RAGAZZINA INSEGUITA IN PIENO GIORNO DA TRE STRANIERI

Saranno ragazzine razziste con famiglie razziste? Non concedersi ai pruriti e violenze degli uomini stranieri è razzismo

 Un altro allarme: “Anche mia figlia inseguita da tre uomini”

24/marzo/2015 – 22:50

Anche mia figlia sedicenne è stata seguita in strada da tre uomini”. Un altro genitore grossetano racconta la disavventura della figlia avvenuta nella zona di via della Pace- via della Emilia, la stessa che nei giorni scorsi è stata teatro della passeggiata di una paura di una tredicenne che ha notato tre stranieri che la guardavano con attenzione. I tre, secondo quanto riferito dalla ragazzina, a un certo punto hanno iniziato a correre nella sua direzione e lei, presa dal panico, si è allontanata riuscendo a seminarli.

Per approfondire leggi anche: RAGAZZINA INSEGUITA IN PIENO GIORNO DA TRE STRANIERI

Ora spunta il babbo di un’altra giovanissima grossetana, di 16 anni. che riferisce al Corriere di aver sporto denuncia alla Polizia per quanto accaduto alla figlia: “E’ stata molestata da tre balordi nella stessa zona. Non è escluso che si tratti delle stesse persone e unendo le forze potremmo far sì che a questi soggetti venga dato un nome e vengano perseguiti”.

http://corrieredimaremma.corr.it/news/home/173038/Un-altro-allarme—Anche.html

RIVOLTA DI POPOLO IN IRLANDA CONTRO LA TASSA SULL’ACQUA: 40.000 IN PIAZZA, SCIOPERO DELLE BOLLETTE GOVERNO ”ALLARMATO”

Basta farlo fare ad un governo amico come in Italia e tranquilli, in piazza non protesta nessuno. Decreto Galli, riforma Lanzillotta, nessuno ricorda?

lunedì 23 marzo 2015

LONDRA – Per trovare un precedente storico equivalente alla rivolta che sta scuotendo l’Irlanda bisogna tornare al 1800 quando i meridionali scesero in piazza contro la tassa sul macinato imposta dal governo del neonato regno italiano per pagare i debiti contratti dai Savoia per unire l’Italia. Nello stesso modo in cui un secolo e mezzo fa si tasso’ un bene primario come la farina, anche il governo irlandese sta tassando un bene primario come l’acqua e questo perche’ i parassiti dell’Unione Europea hanno imposto  misure lacrime e sangue come contropartita per gli aiuti alle banche irlandesi responsabili di sconsiderate speculazioni finanziarie con quelle tedesche e francesi, aiuti ottenuti quando l’Irlanda appunto dovette affrontare una gravissima crisi finanziaria.

Ovviamente i cittadini irlandesi non accettano piu’ di essere spremuti come limoni e sabato scorso sono scesi a protestare per le strade di Dublino chiedendo di abolire questa odiosa tassa e ritornare al sistema precedente quando i costi venivano coperti dalla tassazione generale e i servizi idrici venivano amministrati dalle autorita’ locali.

Anche se non esistono cifre concordi riguardo il numero di manifestanti si calcola che almeno quarantamila persone (secondo gli organizzatori, 80 mila persone hanno protestato a Dublino, mentre secondo la televisione pubblica irlandese i partecipanti erano circa la metà) siano scese in piazza sabato scorso e molti di piu’ si sono dichiarati pronti a non pagare questa tassa (equivalente a 160 euro per famiglia) al fine di convincere il governo ad abolirla. Ed in ogni caso, privarlo di questo ingiusto e vessatorio balzello.

Diversi partiti di opposizione – come lo Sinn Féin, il partito di centro-sinistra a lungo associato con l’IRA – e alcuni sindacati hanno appoggiato la manifestazione.

Per ora i dimostranti hanno ottenuto di non avere un contatore per ogni casa ma la lotta continua perche’ il loro scopo non e’ tanto quello di far sparire questa tassa infame, ma di far sparire tutte queste politiche di austerita’ imposte dalla UE e sono pronti ad andare avanti fino a quando non otterranno cio’ che vogliono.

Tale rivolta – totalmente ignorata dalla stampa italiana – sta creando problemi non solo al governo irlandese ma anche ai parassiti di Bruxelles tant’e’ che tale notizia e’ stata censurata pressocche’ ovunque in Europa onde evitare che altri cittadini europei prendano esempio.

Da parte nostra continueremo a informare su ciò che sta succedendo in Iranda perche’ crediamo che tali dimostrazioni possano finalmente distruggere l’Unione Europea e mandare a casa tutti coloro che ci hanno impoverito in questi anni. Ed è bello poterlo scrivere su un giornale libero come il nostro.

GIUSEPPE DE SANTIS

http://www.ilnord.it/c-4156_RIVOLTA_DI_POPOLO_IN_IRLANDA_CONTRO_LA_TASSA_SULLACQUA_40000_IN_PIAZZA_SCIOPERO_DELLE_BOLLETTE_GOVERNO_ALLARMATO

CLAMOROSO / ARRESTI IN CORSO ALLA RAGIONERIA GENERALE DELLO STATO: RICICLAGGIO!

