Torino-Lione – Il futuro del progetto – Lettera Aperta all’Unione Europea

passa il tempo e la Torino-Lione avanza così lentamente che pare ferma.

Ma, mentre la Pandemia svolge il suo lavoro, i promotori delle Grandi Opere continuano a scagliare i loro messaggi salvifici, un esempio: https://www.lastampa.it/economia/2020/03/03/news/ecco-le-10-grandi-opere-che-posso-dare-una-scossa-alla-nostra-economia-1.38541560?refresh_ce

 Questi mesi di “confinamento” ci hanno impedito di organizzare delle manifestazioni visibili, ma dobbiamo tuttavia continuare ad alzare barricate con i nostri argomenti: abbiamo già fatto conoscere la nostra opinione, ma ora vogliamo insistere.

Come sapete il finanziamento Grant Agreement scaduto il 31 dicembre 2019 sarebbe stato prorogato dalla CE al 2022: se nel Bilancio UE 2021-2027 saranno confermati i fondi alla Torino-Lione, entro il 2027 TELT potrebbe realizzare quasi tutto il tunnel di base grezzo, ossia senza l’arredamento ferroviario (5° Lotto costruttivo: Attrezzaggio tecnologico € 1714, 30 milioni, che potrebbe verosimilmente essere realizzato con PPP, eliminando quindi la necessità per la Ue e per Italia e Francia di finanziare integralmente questo importo).

Cfr. Delibera CIPE n. 67/2017, pagina 9 : Quinto Lotto costruttivo (Lotto 5) Attrezzaggio tecnologico. Il quinto Lotto costruttivo della fase di realizzazione delle opere principali prevede l’attuazione dei seguenti interventi relativi all’attrezzaggio  tecnologico dell’intera sezione transfrontaliera della nuova linea ferroviaria Torino – Lione. Tale lotto non è ancora coperto da finanziamento; nel merito degli aspetti economico-finanziari, la Commissione Intergovernativa ha chiesto di valutare la possibilità di un Partenariato pubblico privato.

Dato che l’Unione europea decide e finanzierà al 55% il progetto del tunnel di base della Torino-Lione, abbiamo pensato di inviare una Lettera Aperta alla Commissione e al Parlamento Europeo, e al Presidente del Consiglio Conte per informazione.

Come PresidioEuropa abbiamo sollecitato da qualche mese alcuni MEPs che in parte ci hanno seguito scrivendo lettere alla Commissione europea.

Si tratta ora di coinvolgerli nuovamente in vista dei prossimi decisivi passaggi del finanziamento al Parlamento europeo.

E’ scritto in questa lettera:

Di fronte alla catastrofe sociale ed economica generata dalla Pandemia Covid-19 in corso siamo quasi imbarazzati a voler ostinatamente difendere la nostra lotta contro la Torino-Lione.

Ma di fronte agli appelli sconsiderati dei promotori delle Grandi Opere, da loro definite “la soluzione” per il dopo Pandemia, sentiamo l’urgenza, la responsabilità e l’obbligo di essere ancora più decisi nella nostra opposizione.

Gli argomenti inseriti nella Lettera aperta sono forti e precisi:

  • si parla ancora una volta della Torino-Lione come di un Crimine Ambientale,
  • è proposto un emendamento CO2 alla Legge Europea sul Clima di prossimo esame da parte del Parlamento Europeo per garantire che ogni investimento dell’Unione europea sia proprio “Verde” nello spirito dell’Accordo di Parigi,
  • si chiede la cancellazione del finanziamento europeo al progetto,
  • si chiede la cancellazione delle “Spese Militari europee”,
  • si chiede la creazione di un Fondo di Solidarietà per debellare laPovertà in Europa” che colpisce il 22% della popolazione ed è crescente, è un argomento al quale dobbiamo dare voce:
  • si afferma che cancellare la Torino-Lione e le spese militari significa assegnare molti miliardi di € a progetti per il contrasto delle povertà.

Il testo sarà tradotto nei prossimi giorni in francese e inglese.

Grazie per l’attenzione e per ogni commento.

PresidioEuropa No TAV

LETTERA APERTA

– alla Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen

– al Presidente e ai Membri del Parlamento europeo

– al Presidente del Consiglio italiano

Fermare le grandi opere inutili 

per aiutare le popolazioni nella crisi seguente alla Pandemia

 Il Bilancio europeo 2021-2027 dovrà essere profondamente modificato

Nell’Unione Europea vi sono 112 milioni di poveri

Occorre cancellare il finanziamento europeo della Torino-Lione

e le spese militari dell’Unione europea

SIAMO CITTADINE E CITTADINI EUROPEI e vogliamo mettere in guardia le Istituzioni europee e il Governo italiano sul rischio che politiche sbagliate potranno causare danni maggiori della stessa Pandemia COVID-19 in atto. Nel giro di poche settimane la Pandemia si è diffusa rapidamente in Europa e nel mondo, con immediate gravi conseguenze: milioni di persone si sono contagiate e centinaia di migliaia sono morte.

Ma, accanto alla diminuzione di contagiati e di morti, assistiamo al rapido e violento indebolimento delle economie a livello planetario e il conseguente aumento delle diseguaglianze, della disoccupazione e delle povertà.

Molti scienziati e la Banca Mondiale affermano l’esistenza di una evidente correlazione tra la Pandemia e il Cambiamento Climatico che è provocato dalle politiche della crescita infinita e dagli investimenti senza ritorno nelle Grandi Opere che devastano il Pianeta.

La Carta di Tunisi del 2013, che unisce associazioni e movimenti popolari che si battono contro la costruzione di Grandi Opere Inutili e Imposte, ha indicato nei Mega Progetti una delle cause del disastro ecologico con rilevanti conseguenze negative per l’umanità. La realizzazione di Mega Progetti infrastrutturali, ai quali le politiche neoliberiste attribuiscono da decenni il ruolo di “strumento ideale” per la crescita dell’economia e per l’aumento del benessere degli abitanti del Pianeta, assorbe ogni anno circa l’8% del PIL mondiale.

SIAMO CITTADINE E CITTADINI EUROPEI e da trent’anni lottiamo contro la Torino-Lione, un mega progetto ferroviario che costerebbe € 26 miliardi, imposto ai contribuenti in Italia, in Francia e in Europa, inutile, senza ritorno economico, UN VERO CRIMINE CLIMATICO.

Di fronte alla catastrofe sociale ed economica generata dalla Pandemia siamo quasi imbarazzati a voler ostinatamente difendere la nostra lotta, ma di fronte agli appelli sconsiderati dei promotori delle Grandi Opere da loro definite “la soluzione” per il dopo Pandemia, sentiamo l’urgenza, la responsabilità e l’obbligo di essere ancora più decisi nella nostra opposizione.

