noi” nel racconto…

luigi manconi

Atto Senato

Interrogazione

presentata da

LUIGI MANCONI

Al Ministro della Giusitiza, al Ministro dell’Istruzione, al Ministro dell’Interno

Premesso che

da notizie di stampa si è appreso che Roberta Chiroli, già studentessa del corso di laurea in Antropologia culturale, etnologia, etnolinguistica dell’università di Venezia Ca’ Foscari, è stata recentemente condannata dal Tribunale di Torino a una pena di 2 mesi per concorso in violenza aggravata e occupazione di terreni;

tale condanna deriva da fatti relativi a un episodio avvenuto il 14 giugno 2013 nella località di Salbertrand, in cui alcuni studenti delle scuole superiori, durante il campeggio studentesco a Venaus, hanno fatto ingresso nel cortile della ditta Itinera, bloccando la strada per qualche minuto e impedendo l’accesso ad alcuni mezzi all’interno di quel cortile;

Roberta Chiroli si trovava in Valsusa per effettuare ricerche utili alla sua tesi di laurea dal titolo: “Ora e sempre No Tav: identità e pratiche del movimento valsusino contro l’alta velocità”, ed osservava i fatti descritti;

le telecamere riprendono la giovane sempre ai margini del gruppo di manifestanti e in compagnia di un’altra studentessa, anche lei mandata a processo ma assolta da tutte le accuse;

Le quarantacinque persone presenti alla manifestazione, tra cui 15 minorenni, hanno successivamente fatto ritorno a Venaus in treno e sono state identificate dalla polizia al loro arrivo in stazione; a tutti, tra cui Roberta Chiroli, che viaggiava sullo stesso treno, sono stati contestati in concorso i reati di blocco stradale, imbrattamento, resistenza aggravata a pubblico ufficiale, violenza privata aggravata, invasione di terreni;

la posizione di Roberta Chiroli e dell’altra studentessa sono state distinte, avendo le due deciso di ricorrere al rito abbreviato;

di conseguenza l’avvocato Valentina Colletta, difensore delle due studentesse, ha depositato agli atti il frontespizio della tesi di Roberta Chiroli, ma non il testo completo della tesi, in quanto l’autrice non ha dato l’assenso alla pubblicazione del suo lavoro;

nel corso delle udienze, nonostante la Chiroli si fosse opposta, il pubblico ministero ha potuto produrre la tesi nella sua versione integrale – peraltro da una prima verifica effettuata dal presidente del corso di laurea in Antropologia culturale, etnologia, etnolinguistica dell’Università Ca’ Foscari, è risultato che nessuna richiesta ufficiale di consegnare l’elaborato sia mai giunta da parte del Tribunale di Torino;

l’università Ca’ Foscari ha inoltre prodotto una dichiarazione in cui attesta di essere a conoscenza dell’oggetto dell’elaborato della Chiroli e di avere concordato l’argomento della tesi e la sua modalità, che è quella della ricerca antropologica basata sulla tecnica dell’osservazione partecipante, sviluppata da uno dei padri dell’antropologia, Bronislaw Malinowki;

premesso inoltre che

nella sua requisitoria, il pubblico ministero ha chiesto una condanna a 9 mesi per entrambe le studentesse e solo Roberta Chiroli è stata condannata alla pena di due mesi per ex art. 110 cp, 633 cp e 610 cp;

in attesa di conoscere le motivazioni della sentenza che dovrebbero essere pubblicate in trenta giorni, pare emergere che alla base dei diversi esiti processuali per le due studentesse ci sia l’utilizzazione, da parte di Roberta Chiroli, del “noi partecipativo” in alcuni passaggi della tesi, interpretati dal pubblico ministero nella sua requisitoria come concorso morale agli eventi contestati.

Si chiede di sapere se,

se i Ministri in indirizzo siano a conoscenza dei fatti descritti, quali siano le loro considerazioni in merito e se ritengano opportuno prendere provvedimenti per tutelare la piena libertà di ricerca nell’ambito dello studio e della formazione universitaria.

per quale ragione sin dall’arrivo a Venaus gli elementi che davano conto dell’attività di ricerca e di studio di Roberta Chiroli in base ai quali la presenza della giovane sul treno era pienamente spiegata non siano state sufficienti a scagionarla immediatamente da ogni accusa;

se i ministri in indirizzo ritengano che non vi sia differenza tra la presenza alle manifestazioni di protesta allo scopo di documentare e studiare, e la partecipazione attiva;

quali provvedimenti ritengano necessario adottare per tutelare la libertà di ricerca scientifica su fatti di conflittualità sociale ovvero oggetto di procedimenti penali, anche se condotte sul campo.

Comunicato stampa movimento No Tav

post — 25 giugno 2016 at 10:04

libertàCOMUNICATO STAMPA

La mattina di martedì 21 giugno la Procura di Torino ha messo in atto l’ennesima operazione giudiziaria contro il movimento No Tav, infliggendo 23 misure cautelari di vario grado ed entità ad altrettanti attivisti, valligiani e non. Com’è nella natura del movimento No Tav le persone colpite appartengono a generazioni e provenienze differenti, accomunate da un fine comune.

Alcuni attivisti hanno deciso di rifiutare o infrangere le misure cautelari comminate, che si tratti di firme quotidiane o di arresti domiciliari, aprendo uno scenario nuovo e rilanciando la lotta sia sul piano giudiziario sia su quello politico.

Il movimento No Tav ribadisce il suo pieno appoggio a tutte le persone colpite, sostenendo i percorsi che si aprono e che si apriranno, qualunque essi siano. È un’occasione per ribaltare il modus operandi di una Procura politicizzata esplicitamente contro i No Tav.

L’assemblea popolare di martedì sera e la fiaccolata di giovedì 23 giugno dimostrano che il movimento è unito e non lascia isolati i perseguitati, forte della consapevolezza di poter rilanciare una nuova fase di lotta.

