La Corte dei Conti cita in giudizio 4 dirigenti del Tesoro e Morgan Stanley

monster fedin un paese o mondo normale, sta banca insieme alle altre sarebbe CONDATTA minimo all’annullamento dei debiti, SECONDO ALLA RESTITUZIONE DI TUTTO QUANTO VERSATO.

Sfortunatamente, siamo in una nazione con un governo non eletto CHE LE BANCHE LE SALVA CON I SOLDI DEI CONTRIBUENTI


ROMA (Reuters) – La Corte dei Conti ha deciso di citare in giudizio quattro alti dirigenti del Tesoro e Morgan Stanley ai quali contesta un danno erariale complessivo di 3,9 miliardi di euro per la chiusura e ristrutturazione di derivati sul debito pubblico, riferisce una fonte vicina alla situazione.
“La fase istruttoria è terminata e la Corte dei Conti chiede i danni. La prima udienza è stata fissata per aprile 2018″, ha detto la fonte chiedendo di non essere citata.
 
Il processo dovrebbe concludersi entro il luglio del prossimo anno. L’esito del giudizio può essere impugnato davanti alla sezione di appello della Corte.
Oltre a Morgan Stanley saranno giudicati l’attuale responsabile del debito pubblico Maria Cannata, il direttore generale del Tesoro Vincenzo La Via e gli ex ministri Domenico Siniscalco e Vittorio Grilli.
Alla banca americana vengono richiesti 2,7 miliardi di danni, agli altri 1,2 miliardi circa.
In caso di condanna e di mancato pagamento dei danni la Corte può procedere anche al pignoramento di beni.
 
“Esprimiamo piena fiducia nel lavoro svolto dai dirigenti e fiducia che il lavoro della magistratura possa fare chiarezza sugli episodi oggetto di accertamenti”, commenta un portavoce del Tesoro.
 
Morgan Stanley non ha commentato ma ad agosto 2016, quando il caso era emerso, aveva definito le accuse prive di fondamento.
Nessun commento neanche da Siniscalco e Grilli.
 
Tra fine 2011 e inizio 2012 il ministero dell’Economia ha versato alla banca americana circa 3 miliardi in conseguenza di una clausola di “Additional termination event” presente in alcuni contratti. La clausola, secondo la Corte dei Conti, consentiva la conclusione dei contratti a discrezione di Morgan Stanley.
I derivati hanno avuto, tra 2013 e 2016, un impatto negativo sul bilancio pubblico di 24 miliardi: 13,7 sono esborsi netti mentre 10,3 sono riclassificazioni statistiche, quel che Eurostat chiama ‘net incurrence’.
Il Tesoro ha sempre sostenuto di aver utilizzato i derivati come assicurazione contro il rischio di un aumento dei tassi, soprattutto durante gli anni peggiori della crisi finanziaria.
 
Ma, come spiegato dalla procura della Corte dei Conti a febbraio, alcuni dei contratti “evidenziavano profili speculativi che li rendevano inidonei alla finalità di ristrutturazione del debito pubblico – l’unica consentita dalla normativa per operazioni in derivati – non essendo ammissibile per lo Stato, investitore pubblico, assumersi rischi rilevantissimi”.
Mario Monti
Quando Monti bonificò 2 Miliardi e mezzo a Morgan & Stanley
…Nel silenzio assoluto, il governo Monti ha fatto un bel regalo dell’Epifania alla Morgan Stanley: 2 miliardi e 567 milioni di euro sono stati dirottati dalle casse del Tesoro a quelle della banca newyorkese. Il tutto è avvenuto il 3 gennaio scorso (2012), un mese fa, all’insaputa degli organi di informazione italiani, così attenti ai bunga bunga o ai party del premier uscente ma evidentemente poco propensi a occuparsi dell’attuale governo in carica. Sono stati gli stessi vertici della Morgan Stanley ad aver comunicato che l’esposizione verso l’Italia è scesa da 6,268 a 2,887 miliardi di dollari: una differenza di 3,381 miliardi corrispondenti a 2,567 miliardi di euro, circa un decimo della manovra “salva-Italia” varata dall’esecutivo Monti.
 
Una somma utilizzata dal governo italiano per estinguere una operazione di derivati finanziari, anche se non è chiara la ragione per cui la Morgan Stanley abbia richiesto la “chiusura della posizione”, opzione prevista dopo un certo numero di anni da quasi tutti i contratti sui derivati ma raramente applicata: il motivo più verosimile potrebbe essere il declassamento deciso dall’agenzia di rating Standard & Poor’s. Certo, finché nessuna delle due parti fornirà spiegazioni, si potrà rimanere solo nell’ambito delle ipotesi.
 
