Chiudono le Officine delle mappe De Agostini: Novara perde un secolo di storia

foto-de-agostini-novara.scale-to-max-width.825x150 famiglie ne subiranno le conseguenze, colpa dei fascisti se perdono il lavoro e NON ESISTE REDDITO DI CITTADINANZA, tanto se poi non sono più in grado di pagare le bollette si staccano le utenze, se non possono pagare più le tasse rifiuti ed altre miliardi di gabelle si perseguitano ed additano come evasori e poi ci pensa Equitalia. La democrazia dei diritti e della civiltà
 
Chiudono le Officine delle mappe De Agostini: Novara perde un secolo di storia
È l’azienda che da inizio Novecento ha stampato libri, atlanti e le mappe appese nelle aule delle scuole italiane. La proprietà l’aveva ceduta nel 2013 puntando su altri settori
Il presidio dei lavoratori davanti ai cancelli non si è mai interrotto, anche se da quando all’interno della fabbrica i macchinari non ci sono più, è chiaro a tutti il destino delle storiche Officine Grafiche di Novara: in questi giorni sarà il Tribunale di Novara a mettere la parola fine a una fetta importante della storia della città e dell’editoria italiana, durata oltre un secolo. Era da questa fabbrica che, fin da inizio Novecento, uscivano i best seller della De Agostini: le carte geografiche appese nelle aule delle scuole, i grandi atlanti, i libri, perfino il Corano più grande del mondo, 2 metri e 28 centimetri d’altezza, l’ultima fatica degli operai novaresi nel 2012. Un tutt’uno con la casa editrice, raccontano gli operai, che si è interrotto definitivamente nel 2013, quando la famiglia Boroli decise di tagliare l’ultimo cordone ombelicale cedendo le Officine di stampa a un’altra società. Una questione finanziaria, ma non logistica: le Officine Grafiche non hanno mai lasciato il palazzone di corso della Vittoria a Novara dove hanno sede gli uffici De Agostini.
 
UN SECOLO DI CARTE GEOGRAFICHE
La storia delle Officine Grafiche va di pari passo con quella della De Agostini, cresce insieme alla casa editrice nel cuore operativo dell’azienda, sfrutta e risente delle innovazioni tecnologiche, si adatta al mondo che cambia velocemente, ai nuovi materiali. E deve fare i conti con l’arrivo del digitale, con le mappe di Google e la realtà aumentata, con l’esigenza di tradurre le indicazioni di carta su altri supporti, con gli inevitabili cambiamenti dell’editoria. Era il 1901 quando Giovanni De Agostini fondò la casa editrice a Roma, il 1908 quando si trasferì a Novara e le carte dello storico Istituto Geografico venivano prima incise a mano su lastre di pietra, poi stampate su carta a formare i primi grandi atlanti. Nella sede di viale della Vittoria l’azienda grafica, guidata dai fratelli Boroli, si spostò negli Anni Cinquanta e qui rimase, continuando a stampare in proprio.
 
Dalle lastre di pietra al digitale: così sono cambiate in un secolo le carte geografiche
 
 
«ERA IL CUORE DELLA DE AGOSTINI»
«Erano centinaia le ore necessarie solo per fare l’idrografia di una mappa, venivano disegnate a mano, e poi messe in bella incidendo le lastre di pietra, per cui serviva molto personale, quando sono entrato io erano praticamente tutti novaresi» racconta Giuseppe Motta, che dagli anni Sessanta alla pensione ha diretto il settore cartografia dell’Istituto Geografico De Agostini. Il settore stampa era il cuore dell’azienda: negli anni Settanta viene formalmente separato dalla casa editrice ma continua a stampare al 90% prodotti De Agostini, dà lavoro a un migliaio di persone, più altri 600 della Legatoria del Verbano, a Gravellona Toce, dove i prodotti vengono assemblati. «Adolfo Boroli visitava spesso i reparti di stampa, vedeva subito se c’erano errori, i lavoratori sapevano che il loro lavoro era capito, non c’era il distacco di oggi tra chi conduce un’azienda e chi ci lavora». Dopo la morte dei fratelli Adolfo e Achille Boroli, l’azienda passa ai discendenti: il gruppo Boroli-Drago decide a fine 2012 di cedere il 100% delle quote delle Officine Grafiche a Tim Management, una società che si occupa di ristrutturazione aziendale. L’attività di stampa verrà affidata ad altre aziende.
 