La Torino-Lione è una delle opere volute dall’Unione Europea per creare sviluppo e coesione degli Stati membri nell’ambito TEN-T finanziato dal fondo CEF. In realtà si tratta di progetti di linee ferroviarie che minacciano l’ambiente con l’arroganza dei loro costi e dimensioni, rappresentano un modello di “sviluppo” sbagliato e un sistema di trasporti disomogeneo e inefficace secondo la Corte dei conti europea che non crea benessere e coesione ma diseguaglianze sociali.

E’ dimostrato che la Torino-Lione contribuisce pesantemente al cambiamento climatico.

Ma, non ostante la presente drammatica situazione, la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha affermato il 2 aprile scorso che “Il bilancio europeo 2021-2027 è il più forte e più importante strumento di risposta alla crisi generata dalla Pandemia per la ripresa a lungo termine”.

La sua è una dichiarazione superba e temeraria: il Bilancio pluriannuale dell’Unione Europea redatto dalla Commissione europea nel 2018 rappresenta la continuazione della normalità ed è la sintesi delle politiche neoliberiste che hanno contribuito allo squilibrio generale delle economie e allo stesso Cambiamento Climatico, deve essere profondamente modificato.

AFFERMIAMO che di fronte a questa volontà di “ritorno alla normalità” espressa dalla Commissione europea, la “normalità è la causa dei problemi”, il cambiamento e la solidarietà sono la soluzione.

DENUNCIAMO la campagna delle lobby delle Grandi Opere che pretende di fare partire centinaia di cantieri definiti “il toccasana per il rilancio dell’economia dell’Unione europea”.

CHIEDIAMO l’approvazione di un emendamento CO2 alla Legge Europea sul Clima affinché, nello spirito dell’Accordo di Parigi, ogni opera infrastrutturale sia sottoposta a valutazioni indipendenti dell’impronta di carbonio nelle fasi di costruzione e di esercizio per l’ottenimento del finanziamento della UE.

CHIEDIAMO la cancellazione del finanziamento europeo della Torino-Lione, un progetto inutile, senza ritorno economico, climaticida, che sottrae preziose risorse economiche ai bilanci dell’Unione europea, dell’Italia e della Francia.

CHIEDIAMO la creazione un Fondo di Solidarietà finanziato dal Bilancio 2021-2027 per l’immediato sostegno dei cittadini poveri che sono 112 milioni nell’Unione Europea e il loro numero è in aumento.

Per finanziare il Fondo di solidarietà sarebbero sufficienti la forte riduzione degli investimenti CEF previsti per le infrastrutture di trasporto civili e militari (€ 33,5 Mld) e la cancellazione delle spese militari europee per circa € 35 Mld (Security and Defence 24,3 Mld. e European Peace Facility 10,5 Mld).

Coronavirus, non solo tosse e febbre: tutti i segnali del Covid-19

https://www.adnkronos.com/salute/2020/04/08/coronavirus-non-solo-tosse-febbre-tutti-segnali-del-covid_t1R2gNtaPvFyimVS7uYQEN.html?fbclid=IwAR0vcbji0-Iz5s_noa4mCPJowutz8uSymxA4aNLjUaf1eYpzTOOJD9ocw5Y

 Coronavirus, non solo tosse e febbre: tutti i segnali del Covid-19

Pubblicato il: 08/04/2020 17:16

Covid-19 una malattia dai mille volti. Lo sanno bene i medici di ogni parte del mondo che stanno curando i contagiati, e che ogni giorno imparano qualcosa in più sugli effetti del nuovo coronavirus, sui sintomi e i ‘danni’ che provoca all’organismo umano. Dunque a tosse e febbre, i primi ‘segnali’ registrati in ordine di tempo, si sono aggiunti con il passare dei giorni la perdita dell’olfatto, spesso associata alla mancanza del senso del gusto, ma anche – più recentemente – sintomi gastrointestinali, dermatologici, cardiaci. A descrivere le diverse forme cliniche con cui si manifesta l’infezione, ma non solo, sono le pubblicazioni scientifiche che ‘lievitano’ di giorno in giorno. 

Lavori scientifici che evidenziano anche la complessità del profilo clinico e biologico di alcuni pazienti: ad esempio sono stati illustrati casi di infezione asintomatica in alcune persone che presentavano però, dal tampone naso-faringeo, una carica virale simile a quella osservata nei pazienti sintomatici. Allo stesso modo, ci sono stati casi di pazienti moderatamente sintomatici che avevano anomalie polmonari significative visibili agli esami del torace. Questa una rassegna delle principali pubblicazioni scientifiche, segnalate dal quotidiano francese ‘Le Monde’, che mostrano la complessità della malattia causata dal Sars-CoV-2 e che aggiungono, di volta in volta, nuove tessere al puzzle ancora molto incompleto delle conoscenze.

INFLUENZA E COVID-19 – Naso che cola, febbre, tosse, lombalgia, affaticamento: i primi sintomi di Covid-19 sono paragonabili a quelli dell’influenza. E’ comprensibile che non sia stato facile distinguere tra queste due patologie lo scorso gennaio in Cina, come evidenziato da un caso riportato l’11 marzo sulla rivista ‘Emerging Infectious Diseases’. La storia è quella di un uomo di 69 anni ricoverato al China-Japan Friendship Hospital di Pechino per febbre e tosse secca. Il paziente, che si era recato a Wuhan tra il 18 dicembre 2019 e il 22 gennaio 2020, ha iniziato a manifestare sintomi il 23 gennaio. Lo scanner toracico ha poi mostrato immagini anomale del polmone destro. Il suo recente viaggio nella città epicentro dell’epidemia allerta l’assistenza sanitaria. I tamponi nasofaringei sono negativi per Sars-CoV-2, ma positivi per l’influenza A.

Il paziente lascia l’ospedale, ma i medici gli chiedono di rimanere confinato a casa. Le sue condizioni cliniche si stanno deteriorando, per cui viene ricoverato di nuovo in ospedale. Gli esami toracici questa volta mostrano un danno polmonare diffuso, che indica una sindrome respiratoria acuta grave. Il quarto test diagnostico Pcr sull’espettorato è ancora negativo. Eseguono quindi una broncoscopia con la raccolta di liquido bronco-alveolare. Sofisticati esami di biologia molecolare rivelano finalmente la presenza di materiale genetico di Sars-CoV-2 nel fluido bronco-alveolare, e il test Pcr (esame della proteina C-reattiva rilasciata nel sangue poco dopo l’inizio di un’infezione, un’infiammazione o un danno ai tessuti), risulta positivo. Questo caso clinico mostra la difficoltà di diagnosticare Covid-19 in caso di falsi risultati negativi su campioni nasofaringei ma positivi per un altro virus respiratorio.

PAZIENTI POSITIVI ANCHE DOPO LA ‘GUARIGIONE’ – Un’altra situazione complessa è quella dei pazienti curati da Covid-19 in cui il virus Sars-CoV-2 continua a essere rilevabile. I radiologi e i biologi dell’ospedale di Hongnan dell’Università di Wuhan hanno riferito il 27 febbraio sul ‘Journal of the American Medical Association’ (Jama) il caso di 4 pazienti, operatori sanitari, che erano stati esposti al coronavirus. Tutti hanno un test Pcr positivo e gli Rx al torace mostrano immagini polmonari anormali.