Il motivo, cioè i capi di accusa? Non  è dato sapere. I nomi dei coinvolti? Non è dato sapere. Ed i giornali perché non ne parlano di una cosa così grave? SA TANTO DI SPOILING SYSTEM (scacciare i fedeli di un potere per far insediare i fedeli di un altro potere)

18 marzo – ROMA – Perquisizioni sono in corso nella sede della Ragioneria generale dello Stato a Roma nell’ambito dell’operazione contro il riciclaggio della Guardia di Finanza che ha portato all’arresto di 22 soggetti, tra cui il presidente del Parma, Manenti. Tra gli arrestati, secondo quanto si apprende, ci sarebbero anche dipendenti della Ragioneria. E’ la prima volta in assoluto che accade in Italia che vengano arrestati dipendenti di questa struttura nevralgica dello Stato. La Ragioneria generale ha il compito di controllare e verificare la correttezza di tutti i conti pubblici.

http://www.ilnord.it/b-5530_CLAMOROSO__ARRESTI_IN_CORSO_ALLA_RAGIONERIA_GENERALE_DELLO_STATO_RICICLAGGIO

Agrigento, Silvio Alessi verso la vittoria delle primarie della strana coalizione Pd-Fi

Strana? Almeno hanno ufficializzato l’unione. Sel e Lega sono “gelosi” dei rispettivi partners. Finiscono in galera solo quelli del Pdl, a parità di reato ..si vede chi è il dominante in questo rapporto….

 di Alfredo Pecoraro

Mar 22, 2015  

Il presidente dell’Akragas (uomo di Berlusconi) candidato con il Pd

AGRIGENTO – Da sempre affascinato dal metodo ma mai del tutto convinto ad adottarlo, il partito di Berlusconi per la prima volta si misura con le primarie e le vince. Lo fa ad Agrigento. E lo fa in alleanza col Pd. Nella forma, i simboli dei due partiti coesistono sotto il cartello “Agrigento 2020”, ma nella sostanza a sancire l’intesa di quella che è stata ribattezzata la ‘strana alleanzà sono stati proprio i big locali dei due partiti e non solo. A vincere le primarie per scelta del candidato a sindaco di Agrigento (si vota il 31 maggio), anzi a stravincerle, è stato Silvio Alessi, l’imprenditore amico del numero due degli azzurri in Sicilia, il parlamentare Riccardo Gallo Afflitto, molto vicino a Silvio Berlusconi.

Per Alessi, patron della squadra di calcio dell’Akragas, i numeri sono bulgari: ben 2.152 voti, il triplo delle preferenze ottenute dal secondo, il rivale Epifanio Bellini, tessera Pd e dirigente del circolo “Luigi Berlinguer”, il grande sconfitto, fermo ad appena 808 preferenze. Nei gazebo, ieri, è stata una festa. Oltre 4 mila votanti. Ma nei partiti rimangono i musi lunghi, per un’operazione politica indigesta per una parte delle classi dirigenti di Pd e Forza Italia. Gallo Afflitto invece incassa una doppia vittoria, avendo portato avanti il progetto senza l’avallo del coordinatore di Fi in Sicilia, Vincenzo Gibiino, che ha subito la fuga in avanti del suo vice. Adesso, in casa Forza Italia l’imbarazzo è tangibile: sostenere Alessi rinunciando al simbolo del partito o presentare un proprio candidato?

Non meno complicati gli interrogativi in casa Pd, col proprio candidato “umiliato” ai gazebo e con i falchi dem che alzano i toni dello scontro. Tanto che il governatore Rosario Crocetta, col suo Megafono anche lui protagonista della “strana alleanza”, fa il pompiere: «Bisogna sempre rispettare il voto dei cittadini, ad Agrigento c’è una persona che viene dalla società. Non è Forza Italia ad averlo candidato ma liste civiche». Anzi, «la candidatura è stata una scelta osteggiata da Forza Italia nazionale», e ancora «siamo di fronte a una rottura, d’altra parte se si realizzano delle contraddizioni nel fronte degli avversari perché non approfittarne».

Parole che non fanno breccia tra i contrari della prima ora, come il deputato regionale del Pd, Fabrizio Ferrandelli. Il suo è un redde rationem: «Il candidato sostenuto da autorevoli esponenti locali e nazionali del Pd ha ottenuto 800 voti, molto meno degli iscritti al partito di Agrigento e solo un terzo dei voti dell’uomo di Berlusconi: basterebbe solo questo per mandare in panchina i protagonisti di questa sconfitta». Insomma «è un Pd “Afflitto”».

