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di Ercole Olmi
“What they can never kill went on to organize”, “Quello che loro non possono mai uccidere, è arrivare ad organizzarsi”.
Come a Woodstock nel ’69, Joan Baez ha cantato anche a Bologna la ballata Joe Hill, dedicata al sindacalista e compositore statunitense di origine svedese, organizzatore del movimento operaio, nonché un autore di canzoni popolari e rivoluzionarie. E l’ha dedicata, a sorpresa e in un italiano stentato, al «movimento pacifico dei No Tav» e alla resistenza di chi abita in Val Susa. E’ successo venerdì sera. Baez ha in programma altre due date italiane: martedì prossimo 10 marzo a Roma, all’Auditorium, Parco della Musica e giovedì 12 a Milano, al teatro degli Arcimboldi. Applausi nella gremitissima sala del Teatro Manzoni dove c’era anche Romano Prodi, dominus incontrastato della vita felsinea, democristiano di lungo corso, padre del Pd e di Renzi, indimenticabile premier antipopolare a nome e per conto anche del social-confuso popolo della sinistra italiana. Ha privatizzato più di ogni altro suo predecessore e successore, ha alzato le tasse dei lavoratori dipendenti, imposto grandi opere e missioni militari, sbattuto in faccia il Dal Molin a una recalcitrante Vicenza ma qualcuno ancora lo rimpiange.
La dedica di Joan Baez è sicuramente una mossa che difficilmente un suo collega italiano avrebbe osato fare. La scena musicale italiana è piena di contraddizioni in seno al pop: De Gregori ha votato Monti (riammazzando Pablo) e Guccini ha scelto Renzi con buona pace del suo ferroviere che s’è rischiantato contro un treno «pieno di signori». Ma anche la blasonatissima Giovanna Marini, nel 2008, firmò un appello per il voto utile a Veltroni che stava varando il suo Pd smantellando quello che restava delle conquiste di Ottocento e Novecento. Molto confusa e non si sa quanto felice, anche Carmen Consoli andò a cantare alla festa del Secolo d’Italia, il giornale dell’ex Msi. Pochi settori sono più ondivaghi e cortigiani del pop italiano. Con le dovute eccezioni.
Il Tribunale Permanente dei Popoli, in seguito a un esposto presentato dal Controsservatorio Valsusa e da numerosi sindaci e amministratori della valle, apre una specifica sessione dedicata a “Diritti fondamentali, partecipazione delle comunità locali e grandi opere”.
L’accusa è violazione di diritti fondamentali dei cittadini e delle comunità locali, imputati sono coloro che cercano di imporre il TAV e altre grandi opere violando regole democratiche e negando ogni spazio di confronto.
L’appuntamento è alle ore 9:30 di sabato 14 marzo nella nuova aula magna dell’Università alla Cavallerizza Reale – via Verdi 9, Torino
Il Tribunale Permanente dei Popoli (TPP), erede del Tribunale Russel, è composto da autorevoli personalità internazionali; da trentacinque anni indaga su violazioni di diritti fondamentali in paesi di tutti i continenti e supporta, con le sue sentenze, le lotte di popoli e comunità contro le moderne forme di schiavitù, la negazione del principio di autodeterminazione, la distruzione ambientale e le nuove manifestazioni di dittatura economica.
All’apertura della sessione a Torino saranno presenti componenti della giuria del TPP provenienti anche dalla Francia, dalla Spagna e dal Portogallo (vedi il programma). Ovviamente il “processo” – che riprenderà poi nei prossimi mesi – è aperto al pubblico: riempire l’aula magna (oltre 400 posti) sarà un forte segnale al TPP che le ragioni illustrate nell’esposto presentato dal Controsservatorio Valsusa e dagli amministratori locali sono patrimonio condiviso di una valle che non si arrende.
In un messaggio, inviato al Controsservatorio, l’intellettuale messicano Gustavo Esteva sostiene che “buona parte delle prove e degli argomenti che sono stati alla base delle sentenze del Tribunale Permanente dei Popoli in Messico, ed in altri casi, valgano anche nella Valle di Susa”. Dopo l’udienza, a Bussoleno, ci sarà un momento assembleare a cui parteciperà anche una delegazione del TPP.