Bussoleno, 25 giugno 2016

Il Movimento No Tav

Gli americani preoccupati per i bombardamenti russi in Siria contro i propri mercenari addestrati dalla CIA

 
Giu 19, 2016
 
Ribelli-moderati-CIA-2
Ribelli moderati addestrati dalla CIA
 
Il Pentagono ha espresso la sua preoccupazione per i recenti attacchi aerei fatti dall’aviazione russa contro le posizioni dei gruppi armati dell’opposizione appoggiati dagli USA (e dall’Arabia Saudita)
Secondo Peter Cook, portavoce del Dipartimento della Difesa statunitense, i comandi militari USA, per mezzo di una videoconferenza, hanno manifestato che gli attacchi delle forze russe contro i gruppi armati dell’opposizione siriana erano stati previamente denunciati da un alto funzionario della Difesa Statunitense.
Il funzionario USA ha indicato che la Russia sta continuando i suoi attacchi su Al-Tanf, anche dopo i tentativi degli USA di informare le forze russe – mediante canali appropriati – che la coalizione continua ad appoggiare dall’aria le forze che combattono contro il Daesh.
 
Cook si è lamentato che la Russia abbia contunuato a bombardare le forze siriane che combattono contro il Daesh, nonostante l’invio di aerei cacciabombardieri F-18, fatto ultimamente dagli USA per “impressionare” i piloti dei caccia russi S-24-
L’ambasciata USA in Russia ha chiesto spiegazioni a Mosca circa il motivo degli attacchi, così come garanzie che questo non torni ad accadere.
Nonostante questo, la Russia ha assicurato che continuerà a bombardare tutti i terroristi, senza discriminare nessuno e si dispiace che l’Occidente non abbia una definizione chiara di quelli che denominano “oppositori moderati” in Siria.
Prosegue l’offensiva dell’Eseercito Siriano
Nel frattempo l’Esercito siriano ha abbattuto negli ultimi giorni circa 167 componenti del gruppo terrorista Yaish al-Fath, nei combattimenti avvenuti nel sud di Aleppo e ha respinto alcuni attacchi effettuati dai terroristi contro le proprie posizioni e di quelle degli alleati nella zona di Al-Zerbeh.
Fonti vicine all’opposizione siriana hanno informato questa domenica che tra i morti ci sono 24 comandanti militari della riferita banda estremista.
L’esercito siriano inoltre ha distrutto 34 veicoli militari e cinque carri armati del Yaish al-Fath negli ultimi giorni, aggiunge la fonte.
Questi successi dell’esercito siriano preoccupano in Comando USA che sostiene alcuni gruppi di “ribelli moderati” in Siria addestrati ed armati dagli USA, nel tentativo di rovesciare il Governo di Damasco che è appoggiato dai russi e dagli iraniani. Ancora di più si preoccupa l’Arabia Saudita, fido alleato di Washington, che continua ad inviare armi ed equipaggiamenti ai gruppi terroristi per evitare la disfatta totale delle milizie mercenarie su cui Rijad ha investito per far cadere il Governo di Bashar al-Assad e stabilire un proprio protettorato sulla Siria.
La guerra in Siria, una guerra per procura sostenuta dagli USA e dai propri alleati (Arabia Saudita, Qatar e Turchia) mediante l’infiltrazione nel paese di bande mercenarie jihadiste che si sono macchiate di orrendi crimini contro la popolazione civile, continua fin dal 2011, con il suo bilancio di oltre 400.000 morti, nonostante una debole tregua proclamata nelle ultime settimane che non viene però rispettata dai gruppi estremisti.
Traduzione e sintesi: Manuel De Silva

Le false rappresentazioni del p.m Rinaudo – il caso di Vincenzo

post 25 giugno 2016 at 14:30

Rinaudo1A poche ore dalla scarcerazione di Vincenzo, giovane universitario Torinese, arrestato venerdì in contemporanea all’applicazione di circa una ventina di altre misure cautelari ad attvisti No Tav, vogliamo cogliere l’occasione per denunciare ciò che si può definire un abuso di potere da parte del pm Rinaudo.
Insieme a Vincenzo anche Lorenzo, giovane modenese, ha subito la stessa situazione.
Parliamo di un’azione da parte del pubblico ministero Rinaudo molto chiara, ma per fornire un quadro completo vogliamo procedere con ordine.

– in data 26/05/2016 il Gip del procedimento, Luisa Ferracane, emetteva misure cautelari in capo a 18 attivisti No Tav (9 misure di arresti domiciliari con firma, 9 obblighi di presentazione quotidiana per firma). A Vincenzo e Lorenzo, nonostante la richiesta di Rinaudo, non vengono date misure poiché, secondo il gip “…deve anticiparsi che l’esame degli atti consente di ritenere senz’altro sussistente un grave quadro indiziario a carico di tutti gli indagati, ad eccezione di C. Lorenzo e P.Vincenzo, in ordine ai quali ultimi, il pur attento esame del materiale video-fotografico in atti non ha consentito di raggiungere quel qualificato livello di probabilità di colpevolezza richiesto ai fini dell’applicazione delle misure cautelari richieste…”

-Al fine di sciogliere le riserve del gip, in merito all’identificazione dei due giovani, Rinaudo delega la DIGOS di Torino ad eseguire perquisizioni personali e domiciliari che avvengono il 17/06/2016. Vengono sequestrati, in tale occasione, alcuni indumenti. Rinaudo scrive che questi elementi dovrebbero  “..fornire granitica certezza circa la diretta responsabilità degli indagati rispetto la commissione degli illeciti contestati”.