La banca newyorkese si è limitata ad annunciare trionfalmente il recupero della somma, il governo italiano non ha fornito alcuna spiegazione e i media non indagano né chiedono alcunché, né sulla gestione delle operazioni in derivati da parte del Tesoro, né sul motivo per il quale tra tanti creditori si sia scelto di onorare il debito proprio con la Morgan Stanley. Il questo modo il governo non è tenuto a spiegare perché abbia optato per il silenzio e la segretezza assoluta anziché ammettere che, mentre venivano stangati i pensionati e non solo, lo Stato provvedeva a rimborsare 2 miliardi e mezzo alla investment bank. Non sarebbe stato il massimo dal punto di vista dell’immagine e della popolarità, ma in fondo è stato lo stesso “Full Monti”, ribattezzato così proprio dalla Morgan Stanley al momento della sua nomina a premier, a dichiarare di non dover soddisfare alcun elettore, in quanto non eletto. E allore perché tace? Ha paura dell’impopolarità? (……………….)
 
Lug 04, 2017 di Giselda Vagnoni  Fonte: Qelsi.it

Israele vuole uno scontro Usa-Iran. E lo avrà

gli antirazzisti del Pd e suoi skagnozzi sedicenti antisistema AMANO le guerre umanitarie CHE TANTI MILIARDI GARANTISCONO alla loro MAFIA CAPITALE. Ben venga anche questa, quindi.

Israele vuole uno scontro Usa-Iran. E lo avrà
E’  il   titolo dell’ultimo articolo di MK Bhadrakumar, e va al cuore della questione, apparentemente caotica e incontrollata.  Bhadrakumar è un ex diplomatico indiano, a lungo ambasciatore  a Mosca e in Medio Oriente, ed uno dei più lucidi analisti della situazione dell’area.  Egli richiama l’attenzione sul dispiegamento  Usa dei lanciarazzi multipli  HIMARS (High Mobility Artillery Rocket System) “in territorio siriano, nella base militare [americana] di Al Tanf presso la frontiera tra Siria e Irak,  nel sud-est, che è attualmente zona contestata fra gruppi ribelli sostenuti dagli americani e le forze siriane governative”.
Questo spiegamento crea un fatto nuovo sul terreno. Come ha dichiarato il ministero russo della Difesa il 15 giugno, “La portata del sistema HIMARS non è sufficiente per appoggiare le unità sostenute dagli USA a Raqqa. Nello stesso tempo,  la  coalizione “antiterrorista”  guidata  dagli americani ha a più riprese attaccato le forze governative siriane presso la frontiera giordana. Dunque si può supporre che tali attacchi  continueranno, stavolta però usando gli HIMAR”.
 
Affermazioni così recise, commenta Bhadrakumar, non possono venire che da dati certi di  intelligence.  “Il punto è che gli HIMARS possono colpire l’avversario se le operazioni aeree non sono praticabili per qualunque motivo”: Ed abbiamo  visto che Mosca ha dichiarato che  ogni oggetto volante della “coalizione” sarà un bersaglio per la sua aviazione e difesa anti-aerea. Lo ha fatto dopo il proditorio abbattimento di un vecchio caccia siriano che stava attaccando l’ISIS a Raqqa. “Una cinica violazione della sovranità della Siria, una violazione flagrante del diritto internazionale e una aggressione militare contro la repubblica siriana”,  dice il  comunicato russo, durissimo.
La proditoria slealtà dell’attacco è ben sottolineata da Bhadrakumar.   “finora, gli altri protagonisti – le forze governative, Hezbollah, l’Iran, la Turchia, la Russia hanno fatto prova di una ritenutezza  assoluta per non affrontare le forze americane”, e gli Usa ne hanno approfittato.
Adesso il Pentagono piazza gli HIMARS ad Al Tanf (sua base illegale in territorio sirano),  abbatte un caccia di Damasco, e – terzo – ha  fornito 90  automezzi di armamenti alle “forze democratiche” siriane  (FDS)  – curdi anti-Assad – che stanno combattendo l’ISIS a Raqqa  “mezzi blindati, mortai, razzi termoguidati, mitragliatrici pesanti, fucili d’assalto, visori notturni,  apparati di sminamento”…ha enumerato  una fonte del FDS a Sputnik.
 