E nel 2014 le macchine si fermano: «Il settore della libraria ha perso importanza col tempo – commenta Motta -, l’azienda ha scelto di investire nella finanza e sicuramente si rimane addolorati ora a passare davanti alle Officine grafiche ormai chiuse. Tutto quello che si è fatto nel passato, cioè esportare i prodotti novaresi nel mondo attraverso gli atlanti, è stato perso di vista e c’è un certo rincrescimento per questa scelta». Anche l’Istituto Geografico, nel palazzo di corso della Vittoria, non c’è più: gli ex cartografi e geografi si sono messi in proprio senza lasciare Novara, hanno fondato Geo4Map e continuano a fare il loro lavoro, puntando sul digitale.
 

LA STORIA/I CARTOGRAFI DELL’EX DE AGOSTINI SALVATI DAI SEGRETI DI MARTE

 
LA PROTESTA DEI DIPENDENTI
Ai cancelli delle Officine Grafiche ormai chiuse ci sono ancora gli striscioni, ultimo ricordo della protesta sindacale. Un operaio indica il fast food dall’altra parte della strada: «Lo vede? Là fino a poco tempo fa c’era la nostra mensa, mi pare indicativo delle intenzioni della proprietà». Nei mesi scorsi erano comparsi altri cartelli che chiedevano l’intervento della famiglia Boroli: «E’ vero che formalmente dal 2013 non sono più proprietari di Officine Grafiche, ma i muri in cui ha sede l’azienda sono loro, era qui che facevamo la stampa per la De Agostini, e dall’oggi al domani i proprietari hanno deciso di vendere tutto, ma questa azienda era nata e cresciuta con la De Agostini».
 
Officine, gli operai ai cancelli: “Ci hanno abbandonati”
Ora i dipendenti in cassa a zero ore sono 143: «Hanno venuto tutti i macchinari, i muri sono rimasti della famiglia hanno ottenuto dal comune di poter trasformare da zona industriale e commerciale, hanno 50mila metri quadri di superficie per costruire e noi siamo in mezzo a una strada. I loro genitori sono partiti da qua a costruire l’impero insieme ai nostri genitori, e poi lasciano dietro 150 famiglie». Il lavoro c’era, dicono gli operai: «Abbiamo lavorato fino all’ultimo giorno facendo straordinari, il lavoro che potevamo fare noi ora è stato affidato ad altre aziende».
Pubblicato il 13/02/2016 elisabetta fagnola novara

Da De Benedetti a Marcegaglia: Mps prestava soldi ai ricchi che non li restituivano

sono i piccoli imprenditori e gli artigiani ad aver “rubato” al sistema bancario vero, (lo disse il Bomba)? Siamo certi che la Ue, le banche, il fisco, il governo andranno a bussare alle porte di pensate-al-popoloquesti signori amici del PD (compreso l'”antagonista” Silvio) Ricapitoliamo, loro si tengono i soldi, non rischiano certo né Equitalia né il suicidio, E NOI CON LE STANGATE VARIE E TASSE RIPIANIAMO IL LORO DEBITO

Viene fuori che il 70% delle insolvenze è concentrato tra i clienti che hanno ottenuto finanziamenti per più di 500mila euro. In totale si tratta di 9.300 posizioni e il tasso di insolvenza cresce all’aumentare del finanziamento.”

Fra i debitori che non hanno onorato i debiti verso il Montepaschi c’è anche Giuseppe Garibaldi. Incidenti che capitano alla banca più antica del mondo. Evidentemente anche in tempi non sospetti, a Siena sentivano il fascino della camicia rossa. Ma soprattutto rivelavano una certa reverenza nei confronti dei poteri forti. Preferibilmente in odore di massoneria.
 
Nell’archivio della banca c’è questa lettera dell’Eroe dei Due Mondi: «Signor Esattore mi trovo nell’impossibilità di pagare le tasse. Lo farò appena possibile». Correva l’anno 1863 e non sapremo mai il destino di quel debito.
 
C’è anche da dire che a Siena avevano una certa dimestichezza con i protagonisti del Risorgimento. Fra il 1928 e il 1932, infatti, la banca era entrata in possesso della tenuta di Fontanafredda che Vittorio Emanuele II aveva regalato alla Bella Rosina. Gli eredi se l’erano fatta espropriare per un debito non pagato. Un npl (non performing loans) in versione reale.
 
Giuseppe Garibaldi e i nipoti della moglie del Re che non poteva diventare Regina.
 