– in data 21/06/2016 scatta l’operazione giudiziaria, che dal mattimo preleva gli indagati dalla propria abitazione (quelli che trova) e li porta in questura per la notifica delle misure cautelari. Nonostante il gip avesse RIFIUTATO le misure per i due giovani, questi vengono ugualmente prelevati e portati in carcere per ordine unicamente del pm Rinaudo che li pone in stato di fermo secondo l’art 384 del c.p.p, Decreto di Fermo di Indiziato per cinque giorni dal momento del fermo, in regime di isolamento e col divieto di conferire con il proprio difensore, ai sensi dell’art 104 co. 3 e 4. C.p.p in considerazione delle esigenze di prova…

-dalle carte si evince che la motivazione dell’isolamento in carcere nel caso di Vincenzo sia la “ragionevole probabilità che il prevenuto, ove non si intervenisse, farebbe perdere le proprie tracce”. Aggiunge Rinaudo che c’è la ragionevole previsione che ciò avvenga poiché l’indagato non ha figli né attività lavorativa (infatti, nel caso di Vincenzo che è ancora studente universitario, la situazione è questa ma non ci sembra un “difetto”), che èsvincolato da legami col territorio siano essi di natura economica, sociale od affettiva (ma come?! E’ cresciuto ed ha sempre studiato a Torino, qui ha la sua famiglia e i suoi affetti).
Da qui la sua conclusione che, con lapidaria certezza, ci sarebbe il pericolo di fuga.
Aggiunge inoltre Rinaudo che i soggetti della cosiddetta area antagonista sono soliti eleggere domicilio presso indirizzi fittizi, ove sono puntualmente irreperibili. Peccato che nel caso di Vincenzo il domicilio fosse, da sempre, presso la sua casa di famiglia, con la sorella e i genitori, da dove in affetti è stato prelevato per la notifica dello stato di fermo.

– in data 23/06/2016 il gip Ferracane fissa un’udienza presso il carcere delle Vallette a seguito della richiesta del pubblico ministero Rinaudo di convalida del fermo affettato in data 21/06. In tale udienza il giudice prende in esame la richiesta di convalida del fermo e la richiesta di applicazione della misura coercitiva degli arresti domiciliari e le rigetta entrambe. Afferma, infatti, che “…non si ritiene sussistente nel caso di specie il parametro normativo di pericolo di fuga, per il quale, come noto, la giurisprudenza di legittimità richiede elementi di fatto concreti e specifici;….vi è però  da evidenziare: da un lato, come tali circostanze, lungi da rappresentare elementi di fatto specifici dai quali desumere una concreta volontà di fuga dell’indagato, appaiano indicative di una mera astratta possibilità (n.b. Rinaudo aveva parlato di lapidaria certezza)in tal senso e, comunque, come il soggetto, nato, residente e domiciliato a Torino, ove peraltro ancora studia, dunque profondamente radicato in tale contesto territoriale – senza che risulti in atti un suo, recente o anche risalente, allontanamento, neanche dopo la perquisizione effettuata a suo carico il 17/06/2016 presso il suo domicilio (reale e non fittiziamente eletto, come evidenziato dal p.m)…”. Invece, rispetto alla misura coercitiva, “non sussistono a carico del fermato i gravi indizi di colpevolezza dei reati in ordine ai quali vi è richiesta l’applicazione della misura cautelare”
-il 25/06/2016 Vincenzo viene rilasciato.

Alla luce delle carte che vi abbiamo qui sopra brevemente riassunto,  appare chiaro come ci sia stato da parte del p.m Rinaudo uno sforzo notevole nel tentativo di far arrestare i due giovani.
Appare anche chiaro, però, come nel fare ciò egli abbia fornito false rappresentazioni, sapendo in realtà dove vivesse il giovane (infatti la polizia è andato a prenderlo presso la sua abitazione) e cercando di negare le sue origini, le sue attività di studio e l’oggettivo radicamento presso la città di Torino.

Ora, e la domanda sorge davvero spontanea, chi pagherà per questi 5 giorni passati in carcere in regime di totale isolamento senza la possibilità di parlare neanche col proprio avvocato?
Un pubblico ministero può fornire false rappresentazioni nel momento in cui svolge la sua funzione giudiziaria?
Domande queste, che sappiamo, rimarranno senza risposta da parte di chi dovrebbe giustificare tale condotta indegna, ma che noi poniamo libera, al giudizio di tutti.

ps: consigliamo anche la lettura Le strane amicizie del pm Rinaudo (dossier completo)

Il movimento No Tav a sostegno dell’illegalità: “Pieno appoggio ai militanti che si sottraggono alla giustizia”

 http://www.cronacaqui.it/cronaca/1644206611_il-movimento-no-tav-a-sostegno-dellillegalita-pieno-appoggio-ai-militanti-che-si-sottraggono-alla-giustizia.html

CronacaQui

25 Giugno 2016, ore 11:48

Il movimento No Tav a sostegno dell'illegalità: Pieno appoggio ai militanti che si sottraggono alla giustizia

Il movimento No Tav della Valle di Susa si impegna a dare “pieno appoggio” agli attivisti e simpatizzanti che rifiutano di sottoporsi alle misure restrittive della procura di Torino. Lo si legge in un comunicato diffuso sul web (da Bussoleno) al termine dell’ assemblea di ieri sera.
“Alcuni attivisti – si legge – hanno deciso di rifiutare o infrangere” i provvedimenti della magistratura (obbligo di firma o arresti domiciliari) “aprendo uno scenario nuovo e rilanciando la lotta sia sul piano giudiziario sia su quello politico. Il movimento No Tav ribadisce il suo pieno appoggio a tutte le persone colpite, sostenendo i percorsi che si aprono e che si apriranno”.
Sempre in rete è stato diffuso un video con un’intervista a un giovane che afferma di essere destinatario di una misura cautelare: “Non mi è stato notificato niente. Probabilmente non mi hanno trovato dove mi hanno cercato. Eppure ero tranquillo al lavoro. Da qualche giorno sono in Valle di Susa. Non accetto i domiciliari: è una misura preventiva con finalità disciplinari sul movimento”.Intanto è stato scarcerato dopo la convalida dell’arresto Vincenzo Pellicanò, uno degli 11 No Tavfiniti in carcere martedì scorso nell’ambito dell’inchiesta sull’assalto al cantiere di Chiomonte del giugno 2015. Nei suoi confronti il gip del tribunale di Torino non ha adottato ulteriori misure cautelari.“Grande sollievo” per la notizia è stato espresso dalla consigliera regionale del Movimento 5 Stelle Francesca Frediani: “Adesso è il momento di riflettere sulla decisione di applicare misure così restrittive”, ha aggiunto.