Un contesto nel quale il silenzio dei vertici siciliani di Pd e Fi appare assordante. Nessun commento ufficiale, preludio a scenari tutt’altro che definiti. Dopo esser stati alla finestra, adesso Udc e Ncd preparano le contromosse. In casa scudocrociato, il candidato è Lillo Firetto, deputato regionale e sindaco di Porto Empedocle, stimato negli ambienti del centrosinistra. Probabile, a questo punto, l’alleanza con Angelino Alfano, che proprio ad Agrigento ha il suo feudo elettorale: qui il leader di Ncd si gioca una partita fondamentale per tentare di rilanciare l’appeal di un partito scosso dalla vicenda Lupi. E provare a rompere la “strana alleanza” che per Sel, Lega Nord e Fratelli d’Italia non è altro che “un inciucio”.

http://www.lasicilia.it/print/31423

Aiib, che cosa nasconde la diatriba fra Usa ed Europa sulla banca di sviluppo cinese

E poi succede che “precipita” un aereo tedesco sul suolo francese…

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 19 – 03 – 2015 – Patrizia Licata

Ecco i nuovi grattacapi di Washington tra adesioni Ue, “frustrazioni” dei paesi emergenti e mancata riforma del Fmi. Mentre Tokyo teme un ridimensionamento del peso della banca di sviluppo asiatica

La conferma ufficiale dell’ingresso di Italia, Francia e Germania come membri fondatori nella Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB), la banca di sviluppo promossa dalla Cina, ha scatenato le reazioni degli Stati Uniti. Non più solo vaga irritazione, ma critiche aperte. Mentre la stampa americana commenta impietosa il “disastro diplomatico” che ha reso più “isolata” e “messo in imbarazzo” l’amministrazione Obama, l’America attacca gli alleati e cerca di correre ai ripari puntando su una rapida ratifica della riforma della governance del Fondo monetario internazionale in stallo da anni.

LE ADESIONI UE

“La AIIB, quale nuova banca d’investimento che lavorerà con le banche multilaterali di sviluppo e di investimento esistenti, può svolgere un ruolo di rilievo nel finanziamento dell’ampio fabbisogno infrastrutturale dell’Asia. In questo modo, la AIIB promuoverà lo sviluppo economico e sociale nella regione e contribuirà alla crescita mondiale”, ha dichiarato il nostro ministero del Tesoro, Pier Carlo Padoan. “Francia, Germania e Italia, operando in stretto raccordo con i partner europei e internazionali, intendono lavorare con i membri fondatori della AIIB per costruire un’istituzione che segua i migliori principi e le migliori pratiche in materia di governo societario e di politiche di salvaguardia, di sostenibilità del debito e di appalti”. Intanto il ministro delle Finanze del Lussemburgo ha confermato che il Paese ha presentato richiesta per entrare nell’AIIB e la Commissione europea ha approvato l’ingresso dei paesi Ue come strumento per rispondere alle necessità di investimento globali e preziosa opportunità per le aziende Ue.

“Welcome Germany! Welcome France! Welcome Italy!” ha scritto l’agenzia di stampa cinese Xinhua News alla quale il professor Stefano Gatti della Bocconi di Milano ha detto che “non c’è niente di poco trasparente” nell’ingresso dei paesi Ue nell’AIIB ma solo la volontà di investire in una grande economia emergente.

Un portavoce del governo dell’India (che pure è nell’AIIB) ha fatto sapere che i membri della banca di sviluppo cinese si incontreranno ad Almaty, in Kazakhistan, il 29-31 marzo per discutere gli articoli dell’accordo.

WASHINGTON: “PENSATECI BENE”

Washington non ha usato mezze parole nei confronti dei suoi alleati occidentali invitandoli a “pensarci due volte” prima di firmare il loro ingresso definitivo nella rivale della Banca mondiale. In particolare, il segretario americano al Tesoro Jacob Lew ha criticato il supporto europeo alla banca di sviluppo cinese mettendo in dubbio la governance del nuovo istituto: “Quello che ci preoccupa è se aderirà agli alti standard che gli istituti finanziari internazionali hanno sviluppato”, ha detto Lew parlando al Comitato sui Servizi finanziari della Casa dei rappresentanti. “Proteggerà i diritti dei lavoratori e l’ambiente, affronterà in modo adeguato il problema della corruzione? Spero che prima che venga ratificato l’impegno finale, chiunque voglia legare il proprio nome a questa organizzazione si assicuri che questi temi siano adeguatamente affrontati”.

IL NODO DEL FMI

La partecipazione dell’Europa riflette il desiderio di essere parte dell’economia cinese, la seconda più grande al mondo. Ma non solo. L’Unione europea e i governi asiatici sono “frustrati” dal fatto che il Congresso Usa ha bloccato la riforma dei diritti di voto all’interno del Fondo monetario internazionale – riforma che darebbe alla Cina e ad altri paesi emergenti come i Bric più voce sulla governance economica globale.

“L’AIIB è un progetto fortemente voluto dalla Cina e viene vista da molti osservatori come una ‘concorrente’ di Banca mondiale, Fondo monetario internazionale e Asian Development Bank, dove gli Stati Uniti hanno un ruolo di primo piano nel capitale e nelle scelte strategiche – ha scritto  Il Sole 24 Ore. – Da tempo la Cina chiede una riforma della governance di queste istituzioni per dare maggior peso ai paesi emergenti, ma i progetti sono in stallo al Congresso americano. La divisione delle sfere d’influenza delle istituzioni nate a Bretton Woods prevede che a capo dell’Fmi sieda un europeo e alla testa della Banca mondiale un americano, mentre nell’Asian Development Bank, la cui sede è a Manila, è forte l’influenza del Giappone. Pechino ha tentato, finora invano, di modificare questi equilibri”.