A Siena sono sempre stati molto trasversali nella scelta dei loro clienti. E anche le sofferenze rifiutano il monocolore. Così fra i clienti che non hanno rimborsato figurano la Sorgenia della famiglia De Benedetti e Don Verzè che, grazie anche all’amicizia con Silvio Berlusconi aveva fondato l’ospedale San Raffaele portandolo anche al dissesto con un buco di duecento milioni. Dagli archivi risultava anche, almeno fino all’anno scorso, una fidejussione di 8,3 milioni che il Cavaliere aveva rilasciato a favore di Antonella Costanza, la prima moglie del fratello Paolo. La signora aveva acquistato, per nove milioni, una villa da sogno in Costa Azzurra e poi aveva dimenticato di pagarla. A Siena, però, conoscevano bene la famiglia Berlusconi e si fidavano. Erano stati i primi a credere nella capacità imprenditoriali di Silvio e non se n’erano certo pentiti.
Non altrettanto bene però, sono andate le cose con il gruppo che fa capo a Carlo De Benedetti, l’eterno rivale del Cavaliere. Sorgenia, il gruppo elettrico guidato da Rodolfo, primogenito dell’Ingegnere, ha lasciato un buco da 600 milioni. Le banche hanno trasformato i debiti in azioni. Ora sperano di trovare un compratore. Il cuore di Sorgenia è rappresentato da Tirrenia Power le cui centrali sono localizzate in gran parte fra la Liguria e l’Italia centrale. Naturale che Mps fosse in prima linea nel sostenere l’investimento e oggi a dover contabilizzare le perdite.
 
Ma i problemi di Mps non si fermano alla Toscana e zone circostanti. La forte presenza in Lombardia attraverso la Banca Agricola Mantovana ovviamente l’ha portata in stretti rapporti d’affari con il gruppo Marcegaglia che ha sede da quelle parti. Fra l’altro Steno, fondatore dell’azienda siderurgica, era stato uno dei soci della Bam che aveva favorito l’ingresso di Siena. Tutto bene fino a quando al timone è rimasto il vecchio. Poi è toccato ai figli Antonio ed Emma. Complice la crisi economica, hanno accumulato un’esposizione di 1,6 miliardi che le banche hanno dovuto ristrutturare aggiungendo altri 500 milioni.
 
Ma a parte questi nomi eccellenti chi sono gli altri debitori che hanno mandato in crisi la banca più antica del mondo? La ricerca non è facile. Il gruppo dei piccoli azionisti del Monte guidato da Maria Alberta Cambi (Associazione del Buongoverno) ha cercato l’identità delle insolvenze. I dirigenti della banca si sono rifiutati di rispondere schermandosi con le regole della privacy. Qualcosa, però, hanno detto. Non i nomi ma almeno la composizione.
Viene fuori che il 70% delle insolvenze è concentrato tra i clienti che hanno ottenuto finanziamenti per più di 500mila euro. In totale si tratta di 9.300 posizioni e il tasso di insolvenza cresce all’aumentare del finanziamento. La percentuale maggiore dei cattivi pagatori (32,4%) si trova fra quanti hanno ottenuto più di tre milioni di euro. Ovviamente un tasso di mortalità così elevato sulle posizioni più importanti apre molti interrogativi sulla gestione. Anche perché la gran parte dei problemi nasce dopo l’acquisizione di Antonveneta. Prestiti concessi nel 2008 che finiscono a sofferenza nel 2014. Certo sono gli anni della grande crisi. Ma non solo. La scansione dei tempi dice anche un’altra cosa: Mussari e Vigni hanno concesso i crediti. Profumo e Viola hanno dovuto prendere atto che erano diventati fuffa.
giovedì, 29, dicembre, 2016
di Nino Sunseri – –  LIBERO

Elenco immobili di Bersani: ne ha per un miliardo di euro

additiamo il giornalista di stalkeraggio. Siamo certi che il kompagno solidale Bersani come tutti loro, dividono e condividono la loro fortuna con i più deboli, magari lavoratori licenziati, SFRATTATI, disoccupati, anziani malati e terremotati vero? Sono o no la società civile antirazzista? Bello vivere senza pensare ai debiti vero? E gli anatemi contro gli evasori dove sono andati a finire?bersani

Elenco immobili di Bersani: ne ha per un miliardo di euro
 
I partiti, anche quelli che non esistono più, hanno moltissime case. Chi è il più ricco? Il segretario dei democratici
 