armi Usa alla “opposizione”in Siria.armi-usa-a-opposizione
Si aggiunga che l’Arabia Saudita ha annunciato di aver catturato un  barchino iraniano che secondo Ryiad stava cercando di sabotare un giacimento petrolifero  loro.  E che il Wall Street Journal ha “rivelato” (immagino  la vostra meraviglia)  che Israele è coinvolta fin dal principio, dal 2012, nel progetto di smembramento della Siria, addestrando e pagando (anche 5 mila dollari il mese)  gli elementi del gruppo terrorista Fursan al Julan 400 guerriglieri che agiscono ad Al Quneitra (70 km da Damasco), come ha ammesso il capo di costoro, tale Abu Suhaib; insieme a questa milizia, altre quattro sono armate e stipendiate da Sion  per occupare per suo conto  la parte siriana sopra al Golan occupato, che un giorno gli ebrei vogliono incamerarsi.
Insomma l’escalation  è evidente, fino al punto che ci si deve chiedere: gli Stati Uniti cosa vogliono veramente. In conferenza-stampa il 7 giugno a Baghdad, lo special envoy (il plenipotenziario)  di Trump per la “coalizione mondiale contro l’ISIS” , tale Brett McGurk, ha spergiurato  che la presenza militare Usa ad Al Tanf e dintorni è solo “temporanea”. Sì, stiamo attaccando le forze  di Assad lì, ma solo per autodifesa.  “Quando la lotta contro l’ISIS sarà finita, noi non saremo lì”.
Ma le successive aggressioni americane dicono il contrario. Dicono che  le loro forze armate e i loro “ribelli” stipendiati stanno cercando di impedire alle truppe di Assad quello che Israele considera un incubo: l’apertura della frontiera Siria-Irak, che aprirebbe una via  di terra attraverso cui Teheran può rinforzare Hezbollah – un ponte terreste di mille chilometri tra Damasco e Teheran via Al Tanf e Baghdad.
 
Il punto  è che la nota lobby, dopo aver indotto gli Usa a distruggere l’Irak di Saddam Hussein, al tempo il loro “nemico esistenziale” che non li lasciava dormire, si sono accorti che il sunnita e laico dittatore iracheno era quello che impediva l’Irak, a maggioranza sciita,   diventasse sciita, amico dell’Iran e  ed aperto al transito di  aiuti iraniani  a Hezbollah: da qui la frenesia di eliminare l’Iran, e subito subito, altrimenti l’ebreo non dorme  tranquillo. La nota lobby l’ha anche scritto, il programma per il Pentagono, in uno studio dal titolo inequivocabile, “Which Way to Persia?”, pubblicato nel 2009 dalla Brooking Institution, più precisamente da un braccio   della Israeli Lobby (uno dei firmatari è Martin Indyk, J, già direttore dell’AIPAC  American Israel Public Affairs Committee).
Nel caos di Washington, dove non si capisce più chi – sul fronte siriano e del Golfo – comanda che cosa a chi –  “Israele punta su una  conflagrazione irano-americana” scrive Bhadrakumar,”e resta da vedere in che misura l’amministrazione Trump può resistere alla pressione della lobby ebraica”.
 
Anche la Bonino è preoccupata…
Lo  teme , e molto, anche l’European Council on Foreign Relations, il quale, il 16  giugno, davanti all’escalation frenetica americana in Siria, ha  stilato una messa in guardia alla Casa Bianca: “Gli USA devono evitare una guerra con l’Iran nella Siria dell’Est”.   Il verbo  usato è “Must”, deve proprio.
“Gli stati europei”, vi si legge, “devono premere sull’amministrazione Trump, che sembra ancora in  fase di formare la sua strategia in questa  arena, di concentrare le sue energie altrove. Uno scontro con gli amici dell’Iran nella Siria orientale è destinato a probabile fallimento …ogni avanzata delle forze affiliate all’Occidente si troverà circondata dai due lati dalle varie forze pro Iran,  decise a rovinare ogni piano di destabilizzazione e  che certamente supererà, in tempo e sangue versato,  ogni volontà di presenza occidentale. E’ molto difficile che gli Usa impegnino le necessarie risorse per assicurare una possibilità di successo a lungo termine, fra cui nel formare una forza locale  sostenibile, come hanno dimostrato i ripetuti fallimenti in questo. E’ una ricetta per una guerra senza fine ad Oriente, che può anche innescare un conflitto geopolitico più vasto,  con il rischio di espandersi all’Irak e trascinarvi dentro la Russia”.
La cosa curiosa è che lo Europan Council on Foreign Relations, “pensatoio” ricopiato dallo storico Council onForeign Relations americano, è il più globalista, il più atlantico e il più americanista dei circoli d’influenza nella UE; quello che ha sempre approvato, e spinto i governi europei ad approvare, le più sinistre avventure militari israelo-americane in Medio Oriente, con la scusa del terrorismo islamico. Basti dire che nel suo direttivo figurano Emma Bonino, Joschka Fischer, Timothy Garton Ash, , Javier Solana , “ex commissari europei, ex segretari generali della NATO, il direttore generale dell’Organizzazione mondiale del commercio, nove governatori di banche nazionali, giornalisti”  (fra cui la Cuffaro del TG3).  Questo ente è finanziato dalla Open Society Foundation di Soros e dai donatori  che Soros riesce a mobilitare.
 