Il Congresso americano, tenendo in stallo la riforma per cambiare la governance del Fmi, mina gli interessi economici e di sicurezza nazionale degli Usa, ha indicato lo stesso Lew al Comitato sui Servizi finanziari. “La nostra credibilità e influenza internazionale è minacciata. Non è un caso che le economie emergenti guardino ad altri istituti perché sono frustrati dal fatto che gli Stati Uniti esitano ancora su delle riforme del tutto ragionevoli del Fmi”. Questo mette a rischio, ha continuato Lew, la leadership americana nelle istituzioni finanziarie globali. L’approvazione rapida della riforma della governance del Fmi da parte degli Usa “aiuterebbe a convincere le economie emergenti a restare ancorate al sistema multilaterale che gli Stati Uniti hanno contribuito a forgiare e che guidano”, ha concluso Lew.

Scott Morris, ex del ministero del Tesoro Usa, concorda. “Diversi paesi condividono la stessa sensazione: vorrebbero rendere disponibili più capitali per le infrastrutture attraverso le banche di sviluppo multilaterali ma gli Stati Uniti si ergono a ostacolo. La conseguenza è che gli Usa si sono ritrovati isolati”, afferma Morris.

LA POSIZIONE DEL GIAPPONE

Il Giappone si è allineato alla posizione americana esprimendo forti dubbi sulla credibilità della banca di sviluppo che la Cina sta creando e che minaccia di ridurre l’influenza dell’Asian Development Bank (ADB).

“Sarà in grado questa banca di assicurare una equa governance?”, osserva il Capo segretario di gabinetto giapponese Yoshihide Suga. “Terrà conto della sostenibilità dei prestiti o finirà per infliggere perdite ad altri creditori?”.

Anche per il Giappone il successo della banca di sviluppo cinese è una cattiva notizia, visto che il primo ministro Shinzo Abe sta cercando di ritagliare per il suo paese un ruolo di maggior peso sul panorama globale e di rafforzare il legami con gli Usa e altri governi per risolvere le dispute territoriali ancora in atto con la Cina.

“Washington e Tokyo si preoccupano che la Cina ora potrà espandere ulteriormente la sua influenza nella regione a loro spese”, commenta Jeff Kingston, professore di studi asiatici alla Temple University Japan.

Ma per alcuni osservatori giapponesi, “Usa e Giappone avrebbero potuto impegnarsi di più sia nell’ambito della Banca mondiale che del Fmi per accogliere gli interessi della Cina e allentare il predominio del Giappone sull’ADB. Non riuscendo a dare voce alle economie emergenti queste instituzioni rischiano di veder marginalizzato il loro ruolo nel lungo periodo. Il Giappone dovrebbe cercare di entrare nell’AIIB e usare la sua influenza dall’interno. Singapore, unica economia asiatica avanzata tra i membri fondatori dell’AIIB, spera che il Giappone entri e la aiuti a dare peso alle iniziative per forgiare la governance del nuovo istituto”.

OPPORTUNITA’ IN ASIA

Ovviamente l’AIIB non ha le stesse dimensioni dell’ADB. La banca di sviluppo cinese ha un capitale di 50 miliardi di dollari, un terzo di quello della banca asiatica controllata da Giappone e Usa (153 miliardi a fine 2014). L’ADB ha anche 67 membri contro circa 30 per l’AIIB. Inoltre l’ADB ha messo in conto di espandere le sue operazioni di lending nei paesi in via di sviluppo che ne fanno parte (15-17 miliardi di dollari dal 2017, contro gli attuali 13 miliardi). Ma l’Asian Development Bank esiste da 50 anni, quella cinese, formalmente lanciata nel 2013, sta ancora definendo il suo statuto e raccogliendo adesioni. Il ritmo di crescita potrebbe essere veloce e sia Washington che Tokyo sono intenzionate a fare di tutto per frenarlo: il ministro delle Finanze giapponese Taro Aso ha sottolineato che la firma del memorandum of understanding fatta dai paesi che hanno aderito all’AIIB permette ancora di uscirne se le loro richieste, in termini di standard e governance, non sono garantite.

“Entrando nella banca di sviluppo cinese senza trattare su adeguati standard di governance, le nazioni europee hanno dimostrato che quando si tratta della Cina si lasciano guidare dal portafoglio”, critica Thomas Wright, fellow e director del Project on International Order and Strategy della Brookings Institution. “Questo è un duro colpo ai tentativi di Usa e Giappone di convincere l’Europa ad agire per motivi diversi dalle opportunità commerciali e assumere un approccio strategico all’Asia”. Ma Kingston della Temple University Japan non è d’accordo: “Attaccarsi non porta da nessuna parte. Mi sembra perfettamente sensato per dei paesi democratici partecipare perché questo aiuterà a migliorare la governance e la trasparenza del nuovo istituto”, dice. Le necessità infrastrutturali dell’Asia sono enormi (700 miliardi di dollari annui secondo alcune analisi) “e le nuove risorse dell’AIIB non possono che essere le benvenute”.

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http://www.formiche.net/2015/03/19/banca-sviluppo-cinese-usa-europa-italia/

Processo Forteto, nuova coltellata: i giudici? Non contano niente

Si tratta solo di un processo per stupri a danno di minori e disabili. Ma se la Coop è del Pd ed il caso non riguarda Ruby CHI SE NE FREGA.