In questi 4 pazienti la malattia di Covid-19 è da lieve a moderata, dunque viene permesso loro di lasciare l’ospedale dopo che l’équipe medica ha osservato la risoluzione dei sintomi e delle anomalie polmonari, nonché la mancanza di rilevamento dell’Rna virale in due serie di campioni di vie aeree superiori a intervalli di 24 ore. A seconda dei casi, tra 12 e 32 giorni trascorsi tra l’insorgenza dei sintomi e la cura.

Non solo: al momento della dimissione dall’ospedale e alla fine della quarantena il test Pcr su campioni respiratori tra il 5 e il 13esimo giorno continuano ad essere positivi. Casi emblematici, questi, che suggeriscono quindi come una piccola percentuale di pazienti curati può ancora essere portatore del coronavirus.

SINTOMI GASTROINTESTINALI – Sono diversi gli studi che descrivono la presenza di sintomi gastrointestinali nell’infezione da Sars-CoV-2. Alcuni casi, registrati in Cina, riferiscono di pazienti Covid-19 che come primo sintomo hanno avuto diarrea e addirittura, in casi più rari, i pazienti hanno solo sintomi gastrici senza quelli respiratori. Pubblicato il 28 marzo sull”American Journal of Gastroenterology’, uno studio retrospettivo ha coinvolto 204 pazienti di età media 54 anni. Di questi più della metà, 103 pazienti, ha avuto uno o più sintomi gastrointestinali, in 97 casi accompagnati a quelli respiratori gli altri no. In totale il 18% dei pazienti analizzati ha presentato almeno un sintomo gastrointestinale specifico (diarrea, nausea, vomito o dolore addominale), e spesso ha anche un aumento del livello di enzimi epatici. Gli autori dello studio hanno anche notato che il periodo che intercorre tra l’insorgenza dei sintomi gastrointestinali e il ricovero è significativamente più lungo (9 giorni) rispetto agli altri (7 giorni).

Ma come si spiega questa sintomatologia? I ricercatori avanzano diverse ipotesi. In primo luogo, Sars-CoV-2 è simile al coronavirus responsabile della Sars (Sars-CoV). Entrambi usano il recettore Ace2 come ‘porta d’ingresso’ nelle cellule che infettano. Il virus della Sars provoca danni al fegato aumentando l’espressione del recettore Ace2 nel fegato, quello del nuovo coronavirus può anche danneggiare, direttamente o indirettamente, il sistema digestivo attraverso la risposta infiammatoria del corpo. Diversi studi hanno anche dimostrato la presenza del materiale genetico del virus nelle feci (fino al 53% dei pazienti analizzati). Infine, la presenza di coronavirus può interrompere il microbiota intestinale, e per questo sono in corso studi per analizzare l’impatto della Sars-CoV-2 sulla flora batterica intestinale.

A conferma della presenza dei sintomi gastrointestinali, c’è anche uno studio italiano, condotto da ricercatori dell’Università Sapienza e Tor vergata di Roma, pubblicato sulla rivista ‘Cureus Journal of Medical Science’ – che ritiene questi sintomi una importante ‘spia’ del coronavirus, dal momento che in alcuni casi compaiono prima ancora dei classici problemi respiratori o addirittura restano gli unici sintomi di Covid-19. Da qui l’invito dei ricercatori a non sottovalutarne la comparsa, come spesso accade.

TRASMISSIONE ORO-FECALE – Su questo tema ci sono ancora pochi studi, dunque è difficile trarre conclusioni su una trasmissione del virus attraverso questa modalità. Ma uno studio pediatrico cinese, pubblicato il 13 marzo su ‘Nature Medicine’, ha mostrato che in 8 bambini il virus era presente nelle feci, mentre i campioni nasofaringei erano negativi. Una evidenza, questa, che lascia aperta la possibilità di una trasmissione oro-fecale da feci infette.

Allo stesso modo, uno studio cinese pubblicato l’11 marzo sul ‘Jama’, condotto su 205 adulti con Covid-19, ha rilevato attraverso la Pcr la presenza di coronavirus nel 29% dei campioni fecali (44 su 153 analizzati). Particelle virali vitali sono state osservate anche nella microscopia elettronica in quattro campioni di feci di due pazienti che non avevano diarrea.

Infine, uno studio dell’Università cinese di Hong Kong, pubblicato il 28 marzo sul ‘Journal of Microbiology, Immunology and Infection’, ha evidenziato che Sars-CoV-2 può restare nell’apparato digestivo più a lungo che in quello respiratorio. Il coronavirus infatti scomparve dalle vie aeree all’incirca entro 2 settimane dal calo della febbre, mentre l’Rna virale era talvolta rilevabile nelle feci per più di 4 settimane. Anche in questo caso, la persistenza del virus nelle feci fa propendere sull’ipotesi di una possibile trasmissione oro-fecale. Tutti questi risultati sottolineano ancora di più l’estrema importanza dell’igiene, in particolare il lavaggio delle mani, per evitare – anche se non ancora confermata – una eventuale trasmissione oro-fecale.

SINTOMI DERMATOLOGICI – Molto recentemente, anche le manifestazioni cutanee legate a Covid-19 hanno attirato l’attenzione dei dermatologi. In questo caso di quelli lombardi che, nella fase emergenziale, si sono trovati, come gli altri medici, in prima linea. Le loro osservazioni quotidiane si sono tradotte in uno studio, pubblicato il 26 marzo sulla rivista ‘European Academy of Dermatology’. Un articolo anomalo, per questa branca della medicina, perché privo di fotografie, in quanto ai medici era impossibile girare da una stanza all’altra con una macchinetta potenzialmente contaminata dal virus.

In totale, degli 88 pazienti studiati, 18 (20%) hanno presentato manifestazioni cutanee: 8 all’inizio della malattia e 10 durante il ricovero. Si trattava di eruzioni cutanee eritematose (arrossamento), orticaria diffusa o addirittura vescicole, lesioni più spesso concentrate sul tronco che guarivano in pochi giorni, non proporzionali alla gravità della malattia, e che assomigliavano più ai sintomi osservati nelle comuni infezioni virali.

DANNI CARDIACI – Un tema molto dibattuto è quello dell’impatto delle patologie cardiache sulla mortalità da Covid-19, alla luce dei più recenti dati clinici. I primi dati arrivano il 24 gennaio, quando i medici dell’ospedale Jin Yin-tan di Whuan descrivono sul ‘Lancet’ le caratteristiche cliniche di 41 pazienti cinesi ricoverati in ospedale per polmonite e infettati da quello che all’epoca non aveva ancora un nome, ed era noto come il nuovo coronavirus. Cinque di questi pazienti hanno un coinvolgimento cardiaco acuto, il 12% della coorte presa in esame. Due settimane dopo, il 7 febbraio, un team dell’ospedale Zhongnan di Wuhan riferisce sul ‘Jama’ le complicazioni sviluppate da 85 pazienti ricoverati per polmonite associati al nuovo coronavirus. Di questi, circa il 16% ha avuto aritmie e il 7% un infarto.

