Escalation del terrorismo, preludio di sei mesi mesi cruciali

purtroppo non credo che l’instabilità sia indice che le oligarchie abbiano perso il controllo, VIVONO E CI GUADAGNANO DAL CAOS. Non a caso il loro motto è ORDO AB CHAOS, il loro chaos creato ad arte per imporre il loro ORDO.
di Federico Dezzani – 15/06/2016
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Fonte: Federico Dezzani
 
Si apre una fase cruciale per il sistema euro-atlantico: il periodo che intercorre tra il referendum inglese sulla permanenza nella UE e le presidenziali statunitensi sarà decisivo per le sorti dell’impalcatura“occidentale”, sempre più scricchiolante sul versante americano come su quello europeo. La carneficina di Orlando è l’inizio della strategia della tensione che accompagnerà i prossimi, convulsi, mesi. A distanza di nemmeno 48 ore è la volta dell’ennesimo attentato dell’ISIS in Francia, peso massimo europeo in piena crisi, attraversata da proteste e disordini sempre più accesi. L’escalation di violenza è sintomo che le oligarchie hanno perso il controllo della situazione.
 
Sei mesi decisivi per l’egemonia atlantica
L’Occidente è entrato in una fase cruciale per il suo futuro. O meglio, considerato che l’Occidente in termini geografici sopravviverà imperturbabile fino alla notte dei tempi, è l’attuale architettura politica che controlla i due lati dell’Atlantico ad essere entrata in una fase cruciale: il sistema euro-atlantico, d’ora in avanti, lotta per la sua sopravvivenza.
 
L’angoscia che attanaglia le élite atlantiche è per certi versi simile a quella vissuta dalla classe dirigente europea tra la prima e la seconda guerra mondiale: si avverte chiaramente come un’epoca stia finendo ed un mondo, ancora funzionante dal punto di vista formale, sia in realtà in rapida decomposizione
 
Capita così che il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk, uno dei massimi alfieri dell’atlantismo, evochi con riferimento alla Brexit la fine della civiltà occidentale, un tema già sviluppato dal filosofo tedesco Oswald Spengler tra gli anni ’20 e ’30 del XX secolo. Sono affermazioni, quelle di Tusk, del tutto autoreferenziali, perché il collasso dell’Unione Europea e dell’Alleanza Nord Atlantica implicherebbe la fine solo delle oligarchie cui appartiene l’ex-premier polacco, non certo dei popoli europei che, al contrario, potrebbero finalmente rifiatare e riacquistare spazi di manovra.
 
La crucialità del momento nasce dall’accavallarsi di una molteplicità di consultazioni elettorali e dal concomitante deteriorarsi dell’economia, negli USA come nell’eurozona: si comincia con il referendum inglese sulla permanenza nella UE e si termina con le elezioni presidenziali negli Stati Uniti, mentre il rialzo del tassi da parte della FED è procrastinato sine die e l’eurozona si dibatte ancora nella deflazione, a distanza di 15 mesi dall’avvio dell’allentamento quantitativo della BCE. Una vittoria dei anti-europeisti alla referendum inglese, un successo di Donald Trump alle presidenziali, il ritorno dell’eurozona in recessione, rischiano di infliggere il colpo di grazia alla già traballante impalcatura atlantica.
 
Le contromisure adottate dall’establishment in questi frangenti, benché apparentemente molto diverse fra loro, sono riconducibili ad unico, comune, denominatore: incutere paura. Si minaccia l’opinione pubblica inglese di recessione e pesanti sacrifici economici nel caso cui il Regno Unito uscisse dalla UE, si assaltano i mercati finanziari europei per scongiurare l’eventualità che altri Paese indicano referendum analoghi, si dipingono scenari a tinte fosche qualora si affermassero  i candidati “populisti”.
 
Gli effetti sull’elettorato sarebbero però modesti senza l’apporto dell’ingrediente più esplosivo: il terrorismo.Bombardando l’opinione pubblica con notizie, immagini e video di stragi compiute nei luoghi dellaquotidianità (aeroporti, stazioni ferroviarie, discoteche, stadi, quartieri della movida, etc. etc.) si ottiene un duplice risultato: si distoglie l’attenzione dalle criticità economiche e si genera domanda di normalità e sicurezza, a discapito delle formazioni anti-establishment ed a vantaggio dei partiti tradizionali, difensori dell’ordine vigente.
 
Non è quindi un caso se l’inizio di questa fase delicatissima sia stato scandito da due attentati compiuti a distanza di nemmeno 48 ore l’uno dall’altro, il primo negli Stati Uniti ed il secondo in Francia, entrambi perpetrati ufficialmente allo Stato Islamico. Dire “ISIS” equivale a dire “servizi israeliani ed angloamericani” e sul perché Tel Aviv, Washington e Londra svolgano un ruolo così attivo nella strategia della tensione che sta insanguinando l’Europa, già ci soffermammo in occasione degli attentati di Bruxelles: l’Unione europea rappresenta il “contenitore geopolitico” dentro cui è racchiuso il Vecchio Continente e la sua sopravvivenza è di vitale importanza per piegare i 28 membri ad unica volontà (quella atlantica), come hanno dimostrato in questi anni i casi delle sanzioni economiche all’Iran ed alla Russia.
 
L’attentato dell’11 giugno (firma inequivocabile) al locale omosessuale di Orlando, Florida, è la sanguinosa ouverture della strategia della tensione che accompagnerà l’Occidente per i prossimi mesi. Omar Mateen, cittadino 29enne americano di origine afgane, persona “non stabile” secondo l’ex-moglie, inserito dall’FBI in una lista di possibili simpatizzanti dell’ISIS, figlio di un predicatore estremista, già guardia giurata per la società di sicurezza G4S, chiama il 911 asserendo di aver giurato fedeltà all’ISIS, quindi, armato di una pistola e di un fucile mitragliatore AR-15, irrompe in una discoteca, seguendo il copione già sperimentato al Bataclan lo scorso novembre. Muoiono 50 persone, la peggiore strage con armi da fuoco negli Stati Uniti (il rapporto 7 attentatori per 130 vittime del Bataclan -1:18- raggiunge così l’incredibile livello di 1:50) e, distanza di poche ore, l’immancabile SITE diretto dall’israeliana Rita Katz scova la rivendicazione dello Stato Islamico.
 
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Da un’analisi più superficiale si ricaverebbe l’idea che la strage sia un assist al candidato populista Donald Trump, finito alla ribalta internazionale per aver proposto di proibire l’immigrazione mussulmana. Sono però sufficiente poche ore perché l’accento dei media sia posto sulla facilità con cui le armi da fuoco sono acquistabili negli Stati Uniti, anche da cittadini instabili e pericolosi come Mateen: il dito è così puntato contro lo sfidante repubblicano, che gode dell’appoggio della National Rifle Association, e si porta acqua al mulino di Hillary Clinton, favorevole a norme più restrittive in materia di armi. “Orlando shooting sparks gun control, language debates” titola la CNN, evidenziando i risvolti politici della strage di Orlando incentrati sul porto d’armi.
 
Per inquadrare l’attentato in una cornice più ampia, per ricondurlo a quello stato di angoscia vissuto dalle oligarchie atlantiche, è fondamentale la lettura dell’editoriale “Orlando and Trump’s America” apparso sul New York Times il 13 giugno e firmato da Roger Cohen. Il giornalista si fa interprete delle paure che attanagliano le élite, allarmate per la valanga degli eventi (il Brexit, la vittoria alle presidenziali di Trump, l’ingresso all’Eliseo di Marine Le Pen) che rischia di sommergerle. Secondo Cohen, la strage di Orlando ed i crescenti consensi raccolti da Trump e dalla Le Pen germogliano nello stesso humus: il malessere economico, la rivolta contro le élite e la frustrazione sociale, sono le cause che spingono l’elettorato versopericolosi salti nel vuoto ed i lupi solitari ad imbracciare i fucili. Scrive Cohen1:
 
Omar Mateen, the Florida shooter who had pledged allegiance to the Islamic State, just ushered Donald Trump to the White House, Britain out of the European Union,Marine Le Pen to the French presidency, and the world into a downward spiral of escalating violence. (…) But there is no question that the largest mass shooting in American history comes at a time of particular unease. In both the United States and Europe, political and economic frustrations have produced a groundswell against the status quo and an apparent readiness to make a leap in the dark. Washington and Brussels have become bywords for paralysis. (…) I hope for the best but fear the victory of the politics of anger in America and Europe.”
 
L’esplicito richiamo alla Francia è profetico: a distanza di meno di 48 ore dall’attentato ad Orlando, la strategia della tensione sorvola l’Atlantico e torna a materializzarsi in Francia, la più grande minaccia al sistema atlantico sul versante europeo, seconda solo ad una vittoria degli anti-europeisti all’imminente referendum inglese.
 
Sulle condizioni critiche in cui versa l’Esagono, sulla sua capacità di innescare l’implosione della UE/NATO e sul terrorismo di Stato adottato per sedare l’opinione pubblica sempre più vicina al punto di ebollizione, non abbiamo lesinato analisi in questi ultimi mesi: iniziammo con l’articolo “Turbolences en France: danger mortel pour l’euró!2, per poi dare ampia copertura agli attentati del 13/11, evidenziando il ruolo della DGSE nella carneficina ed il nesso tra i terroristi dell’ISIS ed i servizi segreti d’Oltralpe. Nel recente articolo “Il nuovo maggio francese3 abbiamo evidenziato come fosse tutto, fuorché casuale, che l’esecutivo socialista avesse atteso la promulgazione dello stato d’emergenza per affrontare la riforma del mercato del lavoro: conscio della combattività dei sindacati nazionali, della tremenda esperienza vissuta da Nicolas Sarkozy in concomitanza alla riforma delle pensioni, e dello spietato braccio di ferro già in corso con alcune categorie, personale di Air France in primis, il governo auspicava che la cappa di terrore facilitasse l’introduzione di quelle norme neoliberiste tanto care alla Troika.
 