Emilio libero da ieri sera

cropped-Banner-TGV1

Arriva con il suo passo sicuro in Clarea e subito l’abbraccio dei compagni di lotta.

di Valsusa Report

L’attivista No   Scalzo, giunge a sorpresa in Clarea, lo attendono il gruppo NPA No che come di consueto oramai da diversi mesi tiene il cantiere sotto stretta sorveglianza segnalando, ad esempio giornate di polvere, che poi si sono tramutate in vere e proprie spinte popolari col successo delle dichiarazioni di Arpa e ASL Spresal sugli sforamenti di polveri sottili, PM2.5 e sulla nuova inchiesta del PM Guariniello.

Emilio giunge all’ora di cena ed è una sorpresa che rende felice tutto il gruppo, tutte le restrizioni sono state tolte dai pendenti dell’attivista, resta da vedere se il giudice accetterà le tesi dei PM Rinaudo e Padalino, accusanti in questo ed altri processi . La serata si è poi conclusa alla Credenza di Bussoleno con il suono di bottiglie stappate, nella gioia di riabbracciare quello che i  definiscono “un uomo giusto”.

Emilio come stai dopo questo periodo di restrizione “sono venuto in Clarea a mangiarmi un panino, intranquillità e con amici”.

V.R. 24.6.15

ESQUISSE DU NEOPANAFRICANISME. L’IDEE PANAFRICAINE EN MARCHE AU XXIe SIECLE …

PANAFRICOM / DEPARTEMENT IDEOLOGIE & PROGRAMMES/

2016 06 23/

https://www.facebook.com/Panafricom2/

http://www.panafricom-tv.com/

LM - COLLOQUE ABIDJAN intervention sur le néopanafricanisme (2016 04 08) VERSION ECRITE (1)

Esquisse du « Néopanafricanisme » au travers des débats fondateurs de trois grands événemets intellectuels : Colloque d’Abidjan (7-8 mai 2016), Conférence de Bujumbura (4 mai 2016), Café Politique de Kinshasa (13 mai 2016) …

 LM - COLLOQUE ABIDJAN intervention sur le néopanafricanisme (2016 04 08) VERSION ECRITE (2)

Colloque « Repenser le Panafricanisme pour une grande génération africaine »

à l’Assemblée Nationale de Côte d’Ivoire

Abidjan, Côte d’Ivoire, 7-8 avril 2016

Luc Michel, Roland Lumumba, Franklin Nyamsi (coordinateur), des universitaires français, ivoiriens, camérounais, congolais …

 Conférence «  Le Burundi au cœur du Panafricanisme »

Bujumbura, Burundi, 4 mai 2016

Luc Michel, Willy Nyamitwe (coordinateur), les représentants de la Politique burundaise – CNDD-FDD (parti présidentiel) et opposition -, société civile, parlementaires, presse nationale …

Café politique du PPRD

Kinshasa, Congo RDC, 13 mai 2016

Henri Mova (SG du PPRD, parti présidentiel de RDC), Luc Michel.

 * Sur PANAFRICOM-TV

de nombreuses autres videos – interviews – interventions

sur ces débats fondateurs du NEOPANAFRICANISME :

sur https://vimeo.com/panafricomtv

# ESQUISSE DU NEOPANAFRICANISME I/

COLLOQUE D’ABIDJAN (1) /

LUC MICHEL : NEOPANAFRICANISME ET GEOPOLITIQUE

* Video de Luc Michel sur PANAFRICOM-TV :

Le Nouveau Panafricanisme. Des idéologies du XXe siècle à la Géopolitique du XXIe siècle

https://vimeo.com/162151604

* Voir aussi sur PANAFRICOM-TV :

Colloque d’Abidjan. Luc Michel dialogue avec le public

https://vimeo.com/163892169

 # ESQUISSE DU NEOPANAFRICANISME II/

COLLOQUE D’ABIDJAN (2) /

LUC MICHEL : REFLEXIONS SUR LE NEOPANAFRICANISME

* Video de Luc Michel (entretien avec GKSTV)

sur PANAFRICOM-TV :

https://vimeo.com/167667647

# ESQUISSE DU NEOPANAFRICANISME III/

COLLOQUE D’ABIDJAN (3) /

ROLAND LUMUMBA : PANAFRICANISME ET HUMANISME

* Video de Roland Lumumba sur PANAFRICOM-TV :

Le Panafricanisme humaniste de Patrice Emery Lumumba

https://vimeo.com/162315859

 # ESQUISSE DU NEOPANAFRICANISME IV/

CONFERENCE DE BUJUMBURA

* Video complète de la Conférence (RTNB)

sur PANAFRICOM-TV :

https://vimeo.com/165748200

# ESQUISSE DU NEOPANAFRICANISME V/

CAFE POLITIQUE DE KINSHASA (1)/

HENRI MOVA : LES RACINES DU PANAFRICANISME

 * Video sur PANAFRICOM-TV :

Ouverture du Café politique du PPRD. Henri Mova retrace l’histoire du Panafricanisme

https://vimeo.com/168729762

# ESQUISSE DU NEOPANAFRICANISME VI/

CAFE POLITIQUE DE KINSHASA (2)/

LUC MICHEL : LE NEOPANAFRICANISME REPONSE AU NEOCOLONIALISME

 * Video sur PANAFRICOM-TV :

Luc Michel esquisse le Néopanafricanisme (géopolitique – idéologie – combats).

https://vimeo.com/168832423

 _________________________

Page officielle PANAFRICOM II/

IDEOLOGIE DU NEOPANAFRICANISME

https://www.facebook.com/Panafricom2/

http://www.panafricom-tv.com/

Photos : Roland Lumumba et Luc Michel au Colloque d’Abidjan.