Cosa temono questi “europei”?  Palesemente, che la superpotenza estenda  troppo la sua attività bellica fino al punto da non poter più prevalere e dissanguarsi in decenni di costosissime operazioni e impaludamenti militari senza costrutto; con ciò, facendo mancare poi le risorse belliche a lorsignori europei, che Washington ha impegnato in una guerra fredda provocatoria contro la Russia – ed ora  rischia di essere mandata a pallino  – mandata a  rotoli,  provocando la spaccatura dell’Europa nella politica anti-russa, fino ad oggi con tanta fatica mantenuta fino ad oggi, sostenendo il governo golpista di Kiev e accentuando le posture provocatorie NATO.
Su questo,   il think tank di Emma Bonino e Soros ha anzi preparato  rapidamente uno studio   che ha sottoposto ai governi:
Fatto sta che lo European Council di Bonino e Soros “consiglia”:
“Se gli Usa vogliono investire  (sic) più sensatamente in Siria, devono essere incoraggiati a farlo nelle aree e Sud e  a Nord del Paese, non controllate dal regime, invece di lasciarsi risucchiare ad Est da ambizioni geopolitiche più vaste”. Insomma: si contenti di smembrare la Siria, di controllarne il Sud come vuole Israele, e le zone Nord  dove creerà uno stato curdo. Sono operazioni ben lungi dall’essere completate, la stabilizzazione di queste zone sotto il  controllo dei terroristi ri-legittimati opposizione armata anti-Assad e ben lontana dall’essere compiuta…
Chissà se basterà. Trump sembra meno incline a rispettare i voleri dei maggiordomi europei, e molto più quelli del regno saudita, lanciato a provocare l’Iran  allo scontro finale perché si sa coperto  da Washington e  da Sion.
Personalmente, poniamo le  nostre esigue speranze in questo:
 
Il supervulcano Yellowstone. 269 terremoti in 7 giorni  (in realtà, non così insolita frequenza)
yellowstone1
di Maurizio Blondet – 20/06/2017  Fonte: Maurizio Blondet

 

I fanatici dello Ius Soli

Non esiste soltanto il fanatismo islamico. Esiste anche un fanatismo “liberal”, laicista e politicamente corretto.  E’ il fanatismo del pensiero unico.  Da noi ha contaminato tutti, ma il Partito Democratico (che già nel nome scelto e nel simbolo dell’asinello è emblema dell’americanismo più bovino, anzi asinino)  ne è la massima espressione italica.
 La legge sullo  Ius Soli, come le unioni (in)civili, dimostra che il Pd non è un partito moderato, ma un partito estremista a fortissima componente ideologica. Un partito di fanatici dell’ideologia. E’ il Partito radicale di massa profetizzato da Augusto Del Noce. Il Pd passa per un partito moderato, di centrosinistra,  soltanto perché non è più comunista, e nemmeno socialdemocratico, ma “liberal”. Accetta il capitalismo e addirittura si è legato ai mostri della finanza mondiale. Sostiene l’atlantismo e le “guerre umanitarie” decise da Washington. Fa dell’Unione europea un riferimento irrinunciabile.
E’ quindi parte integrante del Sistema, anzi in Italia  è il Sistema. Ma ciò non toglie che di fanatici stiamo parlando.  I fanatici del pensiero unico politicamente corretto. I “liberal” (di cui sono piene le redazioni giornalistiche, i salotti buoni e i bordelli dello spettacolo) sono degli estremisti di tipo nuovo. Seguendo le linee formulate nelle università americane, vogliono rivoluzionare la società, sovvertirla, ma non in senso socio-economico, visto che le forze della globalizzazione (mercato e tecnica) sono già in sé sovversione permanente.
 
Atei espliciti o mascherati, odiatori del sacro pure quando vanno a Messa (vedi Renzi), vogliono sovvertire la famiglia – di fatto dissolverla – e l’appartenenza etnica, anche qui dissolvendola in un modello globalista di meticciato indistinto.
E’ questo il loro modello di “civiltà: il crogiolo degli uomini senza identità. Sostenitori di fatto del capitalismo culturalmente più truce e materialista, quello delle multinazionali e della finanza, riservano semmai la vessazione fiscale alla piccola e media impresa, che  ha il torto di essere ancora a misura d’uomo.
 
Inoltre, i liberal  ereditano di fatto tutti i temi sovversivi del Sessantotto pensiero,  rielaborato nelle università americane.  Mirano a  distruggere le differenze religiose, etniche, culturali, in nome di un universalismo astratto ed inumano, e al contempo vogliono liberare l’individuo da tutti i legami (religiosi, etnici, familiari, sessuali) e da tutte le identità. Sono postmoderni che vogliono portare all’estremo la logica nichilista della modernità.
Sono paramassoni che trovano  ampia sponda nell’ala più modernista e ideologizzata del clero cattolico.  Lo stesso Renzi viene dalle fila del modernismo cattolico o, come si diceva una volta, del “cattolicesimo democratico”. Fanatici del politicamente corretto, postcomunisti o modernisti cattolici , hanno trovato nell’ideologia dominante,  anticristiana ed antiumana,  la loro nuova bandiera. La stessa bandiera della plutocrazia americana dei Soros, dei Gates, dei Bezos, dei Bloomberg, dei Buffet, degli Zuckerberg  e compagnia. E naturalmente di Barak Obama il guerrafondaio, il santino dei progressisti mondiali, la cui più limpida (si fa per dire) conquista progressista fu la legge sui bagni separati per transessuali.
Tanti voti, ma non solo.
 Lo Ius Soli offrirà al Partito democratico  nei prossimi anni un bacino potenziale di circa ottocentomila voti di “nuovi italiani”. Non sono pochi. Ma l’ostinazione sullo Ius Soli non dipende solo da un calcolo elettoralistico. Dipende anche e soprattutto da questo nuovo e impressionante fanatismo ideologico. Ce li ricordiamo, i nostri liberal,  soltanto cinque anni fa, nel 2011, centocinquantesimo anniversario dell’ unità italiana, quando sventolavano il tricolore in funzione antileghista.
 