La pederastia deve anche essere “sdoganata” perché dovrà andare di moda, è politically correct.

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 Chiamato a testimoniare nel processo contro il “profeta” Fiesoli, l’ex pm del Tribunale dei minori Andrea Sodi dichiara che per 25 anni ha affidato bambini “a sua insaputa”. “Giudici e pubblico ministero non contano nulla, ratificano solo l’operato dei servizi sociali”, ha detto alla sbarra. Aggiungendo pure di aver ignorato per decine d’anni la sentenza con cui Fiesoli era stato condannato.

Va avanti il processo Forteto, che vede imputati il “profeta” Rodolfo Fiesoli e altri 22 appartenenti a quella comunità-setta del Mugello in cui si sarebbero consumati e perpetrati per decenni abusi nei confronti di minori ospitati in affidamento. L’ultima puntata ci consegna nuove fulminanti verità che dovremmo segnarci e tenere a mente per il futuro.

 Scopriamo oggi, ad esempio, che i giudici e i pm “non contano nulla”, che si limitano a mettere il timbro a decisioni prese da altri (i servizi sociali) e che possono tranquillamente permettersi di ignorare sentenze passate in giudicato (anche se riguardano esattamente le persone che dovrebbero giudicare).

Lo scopriamo dalle parole – riportate dai giornali – di Andrea Sodi, ex pm del Tribunale dei minori, nonché amico dichiarato di quello stesso “profeta” Fiesoli, che era il guru della comunità del Forteto. Chiamato a testimoniare dai legali della difesa, l’ex pubblico ministero dichiara apertamente che “giudici e pm del Tribunale dei minorenni non contano nulla, ratificano solo l’operato dei servizi sociali. Per 25 anni, ogni anno ho espresso circa 300 pareri. Ma non mai pensato di astenermi quando si parlava del Forteto”.

E beh certo, e perché avrebbe dovuto astenersi, lui che ammette “un’amicizia con Fiesoli” che parte da lontano, lui che sentiva “il dovere morale di andare a fare la spesa” al Forteto e di fermarsi a cena, lui che non si è mai accorto della catena di abusi denunciata qualche anno fa dagli ospiti di quella comunità. Ignorava perfino la sentenza che nel 1985 aveva condannato Fiesoli e il braccio destro Goffredi per maltrattamenti e atti di libidine nei confronti di minori. “Solo nel 2009 ho saputo di quella sentenza”, ammette candidamente, come se un magistrato potesse ignorare la legge. “Lo stesso Giampaolo Meucci [che allora ricopriva la carica di presidente del tribunale per i minori di Firenze] non credeva alla loro colpevolezza. Così il tribunale continuò ad affidare i minori al Forteto. Mai però mi sono sentito responsabile di quelle scelte”.

Certo, perché mai un pubblico ministero dovrebbe sentirsi responsabile delle scelte del suo tribunale?

 Eppure ai comuni mortali non è concesso ignorare le sentenze e fare come niente sia successo, non è concesso ignorare la legge, non è concesso schivare le proprie responsabilità. E’ stato concesso al tribunale dei minorenni, però.

E la chiamano giustizia.

http://democrazia-diretta.org/2015/03/19/processo-forteto-nuova-coltellata-i-giudici-non-contano-niente/

Il Congresso ha votato: “Obama fornisca armi letali a Kiev”

Il genocidio ai danni del popolo ucraino russofono piace ai democratici nostrani.

Tanto contro la guerra non scende nessuno in piazza. In piazza si scende per difendere il Pd e mafia capitale

Il Congresso in pressing sulla Casa Bianca per inviare armi letali a Kiev. Per ora Obama temporeggia

Monica Serra  – Mar, 24/03/2015 – 10:33

La Casa Bianca deve inviare armi letali all’Ucraina per aiutarla a difendersi contro l’aggressione russa e la ribellione separatista.

Glielo ha chiesto il Congresso americano, con una vasta maggiornza bipartisan, perché il Paese ex sovietico possa “proteggere la propria sovranità” e combattere i ribelli filo-russi nella guerra civile in corso nel Donbass.

Con 348 voti favorevoli e 48 contrari, la Camera dei rappresentanti ha approvato una risoluzione favorevole a fornire armi americane a Kiev. Sul tema, il Congresso americano si è mostrato praticamente compatto. C’è da dire che la risoluzione non è vincolante per il presidente Barack Obama, cui spetta in ogni caso l’ultima parola. Ma, dopo che la Camera dei rappresentanti ha detto la sua, con questi numeri, le pressioni per il presidente statunitense si fanno ancora più forti.

La deputata repubblicana della Florida lo ha accusato di perseguire una strategia attendista che abbandona a sé stessa l’Ucraina e nuoce alla sicurezza internazionale. “Ma in gioco c‘è molto più del destino di un Paese pacifico, attaccato ingiustamente”, ha sottolineato Ileana Ros-Lehtinen.

Le sollecitazioni del Congresso alla Casa Bianca ora sono state messe al voto, e il risultato è chiaro.

A Kiev, Washington fornisce aiuti economici e anche militari. Il mese prossimo quasi 300 paracadutisti americani inizieranno la formazione di soldati della Guardia nazionale ucraina, nella città occidentale di Yavoriv. Il colonnello Steven Warren, uno dei portavoce del Pentagono, ha detto che l’addestramento, previsto per la metà di marzo, inizierà ad aprile.