AFRICA – L’OTTAVA GUERRA DEL NOBEL PER LA PACE. E LO SCOGLIO ERITREA

http://fulviogrimaldi.blogspot.it/2016/06/africa-lottava-guerra-del-nobel-per-la.htmlMONDOCANE

GIOVEDÌ 23 GIUGNO 2016

 
“La storia della specie e ogni esperienza individuale trasudano prove che non è difficile uccidere una verità e che una bugia ben raccontata è immortale”. (Mark Twain)
 
La libertà è stata perseguitata su tutto il globo; la ragione è stata fatta passare per ribellione; la schiavitù della paura ha reso gli uomini timorosi di pensare. Ma tale è l’irresistibile natura della verità che tutto ciò che chiede, tutto ciò che vuole, è la libertà di apparire” (Thomas Paine, 1791)
 
“E’ mai concepibile che una democrazia che ha rovesciato il sistema feudale e ha sconfitto sovrani possa arretrare davanti a bottegai e capitalisti?” (Alexis de Tocqueville)
 
Cari corrispondenti, questo è l’ultimo pezzo per parecchie settimane. Un po’ sarò fuori, un bel po’ sarò impegnato nella realizzazione del documentario che abbiamo girato in Africa e in Eritrea e che spero porterà in giro per l’Italia, a partire da ottobre, una buona dose di verità su quanto ci deformano e manipolano in vista della riconquista coloniale del continente e della sua avanguardia nel Corno dì’Africa.  Comunque ci continueremo a incontrare nella posta. 
 
 C’è una resistenza, addirittura un’avanguardia? Regime change!
Si parte con una campagna di demonizzazione del leader e del suo regime. Si attivano per la bisogna Amnesty International, Human Rights Watch, Reporters Sans Frontieres, Medicins Sans Frontieres, Soros, house organs coperti, come “il manifesto”, Ong del posto o, in mancanza, del circondario. Cotti ben bene i neuroni di un’ampia opinione pubblica trasversale, ci si prova con una rivoluzione colorata. Se localmente difettano le basi materiali, umane, come nel caso dell’Eritrea, se ne inventa una esterna, della dissidenza in esilio, possibilmente a Washington e in mancanza di massa critica si fa un fischio alle presstitute e i media sopperiscono. Se poi tutto questo non fa vacillare il reprobo, valutata l’ipotesi di un approccio da dietro col sorriso, alla cubana, vietnamita o iraniana, e trovatola impraticabile di fronte all’ostinazione dell’interlocutore, si passa alle maniere forti: sanzioni per ammorbidire ogni resistenza popolare, suscitare lacerazioni sociali e malumori nei confronti dei vertici  che preparino il terreno all’intervento armato. Diretto, perchè condotto con istruttori, armamenti, finanziamenti e forze speciali proprie, ma occultato dall’impiego visibile e teletrasmesso di sicari surrogati, tipo Isis o nazisti di Kiev. Nel caso in esame, etiopici.
 
 
 
L’ottava guerra di Obama
L’Africa è sotto attacco. Per troppo tempo cinesi e russi hanno dilagato, accaparrandosi forniture, investimenti, infrastrutture, materie prime, amicizie.Tocca ristabilire l’ordine precedente la decolonizzazione. Stavolta, più che europeo, franco-americano. Nella divisione internazionale del lavoro imperialista, alla Francia, comunque sotto tutela Nato, è affidato il recupero del Nord. Da lì gli interventi di regime change e dispotismo proconsolare in Costa d’Avorio, Mali, Niger, Ciad, RCA. Per agevolarli,  si sono fatti comparire i soliti Isis, quelli che, se non contenuti alle origini, poi fanno stragi a Parigi e Bruxelles. Il Centroafrica, eminentemente il Congo, è affidato alle brigate mercenarie di varie multnazionali in competizione. La regione del Lago Vittoria è storicamente quanto si può lasciare ai postimperiali britannici. Il Corno d’Africa, che incombe su Bab el Mandeb, Golfo di Aden, Oceano Indiano e sulle maggiori rotte degli scambi internazionali, è esclusiva Usa. Da qui la guerra, delegata ai sauditi, contro uno Yemen che aveva pensato di prendere in mano il proprio destino, forse animato dall’esempio vincente del dirimpettaio eritreo e che ora è, dichiaratamente e nel silenzio del mondo, destinato al genocidio. Si fosse mai vista qui, dove 20 milioni di esseri umani vengono strangolati dal blocco di terra, aria e mare, una commissione d’inchiesta sui diritti umani dell’ONU!
 
Shabaab, non Isis
Nel caso dellla Somalia in cui una resistenza nazionale islamica, falsamente fatta passare per legata ad Al Qaida e al jihadismo che imperversa altrove e che, diversamente da questi che agiscono per conto di mandanti occidentali o filo-occidentali, si batte contro gli Usa e i suoi clienti, i sicari sono la forza cosiddetta di pace dell’Unione Africana, eminentemente costituita da ascari degli Usa come Uganda e Kenya. Era stata attivata negli anni ’90 anche l’Etiopia che, già aveva fagocitato un pezzo di Somalia e che, per conto degli Usa e della Nato, aveva in un paio di occasioni invaso la Somalia, dopo che la spedizione Nato “Restore Hope” aveva visto americani, italiani e mercenari vari ributtarsi velocemente in mare di fronte all’intrattabilità del popolo somalo.
 