Concludevamo affermando, con un riferimento alla minaccia di nuovi attacchi terroristici: obbiettivo Francia, Euro 2016? Ci siamo, purtroppo, sbagliati di poco.
 
L’ISIS, la stessa organizzazione che russi, iraniani e siriani hanno quasi smantellato in Medio Oriente, torna a colpire nella notte tra il 13 ed il 14 giugno, a Magnanville, comune alla periferia nord-occidentale di Parigi.
 
Larossi Abballa, cittadino francese 25enne, già incriminato per reati comuni, condannato a tre anni di carcere nel 2013 per “association de malfaiteurs en vue de préparer des actes terroristes4, accusato di aver reclutato jihadisti da inviare in Pakistan ed Afghanistan (profilo, insomma, identico a quello di Mohamed Merah, dei terroristi di Charlie Hebdo, del 13/11 e dell’aeroporto Zavantem e corrispondente al classico “infiltrato” o “collaboratore” della DGSE) uccide a coltellate un poliziotto davanti alla sua abitazione, poi si barrica all’interno dove ferisce a morte la moglie della vittima, anch’essa impiegata del Ministero degli Interni. Il finale non si discosta dal solito copione: le teste di cuoio isolano il quartiere e freddano in un conflitto a fuoco l’attentatore , non prima che questi abbia proclamato su Facebook la sua fedeltà all’ISIS e promesso che l’Euro 2016 “sera un cimetière”, sarà un cimitero5.
 
L’agenzia Amaq, organo ufficiale di stampa dell’ISIS (munita di ottimi tecnici informatici che le permettono di sfuggire alla contromisure dell’NSA), può così pubblicare la rivendicazione dell’attentato, prontamente diffusa urbi et orbi da Rita Katz.
 
SITElesmureaux
A suo tempo evidenziammo l’assenza di una rivendicazione dell’ISIS nel disastro aereo del volo Egyptair, definito all’unanimità come un attacco terroristico dai servizi segreti occidentali e russi: ex-post, possiamo fornire una spiegazione. Solo gli attentati perpetrati in Francia, con l’assenso dei servizi segreti francesi ed il contributo decisivo di quelli israeliani ed atlantici, sono etichettati “Stato islamico”: l’abbattimento dell’Airbus esula da questa categoria e si inserisce nello scontro senza esclusione di colpi sul dossier libicodove i francesi sostengono gli egiziani ed il generale Haftar, mentre gli angloamericani sostengono gli islamisti di Tripoli ed il governo di Al-Serraj.
 
Non c’è alcun dubbio, infatti, che il duplice omicidio di Magnanville targato ISIS sia una vera e propria ciambella di salvataggio lanciata a François Hollande: il presidente (che ha recentemente stabilito un nuovo record in termini di impopolarità, con l’83% dei francesi che esprime un giudizio negativo sul suo operato6), coglie la palla al balzo e convoca martedì mattina, 14 giugno, l’ennesima unità di crisi all’Eliseo, rilasciando poi ai trepidanti giornalisti la dichiarazione7:
 
“C’est un acte terroriste à la fois parce que son auteur, qui a été neutralisé par les forces de sécurité, avait voulu lui-même voulu que son acte puisse être reconnu comme terroriste, et l’organisation dont il se réclamait a elle aussi revendiqué l’acte(…) La France est confrontée à une menace terroriste de très grande importance. Le risque est partout très élevé.
 
L’attenzione dei media e dell’opinione pubblica è così dirottata sull’attacco del “Califfato”, proprio quando a Parigi, nelle stesse ore, è in programma la nuova mobilitazione dei sindacati contro la riforma del lavoro, una prova di forza con cui la Confédération générale du travail e le altre sigle sindacali di sinistra voglio spingere l’esecutivo socialista alla capitolazione, costringendolo a ritirare la riforma El Khomri.
 
Journée de mobilisation du 14 juin contre la loi travail : la CGT espère faire mieux que le 31 mars” aveva scritto pochi giorni fa Le Monde, evidenziando la sicurezza degli organizzatori di poter superare i numeri della precedente manifestazione. Già, perché nel frattempo, la protesta è cresciuta per estensione e profondità: dopo le raffinerie, i treni, le metropolitane, i porti ed il personale di Air France, agli scioperi hanno aderito anche gli addetti alla raccolta dei rifiuti a Parigi. 
La strategia di Hollande di applicare il divide et impera,elargendo benefici alle singole categorie in cambio dell’assenso riforma, si è rivelata infruttuosa e, per la prima volta, si è parlato in questi giorni di “réquisitions”, ossia di precettazione dei lavoratori, extrema ratio per evitare la paralisi del Paese8.
 
E così, nonostante lo stato d’emergenza, nonostante il freno inibitorio della minaccia terroristica, nonostante l’attenzione dei media sia concentrata sull’attentato di Magnanville, la mobilitazione del 14 giugno si svolge imperturbabile, superando i numeri del 31 marzo9 (125.000 persone a Parigi secondo le autorità, 1,3 milioni secondo gli organizzatori) e rafforzando la volontà dei sindacati a continuare gli scioperi ad oltranza.
 
L’efferatezza della strage di Orlando, il susseguirsi a distanza di meno di 48 ore dell’attacco a Magnanville, l’organizzazione approssimativa degli attentati ed il concomitante crollo delle piazze finanziarie, sono segnali dell’impotenza e dello stato confusionale in cui versa l’establishment euro-atlantico, conscio di quanto l’intera impalcatura su cui è costruito il suo potere sia vicina al collasso.
 
La prossima, decisiva, tappa è il referendum inglese sulla permanenza nella UE. L’esplosione del terrorismo internazionale a distanza di pochi giorni dalla consultazione corrobora l’ipotesi che le forze anti-europeiste siano in testa, proprio come il “venerdi nero dell’ISIS”, la serie di attentati che insanguinò Tunisia, Francia, Kuwait, Tunisia e Somalia il 26 giugno 2015, preannunciò la vittoria “dell’oxi”al referendum greco del 5 luglio.
 
Ce ne occuperemo nel prossimo articolo, a meno che qualche colpo di scena non modifichi ancora la nostra agenda: ipotesi tutt’altro che peregrina di questi tempi.
 
tensionemedia

1 http://www.nytimes.com/2016/06/14/opinion/orlando-omar-mateen-pulse-florida-donald-trumps-america.html?_r=0

2 http://federicodezzani.altervista.org/turbolences-en-france-danger-mortel-pour-leuro/

3 http://federicodezzani.altervista.org/il-nuovo-maggio-francese/

4 http://www.lemonde.fr/police-justice/article/2016/06/14/qui-est-le-meutrier-des-policiers-a-magnanville_4949931_1653578.html

5 http://www.lemonde.fr/police-justice/article/2016/06/14/la-revendication-des-meurtres-de-magnanville-a-eu-lieu-en-direct-sur-facebook_4950310_1653578.html

6 http://www.20minutes.fr/politique/1850919-20160524-popularite-francois-hollande-manuel-valls-touchent-encore-fond

7 http://www.franceinfo.fr/fil-info/article/couple-de-policiers-tue-magnanville-bernard-cazeneuve-denonce-un-acte-terroriste-abject-797759

8 http://www.lefigaro.fr/politique/2016/06/09/01002-20160609ARTFIG00366-hollande-et-valls-ont-echoue-a-trouver-la-sortie-de-crise-avant-le-debut-de-l-euro.php

 

La neo lingua adottata dalla dottrina neoliberista

di Luciano Lago – 15/06/2016
neoliberisti1
Fonte: controinformazione
La dottrina economica introdotta negli ultimi anni dal neoliberismo ha utilizzato una nuova terminologia linguistica che tende a prevalere nei mass media ed a emarginare qualsiasi lessico non conforme. La forza della burocrazia sta proprio nel lessico creato al fine di uniformare tutte le culture politiche ed economiche in uno stessa forma stereotipata che sostituisce la forma e la ricchezza delle diversità intellettuali preesistenti con l’effetto di annullare la creatività del linguaggio.
 
Il nuovo lessico neoliberista ha adottato le stesse tecniche messe in atto in precedenza dai regimi totalitari che si sforzavano di regolare tutti i comportamenti dei cittadini al fine di raggiungere l’obiettivo di una rieducazione delle masse.
 
Questo linguaggio che si può considerare di fatto la “neolingua” mondialista risulta infarcito di termini anglosassoni e di retorica d’accatto che tende a mascherare in modo perverso la realtà delle cose. Una tecnica molto simile a quella del linguaggio utilizzato negli Stati del “socialismo reale” ove si abbondava nei concetti di “fraternità dei popoli”, di “salvaguardia della pace”, di “democrazia popolare”, concetti che nascondevano realtà del tutto opposte. Con la caduta del Muro di Berlino e con lo sgretolamento dell’URSS abbiamo assitito ad un cambiamento accelerato, sia in Occidente che nei paesi dell’ Europa dell’est, dei sistemi di comunicazione e di propaganda che sono passati sotto il controllo delle centrali informative del poderoso apparato mediatico dominato dalle grandi concentrazioni anglosassoni con ramificazioni in tutto il mondo e  che hanno esportato il loro sistema di comunicazione anche nei paesi dell’ex Patto di Varsavia.
 