A che cosa corrisponda per loro il tricolore è presto detto: nient’altro che l’adesione a un modello astratto di patria per tutti e per nessuno. Per tutti, perché la cittadinanza italiana del modello Ius Soli va  data a chiunque o quasi; per nessuno, perché viene svincolata da qualsiasi appartenenza concreta. Intendiamoci: in fondo tutti i nazionalisti hanno sempre sacrificato le patrie locali, carnali, alla “patria ideologica”, come ha insegnato anche il grande filosofo belga Marcel De Corte. Questo è il peccato originale del nazionalismo. Ma oggi la patria ideologica è diventata nient’altro che una grande stazione di transito di esseri sradicati.  Anche quando i liberal insistono  a parlare  di Europa, di “patria europea”, non temiamo.
Per loro l’Unione Europea è solo un’unione economica senza identità, retta da astratti principi cosmopoliti e che si offre come laboratorio futuro dell’umanità meticcia (hitlerismo rovesciato modello conte di Kalergi) e magari di un futuro Stato mondiale, quello che piaceva tanto agli estensori del Manifesto di Ventotene, Rossi e Spinelli. Lo Ius Soli è “un atto di civiltà” solo per dei fanatici dell’ideologia, traviati dall’ideologia.
Questo immigrazionismo estremo non è nient’altro che un hitlerismo capovolto e che corrisponde alla nota sentenza di Nichi Vendola: “Il progresso passa dalla mescolanza delle razze”. Al posto della follia della supremazia della razza ariana, ci becchiamo oggi la follia mondialista della razza unica. Dietro alla retorica del multiculturalismo ci sta lo spettro dell’azzeramento delle culture, a cominciare naturalmente dalla nostra.
Ingegneria sociale.
La legge sullo Ius Soli, come quella sulle “unioni (in)civili”, il divorzio breve, la “stepchild adoction”, la liberalizzazione della cannabis  e simili, è una legge di ingegneria sociale. Sotto il pretesto di difendere indefiniti “diritti”, modella la società secondo un ben preciso progetto ideologico, che come ho  già scritto  non è più marxista ma “liberal”.
Non è infatti un progetto pensato da teorici marxisti, ma forgiato nelle università americane. Non è diffuso con il terrore, ma con la propaganda e la suggestione mediatica. Rimane però un progetto di ingegneria sociale.
I suoi sostenitori si dicono “multiculturalisti”, ma in quanto fedeli adepti del globalismo in realtà vogliono il pensiero unico, il mondo unico, il popolo unico, la razza unica, la lingua unica, persino il sesso unico (con infiniti “generi”).
L’uomo viene pensato come individuo atomizzato, mobile e sradicato; molti individui come massa o come “moltitudine” (Toni Negri). Mai come popolo. Perché tutti questi individui siano davvero liberi, devono emanciparsi da Dio, dalla Chiesa, dalla tradizione, dalla comunità di appartenenza, dall’etnia, dall’origine, dalla famiglia (libertinismo e femminismo) e persino dal proprio sesso (omosessualismo, transessualismo, genderismo). Tutto nel nome del magnifico mondo “liberal”, capitalista e postsessantottino, che in realtà è un mondo da incubo. Che è poi il mondo della globalizzazione, cioè dell’uniformazione tecnico-mercantile del mondo. Ed è il mondo del pensiero unico politicamente corretto, caratterizzato dal controllo mediatico delle immagini e delle notizie, e dal controllo orwelliano delle parole secondo le regole della “neolingua”.
 
L’idea che gli uomini siano intercambiabili, che basti nascere in Italia per essere italiano, è tipica del pensiero economico che trionfa con la globalizzazione. Esiste solo ciò che è misurabile, quantificabile, esistono solo gli atomi senza appartenenza costitutiva. Per il pensiero economico, Milano resta Milano anche se abitata soltanto da cinesi. E Roma resta Roma anche se abitata soltanto da marocchini. In realtà non sarebbe più Milano e non sarebbe più Roma. Ma il pensiero economico è astratto, strumentale e  calcolante, non può capirlo.  Addio radici, tradizioni, culture radicate, addio legami stabili. Deve esistere solo l’uomo massificato, desacralizzato, desocializzato, senza radici, persino senza una definita identità sessuale. Non è vero che non vi sono più le ideologie. Piuttosto, ne è rimasta soltanto una.  Forse non è la più violenta. Senz’altro per  la nostra civiltà è la più suicida. di Martino Mora – 20/06/2017  Fonte: Martino Mora

80% delle Ong lucra su immigrati

discarica ongdato che le Ong “salvano vite umane” e non lucrano, mi chiedo allora perché abbisognano stanziamenti continui e non lo facciano gratis. Dissiperebbero ogni dubbio sulla loro “moralità” o collusione. E la solidarietà per i greci stremati dall’austerity fino a prima dell’avvento del salvatore Tsipras erano la preoccupazione delle sinistre, ora stan tutti bene?