Gli etiopici, baluardo Nato in Africa quanto la Turchia lo è in Medioriente e Asia, a dispetto di una guerra civile endemica tra minoranze e despotismo fascista tigrino e a dispetto di una siccità spaventosa che ha messo alla fame milioni (oltre tutto privati delle loro terre dal landgrabbing cinese e saudita), sono stati attivati nuovamente. Questa volta contro un paese ancora più irriducibile della Somalia e, diversamente da quella, configurato in Stato moderno ed efficiente, unito, compatto, e nella sua strutturale povertà data da elementi oggettivi, orgogliosamente indipendente, in relazione con chiunque, anche con scelte che a volte sorprendono, ma autosufficiente e libero da debiti finanziari e condizionamenti geopolitici.
 
Teste africane dell’Idra
L’Idra a nove teste, del cui scatenamento terroristico e militare ho scritto nell’articolo precedente (“l’IDRA A NOVE TESTE”) con riferimento all’ondata di operazioni sotto falsa bandiera tra Florida, Francia, Belgio, Siria e all’escalation di provocazioni militari, nucleari, lungo i confini della Russia, di teste ora ne sviluppa molte altre, oltre alle mitiche nove del mito, con una frenesia di interventi a 360 gradi che non risparmia nessun potenziale scenario di predazione e distruzione.
 
L’inizio è stato, nel 2008, AFRICOM, il comando Usa e Nato voluto dal Premio Nobel Obama e dalla sua segretaria di Stato Clinton per sistemare il continente nero a completamento delle loro sette guerre condotte tra Asia e Medioriente. AFRICOM che Muhammar Ghedddafi rifiutò di ospitare in Libia riuscendo a convincere tutti gli altri paesi africani a respingerlo. E mal gliene incolse, come sappiamo. Il Comando centrale per l’Africa è tuttora basato a Stoccarda, in Germania, ma intrattiene rapporti (cioè istruisce, addestra, mantiene basi, arma, scorrazza con teste di cuoi e spie, provoca casini interni ed esterni) con ben 53 paesi del Continente su 54 (escluso il Sahara Occidentale, solo parzialmente riconosciuto). Indovinate chi rimane fuori. In Etiopia gestisce una dozzina di basi e presidi, Israele ne ha la metà e, insieme, controllano e fanno funzionare le forze armate del vassallo etiopico.
 
Che, forte di una popolazione sui 90 milioni, tra il 1998 e il 2000 s’è visto dagli Usa mandato alla guerra contro il vicino eritreo, popolazione circa 5 milioni, e se ne è venuto via rotto e ammaccato, pur continuando ad occupare illegalmente una striscia di territorio eritreo, in violazione delle linee di demarcazione dei confini stabilite dall’ONU in un disatteso accordo di Algeri il 12 dicembre del 2000. La guerra costò 70mila morti, in aggiunta alle centinaia di migliaia di vittime eritree cadute nella trentennale lotta di liberazione dall’Etiopia. Da allora l’aggressività etiopica continua a pendere sul piccolo vicino, corroborata dalle continue minacce di guerra fatte pronunciare dai proconsoli imperiali ad Addis Abeba, capitale dove, con Meles Zenawi, prima, e oggi con Hailemariam Desalegn, regna la feroce cricca  del TPLF (Tigray’s People Liberation Front), sentinella dell’imperialismo nel Corno d’Africa.
 
 
Nuovo, ennesimo attacco militare della giunta di Addis Abeba
 
Domenica 12 giugno questo regime, indifferente alla decimazione della sua popolazione, sia per la repressione delle minoranze in lotta (gli Oromo, gli Afar), sia per la spaventosa carestia da siccità, ha lanciato un nuovo attacco contro l’Eritrea nell’area confinaria di Tsorona. Mi ci avevano portato, gli amici eritrei, proprio poche settimane fa, per farmi vedere, dal picco di una catena di monti, l’enorme e verdissimo bassopiano, ricco di nuove colture, che si estendeva ai piedi della nostra posizione fino a una catena contrapposta di azzurre creste addolcite dalla foschia: l’Etiopia. Su questa piana s’era combattuta l’ultima battaglia tra Davide e Golia del 2000, da questa piana gli aggressori, segnati a morte dai mandanti a stelle e strisce, avevano dovuto ritirarsi con perdite inaudite. Ed è qui dove ci hanno ora riprovato. E, nel giro di 48 ore, sono stati ancora una volta battuti e respinti. Succede quando la motivazione da una parte è la patria, la libertà, la solidarietà, la coscienza della propria ragione e, dall’altra, il soldo, il padrone e l’ignoranza. Cose che avevo visto nel Libano degli Hezbollah nell’invasione israeliana del 2006, o in Libia tra patrioti e mercenari qatarioti, prima che rimediassero al disastro i bombardieri Nato.
 
Lo sbattere di sciabole, allestito da chi non sopporta l’esistenza di Stati africani indipendenti e liberi, che si rifiutano al dominio neocolonialista e vanno per la propria strada (ne sono rimasti tre, forse quattro: oltre all’Eritrea, lo Zimbabwe, l’Algeria, l’Egitto) e tanto meno chi ne rappresenta la vera avanguardia, è stato calcolato con attenzione. Doveva riportare un paese ignorato dai mezzi d’informazione, se non per vicende legate alla migrazione, alla ribalta dello scontro tra democrazie e violatori dei diritti umani. Il vecchio e logoro cliché che segna la sceneggiatura di tutte le imprese belliche del più grande violatore dei diritti umani della Storia, l’Occidente “democratico”. Pochi giorni dopo era prevista a Ginevra un’altra deflagrazione, ancora più letale. Quella del rapporto di una Commissione d’inchiesta sull’Eritrea totalmente farlocca, messa in piedi dall’ONU, ancora una volta prestatasi, con il pallido ma fedele maggiordomo Ban Ki Moon, a fare da braccio politico – e domani armato – degli Usa.
 