Non risulta anomalo il fatto che le principali tecniche di cambiamento del linguaggio siano state sostanzialmente le stesse dei regimi totalitari. Sono tecniche che furono ben descritte da certi autori che avevano studiato il sistema di manipolazione dell’opinione pubblica già adottato nel regime staliniano. Queste giocano sulla ripetizione snervante di parole chiave e di frasi stereotipate, sulla riforma del contenuto dei sistemi di educazione fondata sulla enunciazione di assiomi indiscutibili fino al punto di diventare evidenze che nessuno si sogna di mettere in discussione, sul moltiplicarsi di seminari e colloqui sulle stesse problematiche orientate ideologicamente e fondate sugli stessi paradigmi semplificati.
 
In questo modo l’aggettivo “sostenibile” viene automaticamente associato alla parola “sviluppo“, il termine “trasparenza” viene inteso come un concetto magico che deve valorizzare il concetto di assoluta libertà dei mercati poichè si presuppone che sia la libertà a renderli trasparenti, e così di seguito. Quando ci si riferisce quindi al “mercato” diventa quindi normale associare l’attributo di “trasparente” in modo automatico, quasi pavloviano. Lo stesso procedimento si adotta per termini entrati nella terminologia comune quali “libertà economica”, “competitività”, “apertura al mercato”, ecc..
 
Gli specialisti americani della comunicazione hanno sviluppato una tecnica di comunicazione denominata “storytelling”, che consiste nel diffondere attraverso i media storie edificanti a mo’ di propaganda che permettono in particolare di illustrare gli effetti benefici dell’attuazione dei grandi principi del neo liberismo. Questa tecnica viene illustrata dal nell’opera del sociologo francese Christian Salmon, essendo questa molto diffusa tra i dirigenti politici, fra i supermanager delle multinazionali e fra i responsabili dei grandi organismi sovranazionali. Tecnica abitualmente utilizzata nella copiosa letteratura delle agenzie dell’ONU e dei suoi organismi paralleli, in particolrare sottoforma di riquadri, (boxes) inseriti nel testo di una pubblicazione. Ad esempio si narra la storia di un povero contadino di un paese del 3° o 4° mondo che, grazie al fatto di aver seguito un consiglio della Banca Mondiale, o per aver ricevuto una attrezzatura finanziata dal microcredito, è riuscito ad alleviare la sua povertà. Oggi risulta frequente che tutti i rapporti annuali dei Programmi Sviluppo delle Nazioni Unite, della Banca Mondiale, dell’UNICEF, dell’FMI, ed altre istituzioni, contengono numerosi riquadri che raccontano queste “storie esemplari”. Queste storie sono molto simili a quelle che si raccontavano nell’URSS sugli effetti miracolosi delle ricette del socialismo applicate nella vita economica di qualche comunità o individuo.
 
Attraverso queste tecniche si è arrivati ad utilizzare un vocabolario del tutto nuovo che ha impregnato la neolingua liberista, cancellando il vecchio vocabolario con molti termini caduti in disuso.
Sono entrati in questo vocabolario termini anglosassoni come “governance” , o come “accountability” (rendicontabilità) o locuzioni per definire normative di tipo neoliberista com “Jobs Act “, Spending Review”, Fiscal compact”, ecc.. Si tratta di termini stranieri che non hanno apportato niente di nuovo rispetto ai concetti del vecchio vocabolario ma che piuttosto hanno il più delle volte mascherato concetti relativi all’ideologia del mercato caratterizzati da elusione di responsabilità, di limitazione o taglio di diritti, di spese sociali e di compatibilità con il mercato.
 
La nozione di “governance” ad esempio cancella ogni rigore nella responsabilità dei decisori: non si fa più riferimento ad un rigore di individui che svolgono funzioni perecise ma di specifiche mancanze attribuibili ad un “sistema” o ad una delle sue parti. Qualunque responsabilità è diluita in questo concetto inafferrabile la cui funzione è quella di liberare il singolo dirigente da ogni responsabilità.
Allo stesso modo la diffusione oltre ogni limite del termine “trasparenza” che proviene direttamente dall’ideologia del mercato, che deve essere necessariamente trasparente per funzionare con efficienza. Essa viene richiesta ovunque: nella condotta dell’azione di governo come nella elaborazione delle condizioni finanziarie delle socetà quotate in Borsa, nei prospetti delle Banche, ecc..
 
Questa forma di politichese è stata adottata con entusiasmo da tutti gli attori della catena consumistica: qualsiasi prodotto viene pubblicizato in quanto favorisce la “protezione dell’ambiente” (environment friendly), qualsiasi decisione come ” frutto di un processo trasparente”, qualsiasi atto di gestione amministrativa si iscrive in un quadro di “rendicontabilità” (accountability), qualunque politica economica mira a stabilire principi di “crescita sostenibile”, ecc. ecc..
Il massimo della nuova neolingua si raggiunge nei documenti pubblicati dagli Organismi internazionali come le Agenzie dell’ONU quando si parla di “lotta contro la povertà”, lotta alle “ingiustizie sociali”, adozione di un nuovo modello di sviluppo, tutela dei “diritti umani” ed altre facezie.
 
In questi scritti la “povertà” viene inserita nel ruolo di soggetto grammaticale ed “oggetto di preoccupazione”, in un crescendo retorico che dimostra il vuoto e il non senso di queste allocuzioni che non a caso nascondono la pretestuosità della maggior parte delle finalità dei documenti dell’ONU, destinati a riempire gli archivi e le scrivanie di funzionari ben pagati che sulla povertà e sulla fame nel mondo hanno costruito le loro carriere ed il loro business.
Questa sintetica analisi critica vuole mostrare un esempio di cosa sia il linguaggio mondializzato dello sviluppo e della lotta contro la povertà da cui vengono eliminate le responsabilità individuali e collettive, la menzione dei responsabili delle crisi umanitarie, le enumerazione delle cause concrete. Tutto rientra nei sistemi astratti di cui bisogna rafforzare la “governance” e la trasperenza in modo che la globalizzazione, che si presume benefica in modo assiomatico, produca vantaggi ancora maggiori e prospetti felicità all’umanità, sopprimendo la malattia, la fame e la povertà.
 
Questo il sistema per eludere i problemi reali e ignorare la realtà ingombrante, rivolgendosi ad un pubblico universale, quindi senza interlocutori concreti, rimanendo nell’astratto . Esattamente quello che fanno i grandi media internazionali e i discorsi degli esponenti politici ed accademici.
Una struttura di potere che si è impadronita di una neolingua mondialista e la utilizza come strumento di manipolazione delle opinioni pubbliche.

“Vuoi la pensione? Ti facciamo un bel prestito”. Renzi prova a fregare gli italiani

scandalosa la risposta del “fascista” Salvini al tanto caro e democratico Renzi che fa del bene al popolo. Meno male che gli squadristi del Pd vanno a rovesciare i banchetti leghisti in tutela della democrazia.
15 giugno 2016
renzi13
Come purtroppo ben sappiamo, ai disastri causati dalla legge Fornero (in primis il dramma degliesodati) nessun governo ha ancora posto rimedio, nemmeno quello di Renzi. Eppure adesso, il premier sembrerebbe finalmente pronto a mettere mano allepensioni, tentando di accontentare (a suo modo) i moltissimi italiani che si sono sentiti truffati dall’esecutivo Monti. Solo che la soluzione proposta dal governo del PD ha il sapore della beffatutti i nati tra il 1951 ed il 1955 potranno andare in pensione senza aspettare di aver compiuto i 66 anni e 7 mesi, ma a patto che i soldi ricevuti in anticipo vengano restituiti all’INPS nell’arco di 20 anni. In pratica, chi accetterà questa soluzione si vedrà sottratto il 15% della propria pensione per ripagare un debito contratto con lo stato italiano. Indebitarsi a vita per ottenere i propri soldi: è questa la geniale idea di Renzi…
 
Durissimo in proposito il commento di Matteo Salvini: “Il progetto di Renzi per le pensioni? Devi PAGARE per avere i TUOI SOLDI, in attesa di crepare, ingrassando le solite BANCHE! Non c’è che una parola da dire: TRUFFATORE!!!”
 

Il terrorista di Orlando ha lavorato per “l’Ombra della CIA”

le sinistre dicono che è solo una questione di omofobia e basta.
14/06/2016
 
Il terrorista di Orlando ha lavorato per l’azienda che controlla le centrali nucleari degli USA
Paul Sperry, editorialista del New York Post e docente dell’Hoover InstitutionCounterjihad 13 giugno 2016
 
Il terrorista della discoteca di Orlando che ha giurato fedeltà allo SIIL ha lavorato per quasi un decennio per un importante contractor del Department of Homeland Security, allarmando su simpatizzanti ed agenti del SIIL infiltrati nell’agenzia federale istituita dopo l’11 settembre per combattere i terroristi.
I funzionari dicono che Omar Mir Seddique Mateen, afgano-statunitense che aveva la licenza per due armi da fuoco e una licenza ufficiale di sicurezza, era impiegato dalla società di sicurezza G4S Secure Solutions USA Inc. dal 10 settembre 2007. La società Jupiter, della Florida si fuse con la Wackenhut Corp. dopo l’11 settembre ed ha contratti federali. “G4S sostiene l’US Department of Homeland Security, Customs and Border Protection (CPB), con le sue operazioni al confine degli Stati Uniti col Messico e l’US Immigration and Customs Enforcement (ICE) per il trasporto di immigrati clandestini nelle aree urbane“, dice la società in un opuscolo dal titolo “Fornire manodopera ai servizi pubblici“.
 