80% delle Ong lucra su immigrati
«Fino a due anni fa, qui a Chios, dormivamo con la porta aperta. Non succedeva nulla, perché ci conosciamo tra di noi. Oggi invece quasi tutti hanno un sistema di allarme o un’assicurazione sulla casa: abbiamo paura di ciò che non vediamo e di quello che non possiamo controllare. Nei mesi scorsi abbiamo subìto delle violazioni e dei furti compiuti da rifugiati che non scappano da nessuna guerra. L’isola di Chios era un bellissimo posto dove vivere o trascorre le vacanze. Ora non più. Questo gioco sinistro fra la Turchia e l’Europa ha trasformato le nostre isole in un sistema di filtraggio per migranti e rifugiati». Non è la voce di un sindaco, di un assessore o di un politico: a parlare sono persone comuni, i coniugi Nanà e Giorgios Agios che vivono nel centro storico di Chios città.
campo profughi souda isola di chios
Tutte le mattine aprono le persiane per far entrare la luce in camera da letto e destarsi dal sonno. Ma non sorridono al nuovo giorno: dicono “kaliméra” al vigilantes del campo profughi “Souda” installato sotto casa, nel cuore dell’area archeologica e monumentale della città, dove vivono circa 1200 rifugiati.
Shelter e lunghissime file di container dell’Unhcr si stendono all’interno un’area di circa 6 chilometri quadrati per poi sfociare sul porto retrostante, dove altre tende e accampamenti di fortuna incontrano i ciottoli e l’acqua dell’Egeo.
Campo profughi “Souda”, Chios, Isola di Chios. Il campo profughi è stato installato all’interno dell’area archeologica del Castello dei Giustiniani, costruito in età bizantina nel IX secolo d.C. L’installazione del campo ha contribuito in maniera determinante al crash del turismo sull’isola.
 
Per i cittadini di Chios la misura è colma: sono stanchi delle istituzioni locali che non riescono – o non sono in grado – a risolvere il problema e sono stanchi degli stessi rifugiati che continuano a generare problemi e disordini che danneggiano la microeconomia sociale dell’isola. Souda e Vial, infatti, sono stati teatri di diverse situazioni di tensione (incendi, risse e accoltellamenti) esplose a causa dei contrasti tra le diverse – forse troppo – etnie e comunità religiose che vi risiedono. La più recente è accaduta il 5 maggio 2007, quando a Vial due clan rivali si sono scontrati con lanci di pietre sollevando il malcontento e la protesta dell’intera isola.
Sino a pochi mesi fa era difficile scorgere del malcontento nelle parole dei greci. La massiccia e arretrante crisi dei rifugiati del 2015 aveva spiazzato l’intera comunità ellenica, ma i sentimenti di aiuto e di sostegno verso il prossimo avevano prevalso sul resto. Oggi invece la situazione è nettamente diversa: in Grecia e nelle isole dell’Egeo nordorientale sembra delinearsi una narrazione confusa e schizofrenica, fatta di stimoli incoerenti, un racconto scandito dall’insofferenza, dall’isolamento culturale e dalla xenofobia, e dall’altro da comunità locali e singoli individui che si fanno carico di aiutare e sostenere i rifugiati alla stregua delle Ong.
 
«Non ho mai avuto problemi nel riempire il mio locale. Siamo una conduzione familiare, ci bastava poco. Oggi invece accendo il camino per preparare la brace con cui cucino il pesce solo quando vedo entrare i clienti nel ristorante». Dall’isola di Lesbo Eirene Filautis racconta di quando il marito soccorreva «con le proprie mani» i rifugiati sbarcati lungo le battigie di Agrilia Kratigou, pochi kilometri a sud di Mitilene. Mentre si lamenta della sua situazione fa vedere sullo smartphone le immagini di palazzi occupati da rifugiati e di qualche cassonetto incendiato nel parco pubblico della città.
Mitilene, Lesbo. Eirene Filautis nel suo ristorante. «Oggi invece accendo il camino per preparare la brace con cui cucino il pesce solo quando vedo entrare i clienti nel ristorante».
È molto cortese e ospitale, come tutti i greci d’altronde. Ed è avvilente constatare che i sentimenti che aleggiano nell’aria siano molti vicini allo sconforto, alla rassegnazione e alla perdita del senso dell’altro, proprio qui dove sono nati i valori più importanti della cultura e della politica occidentale. La luce rossa che abbraccia la costa di Molivos illumina le pile, o meglio, le montagne di centinaia di migliaia di salvagenti e giubbetti di salvataggio usati dai migranti per le traversate dalla Turchia sembra avvalere questa constatazione, e purtroppo racconta anche che il problema della migrazione in Grecia è così radicato che fa parte del paesaggio.
Eftalou, Molyvos, Lesbo. Una discarica sorta al di fuori dello spazio urbano raccoglie le migliaia di salvagenti e i relitti delle barche usate dai migranti per le traversate.
 