Forse non lo sanno nemmeno loro, ma al catasto non hanno dubbi. La più grande immobiliare di Italia è quella della politica. E il palazzinaro per eccellenza di Palazzo è Pierluigi Bersani. Incrociando come dovrebbe Attilio Befera i dati dei registri delle Camere di commercio con quelli di Sister dell’Agenzia del Territorio, Libero è stato in grado di disegnare la prima vera e completa mappa immobiliare della politica italiana. I partiti politici, le loro organizzazioni territoriali, i circoli, le società immobiliari controllate direttamente e indirettamente hanno in mano oggi 3.805 fabbricati sparsi in tutta Italia e 928 terreni.
Le loro rendite catastali, agrarie e dominicali sommate ammontano a circa 2,8 milioni di euro, che ai fini della nuova Imu di Mario Monti indicherebbero un valore fiscale di circa 500 milioni di euro. In media per avere un valore reale di mercato bisognerebbe più che raddoppiare questa cifra, arrivando quindi a circa 1,2 miliardi di euro.
Di questa somma l’80% circa riguarda proprietà immobiliari che risultano ancora in capo alle forze politiche in cui pianta le sue radici il Pd. Significa che sparso ovunque e gelosamente custodito  in forzieri, fondazioni e strutture territoriali, Bersani può contare su un patrimonio immobiliare che vale quasi un miliardo di euro in caso di valorizzazione.
 
Gran parte è intestato ancora al Partito democratico della sinistra e alle sue strutture territoriali (unità di base, federazioni regionali, comunali e territoriali di varia natura), nonché alle immobiliari che risultano ancora di sua proprietà. Solo nell’area Pci-Pds-Ds-Margherita-Ppi-Pd sono 831 i diversi codici fiscali che risultano intestatari di fabbricati.
Vecchie sezioni – Fra questi ci sono sicuramente le sezioni del vecchio pci, che risulta ancora intestatario al catasto di ben 178 fabbricati e 15 terreni. Ma vedendo numeri di vani e caratteristiche di ciascun immobile, è difficile che proprietà accatastate come abitazioni di 12 o 14 vani o uffici di metrature ancora più ampie possano corrispondere al classico identikit delle vecchie sezioni territoriali.
I democratici di sinistra controllano gran parte del patrimonio immobiliare attraverso le nuove fondazioni che ha costituito con pazienza il tesoriere Ugo Sposetti.
Particolarmente ricche quelle umbre e quella di Livorno. Fra Pds, Pd, Ds e vecchio Pci sono ben più di 3 mila i fabbricati di proprietà. E non è manco detto che ci sia una mappatura completa, e che le varie federazioni di sigle ormai in disarmo ne abbiano l’esatto controllo. Non è escluso che qualche vecchio amministratore locale non ne abbia nemmeno fatta menzione al partito.
 
La mappa immobiliare è comunque l’unica che rende in qualche modo tangibile il fantasma più classico di ogni partito politico: quello del bilancio consolidato. Per capire quanti soldi sono girati e girano, e quale è la forza economica bisognerebbe infatti mettere insieme i conti nazionali che vengono resi pubblici con i rendiconti delle centinaia di strutture territoriali che invece sono nascosti.
 
Forza economica – L’emergere di tante proprietà immobiliari fa comprendere meglio di ogni altra cosa come il Pd sia il partito che ha alle sue spalle la forza economica più impressionante della politica. L’unica cosa che non si capisce è come gli amministratori locali di Bersani continuino ad impiegare fondi che il partito gira alle strutture territoriali nell’acquisto di nuovi immobili.  A Genova, dove non mancano certo proprietà delle varie sigle che stanno alle spalle del Pd, è stato comprato un appartamento da 5 vani nel 2010.
A Crespino, in provincia di Rovigo, quattro fabbricati. A Montecchio, provincia di Reggio Emilia, acquistati nell’aprile 2011 addirittura due terreni erbosi. Acquistati immobili e terreni nel piacentino. Così nello spezzino, dove esisteva una celebre immobiliare del pds. Sarà forse un buon investimento in momento di crisi, perché certo il mattone dà più soddisfazione e sicurezza dei fondi in Tanzania. Resta difficile comprendere perché nella sinistra italiana faccia tanto ribrezzo potere prendere una sede di partito o un ufficio per i propri dirigenti in banale affitto come accade a molte altre forze politiche.
 
Il papa laico – Re Bersani a parte, dalla banca dati della Agenzia del Territorio emergono molte sorprese: tutti i partiti ufficialmente morti e sepolti hanno ancora appartamenti e perfino palazzine di un certo valore.
 
Dalla Dc al partito socialista. Ne posseggono anche partiti che certo non hanno invaso le cronache politiche, come quello del Papa laico o quello dell’armonia. Ma la sorpresa delle sorprese viene dal partito nazionale fascista, che non solo è morto, ma è stato sciolto per legge. Tutti i suoi beni sono passati al demanio pubblico, ma l’operazione non è riuscita per quattro fabbricati e due terreni. Uno di questi risulta ancora di proprietà del Pnf e dato un uso ad Anagni, nel frusinate, al Fondo edifici di culto del ministero dell’Economia.