 Il contratto della DHS con la G4S vale 234 milioni di dollari. Il contratto prevede che uno dei “requisiti della prestazione” sia identificare “sospetti terroristi” che tentano di entrare negli Stati Uniti. 
Il contraente per la sicurezza fornisce guardie di sicurezza e altri servizi di sicurezza al “90 per cento degli impianti nucleari degli USA“. G4S utilizza autobus blindati per il trasporto di “centinaia di migliaia di clandestini” da città a città e da città al confine USA-Messico. Ma all’inizio del mese, Judicial Watch ha rivelato che G4S ha di nascosto trasportato su autocarri e rilasciato clandestini dal confine alle città interne statunitensi. 
 
Gli immigrati erano classificati OTM (diversi dai messicani), comprendenti clandestini soprattutto dell’America centrale, ma possibilmente anche provenienti da Medio Oriente e Pakistan. “Una società di sicurezza a contratto del governo degli Stati Uniti trasporta OTM dal Border Patrol di Tucson, dove sono in custodia, a Phoenix“, afferma il gruppo di controllo governativo di Washington. “L’azienda si chiama G4S e sostiene di essere il gruppo per la sicurezza leader mondiale con attività in oltre 100 Paesi e con 610000 dipendenti“.
Non è chiaro se il 29enne Mateen abbia lavorato su contratto federale o trattando coi detenuti federali. Uno dei suoi incarichi era il trasporto e la guardia di detenuti giovanili locali dello Stato della Florida. La controllata per cui lavorava, la G4S Secure Solutions USA Inc., ha sede a Jupiter, in Florida, appena a sud della residenza di Mateen a Fort Pierce, sempre in Florida. E’ anche non noto se avesse il nulla osta di sicurezza federale, o che tipo di controllo di sicurezza la G4S abbia effettuato prima di assumere Mateen, che ha continuato a custodire i detenuti nonostante i rapporti secondo cui aveva apertamente elogiato lo SIIL nelle conversazioni con i colleghi, ed anche dopo che fu indagato dai federali per legami col terrorismo almeno nel 2013. In una newsletter del 2012 della società, G4S si congratulò con Mateen per i cinque anni di servizio. I tentativi di raggiungere i rappresentanti della G4S non hanno avuto successo. Ma la stessa brochure aziendale dice che gli agenti di sicurezza “sono sottoposti a una rigorosa inchiesta comprendente aspetto psicologico, passato e screening criminale“. I test per simpatie jihadiste non appaiono. “Dal reclutamento, formazione e istruzione ai controlli sul passato, i nostri addetti della sicurezza supereranno le vostre aspettative“, assicura il contraente G4S, la prima azienda per la sicurezza a ricevere contratto e certificazione dal DHS, che aiuta il governo federale anche nelle emergenze per “minacce terroristiche”. Impiegando più di 50000 statunitensi, G4S fornisce supporto per la sicurezza a diverse altre agenzie federali, come i dipartimenti di Stato, Interni, Lavoro, Giustizia, Energia, IRS e Drug Enforcement Administration. La società di sicurezza è anche partner di US Army,US Air Force e NASA. Attraverso l’US General Services Administration, l’azienda fornisce guardie, agenti penitenziari, agenti di sicurezza, addetti ai bagagli, impiegati alla sicurezza e autisti di bus per detenuti, con contratti da centinaia di milioni di dollari.
Non è la prima volta che un contraente federale impiega un importante terrorista islamico. Nel 2008, laConvergys Corporation di Charlotte, NC, fu criticata per aver impiegato un operatore di computer musulmano che manteneva apertamente un sito web jihadista con immagini raccapriccianti di soldati statunitensi fatti saltare in aria dai terroristi di al-Qaida all’estero, dicendo “mi suscita grande gioia“; Convergys all’epoca ebbe un contratto federale di 2,5 miliardi di dollari per istituire centri di comunicazione di emergenza in caso di attacchi terroristici e altri disastri. Il dipendente, il 22enne Sami Khan, era un operativo di al-Qaidache fu ucciso nel 2011 in un attacco dei droni USA nello Yemen.
 
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La “cristiana ombra della CIA” G4S collegata al disastro nucleare di Indian Point?
Aaron Hutchins, Blind Bat News 11 febbraio 2016
Li abbiamo denudati e immersi nell’acqua in modo che l’elettricità funzionasse bene… Vorrete che vi temano“, ‘Mpho’, ex-guardia carceraria della G4S intervistato dalla BBC.
 
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La stessa malvagia G4S ‘cristiana’ basata nell’impero inglese, finita sotto un’inchiesta della BBC per torture ai prigionieri, è responsabile della sicurezza delle centrali nucleari degli Stati Uniti (e altri Paesi occidentali), tra cui Indian Point della Entergy, New York. La G4S Secure Solutions (già G4S Wackenhut) sostiene di essere la società di sicurezza più grande al mondo. Nacque a Wackenhut in Florida, fu rilevata da una società olandese e poi fusa con un’altra società per creare la G4S plc del Regno Unito. L’US Department of Energy ha contratti con la Nuclear Security Services Corporation (NSSC) della G4S. La G4S ‘cristiana’ è pesantemente coinvolta nelle operazioni israeliane di apartheid/olocausto dei palestinesi nelle prigioni illegali. Il vescovo Desmond Tutu, un vero cristiano che ha subito in prima persona l’apartheid del Sud Africa, nel 2014 accusò G4S di torturare i bambini palestinesi detenuti!
Nel 2010, tre guardie inglesi della G4S ‘cristiana’ uccisero un uomo su un volo della British Airwayss offocandolo. I passeggeri dichiararono di aver sentito la vittima dire “cercano di uccidermi!
Wackenhut è stata accusata di carenze nella sicurezza in diverse basi militari statunitensi negli Stati Uniti, e anche nelle centrali nucleari. Nel 2007, nell’Idaho, a Dirk Kempthorne (mentore dell’attuale governatore Butch Otter) fu chiesto d’indagare sulla sicurezza per le centrali nucleari della Wackenhut, mentre era segretario degli Interni. Wackenhut fu anche accusata di frodare i propri dipendenti: “E’ importante che gli appaltatori federali come Wackenhut, che ricevono dollari dai contribuenti e tutelano gli interessi vitali del nostro Paese, dimostrino correttezza verso i dipendenti e sostengano gli sforzi per elevare gli standard professionali per la sicurezza il più possibile“. Dice Bob Casey, senatore degli Stati Uniti della Pennsylvania. A quanto pare le orecchie di Kempthorne erano sorde a tali richieste.Wackenhut è anche chiamata “L’ombra della CIA”: “Una grande società privata, con un CdA di ex-funzionari di CIA, FBI e Pentagono è incaricata di proteggere le strutture per armi nucleari, reattori nucleari, l’oleodotto dell’Alaska e oltre una dozzina di ambasciate degli USA all’estero; ha vecchi legami con un’organizzazione radicale di estrema destra; ha 30000 uomini e donne armati e segretamente aiutò l’Iraq ad ottenere armi sofisticate“? (Biblioteca Pleyades)
Per por fine alla crescente attenzione dei media su l’apertamente corrotta e inetta G4S Wackenhut, nel 2010 cambiò nome in G4S Secure Solutions. I contratti comprendono il servizio di ‘sicurezza’ per i disastrati reattori nucleari degli USA (come Nuclear Security Services Corporation), anche quelli gestiti dall’Entergy.
 
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Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

Bce: «Brexit rischio per la crescita» Riviste al rialzo le stime del Pil

E CHI SIAMO NOI PER CONTESTARE IL GRANDE MAESTRO BANCHIERE?? Che luridi populisti questi inglesi che VOGLIONO DECIDERE COSA SIA MEGLIO PER LORO MA COME MAI STI POVERI BANCHIERI, GIA’ TANTO IN SOFFERENZA SONO COSI’ PREOCCUPATI DAL BREXIT???
 
MA LA UE NON ERA UN BENE PER I POPOLI??? 
 
Il consiglio direttivo «seguirà con attenzione l’evoluzione delle prospettive per la stabilità dei prezzi e se necessario per il conseguimento del suo obiettivo, agirà ricorrendo a tutti gli strumenti disponibili». Pil Eurozona nel 2016 a +1,6%
di Redazione Economia
 
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Il presidente della Bce, Mario Draghi
 
Un’eventuale Brexit rappresenta un rischio per la crescita dell’Eurozona. Lo dice ripetutamente la Banca centrale europea nel suo bollettino mensile, secondo cui «i rischi al ribasso sono ancora connessi all’andamento dell’economia mondiale, ad altri rischi geopolitici e all’imminente referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione europea». Questione che limita, secondo l’istituto di Francoforte, anche la stessa crescita inglese. Le ultime stime della Bce danno una crescita dell’1,6% nel 2016 e dell’1,7% nel 2017 e nel 2018. I mercati finanziari sono diventati «più stabili» secondo Francoforte e il clima di fiducia «è migliorato» nel secondo trimestre, ma «incertezze» come la possibilità di una Brexit «continuano a offuscare l’orizzonte».
 
Per quanto riguarda l’Eurozona «gli ultimi dati suggeriscono che la crescita si è protratta nel secondo trimestre, anche se forse a un tasso inferiore» rispetto a quello del primo trimestre e «in prospettiva, si prevede che la ripresa economica prosegua a un ritmo moderato ma costante». L’espansione economica nell’area dell’euro si è rafforzata nel primo trimestre di quest’anno e il livello del pil reale ha ormai superato il valore massimo raggiunto nel 2008. La componente dei consumi privati, che ha mostrato una certa tenuta nel primo trimestre, secondo Francoforte «rimane la determinante principale della ripresa in atto». Ovviamente il quantitative easing della Bce sta aiutando l’economia e un «ulteriore stimolo» dovrebbe provenire dalle misure ancora da attuare. Tuttavia il consiglio direttivo «seguirà con attenzione l’evoluzione delle prospettive per la stabilità dei prezzi e, se necessario per il conseguimento del suo obiettivo, agirà ricorrendo a tutti gli strumenti disponibili nell’ambito del suo mandato».
 