“Mentre continuiamo a credere che non vi sia alcuna soluzione militare a questa crisi, l’Ucraina ha il diritto di difendersi”, ha dichiarato Eileen Lainez, portavoce del dipartimento della Difesa. L’assistenza alla formazione “fa parte dei nostri sforzi per contribuire a sostenere le operazioni di difesa e sicurezza interna dell’Ucraina”, ha spiegato Lainez.

La scorsa settimana Washington ha annunciato l’invio di veicoli blindati Humvees, radar anti-mortaio, dispositivi per la visione notturna e altre apparecchiature difensive “non letali”, per un valore complessivo di oltre 75 milioni di dollari. Questo mentre, nonostante l’accordo firmato il mese scorso a Minsk che prevede un cessate-il-fuoco, in alcune aree del Paese continuano i combattimenti tra il governo centrale e i separatisti filorussi.

Obama ha sempre temporeggiato sull’invio di armi letali. Del resto anche i governi europei da tempo manifestano il timore che altrimenti si innescherebbe una guerra incontrollabile. Alla crisi non può esserci una soluzione militare, hanno ribadito anche ieri da Berlino, nell’annunciare un vertice con russi, ucraini e francesi per fare il punto sulla tenuta del cessate il fuoco in Ucraina orientale.

A questo punto è necessario aspettare per conoscere le posizioni della Casa Bianca, dopo il voto alla Camera dei rappresentanti.

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/congresso-ha-votato-obama-fornisca-armi-letali-kiev-1108747.html?utm_source=Facebook&utm_medium=Link&utm_content=Il%2BCongresso%2Bha%2Bvotato%3A%2B%22Obama%2Bfornisca%2Barmi%2Bletali%2Ba%2BKiev%22%2B-%2BIlGiornale.it&utm_campaign=Facebook+Interna

USA, pena di morte: nello Utah torna la fucilazione

Ma noi ovviamente ripetiamo a pappagallo gli anatemi ammerikani su presunti diritti umani violati negli altri paesi. L’importante non puntare il dito mai contro il padrone

 martedì, 24, marzo, 2015

Il governatore dello Utah Gary Herbert ha formato la controversa legge HB 11 che reintroduce il plotone di esecuzione per attuare le condanne alla pena di morte, quando non sono disponibili i farmaci necessari per l’iniezione letale. Il Congresso dello stato aveva approvato la legge in risposta alle limitazioni varate in diversi paesi, fra cui quelli europei, all’esportazione negli Stati Uniti di tali farmaci, proprio per impedire l’attuazione della pena capitale.

“Preferiamo usare il nostro metodo prioritario, che è quello dell’iniezione letale nel caso di condanna alla pena di morte. Tuttavia quando una giuria prende la decisione e un giudice firma la condanna, l’attuazione di tale decisione rientra negli obblighi dell’esecutivo”, ha dichiarato il portavoce, Marty Carpenter. “Chi si oppone a questa legge si oppone principalmente alla pena capitale e questa decisione nel nostro stato è già stata presa”, ha aggiunto.

Sono 34 gli stati americani in cui è in vigore la pena di morte. In tutti questi stati, l’iniezione letale è considerata il metodo principale per attuare le esecuzioni. In otto stati la sedia elettrica è il secondo metodo, quattro consentono la camera a gas, tre l’impiccagione e due il plotone di esecuzione, ha elencato Carpenter.

Adnkronos

Quel pasticciaccio brutto del Metro C di Roma. Assessore #ImprotaDimettiti

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“Apprendiamo dalla stampa che l’assessore Improta sarebbe indagato per i lavori della Metro C. Negli atti della procura il suo nome comparirebbe insieme a quello del dirigente pubblico Incalza. Chiediamo le dimissioni immediate dell’assessore ai trasporti visto che già in data 28 ottobre 2014 il M5S Roma aveva depositato un esposto alla Corte dei Conti, alla Procura ed al presidente dell’ANAC Cantone, riguardo all’accordo del 9 settembre 2013, tra Roma Metropolitane e la società Metro C che alterava gravemente il rapporto tra committente pubblico e contraente generale aumentando enormemente i costi di realizzazione dell’opera di oltre 90 milioni di Euro, come del resto contestato anche dall’allora Assessore al Bilancio Morgante, poi “dimissionata”. Abbiamo avuto la conferma dall’articolo di stampa che l’indagine riguarderebbe proprio l’accordo del 9.9.2013 e le presunte e correlate responsabilità amministrative, penali e per danno erariale a carico dei vertici della società Roma Metropolitane, del Sindaco Marino, dell’Avvocatura e dell’Assessore Improta che denunciavamo ad ottobre scorso.