Il flusso migratorio e l’installazione dei relativi campi hanno contribuito in maniera decisiva al crash del turismo. Nello studio del gennaio 2017 pubblicato dal Laboratory for Tourism Research and Studies dell’Università dell’Egeo curato dai professori Theodore Stavrinoudis della medesima università e da Stanislav Ivanof dell’Università di Varna in Bulgaria sugli effetti della migrazione a danno dell’economia turistica, le percentuali raccontano di un calo del 43% sull’incoming, del 36% sui ricavi e del 24% sui prezzi di mercato. Ora le battigie delle spiaggie dell’Egeo non accolgono più ombrelloni e lettini per i turisti e lasciano spazio a carcasse di animali morti.
Spiaggia di Eftalou, Molyvos, Lesbo. Nel 2016 lungo questa spiaggia sono stati trovati alcuni cadaveri di profughi morti durante il viaggio in mare. Adesso è una spiaggia deserta. Durante una passeggiata alla ricerca dei segni della migrazione lasciati sul paesaggio costiero, mi sono imbattuto in questa carcassa di un cane, morto diversi mesi prima e lasciato marcire.
 
«Tutte le mattine mi affaccio dalla finestra e spero di non vedere migranti sulla spiaggia davanti al mio locale. Siamo qui da trent’anni e abbiamo solo la stagione per lavorare, nient’alto. Per noi è difficile andare avanti perché ai turisti non interessa questa situazione. Vogliono sedersi qui fuori, rilassarsi e bere un drink. Non possono vedere certe immagini».
 
La Taverna Eftalou è deserta quando Manuel, il proprietario, spiega come sia difficile continuare a vivere di turismo in una località «invasa dai migranti. Siamo aperti solo perché qui a Eftalou ci conoscono tutti e qualcuno ci viene a trovare».
Eftalou, Molyvos, Lesbo. Manuel è il proprietario della Eftalou Tavern: «Tutte le mattine mi affaccio dalla finestra e spero di non vedere migranti sulla spiaggia davanti al mio locale».
 
Questi fugaci ritratti del popolo greco raccontano una situazione di stallo che minaccia la sopravvivenza economica e sociale della comunità ellenica ma sono in contrasto con altre realtà presenti sulle isole dell’Egeo e che lavorano in favore delle migliaia di rifugiati presenti sulle isole.
La parola spetta a Eric Kempson, scultore di origine inglese ma trasferitosi a Lesbo, che da anni offre il proprio aiuto e quello della moglie Philippa in favore dei migranti in fuga dalla Turchia. «A febbraio del 2015 abbiamo iniziato ad aiutare queste persone perché arrivavano in uno stato disastroso, da zone di guerra e con ferite di arma da fuoco. Approdavano proprio sulla spiaggia di fronte a noi. Quindi abbiamo deciso come famiglia che avremmo prestato il nostro aiuto».
La famiglia di Eric e Philippa risponde al nome di Ellenis Workshop, un laboratorio artigianale che produce manufatti artistici destinati alla vendita, il cui ricavato viene devoluto per l’aiuto ai migranti.
Ogni giorno Eric, Philippa e i volontari in visita al workshop ricevono donazioni di ogni tipo e da diversi continenti (vestiti, medicine, kit di primo soccorso, equipaggiamento termico, ecc) che vengono catalogate e distribuite alle popolazioni in difficoltà.
 
L’impegno e le voci di questo vivace gruppo che utilizza l’arte e l’artigianato come veicoli di scambio in favore della dignità umana fanno breccia in quello che è l’attuale e instabile scenario delle Ong impegnate in Grecia e nel Mediterraneo. «Io dico sempre che c’è bisogno di un organo internazionale per governare le agenzie umanitarie e le Ong, perché molte di queste fanno solo affari».
Le accuse di Erik sono taglienti, ma l’enunciazione di queste tesi deriva da anni di lavoro sul territorio di Lesbo e dalla profonda conoscenza di come si sono attuate le logiche del salvataggio organizzate dalle Ong: «Nell’ottobre del 2015 hanno detto che sull’isola erano presenti circa 120 organizzazioni non governative. Io sostengo che l’80% di queste Ong erano corrotte, unicamente impegnate nel fare soldi da questa catastrofe».
di Luigi Avvantaggiato Benedetto Sanfilippo – 19/06/2017 Fonte: Gli occhi della guerra

 

La polizia tedesca ordina: non dite la verità sul terrorismo islamico

Il Corriere del Ticino, principale testata del gruppo che dirigo, ha pubblicato questa mattina un documento riservato del Bundeskriminalamt (BKA) la Polizia criminale tedesca. Si intitola «Come agire in presenza di attacchi terroristici” e contiene le linee guida sulle informazioni da trasmettere alla stampa in queste circostanze. L’intenzione è lodevole: evitare il diffondere di allarmismi, ma le conseguenze pratiche sono sorprendenti. E inquietanti.
 