Riviste al rialzo le stime del Pil: «le proiezioni macroeconomiche per l’area dell’euro formulate nel giugno 2016 dagli esperti dell’Eurosistema indicano un incremento annuo del Pil in termini reali pari all’1,6% nel 2016 e all’1,7% nel 2017 e nel 2018». Secondo il bollettino mensile «rispetto all’esercizio condotto a marzo 2016 dagli esperti della Bce, le prospettive di crescita del Pil in termini reali sono state riviste al rialzo per il 2016 e mantenute sostanzialmente invariate per il 2017 e il 2018». A marzo gli esperti della Bce prevedevano una crescita del Pil a +1,4% nel 2016, a +1,7% nel 2017 e a +1,8% nel 2018.
 
16 giugno 2016 (modifica il 16 giugno 2016 | 12:43)

Pensioni, M5s: l’Ape di Renzi è una follia, le ultime novità

c’è una cosa che non capisco, molti a sinistra considerano il Pd di “destra”. OK, ALLORA PERCHE’ gli antagonisti e le “vere sinistre” fossero mai una volta in piazza contro UNO dei provvedimenti di questo “governo di destra”?
ALTRA DOMANDA: SE il pensionando che, costretto a questo debito VENTENNALE muore prima di rimborsare il debito????? ADDIO EREDITA’ E LE BANCHE SI PIGNORANO I BENI??????
 
I deputati pentastellati attaccano il Governo Renzi sulla riforma pensioni 2016: ultime notizie e commenti del 15 giugno.
 
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Riforma pensioni Beppe Grillo contro Matteo Renzi: no all’Ape
 
Se da una parte si registra un clima tutto sommato più sereno tra l’esecutivo e le parti sociali nell’ambito del confronto sulla riforma pensioni 2016, dall’altra è sul fronte politico che si arroventa il confronto sulla questione previdenziale che il Governo Renzi intende affrontare con l’introduzione di nuove formule di flessibilità in uscita dal lavoro nella legge di Stabilità 2017 che sarà approvata in autunno. A Forza Italia di Silvio Berlusconi, così come al Movimento 5 stelle di Beppe Grillo, non piace per niente la proposta dell’Anticipo Pensionistico (Ape) mediante un prestito ventennale.
 
Pensioni, il Movimento 5 stelle: da Renzi solito regalo alle banche mascherato da flessibilità
 
“E’ una follia – hanno dichiarato in una nota congiunta i deputati pentastellati – chiedere a un 65enne di indebitarsi per andare in pensione. Siamo di fronte – hanno aggiunto commentando la proposta dell’Anticipo Pensionistico illustrata dal governo ai sindacati – al solito regalo alle banche travestito da artificio finanziario in nome della flessibilità”. I grillini, così come la Lega Nord di Matteo Salvini, insistono per la rottamazione della legge Fornero. “Bisogna riformare radicalmente la Fornero – hanno affermato i parlamentari del Movimento 5 stelle a Montecitorio – e concedere libertà a chi vuole andare in pensione, anche per allargare – hanno sottolineato – gli spazi del mercato del lavoro ai giovani“.
 
Forza Italia e la Lega all’attacco dell’esecutivo: ‘Renzi da venditore di fumo a strozzino’
 
Dalla riforma pensioni, dunque, dovrebbero nascere nuove opportunità occupazionali per i giovani. “Senza un ricambio generazionale – è l’osservazione che fanno i deputati pentastellati – le imprese non potranno riguadagnare la competitività persa”. “Siamo a una nuova rapina di Stato targata Renzi – ha commentato il senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri – che si prepara a derubare la fascia più anziana della popolazione”. “Da venditore di fumo a strozzino – ha dichiarato Gian Marco Centinaio, capogruppo della Lega a Palazzo Madama – il passo è breve. E’ la tremenda evoluzione di Renzi – ha aggiunto – con l’ultima folle proposta sulle pensioni”.

Ultime novità Pensioni anticipate 2016: allarme prestito pensionistico, tagli al 15%

certo, basta alzare l’età a 100 anni sarà facile che qualcuno si ritiri “anticipatamente”…Guai a protestare eh mi raccomando, c’è il governo amico
 
Non tutti saranno felici delle ultime novità sulle pensioni che porterà il prestito pensionistico APE: tagli fino al 15% per chi esce volontariamente
 
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Pensioni anticipate, ultime novità sul prestito
 
Le ultime novità sulle pensioni non possono esimersi dal riferirsi all’incontro tra Governo e Sindacati e dal piano di Renzi sulla flessibilità in uscita, che sta prendendo forme sempre più delineate di giorno in giorno. Per uscire dal lavoro tramite la pensione anticipata, ci si dovrà servire dell’ APE, una sorta di prestito pensionistico da pagare a rate in 20 anni e che consentirà ai lavoratori di accedere con 3 anni di anticipo alla propria pensione. Il fatto di dover sottoscrivere un prestito per ottenere la propria pensione per cui si sono pagati contributi per decine di anni ha fatto storcere il naso a molti, da Salvini a Ballarò, fino a Cesare Damiano, inoltre non piace a nessuno la possibilità che vengano applicati dei tagli all’assegno INPS, anche importanti, per chi vorrà uscire volontariamente dal lavoro. Ma come, non doveva esser “nessuna penalizzazione”? Evidentemente no...
 
Pensioni anticipate e prestito pensionistico: ultime novità e tagli possibili
 
Le ultime novità sulle pensioni per chi vuole lasciare il lavoro, non sono delle migliori, infatti come ha spiegato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Tommaso Nannicini, e come ha riportato il collega Antonio Signorini in un interessante approfondimento apparso su Il Giornale di ieri, l’anticipo pensionistico sarà massimo di 3 anni, e il taglio sull’assegno potrà arrivare fino al 15%. Infatti, la restituzione del prestito potrà avvenire in 20 anni, con rate che si andranno a modulare a seconda da caso a caso. Per chi è rimasto senza lavoro, ha perso il posto o per soggetti deboli non ci sarà nessuna penalizzazione, ma al contrario per chi deciderà di uscire volontariamente dal mondo del lavoro tramite l’APE (il prestito pensionistico), le penalizzazioni saranno importanti. In questo caso infatti il lavoratore si dovrà pagare integralmente l’anticipo di 3 anni e non potrà detrarre fiscalmente le rate, ottenendo così una penalizzazione elevata che potrebbe arrivare al 15%. Evidentemente il Governo ha deciso di non mettere mano al portafogli ed è prevalsa la volontà di non intaccare i conti pubblici ed effettuare una manovra che permetta la pensione anticipata per i lavoratori, ma che sia a costo zero per il Governo. Prossimo appuntamento che ci riserverà altre novità sulle pensioni sarà l’incontro con i sindacati del 23 giugno alle ore 15, noi come sempre seguiremo l’evolversi della situazione e vi riporteremo le notizie, voi potete seguirci cliccando segui in alto!
 

Pensioni anticipate, taglio fino al 15% Prestito da restituire in 20 anni

Il governo del kompagno Renzi continua a scippare le pensioni PER CONTO DEI BANCHIERI. LA SOCIETA’ CIVILE APPROVA. Nessuno contesta, a parte quei “fascisti” dei leghisti e di 5 stelle. Ovviamente è tutta colpa di Casa Pound.
 
La riforma per i nati dal ‘51 al ‘55. Esodo volontario, l’incentivo dello Stato sotto forma di detrazione fiscale. Avvantaggiati i redditi bassi e i disoccupati
di Enrico Marro
 
Dal prossimo anno chi è nato dal 1951 al 1955 potrà accedere al pensionamento anticipato fino a tre anni rispetto all’età di 66 anni e 7 mesi richiesta per la pensione di vecchiaia. Ma per farlo dovrà appunto chiedere un anticipo sotto forma di prestito, che poi restituirà sulla pensione normale in 20 anni, con rate che peseranno in maniera variabile sull’importo dell’assegno, fino a un massimo di circa il 15% per il redditi maggiori. Questa, a grandi linee, la proposta sulla cosiddetta «flessibilità in uscita» che martedì pomeriggio il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Tommaso Nannicini, hanno illustrato ai segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, Susanna Camusso, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo.
 
La proposta, denominata Ape (anticipo pensionistico), dovrebbe entrare nella legge di Bilancio ed entrare in vigore dal primo gennaio 2017. Avrà un costo limitato: 6-700 milioni. Che servirebbero in buona parte a coprire la detrazione fiscale che sarà accordata sulle rate di rimborso del prestito e la garanzia assicurativa per le banche che forniranno l’anticipo attraverso l’Inps. La detrazione fiscale sarà modulata sul reddito e sulla condizione lavorativa. In sostanza, dovrebbe tendere ad annullare il taglio della pensione regolare (conseguenza delle rate di rimborso) per le persone a più basso reddito e per quelle rimaste senza lavoro in età avanzata. Al contrario, il taglio si farà sentire sui redditi alti (fino al 15% della pensione di cui ha parlato Nannicini) e su chi sceglierà autonomamente di lasciare il lavoro prima. Infine, il costo dell’assegno anticipato sarà a carico delle aziende quando fossero queste a volere il prepensionamento.
 