E’ esattamente l’accordo che il M5S denunciava in Procura, Corte dei conti e ANAC il 30.10.2014. Alcuni articoli del giorno della presentazione dell’esposto:

da roma.it, da romatoday.it, dal blog del M5S Roma. Ovviamente i giornali tacciono oggi su questo!” I consiglieri del M5S Roma, De Vito, Stefàno, Frongia e Raggi

http://www.beppegrillo.it/2015/03/quel_pasticciaccio_brutto_del_metroc_di_roma_assessore_improta_dimettiti.html

 

‘In Ucraina un golpe targato Obama’

http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=117540&typeb=0&-In-Ucraina-un-golpe-targato-Obama-

L’ex premier in esilio Azarov: ‘La consigliera della Casa Bianca pretese un governo di unità nazionale. Gli Usa volevano farci tornare aggressivi contro Mosca.’

Redazione
 
martedì 24 marzo 2015 23:21

Intervista a Mykola Azarov a cura di Alessandro Sallusti.

È passato da poco un anno dalla rivolta di piazza che provocò la caduta del governo ucraino e la guerra civile che ha portato il mondo sull’orlo di un conflitto più esteso. Mykola Azarov, leader del Partito delle regioni, era il primo ministro che in quei giorni si trovò a gestire lo scontro tra filo russi e filo europei. Si dimise in febbraio, pochi giorni prima della caduta dell’intero governo e del presidente Yanukovich.

Braccato dagli insorti, si salvò in modo rocambolesco e ora vive esule a Mosca.

Signor Azarov, il giudizio dell’opinione pubblica europea resta confuso e diviso. Fu rivoluzione di popolo o colpo di stato?
«Guardi, durante i miei tre anni di governo avevamo tenuto l’Ucraina su una linea di buon vicinato sia con la Russia che con l’Unione Europea. Questa equidistanza non era gradita agli Stati Uniti d’America che volevano si tornasse alla politica del precedente governo di dichiarata ostilità alla Russia. Questa irritazione, e le conseguenti pressioni, l’abbiamo percepita fin da quando siamo andati al governo».

Lei personalmente subì pressioni in tal senso?
«Quando noi ci rendemmo indisponibili a sottoscrivere così come ci erano stati presentati gli accordi con l’Unione Europea, accaddero due cose contemporaneamente».

Cioè?
«Da una parte incominciarono occupazioni di uffici pubblici da parte di manifestanti spuntati dal nulla, dall’altra una incredibile e arrogante ingerenza da parte degli Stati Uniti negli affari interni di uno Stato sovrano. Venne da me la consigliera diplomatica del presidente Obama, Victoria Nuland, a pormi una sorta di ultimatum: o accettavo di formare un nuovo governo di unità nazionale che accontentasse gli anti russi oppure l’America non sarebbe stata a guardare».

E lei cosa rispose?
«Che il mio governo era stato eletto democraticamente e che aveva superato ben due voti di fiducia. Le dissi chiaramente che la politica dell’Ucraina era nelle mani del popolo ucraino e che lei non doveva permettersi di usare quei toni con il suo legittimo rappresentante».

Eppure, stando alle immagini televisive rimbalzate in tutto il mondo, la protesta contro di voi stava montando.
«Quella di concentrare una massa di persone attorno al palazzo del potere o nella piazza simbolo di una capitale, è una tecnica collaudata delle cosiddette rivoluzioni arancioni. In quei giorni avevamo in mano sondaggi secondo i quali la maggioranza del popolo ucraino appoggiava convintamente la linea del governo. Del resto bastava spostarsi poche centinaia di metri dalla piazza occupata per verificare come a Kiev la vita procedesse in modo assolutamente normale e che altre manifestazioni, di segno opposto, avvenivano in modo spontaneo un po’ ovunque nel Paese».

Secondo voi, chi alimentava la pressione della piazza?
«In quei giorni noi avevamo il controllo completo di ciò che stava accadendo. I nostri servizi segreti avevano infiltrato uomini tra i manifestanti e avemmo le prove che la piazza prendeva ordini dagli americani, che il quartier generale della protesta era nell’ambasciata Usa a Kiev, la quale provvedeva anche a finanziare in modo importante la rivolta».

E non prendeste contromisure?
«Quando la protesta passò da pacifica a violenta, con uso massiccio di bombe molotov e anche armi da fuoco contro la nostra polizia, convocammo sia l’ambasciatore americano che gli ambasciatori europei per mostrare loro le prove in nostro possesso».

Con che esito?
«Fu sconcertante. L’unica cosa che ci dissero è che noi non potevamo reagire con la forza alla violenza crescente dei manifestanti. Ci stavano insomma legando le mani».

L’Europa quindi, mi sta dicendo, si girò dall’altra parte?
«Il ruolo della Comunità europea, in quei giorni drammatici e decisivi, fu volutamente marginale e quello dell’Italia pari a zero. Entrammo in possesso dell’intercettazione di una telefonata nella quale il primo ministro polacco diceva alla responsabile esteri della Commissione europea che, contrariamente alla versione spacciata per ufficiale, i cecchini che entrarono in azione in piazza non erano filo russi ma appartenenti alla fazione a noi avversa».

La risposta della ministra?
«Gelida, come dire: è una verità scomoda, lasciamo perdere. C’era la netta volontà di insabbiare la verità per non intralciare i piani americani».

Sta dicendo che fu organizzata una operazione di “fuoco amico” per fare indignare l’opinione pubblica internazionale?
«Sto dicendo che servivano vittime da sacrificare per giustificare l’innalzamento del livello di violenza della piazza e l’assalto ai palazzi del potere. I nostri poliziotti morivano o rimanevano gravemente feriti ma il presidente Yanukovich non diede mai l’ordine di dotare i reparti speciali di armi offensive nella speranza di trovare una soluzione pacifica».