ALAC & ELAC Committes/
Avec Belga/ 2015 03 10/
L’ex-Première dame Simone Gbagbo a été condamnée ce mardi matin à 20 ans de prison par la justice ivoirienne pour son rôle durant la crise post-électorale de 2010-2011, qui a fait plus de 3.000 morts en Côte d’Ivoire. Jugement inique d’un tribunal fantoche au service d’un régime illégitime, amené au pouvoir par Washington et Paris ! La Cour d’assises d’Abidjan avait été vidée de son public dans la soirée “pour des raisons de sécurité” (sic), selon le procureur général.
“La Cour, après avoir délibéré, condamne à l’unanimité” Simone Gbagbo à “vingt ans” de prison pour “attentat contre l’autorité de l’Etat, participation à un mouvement insurrectionnel et trouble à l’ordre public”, a énoncé le « juge » Tahirou Dembelé, après plus de 9 heures de délibération du jury. Le parquet général avait requis une peine moitié moindre, soit dix ans d’emprisonnement, contre l’ex-Première dame. Surnommée “la Dame de fer” ivoirienne au temps où son mari Laurent était au pouvoir, Simone Gbagbo, vêtue d’une robe bleu clair, a accusé le coup à l’énoncé du verdict, son visage se durcissant. Elle est “un peu affectée”, a déclaré Me Rodrigue Dadjé.
78 personnes – toutes appartenant au seul FPI de Gbagbo – étaient jugées à ses côtés pour leur rôle dans la crise post-électorale de 2010-2011, causée par le refus de Laurent Gbagbo de reconnaître la soi-disant « victoire » de l’actuel chef de l’Etat Alassane Ouattara à la présidentielle de novembre 2010, victoire proclamée par Ouattara avec le soutien des Occidentaux. Les violences entre les deux camps et dues aux deux camps ont fait plus de 3.000 morts en cinq mois.
Simone Gbagbo, 65 ans, est un personnage politique de premier en Côte d’Ivoire. Lundi après-midi, invitée à livrer ses derniers mots à la barre, la très dévote ancienne Première dame, faisant plusieurs références à la Bible, avait déclaré “pardonner” à la partie adverse ses “injures”. Pascal Affi N’Guessan, le patron contesté du parti pro-Gbagbo, où il est acusé d’avoir trahi Gbagbo ces dernières semaines, qui souhaite représenter le Front populaire ivoirien (FPI) à la présidentielle d’octobre, mais dont les militants ne veulent pas, a été condamné à 18 mois de prison avec sursis. Cette peine est couverte par les deux ans de détention provisoire qu’il a effectués. Michel Gbagbo, le fils de l’ex-président Gbagbo, issu d’un premier mariage avec une Française, a écopé de 5 ans d’emprisonnement.
Voir :
EODE-TV/ LUC MICHEL: COTE D’IVOIRE. VERS LA FAILLITE DU REGIME OUATTARA / SUR AFRIQUE MEDIA
Sur https://vimeo.com/120730448
ALAC & ELAC
PCN-TV & Al jadeed/ 2015 03 09/
La journaliste Rima Karaki a connu une interview pour le moins compliquée sur la chaîne libanaise Al jadeed. La vidéo, qui fait le buzz, a déjà été vue plus de 2 millions de fois sur les réseaux sociaux.
Video sur : https://vimeo.com/121707204
Le cheikh islamiste Hani Al-Seba’i, qu’elle interrogeait, s’est emporté sur elle en la rabaissant à l’antenne. Celle-ci estimait que son interlocuteur formulait des réponses beaucoup trop longues. Une remarque que Hani Al-Seba’i a plutôt mal pris, le plongeant dans une très vive colère. Ce dernier l’a alors agressée verbalement: “Vous vous croyez toute puissante?” avant d’enchaîner par un “Vous avez terminé? Fermez-la que l’on puisse parler”.
Finalement, c’est la journaliste qui aura le dernier mot, mettant fin prématurément à l’interview.
PCN-TV