Il governo ha avviato anche il confronto sul mercato del lavoro, ma restando su linee molto generali. Sono già stati programmati altri tre incontri, il 23, il 28 e il 30 giugno. Nella conferenza stampa, i leader sindacali, pur restando cauti («siamo appena all’inizio») hanno preferito valorizzare gli elementi positivi, anche perché la loro priorità, in questa fase, è tenere aperto il tavolo così a fatica conquistato. Camusso ha sottolineato che il governo non parla più di «penalizzazioni». Nannicini ha spiegato che in realtà si tratta appunto di «penalizzazioni implicite», sotto forma di rate di rimborso del prestito.
 
 
Furlan è apparsa la più soddisfatta: «È cambiato il clima, si è attivato un confronto vero». Barbagallo ha voluto sottolineare che «il lavoratore interessato non dovrà rapportarsi a banche o assicurazioni, ma continuerà ad avere come proprio interlocutore solo l’Inps». Sarà quest’ultimo, ha spiegato in realtà Nannicini, ad avere i rapporti con gli intermediari finanziari. Di fatto le proposte del governo sono lontanissime dalla piattaforma di Cgil, Cisl e Uil che vorrebbero modifiche sostanziali alla Fornero, con la possibilità per tutti di andare in pensione con 62 anni di età o 41 di contributi. E senza penalizzazioni. Avrebbero un costo improponibile, ribatte il governo. L’Ape, unita con altre forme di flessibilità (per esempio, l’anticipo sulla previdenza integrativa) secondo le preferenze del lavoratore, potrà risultare interessante, come ponte verso la pensione regolare, solo per le fasce in difficoltà, perché espulse dal lavoro, o per chi ha redditi alti da poter sopportare il costo del rimborso pur di lasciare prima.
 
14 giugno 2016 (modifica il 15 giugno 2016 | 10:53)
 

VELINARI E BISCHERI

http://fulviogrimaldi.blogspot.it/2016/06/velinari-e-bischeri.html

MONDOCANE

MERCOLEDÌ 15 GIUGNO 2016

Datemi qualche ora in più e proverò a dire qualcosa di non insensato sul parallelo attacco alla libera Eritrea da parte dell’esercito etiopico e della Commissione del Diritti Umani dell’ONU a Ginevra e poi sulla mega False Flag di Orlando in Florida. Per ora torniamo su Regeni e su chi ciurla nel manico.
 
Né-Nè
Nel Comitato No Guerra No Nato di cui faccio parte si è sviluppata in questi giorni una polemica da me innescata e che riguardava l’eterna questione dell’equidistanza, volgarmente né-né, per alcuni irrinunciabile valore. Questione per la prima volta scaturita ai tempi della guerra contro la Serbia, da me raccontata sotto le bombe su Belgrado, e in cui avevo definito la variegata folla di pellegrini a Sarajevo, tra disobbedienti di Casarini, rifondaroli e sinistri tutti, sedicenti nonviolenti e realtà ecclesiali varie, in quel modo: quelli del né con la Nato, né con Milosevic. Quelli puliti e intonsi alla finestra, freschi di Mastrolindo, senza macchia.
 
E’ una genia che si ripresenta in tutte le occasioni in cui tocca prendere la scomoda e compromettente decisione di schierarsi: né con i Taliban, né con Saddam, né con Gheddafi, né con Assad  e, specularmente, né con gli Usa e con la Nato. C’era stato un antecedente, né con le BR, né con lo Stato, ma era falso, non c’entra niente perché lì si negava l’adesione a due facce della stessa medaglia. Come se oggi si dicesse né con Obama, né con Al Baghdadi, né con Trump, né con Killary. Come quando il Gasparazzo di Lotta Continua giustamente decideva né con il padrone., né con il sindacato. Tautologico.
 
 
 
Il né-né si è consolidato e istituzionalizzato. Ha trasceso vecchi accostamenti a pesci in barile, cerchiobottisti, panciafichisti. Da una base di gentildonne e gentiluomini perbene che volevano restare tali e compatibili con l’ambiente in cui vivevano, si è allargato ed è cresciuto fino a vertici un tempo impensabili. Si è costituito in organizzazioni, partiti, Ong, pubblicazioni, agenzie. Per un attimo ne è diventato luminoso portavoce addirittura Berlusconi. Ricordate quando azzardava “non (più) con Gheddafi, non (ancora) con la guerra”?
 
La polemica partiva da una piccola agenzia di notizie, house organ del Partito Umanista (sì, esiste ancora) che nei suoi bollettini, tra una condanna della guerra alla Siria, una rampogna alla Nato, un rimbrotto al golpe della malavita brasiliana contro Rousseff, ti inserisce quatto quatto una sfilza di calunnie e bugie sull’Eritrea del “dittatore Afewerki”, una repulsa dell’omobofo e autoritario Putin, qualche dubbio sulla democraticità di Assad, una condivisione della rivoluzione color Cia in Iran contro il despota Ahmadinejad e, un piantarello sulla Grecia scassata, o su indigeni latinoamericani in estinzione e, sistematicamente, la riproduzione delle manovre affidate dal Dipartimento di Stato, o dalla Cia, o da Soros, a Amnesty International, Human Rights Watch, Reporters Sans Frontieres.
 
Così veniamo a sapere di Regeni “trucidato dal regime egiziano”, ma non del suo lavoro al servizio di spioni e serial killer internazionali; del Darfur, ma non delle operazioni di destabilizzazione del Sudan; di Karadzic e delle sue colpe per Srebrenica (massacro inventato e a lui attribuito); del “tiranno” Mugabe, presidente dello Zimbabwe (e dell’ultimo paese, insieme ad Algeria e Eritrea, che non ospita truppe e multinazionali Usa e latifondisti bianchi); addirittura dei poveri Tartari della Crimea, oppressi e repressi dagli “occupanti” russi……
 
 
 
Camaleonti
Di Ong e agenzie come questa sono pieni gli scaffali imperiali. Sei attirato dallo zuccherino del pacifismo, della condivisione della sorte di aggrediti, dalla condanna di guerre e tiranni e poi te ne torni a casa intossicato dal nocciolo di cianuro che alla zolletta era stata infilato da Amnesty o HRW o NED o Freedom House o Soros. Si chiama “savianismo” ed è l’evoluzione del né-né. Prende il nome da uno scrittore che se la prende, facile facile, con  il personaggetto de Luca, governatore della Campania, per poi poter impunemente iscrivere il personaggione De Magistris tra i seguaci di Hamas, intesi come i barbarici persecutori dell’amato Israele e Hugo Chaves tra i peggiori caudillos latinoamericani  Con il né-né  ti paravi il culo non stando né di qua, né di là e restavi a galla. Con il savianismo fai un passo avanti. Non stai né con la camorra, né con Hugo Chavez, ma con la camorra ti sei costruito un piedistallo dal quale, riconosciuto eroe, puoi tuonare contro Hugo Chavez o Luigi De Magistris ed essere credibile poiché sono credibili coloro che hanno un piedistallo. Come mettere su un piatto della bilancia un moscerino e sull’altro un caimano, ma la bilancia è certificata.
 
Ultimamente Il fenomeno è dilagato ed è diventato pericolosissimo. Pericoloso per chi, ammaestrato da battesimi, cresime, catechismi ed oratori, si compiace di farsi gabbare. Non dai grandi media, che si sanno e si ammettono di regime. Con un grano di sale in zucca e  l’occhio non troppo catarattizzato, di Stampa, Messaggero, Repubblica, Corsera, vari tabloid scandalistici come questi, dei Tg e degli altri media di regime, si percepisce la natura di trombette e tromboni, zufoli e organi e si vede bene chi, di spalle, dirige la musica. Di questi giornali si dà per scontata l’ottusa disonestà intellettuale, non ci si sprecano soldi, per capire dove vanno a parare basta sbirciarli in rete. Vale anche per la tivvù.
 
Poi ci sono i giornali di opposizione a seconda. Dunque farlocchi. Ma pericolosi. Più avanti leggerete come due dei più illustri si siano rivelati patetici velinari  rimasticando, ognuno in forma leggermente reinventata, la stessa velina centrale su Regeni.
 
Sono questi due giornali, strepitosamente savianei, che compro e leggo da capo a coda. Uno è il “manifesto”  che, per quanto tenuto in vita dalle pere pubblicitarie di compagni sostenitori come Enel, Eni, Telecom, Coop e, per quanto venda meno del marronaro all’angolo, insiste a rappresentare un vociante grumo di sedicente e secredente sinistra. Gli rimane, dunque, una capacità di sgambettare un bel po’ di gente illudendola di accompagnarla verso il sol dell’avvenir. L’altro è “Il Fatto Quotidiano”, che va fortissimo e ha un gruppetto di  giornalisti  di varia tendenza, ma di penna acuminata e ben condotta. Sono i due unici quotidiani da edicola che passano per essere “altro”, “contro”, “alternativi”. Infatti ci danno giù alla grande contro Berlusconi, prima, e ora contro Renzi. Poi si passa alle pagine estere e si scopre che siamo davanti a due portentosi esempi di savianismo.
 