Recentemente è stato confermato che la sindrome respiratoria acuta grave legata al Sars-CoV-2 può talvolta essere accompagnata da un danno al miocardio. Gli studi hanno valutato il livello ematico di marker cardiaci, sostanze normalmente presenti nel muscolo cardiaco, ma che vengono rilasciate nella circolazione solo se il miocardio è danneggiato o necrotico. Medici dell’ospedale universitario Renmin di Wuhan hanno descritto in uno studio pubblicato il 27 marzo sul ‘Jama Cardiology’ l’importanza delle malattie cardiache in termini di mortalità. Il loro studio ha coinvolto 416 pazienti ricoverati per Covid-19. Circa il 20% dei pazienti ha avuto un danno cardiaco definito da un’elevato aumento nel sangue della troponina, spia di sofferenza miocardica.

Rispetto ai pazienti senza malattie cardiache, quelli che hanno sviluppato questo tipo di lesione erano più anziani (età media 74 anni contro 60 anni). La presenza di una patologia preesistente (ipertensione, diabete, malattia coronarica, insufficienza cardiaca, malattia cerebrovascolare) era più frequente nei pazienti che hanno avuto un coinvolgimento cardiaco. Ma soprattutto, i pazienti con patologie cardiache erano quelli più (il 58%) presentavano un disturbo respiratorio acuto rispetto agli altri (4%). Tra questi, il tasso di mortalità era significativamente più alto (51%) rispetto ai pazienti senza coinvolgimento cardiaco (4,5%).

QUALI I POSSIBILI LEGAMI TRA COVID-19 E CUORE – Si studia, ma resta ancora da capire, come un coronavirus possa provocare un danno cardiaco. Sempre basandosi sulla letteratura scientifica e nulla altro, andando indietro nel tempo, vediamo che nel 2006 uno studio condotto su 121 pazienti colpiti dalla Sars aveva mostrato la presenza di ipertensione nella metà dei soggetti studiati (61 persone). Tra questi, circa il 72% aveva tachicardia, che di solito scompariva spontaneamente e non era associata a un rischio di morte. Una situazione, quella descritta nel 2006, diversa però da con ciò che osserviamo con Sars-CoV-2. Infatti, i cardiologi dell’ospedale Renmin di Wuhan riportano che oltre la metà dei pazienti Covid-19 che hanno sviluppato un danno cardiaco durante il ricovero sono morti.

Ma la questione è ancora molto dibattuta e assolutamente aperta. Diverse evidenze scientifiche hanno mostrato, come anche nella Mers, che il danno cardiaco potrebbe essere direttamente causato dal coronavirus nella misura in cui il recettore Ace2, porta d’ingresso del virus nelle cellule umane, è fortemente espresso nel cuore. Da qui l’ipotesi del coinvolgimento del recettore Ace2 nei danni cardiaci osservati nei pazienti Covid-19.

Non sembra però che le cose siano così semplici. In effetti, un recente studio di anatomopatologia ha scoperto che, all’autopsia, poche cellule infiammatorie risultavano effettivamente infiltrate nel tessuto cardiaco dei pazienti. Inoltre, le lesione miocardiche non sono significative. Sembrerebbe quindi che il virus Sars-CoV-2 non sia direttamente responsabile del danno cardiaco, dunque sono necessari ulteriori studi per determinare se il virus stesso può causare danni al muscolo cardiaco.

LA ‘TEMPESTA DI CITOCHINE’ – Le cardiopatie acute possono derivare da quella che gli immunologi chiamano “tempesta citochinica”, un massiccio rilascio di molecole infiammatorie prodotte dal sistema immunitario, fortemente ‘impegnato’ a lottare contro un’infezione virale. Questa reazione incontrollata, legata a una sovrapproduzione di questi messaggeri chimici prodotti dalla continua attivazione delle cellule immunitarie (linfociti, macrofagi), è pericolosa per la vita in quanto è responsabile di infiammazione generalizzata, instabilità della pressione sanguigna e deterioramento del funzionamento di diversi organi (insufficienza multiviscerale). I pazienti con Covid-19 ricoverati in terapia intensiva hanno dimostrato di avere alti livelli ematici in citochine, tra cui interleuchina e Tnf-alfa. Queste molecole infiammatorie potrebbero portare alla morte dei cardiomiociti, cellule muscolari cardiache.

I ricercatori del Renmin Hospital dell’Università di Wuhan riferiscono di aver registrato livelli significativamente alti dei marcatori di infiammazione (Crp, procalcitonina) in pazienti con malattie cardiache. Il 27 marzo uno studio pubblicato sul ‘Jama Cardiology’, condotto da medici dell’ospedale universitario di Wuhan su 187 pazienti Covid-19, ha riportato risultati simili. Circa il 28% dei pazienti ha sviluppato malattie cardiache, definite da un importante aumento dei livelli ematici di T troponina. Gli autori hanno scoperto che la mortalità era significativamente più alta nei pazienti con alti livelli di troponina T rispetto a quelli con livelli normali di questo marcatore cardiaco. Il tasso di mortalità era rispettivamente del 59% rispetto al 9% circa.

Rispetto ai pazienti con livelli normali di troponina T, quelli con alti livelli avevano un più alto tasso di complicanze: distress respiratorio, gravi disturbi del ritmo cardiaco, insufficienza renale acuta, disturbo emorragico acuto. La presenza combinata di malattie cardiovascolari preesistenti e di alti livelli di troponina T è stata associata durante il ricovero a un alto livello di mortalità (69%). Un valore significativamente inferiore (35%) nel gruppo di pazienti che sono con malattie cardiovascolari ma senza alti livelli di troponina T. E ancora: il tasso di letalità era del 13% tra i pazienti senza malattie cardiovascolari preesistenti e con un normale livello di troponina T. Queste informazioni, che arrivano in tempo reale dalla comunità scientifica, sono dunque della massima importanza perché indicano che Covid-19 può non solo aggravare una condizione cardiovascolare preesistente ma anche indurre danni muscolari cardiaci significativamente associati a un aumento della mortalità.