Commissione ONU per preparare la guerra
I tre membri della Commissione, capeggiati dal fiduciario Mike Smith, il 21 giugno in conferenza stampa, hanno rivelato che in Eritrea, dal 1991 nientemeno, si è praticata ogni più abominevole violazione dei diritti umani: incarcerazioni di massa, schiavismo ai danni di 400mila persone, stupri sistematici, tortura e assassinio su vasta scala, un servizio militare a tempo indeterminato. Per impedire che i cittadini fuggano da questo inferno, il dittatore Isaias Afewerki ordinerebbe ai suoi sgherri di sparare a chi cerca di superare i confini. Sarebbero 5000 gli eritrei che fuggirebbero ogni mese, così rischiando la vita. Ogni singolo attimo della vita di ogni persona sarebbe controllato, ogni opposizione schiacciata da una repressione feroce. Crimini conro l’umanità verrebbero commessi da 25 anni (quest’anno l’Eritrea ha celebrato un quarto di secolo di indipendenza strappata con le armi all’Etiopia e alle grandi potenze Usa e URSS). Sarebbero i massimi dirigenti in persona a commettere questi crimini che non verrebbero a conoscenza della comunità internazionale solo perché l’Eritrea figura all’ultimo posto nella classifica della libertà di stampa, dopo la Corea del Nord. L’elenco continua e configura un Grand Guignol  di orrori al di là di ogni immaginazione. Tanto ci hanno dato dentro, i tre gaglioffi dell’inchiesta, da aver oscurato quanto di più grottesco era stato fantasticato sulla Corea del Nord, su Saddam, Gheddafi….Caligola, Nerone…
 
 
Una carovana di migiliaia di emigrati eritrei, provenienti da tutto il mondo, presunte vittime scampate alla ferocia dell’abbietto dittatore, ha opportunamente manifestato con forza davanti al palazzo ONU di Ginevra, ribadendo una volta di più l’evidente malafede e strumentalità di una commissione che insiste a non voler ascoltare gli eritrei della diaspora. Figuriamoci se gli obiettivi investigatori sia siano dimostrati disposti ad accettare almeno un documento portato dai manifestanti. Tutti evidenti agenti di Isaias.
 
Sanzioni per decimare la popolazione
Come ha olttenuto la Commissione questi dati? Interrogando circa 500 “eritrei” in Etiopia e in campi di rifugiati in Sudan, tutti rigorosamente anonimi, il che già toglie ogni credibilità all’operazione. Si è rifiutata pervicacemente di ascoltare le voci della comunità eritrea all’estero, forte di 47mila cittadini, che, come un solo uomo, ha chiesto di essere ascoltata.  Alle sede ginevrina si sono presentate 800 persone che si erano registrate per testimoniare personalmente. La Commissione si è rifiutata di riceverne anche una sola! Bella prova di serietà e obiettività. Secondo tecnici ONU dei rifugiati almeno il 40% di coloro che all’atto dell’identificazione si dicono eritrei, non lo sono. La stessa ONU, contraddicendo le sue spie al servizio di Washington, ha rilevato che nel 2014 e nel 2015 il flusso dei migranti eritrei si è completamente fermato. Quelli che si dichiarano eritrei sono perlopiù etiopi, a volte somali o sudanesi, popoli dal retroterra etnico e dalla morfologia affini . Nel 2009 il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, prendendo a pretesto un presunto aiuto eritreo agli Shabaab somali, mai dimostrato perché del tutto inventato,  decide di infliggere sanzioni all’Eritrea: un embargo di armi, blocco di fondi e impedimento di transazioni, perfino delle rimesse dalla diaspora eritrea, voce importante nel bilancio statale.
 
 Contemporaneamente si assicura ai migranti eritrei lo stesso automatismo della concessione dell’asilo politico prima facie, cioè automatico. Come veniva garantito ai gusanos cubani a Miami. Chi non si dichiarerebbe eritreo venendo da paesi non insicuri, non in guerra, non definiti dittature e, in più, alleati o vassalli dell’Occidente, per cui verrebbe subito rimpatriato o rinchiuso?  E tra le decine di migliaia di esuli eritrei che difendono il proprio paese e la sua leadership, vuoi che non ci possa essere quello senza scrupoli che, per garantirsi la benevolenza del paese ospitante, non ripeta a pappagallo le accuse dei colonialisti?
 
Resilienza !
Chiunque non in malafede e non manovrato abbia visitato l’Eritrea di oggi, comprese perfino delegazioni di parlamentari europei, smentisce totalmente e con conoscenza di causa le assurdità propalate da una commissione di venduti e degna della stessa considerazione di quella Corte Penale Internazionale che, dalla sua nascita, ha incriminato solo africani, o di quel Tribunale per la Jugoslavia, allestito e pagato dagli Usa, servito a satanizzare e ammazzare serbi per esonerare dai loro crimini gli aggressori Nato, D’Alema compreso. Si incontra, in un paese di rara bellezza e varietà ambientale, un popolo gentile, sorridente, che vive, pur tra ristrettezze economiche che, a dispetto delle risorse naturali recentemente scoperte, soprattutto minerarie, sono accentuate dall’embargo e dall’isolamento conseguente, in serenità e armonia. Nessun segno di repressione, di militarizzazione, di controllo capillare. I massimi dirigenti girano ovunque senza scorta, la vita scorre nella più assoluta normalità, la coesione sociale, pur nelle differenze tra le nove etnie e le tre grandi religioni, cattolica, ortodossa, islamica, tutte rispettate e protette, pare forte e convinta. La differenza tra lo stipendio di un ministro e quella di un operaio specializzato è nulla e le sacche di povertà, pur esistenti, vengono affrontate dalle organizazioni di massa interne al FPDG (Fronte Popolare per la Democrazia e la Giustizia), delle donne, dei giovani, dei disabili, dei veterani della guerra di liberazione.
 