Così si arriva al 27 gennaio 2014, giorno delle sue dimissioni.
«Con grande senso di responsabilità comunicai al presidente che ero disposto a dimettermi per facilitare una soluzione della trattativa. Gli chiesi di barattare la mia testa con lo sgombero della piazza e il disarmo dei gruppi neonazisti e dei facinorosi, circa cinquemila persone, che prendevano ordini da stati esteri».

Avvenne?
«Le mie dimissioni sì. Per il resto non cambiò nulla. Anzi, la situazione peggiorava di giorno in giorno».

Ha continuato a vedere Yanukovich?
«Sì, in quelle ore ci sentivamo e vedevamo spesso».

Che cosa vi dicevate?
«Ho cercato di convincerlo che gli stavano facendo perdere tempo, che trattare con gli oppositori interni era inutile, in quanto marionette. Mi parlò di un accordo, peraltro poco onorevole, che stava raggiungendo con i ministri degli esteri di Polonia, Francia e Germania. Ma era evidente, e glielo dissi, che l’unica possibilità era quella di trattare direttamente con gli Stati Uniti, anche se loro, ovviamente, si guardavamo bene da fare aperture perché come obiettivo si erano dati solo il capovolgimento del governo».

Si arriva al 22 febbraio, giorno del colpo di stato, lei dove era?
«La sera prima avevo visto il presidente che mi aveva annunciato l’intenzione di aderire alla proposta di Polonia, Francia e Germania e che all’indomani, in cambio di grosse concessioni, la piazza si sarebbe ritirata come previsto dall’accordo. Così la mattina uscì di casa per raggiungere Yanukovich ma il capo della mia scorta mi fermò. Il palazzo presidenziale era stato preso dagli insorti, la moglie del presidente era scampata per un soffio a un attentato. Mi disse che il presidente stesso era in grave pericolo, che i ribelli avevano dato ordine di bloccare le frontiere a tutti i membri del governo. Yanukovich stava per fare la fine di Gheddafi».

In che senso?
«Gheddafi fu ucciso da bande locali ma i mandanti erano gli stati che avevano dato il via all’attacco alla Libia. Sono certo che senza la copertura politica e morale di Stati Uniti ed Europa nessuno in Ucraina avrebbe avuto la forza di uccidere fisicamente il presidente e noi membri del governo. Prendere atto di questa verità è stata la più grande disillusione della mia vita».

Il presidente Putin, nei giorni scorsi, ha rivendicato di aver salvato la vita a Yanukovich e a lei portandovi in salvo. Come è andata?
«Il presidente Putin ha voluto ribadire che in quelle ore ha compiuto una azione umanitaria nei confronti di persone amiche della Russia che non avevano fatto del male a nessuno. Osservo come le posizioni del governo della Russia siano cambiate nel tempo. All’inizio Putin ha dato la disponibilità a collaborare con il nuovo governo Ucraino ma poi sono accadute cose che hanno fatto cambiare parere. Come l’atteggiamento ostile e violento di Kiev nei confronti della Crimea e delle regioni orientali abitate da russi. Purtroppo l’Europa non conosce questi gravi fatti. Nessuno ha scritto degli assalti ai mezzi dei militari che presidiavano le regioni russe o dei massacri di civili disarmati che protestavano contro il nuovo regime. A Odessa sono state bruciate vive più di cento persone da parte dei nazionalisti ucraini. Nelle zone russofone, Kiev vuole governare col terrore».

Signor Azarov, guardiamo avanti. La tregua durerà?
«Quando noi sosteniamo che ci sono nazisti al potere a Kiev, l’Europa ci prende per bugiardi, ma è la pura verità. Come giudicate voi persone che danno ordine di bombardare interi quartieri con sistemi a lancio multiplo? A Charkiv decine di migliaia di civili sono morti, cinquemila edifici sono stati distrutti, così come gli acquedotti. La gente è al freddo in rifugi e cantine. Sono criminali, presto o tardi l’opinione pubblica internazionale verrà a conoscere questi fatti. Detto questo sono favorevole agli accordi di Minsk che hanno messo fine a questo eccidio. La Russia è pronta al compromesso, ma l’Ucraina è anche dei russi. Dire: l’Ucraina solo agli ucraini è uno slogan nazista. Gli Stati Uniti e l’Europa devono saperlo e agire di conseguenza».

Tornerà in Ucraina?
«Mi hanno inserito in una lista nera in modo del tutto arbitrario. A distanza di un anno non hanno ancora trovato un solo fatto che mi possa compromettere. Non sono però ottimista. Oggi non c’è in Ucraina un solo giudice che abbia la forza di andare contro la volontà del governo. Spero un giorno di tornare. Questa situazione non può durare a lungo. I soldi del fondo monetario purtroppo non finiranno al popolo, la crisi economica è già devastante ma farò di tutto perché il mio paese non diventi una nuova Somalia europea».

Fonte: http://www.ilgiornale.it/news/politica/ucraina-golpe-targato-obama-1108688.html.