Coronavirus, truccata la prima gara per 24 milioni di mascherine: imprenditore in manette

https://www.lastampa.it/cronaca/2020/04/09/news/turbata-asta-consip-per-mascherine-arrestato-un-imprenditore-1.38697962?ref=fbpp&fbclid=IwAR2dOyJtBSb2DAQwC7dBzC9d4E6xc_49Vv54oxlBmL9DB3A7PjqRaawpjyc

Indagine lampo della Finanza: arrestato Antonello Ieffi. Il gip: “Puntata d’azzardo giocata sulla salute pubblica”. La gara bandita da Consip valeva 15,8 milioni 

LaPresse
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ROMA. Turbativa d’asta e inadempimento di contratti di pubbliche forniture. Con questa accusa i finanzieri del comando provinciale hanno arrestato Antonello Ieffi, 42 anni, indagato dalla procura di Roma dopo la denuncia presentata dalla Consip con riferimento a una serie di anomalie riscontrate nell’ambito della procedura di una gara, del valore complessivo di oltre 253 milioni di euro, bandita d’urgenza per garantire l’approvvigionamento di dispositivi di protezione individuale e apparecchiature elettromedicali in un momento di grande emergenza a causa del coronavirus.

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In particolare, il lotto numero 6 della gara, dell’importo di circa 15,8 milioni di euro, relativo alla fornitura di oltre 24 milioni di mascherine chirurgiche, era stato aggiudicato dalla Biocrea Società Agricola a Responsabilità Limitata.

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La stessa Biocrea, con la sottoscrizione di apposito accordo quadro con Consip, si era impegnata, tra l’altro, alla consegna dei primi 3 milioni di mascherine entro 3 giorni dall’ordine. Sin dai primi contatti con la stazione appaltante pubblica, finalizzati all’avvio della fornitura, però, Ieffi, che interloquiva per conto dell’impresa sebbene non risultasse nella società, lamentava l’esistenza di problematiche organizzative relative al volo di trasferimento della merce, asseritamente già disponibile in un punto di stoccaggio in Cina.

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Permanendo l’inadempimento alla data di scadenza prevista nel contratto per la prima consegna di mascherine, attraverso la collaborazione dell’Agenzia delle Dogane, è stata effettuata presso l’aeroporto cinese di Guangzhou Baiyun un’ispezione, che accertava l’inesistenza del carico dichiarato.

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I successivi approfondimenti hanno fatto emergere a carico di Biocrea anche pregresse posizioni debitorie per violazioni tributarie, per oltre 150 mila euro nei confronti dell’Erario – non dichiarate in sede di procedura dalla società che, di converso, aveva invece falsamente attestato l’insussistenza di qualsiasi causa di esclusione –. Tale situazione ha comportato l’esclusione di Biocrea dalla procedura e l’annullamento in autotutela da parte di Consip della intervenuta aggiudicazione.

L’indagine della Finanza, coordinata dal procuratore aggiunto Paolo Ielo, ha consentito di dare pieno riscontro dei fatti denunciati e fornire ulteriori elementi idonei a rinforzare il quadro accusatorio, grazie anche alle intercettazioni telefoniche. 

Ieffi, essendo gravato da precedenti sia giudiziari (seppure non ancora definitivi) che di polizia, che avrebbero potuto inficiare la partecipazione alla gara, ha cercato di dissimulare la riconducibilità a sé della Biocrea, nominando come amministratore, in concomitanza con la pubblicazione del bando, un prestanome, cui ha poi “ceduto” l’intero capitale sociale al prezzo di € 100.000, da corrispondere però tra due anni. Inoltre, le risultanze acquisite hanno dimostrato come la Biocrea, che ha un oggetto sociale del tutto estraneo al settore merceologico relativo alla gara («coltivazione di fondi, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse»), fosse una “scatola vuota” destrutturata, caratterizzata da un vero e proprio stato di inoperatività, sintomatica della originaria e assoluta inidoneità della stessa, per totale assenza di dipendenti, strutture, mezzi e capitali, a far fronte alle obbligazioni nascenti da un contratto come quello originariamente aggiudicato.

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Eppure, nonostante la palese incapacità operativa e finanziaria della Biocrea, Ieffi ha partecipato all’appalto. Non solo. Persa la partita sulle “mascherine”, Ieffi si era immediatamente riorganizzato per provare ad aggiudicarsi un altro appalto pubblico, questa volta relativo alla fornitura di guanti, occhiali protettivi, tute di protezione, camici e soluzioni igienizzanti, per un valore complessivo di oltre 73 milioni di euro, utilizzando altro soggetto giuridico, la Dental Express H24 Srl che, però, era come Biocrea, senza patrimonio ma in più aveva un membro del cda con precedenti penali. Il gip della Capitale, definisce i comportamenti dell’imprenditore, come: «Una puntata d’azzardo, giocata sulla salute pubblica e su quella individuale di chi attendeva, e attende, le mascherine». 

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Consip, turbativa d’asta nella fornitura di 24 milioni di mascherine: un arresto

https://www.ilsole24ore.com/art/consip-turbativa-d-asta-fornitura-24-milioni-mascherine-arresto-AD0XSEJ?fbclid=IwAR378feJwdpWDRFny_wEAZ8tRCzFeP-2vdgq-cAHGTW7inmcJsgvK1p2QQE&refresh_ce=1

L’inchiesta dei pm e della Guardia di finanza di Roma sulla maxi commessa da 253 milioni (15,8 milioni relativi alle mascherine) bandita d’urgenza

di Ivan Cimmarusti

(ANSA)
(ANSA)

3′ di lettura

Turbativa d’asta dell’appalto Consip da 15,8 milioni di euro per la fornitura di 24 milioni di mascherine chirurgiche. In manette è finito l’imprenditore Antonello Ieffi, 42 anni, accusato anche di inadempimento contrattuale. L’indagine è del Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza di Roma, al comando del colonnello Gavino Putzu.

L’indagine dei pm di Roma
L’inchiesta nasce nasce da una tempestiva denuncia effettuata da Consip alla Procura della Repubblica di Roma, con riferimento a una serie di anomalie riscontrate nella gara del valore complessivo di oltre 253 milioni di euro, bandita d’urgenza per garantire l’approvvigionamento di dispositivi di protezione individuale e apparecchiature elettromedicali.

Il lotto incriminato
In particolare, il lotto n. 6, dell’importo di circa 15,8 milioni di euro, relativo alla fornitura di oltre 24 milioni di mascherine chirurgiche, veniva aggiudicato alla Biocrea Società Agricola a Responsabilità Limitata. La società, con la sottoscrizione di apposito Accordo Quadro con Consip, si impegnava, tra l’altro, alla consegna dei primi 3 milioni di mascherine entro 3 giorni dall’ordine. Sin dai primi contatti con la stazione appaltante pubblica, finalizzati all’avvio della fornitura, però, Ieffi, che interloquiva per conto dell’impresa sebbene non risultasse nella compagine societaria, lamentava l’esistenza di problematiche organizzative relative al volo di trasferimento della merce, asseritamente già disponibile in un punto di stoccaggio in Cina. Permanendo l’inadempimento alla data di scadenza prevista nel contratto per la prima consegna di mascherine, attraverso la collaborazione dell’Agenzia delle Dogane, veniva effettuata presso l’aeroporto cinese di Guangzhou Baiyun un’ispezione, che accertava l’inesistenza del carico dichiarato.