Dicesi savianismo la conquista di un piedistallo di credibilità e fiducia nel settore sociale genericamente opposto al potere esistente attraverso la critica condivisibile alle sue più evidenti manifestazioni negative, per poi indirizzare quella fiducia e quella credibilità a sostegno delle grandi operazioni strategiche, eminentemente internazionali, quelle che poi contano davvero e decidono il destino di tutti. Abbiamo così  questi due giornali d’opposizione che conducono una fiera lotta contro, oggi come oggi, il regime Renzi e in difesa degli strati che da quel regime sono colpiti, impoveriti, esclusi, repressi. Coinvolti fino all’indignazione e all’entusiasmo nelle filippiche contro Expo, le trivelle, le spedizioni libiche, il Jobs Act, i voucher, gli stupri dei cementificatori, il ladrocinio delle Grandi Opere, Banca Etruria di papà Boschi,  passiamo dalle veementi intemerate della redazione interni, dalle cose di casa, agli esteri, dal calcetto del bar ai Mondiali. E qui giocano quelli che ti risolvono la partita, i Colombo, i Gramaglia,i Rampoldi, i Di Francesco, gli Acconcia, i Battiston, i Celada…
 
Ed è qui che si gioca la partita. Sei certo che ti hanno detto delle sacrosante verità, contro il conformismo, contro il senso comune, contro le balle del Giglio Magico. Trovi conferma dell’affidabilità del tuo comunicatore anche quando ti dice che la spedizione Nato contro la Libia ha prodotto solo disastri, magari dimenticandoti che qualche anno prima l’aveva sostenuta, se non con le bombe, con la denuncia degli “spaventosi delitti” di Muammar Gheddafi. Quindi, vasellinato da tanta autonomia giornalistica, la bevi con gusto anche quando ti rifila una società civile afghana che si sente protetta dagli occupanti Usa, o una Forza d’Intervento francese che salva il Mali dal jihadismo terrorista, o un dittatore carceriere e torturatore come Afewerki in Eritrea, o una Hillary Clinton che, comunque, è mille volte meglio di Trump, o un Pannella che stava dalla parte dei popoli oppressi e di un Dalai Lama vertice sublime di umanità, o un Regeni, per niente ambiguo collaboratore di spioni e masskiller angloamericani, anzi combattente per il riscatto degli operai schiacciati dallo stivale del Pinochet egiziano, o un Putin che sevizia le candide Pussy Riot e scatena la rediviva GPU contro gli omosessuali, o quel Kim Yong Un che fa sbranare lo zio dai cani, o la santa subito per meriti Usa San Suu Kyi, o Fratelli Musulmani che da Levante a Ponente innalzano i vessilli della democrazia sulle macerie del dispotico nazionalismo laico. Sempre allineati e coperti sotto i vessilli finto-umanitari del depistaggio, della mistificazione, dei trampolini di guerra HRW (Soros), Amnesty (Dipartimento di Stato), Reporters Sans Frontieres (Cia).
 
O, la cosa più oscena e al tempo stesso rivelatrice della sotterranea complicità con il mostro, l’avallo dato a tutti gli attentati terroristici, anche quelli più scopertamente di Stato, le più eclatanti False Flag (vi eccelle “Il manifesto”), con contemporanea criminalizzazione o ridicolizzazione degli analisti non omologati, i famigerati “complottisti”. Non ammettendo, neanche davanti a una mole inconfutabile di contestazioni, prove, testimonianze, documenti, quello che qualsiasi professionista della comunicazione dovrebbe coltivare come principio fondamentale: il dubbio.  L’unilaterale assegnazione della verità alle fonti ufficiali per nesso logico comporta la condivisione delle ragioni che i mandanti traggono dal terrorismo, dal loroterrorismo, per condurre guerre di sterminio, assassinare migliaia di persone extragiudizialmente, trasformare le proprie apparenti democrazie in Stati di polizia e in demolizione dei diritti umani veri. Con il che si rasenta il tasso di criminalità degli stessi Stati terroristi.
 
 
Ed ecco che, prendendoti per il verso dei diritti umani e della democrazia, ti hanno beccato. E non ti sei manco accorto che ingurgitavi dolci e tossici sciroppi cripto-Nato. Perché nel tuo piccolo domestico ti puoi anche permettere di sbraitare.Tanto ci sono le misure di controllo e di isolamento. E’ sulla grandi questioni, quelle che dai piani alti calano a mannaia sulle turbolenzucce dei seminterrati, che non devi sgarrare.
 
Un piedistallo d’oro umanitario, tempestato di diritti civili e GLBT, circondato dal tripudio delle genti, per farne calare le zozzerie del menzognificio imperiale. Che sono quelle che contano. Giacchè, povero bischero, puoi pure, in coro con questi scaltri velinari, abbaiare quanto vuoi contro il ciarlatano zannuto dell’Arno, sbertucciare la virago idiota che fa il ministro, scoperchiare zuppiere di mota politico-mafiosa servita per pranzo a palazzo, scoprire carogne fetecchiose in mezzo agli scranni delle istituzioni. Ma quel che conta è che, così addomesticato da tanta bella denuncia e indignazione, hai il cervello spalancato all’ingresso della cavalleria pesante: quella delle cose del mondo.
 
Due giornali, una velina
Due dimostrazioni eclatanti di questo assunto le ho trovate giorni fa nelle cronache identiche, ma differenziate nella confezione, che due giornali, che si dicono distantissimi, tanto da ignorarsi pervicacemente perché concorrenti sul medesimo bacino, hanno pubblicato sullo stesso argomento. Trattavasi con ogni evidenza di velina distribuita agli organi “amici” dalla centrale alla quale non si può dire di no. E riguardava un nervo scopertissimo del corpo imperiale: Giulio Regeni.
C’era stato un contraccolpo inaspettato e al limite della catastrofe per l’ordito imbastito tra Israele e Occidente allo scopo di far saltare l’Egitto, il suo ruolo sulla scena mediorientale e mondiale, i suoi rapporti con partner preziosi, come un’Italia affamata di energia di cui l’Egitto si è scoperto fornito in abbondanza.  Già si era riusciti a tagliare gran parte dei convenienti rifornimenti di gas russo e iraniano a Italia ed Europa (South Stream, Turkish Stream, gasdotto Iran-Siria-Mediterraneo), reimponendo l’esclusiva delle multinazionali anglosassoni e francesi. Figuriamoci se ci si poteva permettere che l’Italia approfittasse anche dell’enorme giacimento egiziano, dando essa già fastidio con i gasdotti arabi libico e algerino sotto controllo ENI. 
 
Botta fatale di Cambridge
A Cambridge il pellegrinaggio della procura di Roma, affiancata per la giusta carica mediatico-emotiva dalla famiglia Regeni, ha sbattuto contro le alte mura medievali dell’ateneo. I professori dell’augusto college si sono valsi della facoltà di non rispondere. Come mai se, come famiglia Regeni e gazzettieri di mezzo mondo giurano e spergiurano da mesi, il giovane aveva eseguito un compito assegnatogli dai suoi docenti di esplorare natura e comportamenti dei sindacati egiziani cosiddetti “indipendenti” e di questo gli fosse stato fatto pagare il fio dal “Pinochet del Cairo”? Che non fosse quella la missione? Che fosse un’altra, magari imbarazzante, magari inconfessabile? Magari quella di una struttura diversa, forse parallela, forse sinergica, forse no?
 
E’ tradizione consolidata che i servizi britannici traggono ampi rincalzi dagli istituti in cui l’élite, anche internazionale, alleva la sua classe dirigente. Ma stavolta tale dato risulta confermato da una circostanza assolutamente rilevante e rivelatrice, tanto che tutti gli apologeti di Regeni combattente e martire, e ovviamente i suoi professori di Cambridge, più o meno coinvolti, ma certamente al corrente, come anche coloro che avrebbero il dovere professionale di accertarsi e comunicare ogni dettaglio della vicenda, pervicacemente la occultano. Un mezzo grammo di buonafede, oltre a un filino di deontologia, avrebbero dovuto indurre costoro a chiedersi e a chiedere all’universo mondo che cosa mai avesse fatto Regeni, primo, nell’università del New Mexico, nota per le sue vicinanze all’intelligence Usa e, secondo e soprattutto, perché poi avesse proseguito quella formazione lavorando dal 2013 al 2014 per Oxford Analytica, una gigantesca rete di spionaggio privata con sedi a Oxford, Washington, New York e Parigi e 1.400 collaboratori nel mondo. Impresa diretta da tre allarmanti figuri che proprio per niente si conciliano con l’immagine che la voce del padrone, regolarmente ospitata anche dal “manifesto” e dal “Fatto”, i giornali “alternativi”,  ha voluto proiettare: David Young, reduce dal carcere per il Watergate di Nixon, Colin McColl, ex-capo del Mi6, l’intelligence britannica per l’estero, e John Negroponte, ricordato in Centroamerica e Iraq per i suoi squadroni della morte.
 
Da mesi il coro regeniano si affanna a fantasticare tra speculazioni e certezze apodittiche. Ultima quella di un Regeni caduto vittima di faide tra servizi di sicurezza rivali. Pian piano lo sfortunato e azzardoso giovanotto finisce sul retro del proscenio, mentre vengono proiettati sullo schermo le nefandezze del presidente egiziano, automatizzato in mandante, se non in esecutore. La lotta del governo e delle forze di sicurezza contro il terribile dilagare del terrorismo dei Fratelli Musulmani, spodestati dalla presidenza da una rivoluzione popolare, con gli inevitabili arresti e le inevitabili condanne di chi fa stragi di poliziotti, soldati e civili, diventa nella narrazione di Amnesty, manifesto, Il Fatto, una repressione di oppositori rispetto alla quale la Turchia o l’Arabia Saudita eccellono quali protagonisti dei diritti umani.
 
Ora nel pesante contraccolpo di Cambridge, nel quale il non-detto  delle autorità accademiche, intime di Regeni, diventa un colossale detto su una sceneggiatura del tutto diversa e talmente imbarazzante per i britannici da non potersi, appunto, dire. Con in più la totale assenza di smentite sull’ipotesi, tuttavia circolata, da noi e anche all’estero, del nerissimo retroterra spionistico dell’italiano e quindi della crescente credibilità dell’ipotesi che, più o meno ignaro, dai suoi padrini sia stato sacrificato per dare a una poderosa provocazione contro l’Egitto di Al Sisi (e contro i suoi rapporti economici con Italia, Russia, Cina e altri concorrenti dei capintesta Nato) la copertura di un giovane schierato con sindacati e democratici. Perfetto. Se solo da là dietro non emergesse Oxford Analytica  combinata con il ritrovamento del corpo torturato nel giorno degli accordi Cairo-Roma. Il che, insieme all’evidentissimo cui prodest derivato dalla speculazione sulla vicenda,  rade al suolo l’idea di una responsabilità del regime egiziano, solo a pensare quali sventure gliene sono venute.
 