 
La parola d’ordine che segna tutto il cammino di questo popolo, la cui lotta di liberazione ho avuto il privilegio di accompagnare sul campo, è resilienza. Resistere ed essere autosufficienti, non dovere niente a nessuno, far collaborare tra di loro tutti i settori della società, garantire a chiunque, anche a scapito di altri avanzamenti, sanità, istruzione e abitazione, di elevato standard. Visitare una scuola o un ospedale ad Asmara, o Keren, o Massaua, significa coprirsi il capo di cenere a pensare allo stato delle nostre strutture e dei nostri servizi.
 
Imporre a qualsiasi attività produttiva le più rigorose norme ecologiche. Assicurare la totale emancipazione ed eguaglianza delle donne, lottando con determinazione anche contro usanze arcaiche, come le mutilazioni genitali, sopravvissute in limitate aree remote del paese. Quanto ai presunti 400mila schiavi del servizio militare “infinito”, la realtà è che, negli anni delle aggressioni etiopiche e della continuata condizione di non guerra non pace, c’è stato un prolungamento della leva, normalmente di 18 mesi (succede in Israele, dove si è a disposizione fino a oltre i 50 anni e non per garantire al paese la libertà, ma per opprimere il popolo titolare di quella terra. E nessuno dice niente): di fronte c’è la più grande potenza militare del continente. Per i giovani eritrei, di cui la Commissione d’inchiesta deplora il “lavoro forzato”, il servizio militare significa difesa della patria e collaborazione alla sua vita, allo sviluppo, insieme al volontariato civile che le popolazioni impegnano sul proprio territorio. Ho visto militari, donne, anziani, studenti, lavorare al rimboschimento di montagne minuziosamente terrazzate, scavare canali ed erigere dighe per l’irrigazione. Sono le infrastrutture che hanno consentito agli eritrei di non cadere vittima, come occorso agli etiopi, di una siccità micidiale, implacabile dal 2009. L’acqua non manca né al consumo umano, né alle coltivazioni. Sarrebbe simpatico vedere i nostri militari, quelli con le colubrine agli angoli delle strade e nei metrò, oppure quegli altri che girano da guardioni di armatori mercantili per gli oceani e fucilano pescatori, adoperarsi attorno a frane, contro l’incommensurabile dissesto idrogeologico italiano, su alberi per rimboschire l’Abruzzo.
 
 
 
Questo paese, è vero, ha a capo la stessa persona, Isaias, che l’ha guidata per la massima parte della sua guerra di liberazione, partita nel 1961. Il popolo riconosce in lui il padre della patria, il garante dell’indipendenza e dell’unità. Il retroterra storico, culturale, di lotta, la volontà del popolo, lo legittimano. Il paese viene portato avanti  da una squadra di persone oneste, impegnate, assolutamente umili, più vicini al popolo di quanto qualsiasi governante occidentale si sia mai sognato. Ne ho incontrato diversi e mi sono lasciato alle spalle il peso e il fastidio della prosopopea, della supponenza, della boria guapposa dei nostri notabili, tutti pezzi da novanta, perlopiù farlocchi.
 
Utilizzando il sicario etiopico, i mercenari ONU, le Ong e tutto il cucuzzaro dei diritti umani  – sul “manifesto” e affini ne leggerete delle belle, nella solita unanimità umanitarista con cani e porci mediatici (chiedo scusa a cani e maiali) – gli Usa puntano al regime change. Con le buone non gli riuscirà mai. Dunque con le cattive. C’è solo da vedere se sarà l’ultima, l’ottava, guerra del più sanguinario presidente nella storia degli Stati Uniti, o la prima della testa bionda dell’Idra che gli succederà.
 
Come con la Libia e la Somalia, che, da colonie della monarchia e del fascismo, l’Italia ha stuprato, depredato, massacrandone la popolazione nel nome della civiltà bianca e cristiana, per poi ripetere ed esaltare questi crimini nelle guerre al seguito degli Usa e nel nome dei diritti umani propri della civiltà bianca e cristiana, il nostro paese, la sua classe dirigente e i suoi fiancheggiatori,presunti oppositori, hanno nei confronti dell’Eritrea un debito enorme. Materiale e morale. Un debito iniziato alla fine dell’800 e andato crescendo fino a quando un altro colonizzatore non ce ne ha scacciato. Questo popolo antichissimo, che alberga nel suo seno le origini dell’uomo, ha fatto una fatica mostruosa e ha compiuto un’opera nobilissima per sopravvivere e liberarsi. Associarci ai nuovi cannibali, non usare ogni nostra fibra per denunciarli e fermarli, farebbe di noi degli abbietti complici. Indegni di uscire alla luce del sole. Dall’Eritrea, avanguardia africana, abbiamo solo da imparare.
 Eritrea, 1971, con il vostro cronista.
 
Pubblicato da alle ore 15:06

Incontro a Frosinone sul TTIP, Trattato di Libero Scambio Usa-UE

 15 luglio, Largo Paleario 7
FULVIO GRIMALDI presenta il docufilm “MESSICO, ANGELI E DEMONI NEL LABORATORIO DELL’IMPERO”
che illustra la distruzione di un grande paese per mano del NAFTA, trattato di libero scambio Usa-Messico, modello del TTIP.
messico copertina
mexico2
mexico1