Il prestanome
L’indagine – definita dal gip «tempestiva rapida ed efficace» – ha consentito di dare pieno riscontro dei fatti denunciati. In particolare, è stato ricostruito come Ieffi abbia cercato di dissimulare la riconducibilità a sé della Biocrea – pur rimanendone l’esclusivo dominus – nominando come amministratore, in concomitanza con la pubblicazione del bando, un mero «prestanome» privo di precedenti, V.S. (classe 1980), cui ha poi «ceduto» l’intero capitale sociale al prezzo di € 100.000 da corrispondere però tra due anni. Inoltre, le indagini hanno dimostrato come la Biocrea, che ha un oggetto sociale del tutto estraneo al settore merceologico relativo alla gara («coltivazione di fondi, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse»), fosse una «scatola vuota» destrutturata, caratterizzata da un vero e proprio stato di inoperatività.

La puntata d’azzardo sulla salute
Nonostante la palese incapacità operativa e finanziaria della Biocrea, Ieffi ha partecipato all’appalto, accettando il rischio di non essere in grado di adempiere alla fornitura di milioni di mascherine nei tempi brevissimi dettati dallo stato emergenziale in atto, chiaramente indicati nel bando di gara: «una puntata d’azzardo – come evidenzia il gip nell’ordinanza – giocata sulla salute pubblica e su quella individuale di chi attendeva, e attende, le mascherine, che bene rende la capacità a delinquere del soggetto».

9 aprile 2020

L’appalto per i camici
Sebbene il tentativo non sia andato a buon fine, Ieffi si è immediatamente riorganizzato per provare ad aggiudicarsi un altro appalto pubblico, questa volta relativo alla fornitura di guanti, occhiali protettivi, tute di protezione, camici e soluzioni igienizzanti, per un valore complessivo di oltre € 73 milioni di euro, utilizzando altro soggetto giuridico, essendo la Biocrea ormai «bruciata». La nuova società – Dental Express H24 S.r.l. – presentava, però, una inesistente capacità economica pressoché sovrapponibile a quella della Biocrea; in aggiunta, un socio e membro del consiglio di amministrazione risultava gravato da precedenti penali. Anche in questo caso, all’esito dei controlli, Consip rilevava l’incompatibilità con i requisiti di partecipazione richiesti.

PER RIPARTIRE DOPO L’EMERGENZA COVID-19

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Quaderno 4075 – pag. 7 – 19 – Anno 2020 –  Volume II – 4 Aprile 2020

Ciò che stiamo sperimentando, al prezzo della sofferenza inaudita di una parte significativa della popolazione, è il fatto che l’Occidente, dal punto di vista sanitario, non ha strutture e risorse pubbliche adeguate a questa epoca e a questa situazione. Come fare per entrare nel XXI secolo anche dal punto di vista della salute pubblica? È questo che gli occidentali devono capire e mettere in atto, in poche settimane, di fronte a una pandemia che, nel momento in cui scriviamo, promette di imperversare per il Pianeta, a causa delle ricorrenti ondate di contaminazione e delle mutazioni del virus[1]. Vediamo come e perché.

Il sistema sanitario occidentale e la pandemia

Dobbiamo innanzitutto ribadire, a rischio di creare sconcerto, che la posizione di molti specialisti di salute pubblica è coerente su un punto[2]: la pandemia Covid-19 sarebbe dovuta rimanere una epidemia più virale e letale dell’influenza stagionale, con effetti lievi sulla grande maggioranza della popolazione, e molto seri solo su una piccola frazione di essa. Invece – se consideriamo in particolare alcuni Paesi europei e gli Stati Uniti – lo smantellamento del sistema sanitario pubblico ha trasformato questo virus in una catastrofe senza precedenti nella storia dell’umanità e in una minaccia per l’insieme dei nostri sistemi economici.

Ciò che affermano gli esperti è che sarebbe stato relativamente facile frenare la pandemia praticando lo screening sistematico delle persone infette sin dall’inizio dei primi casi; monitorando i loro movimenti; ponendo in quarantena mirata le persone coinvolte; distribuendo in modo massiccio mascherine all’intera popolazione a rischio di contaminazione, per rallentare ulteriormente la diffusione. Trasformare un sistema sanitario pubblico degno di questo nome in un’industria medica in fase di privatizzazione si rivela un problema grave. Ciò non impedisce a «eroi» e «santi» di continuare e lavorare nella sanità pubblica: ne abbiamo una vivida rappresentazione in questi giorni.

La diffusa privatizzazione dell’assistenza sanitaria ha portato le nostre autorità a ignorare gli avvertimenti fatti dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) in merito ai mercati della fauna selvatica a Wuhan. Non si tratta di dare lezioni ex post a nessuno, ma di comprendere i nostri errori per agire nel modo più intelligente possibile nel futuro.

Prevenire eventi come una pandemia non è redditizio a breve termine. Pertanto, non ci siamo premuniti né di mascherine né di test da eseguire massicciamente. E abbiamo ridotto la nostra capacità ospedaliera in nome dell’ideologia dello smantellamento del servizio pubblico, che ora si mostra per quella che è: un’ideologia che uccide. Non avendo mai aderito a tale ideologia, e forti dell’esperienza dell’epidemia di Sars del 2002, Paesi come la Corea del Sud e Taiwan hanno predisposto un sistema di prevenzione estremamente efficace: lo screening sistematico e il tracciamento, puntando alla quarantena e alla collaborazione della popolazione adeguatamente informata e istruita, facendole indossare le mascherine. Nessun confinamento. Il danno economico risulta trascurabile.

Invece dello screening sistematico, noi occidentali abbiamo adottato una strategia antica, quella del confinamento[3], a fronte di una frazione esigua di infetti, e di una parte ancora più piccola tra questi che potrebbe avere gravi complicazioni. Ma, per quanto piccola possa essere, quest’ultima frazione è ancora maggiore dell’attuale capacità di assistenza dei nostri ospedali.

Non avendo altre strategie, è chiaro che il non fare nulla equivarrebbe a condannare a morte centinaia di migliaia di cittadini, come mostrano le proiezioni che circolano all’interno della comunità degli epidemiologi, comprese quelle dell’Imperial College di Londra[4]. Anche se alcuni aspetti di questo documento sono discutibili, esso ha il merito di chiarire che l’inazione è semplicemente criminale. È stata questa prospettiva a indurre Emmanuel Macron in Francia e Boris Johnson nel Regno Unito a rinunciare alla loro iniziale strategia di «immunizzazione di gregge»[5] e a «svegliare» l’amministrazione Trump. Ma troppo tardi: questi Paesi ora rischiano di pagare un prezzo pesantissimo in termini di vite umane per il loro ritardo nell’intervenire adeguatamente.