Due personaggi in cerca d’autore
Ed ecco che in redazione arriva una velina che deve parare il colpo sia dell’eloquente riserbo di Cambridge, sia delle misteriose telefonate intercorse tra Regeni e suoi interlocutori britannici alla vigilia della scomparsa e su cui si è subito steso un chiassoso silenzio. Velina uscita dalle centrali dell’operazione Regeni come dimostrato da come l’abbiano pubblicata, ognuno manipolandola secondo la chiave ritenuta più opportuna, il Fatto e il manifesto.
 
Il nocciolo del depistaggio sta nella scoperta di intrighi e rivalità tra servizi di intelligence egiziani, con uno civile dalla parte di Al Sisi e l’altro (ce n’è anche un terzo, tra coloro che son sospesi) militare in mano ai suoi rivali. Non si può affermare, ma si implica che il secondo abbia buttato il cadavere mutilato di Regeni tra i piedi dell’odiato presidente. Dunque l’ennesima fantasticheria, stavolta intesa a rappresentare un Egitto dilaniato da forze, ovviamente tutte orripilanti, interne al  regime, con un Al Sisi debolissimo e sul punto di precipitare e, quindi, per conseguenza logica, il terrorismo sanguinario dei Fratelli Musulmani riabilitato a civile interpretazione della rivoluzione democratica del 2011. Cosa che viene utile anche per sostenere i Fratelli Musulmani libici di Al Serraj e i tagliagole e scuoiatori di neri di Misurata.
 
Il bello è vedere come il rispettivo redattore abbia colorito la velina ne Il Fatto e nel manifesto. Il Fatto Quotidiano scopre l’immancabile ma affidabilissimo “anonimo” in Turchia, dove Travaglio può permettersi di spedire un inviato che ne viene relazionato da un presunto leader dei Fratelli in esilio a Istambul, tale Amr Darrag. Nel meno abbiente manifesto, dove Chiara Cruciati  è la nuova pasionaria dei  bombardamenti su Al Sisi da parte della Fratellanza, visto che il suo fan Acconcia è passato a sostenerne la versione Nato in Libia, si fa ricorso a un meno prestigioso “anonimo”: un “attivista egiziano che per ragioni di sicurezza chiede di non essere identificato” . Comprensibile no? Mica vogliamo buttarlo tra gli zoccoli del Satana Al Sisi!
 
 
 
Anonime entrambi, le fonti dei due organi cripto-Nato, e dunque credibili. Sia quando danno per scontato che il nobile militante per gli oppressi e sfruttati Regeni sia stato liquidato dal regime, qualunque testa dell’Idra l’abbia materialmente fatto (entrambi concordano con l’attribuzione del delitto alla NS, National Security che, sentendosi scavalcata dall’intelligence dell’Esercito, si sarebbe vendicata facendo trovare accanto al corpo di Regeni – ucciso da chi? – una coperta militare. Mostruosa astuzia, non vi pare?).
Per il resto è tutto un guazzabuglio di intrighi di palazzo da far invidia a Macbeth, nel quale, con un expertise da far invidia a un Le Carré all’apice della forma, si descrive una specie di rettilario di gruppi, enti, caporioni, che di reale non hanno nulla, ma di virulenza propagandistica anti-egiziana quanto serve ai riconoscibilissimi nemici di questo ultimo grande Stato arabo unito, indipendente e perlopiù ora ricco di risorse energetiche più di tutti quelli che si affacciano sul Mediterraneo.
 
In sostanza si tratta di un tentativo per sostenere, con le solite illazioni e accuse basate su assolutamente nessuna prova, testimonianza, evidenza, i colpi di coda dello schieramento Regeni: la proposta, grottesca, di una commissione d’inchiesta parlamentare e, addirittura, la richiesta dei genitori al parlamento europeo di rompere con l’Egitto. Sullo sfondo, la solita soluzione per tutti i paesi che non marciano al passo del 4° Reich: sanzioni genocide e poi bombe. Qui c’è di sicuro un morto ammazzato. Non si sa da chi. Tutt’intorno, lungo alcuni meridiani e paralleli, sono sparsi milioni di morti ammazzati. Com’è che nessuno esige gli stessi provvedimenti contro gli assassini di costoro che, in questo caso, sono noti e confessi? Forse perché questi sono del 4° Reich? 
 
La sovrapposizione dell’anonimo turco e dell’anonimo egiziano è tale da sembrare concordata tra Travaglio e la direttrice dsel “quotidiano comunista” Norma Rangeri: Dobbiamo lanciare questa velina, tu come la metti? Io pensavo a un Fratello Musulmano scappato in Turchia, vittima di Al Sisi come Regeni… Bè, io a Istanbul non ciò nessuno, però un attivista egiziano perseguitato da Al Sisi va bene uguale….
 
I due quotidiani di cui citiamo le imprese sono pericolosi. Ti prendono per i capelli e ti trascinano con sé e contro i notabili domestici fino a pagina tot. A quel punto sei bell’e cotto e finisci fiducioso nella palude della politica estera, ti bevi secchiate di poltiglia  pensando che sia rum cubano e manco ti accorgi che i caimani ti asportano fette di cervello. L’uno vanta fuoriclasse della penna, l’altro ti seduce con l’orizzonte tracimante di “nuovi soggetti politici” che faranno rinascere la sinistra (una volta D’Alema, una Obama, una Bertinotti, una Cofferati, e poi Tsipras, Landini, Fassina, Corbyn, Sanders, … 
 
Intanto ti rifila quattro paginoni che ti raccontano un’Asia dove i cattivi veri sono i Taliban e i cinesi, un inserto redazionale (non pubblicitario) in cui mozza le gambe ai NoTriv raccontandoti quanto sia divertita e abbia imparato una scolaresca in viaggio-premio tra i pozzi dell’Eni in Basilicata (poi sigillati dal magistrato perché corpo del reato), una stroncatura per eccesso operaista del film “I, Daniel Blake” con cui Ken Loach ha trionfato a Cannes e, per contrasto, un’esaltazione della regista Cia Kathryn Bigelow e del suo spot Cia sull’Iraq “Zero Dark Thirty”, un’irrefrenabile avversione a russi, cinesi, 5Stelle e a tutti quelli che stanno sul cazzo all’imperialismo, una smodata passione per quinte colonne come curdi e Fratelli Musulmani, dire peste e corna di Trump cosìcchè ne risulti rigenerata Hillary, per finire con il sempreverde Asor Rosa che, invadendo gran parte della foliazione, insiste a ripeterci che o ci si salva con il PD e con il centrosinistra, migliore dei mondi possibili, o è la fine.
 
 

E’ la fine. Come volevasi dimostrare.

 
Pubblicato da alle ore 22:46

Francia, Hollande: “Stop manifestazioni senza tutela di beni e persone”. Valls al sindacato: “Basta proteste con violenze”

Hollande, il compagno antifascista tanto tanto accogliente…REVOCA IL DIRITTO A MANIFESTARE. Curioso, si preoccupa del bene delle persone, ED IN CHE MODO L’IMPOSIZIONE DEL JOB ACT AI FRANCESI SAREBBE UNA PROTEZIONE DELLE PERSONE????????
La reazione del presidente e del governo dopo gli scontri e gli arresti di Parigi. Il premier: “Il servizio d’ordine della Cgt è stato ambiguo nei confronti dei teppisti”
di F. Q. | 15 giugno 2016
Il presidente della Repubblica francese François Hollande ha annunciato che non ci saranno “più autorizzazioni a manifestare se non viene garantita la protezione dei beni e delle persone”. “In un momento in cui la Francia ospita gli Europei di calcio – ha dichiarato il capo dello Stato – ed è sotto minaccia del terrorismo, non si potrà più ottenere l’autorizzazione a manifestare se le condizioni di protezione dei beni e delle persone e dei beni pubblici non saranno garantite”.
 
In mattinata il primo ministro Manuel Valls aveva fatto appello alla Cgt, il principale sindacato del Paese, di non organizzare più a Parigi manifestazioni che possano sfociare in violenze, come avvenuto ieri. Valls ha anche ribadito che il governo non modificherà il progetto di riforma del lavoro. La giornata di manifestazioni di ieri si era conclusi con almeno 40 feriti e altrettanti fermati.
 
Intervistato su France Inter, Valls ha rivolto pesanti accuse al sindacato, asserendo che il servizio d’ordine ha avuto un atteggiamento “ambiguo” nei confronti dei casseur che hanno imperversato lungo tutto il corteo. Ed ha aggiunto che ieri c’erano “molti più ultrà” e teppisti del solito, 700-800. “Queste manifestazioni non possono più continuare così – ha proseguito – e faccio appello alla responsabilità di un sindacato, la Cgt, che ieri, è chiaro, è stato sopraffatto. Gli chiedo di non organizzare più questo tipo di manifestazione a Parigi. Caso per caso, ci assumeremo le nostre responsabilità”. L’articolo 2 e gli altri principali punti del jobs act, di cui la Cgt chiede il ritiro, “non possono essere modificati e saranno adottati”, ha ribadito il premier.
 
di F. Q. | 15 giugno 2016