La premessa dà già il tono:
“Nell’anno elettorale 2017 non ci sarà alcun attentato, almeno se si sarà in grado di evitarlo. Ciò significa che, non importa quanto siano sicuri dei fatti i funzionari in campo, davanti alla stampa e all’opinione pubblica, per cominciare, si deve negare sempre tutto. Lo staff di consulenza del Governo ha bisogno di tempo per illustrare l’accaduto e per mettere insieme un racconto credibile agli occhi dell’opinione pubblica».
Capito? E ancora:
«Le lettere di rivendicazione devono essere citate solo se necessario, ma senza fornire particolari. In caso di dubbio, escludere l’attacco terroristico. Divulgare la teoria dell’autore singolo, come pure quella della persona psichicamente disturbata. In aggiunta: evitare sempre, per cominciare, di parlare di IS (Stato islamico, n.d.r.) o di Islam».
L’autore dello scoop, Stefan Müller, cita un esempio concreto: l’attentato di Dortmund dell’11 aprile contro il bus dell’omonima squadra di calcio. La polizia, dopo una decina di giorni, annunciò che era stato compiuto da Sergej W. (28.enne russo-tedesco nel frattempo arrestato a Tubinga), che aveva ordito l’attentato per speculare in Borsa. Versione, che all’epoca aveva suscitato non poche perplessità. Dal documento scoperto dal Corriere del Ticino si scopre che era giunta una rivendicazione dell’Isis, mai però comunicata ai media. Inevitabile chiedersi adesso: Chi è stato davvero? Sergei o un fanatico del Califfo?
 
 
Due pagine del documento della BKABKA docu
Molto interessante anche la parte del documento in cui, rilevando un netto aumento dei fenomeni terroristici in Europa, si osserva che il quadro è andato peggiorando con «l’apertura delle frontiere da parte di Merkel». Ovvero la Polizia criminale tedesca avvalora l’equazione che le sinistre tendono a liquidare come un pregiudizio o un teorema populista: più immigrati fuori controllo, più terrorismo. La BKA parla di un traffico di passaporti rubati usati dagli attivisti dell’Isis in Europa.
«Dieci milioni di visitatori stranieri all’anno entrano in Germania con passaporti falsi o rubati. In tal senso è possibile correlare la quantità di passaporti rubati con Al Qaeda (IS) e le attività terroristiche islamiste».
 
Sono menzognere anche le cifre sull’immigrazione clandestina, almeno quelle comunicate in Germania. Leggete questo passaggio del rapporto:
«La percentuale degli ingressi illegali è cresciuta del 70%. I colleghi italiani prevedono l’arrivo di circa 350 mila, fino a 400 mila migranti dall’Africa nell’anno 2017. Verso l’esterno, alla stampa e ad altri media, indichiamo una cifra di 250 mila unità».
E lo stesso vale per i crimini ordinari commessi dagli immigrati. Nel 2015 erano 309 mila, nel 2016 sono saliti a 465 mila. Queste cifre, peraltro, non contengono reati contro l’asilo e la socialità.
Ma “ai media – si legge nel rapporto – si parla rispettivamente di 209 mila reati e di 295 mila». Ben 170 mila in meno.
Decisamente esplosivo questo passaggio del rapporto:
«Mai parlare di migranti economici. La sollecitazione giunge direttamente dal ministro della Cancelleria e dal portavoce del Governo. Queste indicazioni sono tassative, per chi non le rispetta sono previste sanzioni severe, procedure disciplinari e il licenziamento dalla polizia».
Sia chiaro: le autorità, da sempre, si riservano una certa discrezionalità nel diffondere le notizie più sensibili o per proteggere agenti infiltrati. Non dicono mai tutta la verità, com’è ovvio. Ma il quadro che emerge da questo rapporto va oltre i normali confini dell’intelligence.
 
Quando si modificano sistematicamente le statistiche, quando si tenta di dissimulare gli attentati fino a dare istruzioni per fabbricare versioni credibili agli occhi dell’opinione pubblica, quando un governo vieta di parlare di “migranti economici” si è in presenza di un metodo per la creazione di Post Verità governative o, se preferite, di una manipolazione sistematica delle informazioni.
E tutto questo al fine di non turbare il processo elettorale, dunque di non intralciare la campagna elettorale della cancelliera Merkel.
Cose che capitano nella democratica Germania.
di Marcello Foa – 20/06/2017 Fonte: Marcello Foa