Il ritorno dello Stato sociale

Il parziale isolamento dell’Europa ha ravvivato l’idea che il capitalismo è sicuramente un sistema molto fragile, e così lo Stato sociale è tornato di moda. In realtà, il difetto nel nostro sistema economico ora rivelato dalla pandemia è purtroppo semplice: se una persona infetta è in grado di infettarne molte altre in pochi giorni e se la malattia ha una mortalità significativa, come nel caso di Covid-19, nessun sistema economico può sopravvivere senza una sanità pubblica forte e adeguata.

I lavoratori, anche quelli più in basso nella scala sociale, prima o poi infetteranno i loro vicini, i loro capi, e gli stessi ministri alla fine contrarranno il virus. Impossibile mantenere la finzione antropologica dell’individualismo implicita nell’economia neoliberista e nelle politiche di smantellamento del servizio pubblico che la accompagnano da quarant’anni: l’esternalità negativa indotta dal virus sfida radicalmente l’idea di un sistema complesso modellato sul volontarismo degli imprenditori «atomizzati».

La salute di tutti dipende dalla salute di ciascuno. Siamo tutti connessi in una relazione di interdipendenza. E questa pandemia non è affatto l’ultima, la «grande peste» che non tornerà per un altro secolo, al contrario: il riscaldamento globale promette la moltiplicazione delle pandemie tropicali, come affermano la Banca Mondiale e l’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) da anni. E ci saranno altri coronavirus.

Senza un efficiente servizio sanitario pubblico, che consenta di selezionare e curare tutti, non esiste più alcun sistema produttivo praticabile durante un’epidemia da coronavirus. E questo per decenni. L’appello lanciato il 12 marzo dal Mouvement des entreprises de France (Medef) – il sindacato francese dei datori di lavoro – per «rendere il sistema produttivo più competitivo» tradisce un profondo malinteso sulla pandemia.

Come uscire dall’isolamento?

Se gli operatori sanitari si ammalano, c’è il rischio del collasso del sistema ospedaliero, come sembra stia accadendo in Italia a Bergamo, Brescia e, in misura minore, a Milano. È quindi necessario che lo Stato promuova la diffusione di farmaci anti o retrovirali, in modo da consentire molto rapidamente, ovunque, di alleviare il carico del sistema ospedaliero sull’orlo del tracollo. E che i cittadini di tutti i Paesi mostrino finalmente senso di responsabilità.

Perché il confinamento sia rigoroso, insieme ai noti comportamenti elementari di igiene personale, tutti devono comprenderne il significato e l’utilità. Il confinamento rallenta efficacemente la diffusione del virus e – ripetiamolo –, in assenza di un sistema di screening, rimane la strategia meno negativa a breve termine. Tuttavia, se ci fermiamo a esso, diventa inutile: se usciamo dal confinamento, diciamo, tra un mese, il virus sarà ancora in circolazione e causerà gli stessi decessi di quelli che avrebbe causato oggi in assenza di contenimento.

Attendere, attraverso l’isolamento, che la popolazione si immunizzi – più o meno, la stessa strategia inizialmente proposta da Johnson, ma «a casa» – richiederebbe mesi di confinamento. Per capirlo, è sufficiente tornare al parametro essenziale di una pandemia, R0, il «numero di riproduzione di base», ossia il numero medio di infezioni secondarie prodotte da ciascun individuo infetto. Finché R0 è maggiore di 1, vale a dire fino a quando un individuo infetto può contagiare più di una persona, il numero di persone infette aumenta in modo esponenziale. Se lasciamo il contenimento senza ulteriori indugi prima che R0 scenda al di sotto di 1, avremo quelle centinaia di migliaia di morti che la pandemia ha minacciato di causare sin dall’inizio.

Tuttavia, affinché l’immunizzazione collettiva porti R0 al di sotto di 1, è necessario immunizzare circa il 50% della popolazione, cosa che – dato il tempo medio di incubazione (5 giorni) – richiederebbe probabilmente più di 5 mesi di reclusione, se ipotizziamo che ci sia oggi un milione di infetti. Un’opzione insostenibile in termini economici, sociali e psicologici. È l’intero sistema di produzione dei nostri Paesi che collasserebbe, a partire dal nostro sistema bancario, che è estremamente fragile.

Per non parlare del fatto che, in questo momento, i più poveri tra noi – rifugiati, persone di strada ecc. – sono costretti a morire non a causa del virus, ma perché non possono sopravvivere senza una società attiva. Senza dimenticare inoltre che non abbiamo alcuna garanzia che i nostri circuiti di approvvigionamento alimentare possano resistere allo shock della quarantena per un tempo così lungo: vogliamo costringere i lavoratori a reddito medio/basso a mettere a rischio la propria vita per continuare, per esempio, a trasportare il cibo per i dirigenti che rimangono tranquillamente a casa o nella loro tenuta in campagna?

È quindi necessario organizzare una «prima» liberazione dal contenimento, al più tardi tra qualche settimana. Prendere questo rischio collettivamente ha senso però solo a una condizione: applicare, questa volta, la strategia adottata in Corea del Sud e a Taiwan con il massimo rigore. Il tempo che stiamo guadagnando chiudendoci in casa dovrebbe servire per:

  • riportare R0 (che probabilmente era circa 3 all’inizio del contagio) il più vicino possibile a 1;
  • incoraggiare la riconversione di alcuni settori economici, per produrre in serie i ventilatori polmonari di cui ora hanno bisogno le terapie intensive per salvare vite umane;
  • consentire ai laboratori occidentali di produrre subito apparecchiature e materiali di screening, mentre si organizzano per realizzare in poche settimane il sistema necessario. Al momento ci sono due enzimi, in particolare, le cui scorte sono molto insufficienti, e quindi limitano la nostra capacità di effettuare screening[6];
  • produrre le mascherine di protezione, essenziali per frenare la diffusione del virus quando lasciamo la nostra casa.

Se porremo fine al nostro confinamento collettivo quando i nostri mezzi di rilevazione non saranno pronti o mancheranno le mascherine, correremo nuovamente il rischio di una tragedia. Sfortunatamente, oggi è impossibile misurare R0. Pertanto, dobbiamo attendere fino a quando non saremo organizzati per lo screening e pianificare l’uscita ordinata dalla quarantena il più rapidamente possibile.

Cosa succederà a quel punto? Coloro che vengono «liberati» devono essere sottoposti a screening sistematico e indossare le mascherine per diverse settimane. Altrimenti, l’uscita dal confinamento avrà un esito peggiore di quello dell’inizio della pandemia. Coloro che sono ancora positivi verranno quindi messi in quarantena, insieme al loro entourage. Altri possono andare a lavorare o riposare altrove. I test dovranno continuare per tutta l’estate per essere sicuri che il virus è stato sradicato all’arrivo dell’autunno.

La salute come bene comune globale

La pandemia ci sta costringendo a capire che non esiste un capitalismo davvero praticabile senza un forte sistema di servizi pubblici e a ripensare completamente il modo in cui produciamo e consumiamo, perché questa pandemia non sarà l’ultima. La deforestazione – così come i mercati della fauna selvatica di Wuhan – ci mette in contatto con animali i cui virus non ci sono noti. Lo scongelamento del permafrost minaccia di diffondere pericolose epidemie, come la «spagnola» del 1918, l’antrace, ecc. Lo stesso allevamento intensivo facilita la diffusione di epidemie.

A breve termine, dovremo nazionalizzare le imprese non sostenibili e, forse, alcune banche. Ma molto presto dovremo imparare la lezione di questa dolorosa primavera: riconvertire la produzione, regolare i mercati finanziari; ripensare gli standard contabili, al fine di migliorare la resilienza dei nostri sistemi di produzione; fissare una tassa sul carbonio e sulla salute; lanciare un grande piano di risanamento per la reindustrializzazione ecologica e la conversione massiccia alle energie rinnovabili.

La pandemia ci invita a trasformare radicalmente le nostre relazioni sociali. Oggi il capitalismo conosce «il prezzo di tutto e il valore di niente», per citare un’efficace formula di Oscar Wilde. Dobbiamo capire che la vera fonte di valore sono le nostre relazioni umane e quelle con l’ambiente. Per privatizzarle, le distruggiamo e roviniamo le nostre società, mentre mettiamo a rischio vite umane. Non siamo monadi isolate, collegate solo da un astratto sistema di prezzi, ma esseri di carne interdipendenti con gli altri e con il territorio. Questo è ciò che dobbiamo imparare nuovamente. La salute di ciascuno riguarda tutti gli altri. Anche per i più privilegiati, la privatizzazione dei sistemi sanitari è un’opzione irrazionale: essi non possono restare totalmente separati dagli altri; la malattia li raggiungerà sempre. La salute è un bene comune globale e deve essere gestita come tale.

I «beni comuni», come li ha definiti in particolare l’economista americana Elinor Ostrom, aprono un terzo spazio tra il mercato e lo Stato, tra il privato e il pubblico. Possono guidarci in un mondo più resiliente, in grado di resistere a shock come quello causato da questa pandemia.

La salute, ad esempio, deve essere trattata come una questione di interesse collettivo, con modalità di intervento articolate e stratificate. A livello locale, per esempio, le comunità possono organizzarsi per reagire rapidamente, circoscrivendo i cluster dei contagiati da Covid-19. A livello statale, è necessario un potente servizio ospedaliero pubblico. A livello internazionale, le raccomandazioni dell’Oms per contrastare una situazione di epidemia devono diventare vincolanti. Pochi Paesi hanno seguito le raccomandazioni dell’Oms prima e durante la crisi. Siamo più disposti ad ascoltare i «consigli» del Fondo monetario internazionale (Fmi) che quelli dell’Oms. Lo scenario attuale dimostra che abbiamo torto.

In questi giorni abbiamo assistito alla nascita di diversi «beni comuni»: come quegli scienziati che, al di fuori di qualsiasi piattaforma pubblica o privata, si sono coordinati spontaneamente attraverso l’iniziativa OpenCovid19[7], per mettere in comune le informazioni sulle buone pratiche di screening dei virus.

Ma la salute è solo un esempio: anche l’ambiente, l’istruzione, la cultura, la biodiversità sono beni comuni globali. Dobbiamo immaginare istituzioni che ci permettano di valorizzarli, di riconoscere le nostre interdipendenze e rendere resilienti le nostre società.

Alcune organizzazioni del genere esistono già. La Drugs for Neglected Disease Initiative (Dndi) è un eccellente esempio. Un organismo creato da alcuni medici francesi 15 anni fa per il reperimento dei farmaci per le malattie rare o dimenticate: una rete collaborativa di terze parti, in cui cooperano il settore privato, quello pubblico e le Ong, che riesce a fare ciò che né il settore farmaceutico privato, né gli Stati, né la società civile possono fare da soli.

A livello individuale, poi, scopriamo la paura della scarsità dei beni. Ciò può essere un aspetto positivo in questa crisi? Essa ci libera dal narcisismo consumistico, dal «voglio tutto e subito». Ci riporta all’essenziale, a ciò che conta davvero: la qualità delle relazioni umane, la solidarietà. Ci ricorda anche quanto sia importante la natura per la nostra salute mentale e fisica. Coloro che vivono rinchiusi in 15 metri quadrati a Parigi o a Milano lo sanno bene. Il razionamento imposto su alcuni prodotti ci ricorda la limitatezza delle risorse.

Benvenuti in un mondo limitato! Per anni, i miliardi spesi per il marketing ci hanno fatto pensare al nostro pianeta come a un gigantesco supermercato, in cui tutto è a nostra disposizione a tempo indeterminato. Ora proviamo brutalmente il senso della privazione. È molto difficile per alcuni, ma può essere un’occasione di risparmio.

D’altra parte, anche un certo romanticismo «collapsologico»[8] sarà rapidamente mitigato dalla percezione concreta di cosa implichi, nell’attuale situazione, la brutale difficoltà dell’economia: disoccupazione, bancarotta, esistenze spezzate, morte, sofferenza quotidiana di coloro in cui il virus lascerà tracce per tutta la vita.

Sulla scia dell’enciclica Laudato si’ di papa Francesco, vogliamo sperare che questa pandemia sia un’opportunità per indirizzare le nostre vite e le nostre istituzioni verso una felice sobrietà e verso il rispetto per la finitudine del nostro mondo. Il momento è decisivo: si può temere quella che Naomi Klein ha definito la «strategia dello shock». Alcuni governi non devono, con il pretesto di sostenere le imprese, indebolire ulteriormente i diritti dei lavoratori; o, per rafforzare ulteriormente la sorveglianza della polizia sulle popolazioni, ridurre permanentemente le libertà personali.

Nel frattempo, come si salva l’economia?

Proviamo a ipotizzare in questa situazione alcune possibili scelte di politica economica:

  1. Iniettare liquidità nell’economia reale. Alcuni economisti tedeschi prevedono un calo del Pil in Germania del 9% nel 2020. Il dato è ragionevole e ci sono pochi motivi per cui le cose possano andare diversamente in Francia e, anche peggio, in Italia, Inghilterra, Svizzera e Paesi Bassi. Ciò dovrebbe indurre Germania e Olanda – i fautori della convinzione secondo la quale una maggiore austerità di bilancio aggiusta l’economia, mentre la macroeconomia più elementare dimostra il contrario – a rivedere i loro dogmi, se ancora l’escalation di vittime nei rispettivi Paesi non bastasse a far loro aprire gli occhi.
    Negli Stati Uniti, Donald Trump e il suo segretario al Tesoro Steven Mnuchin propongono al Congresso di distribuire un assegno di 1.200 dollari a ciascun cittadino statunitense. Sono un po’ «soldi dall’elicottero» o, supponendo che la Banca centrale si occupi di questo problema monetario, «un quantitative easing per le persone». Misure che, eventualmente, avrebbero dovuto già essere state prese nel 2009. Possiamo anche vedere nell’iniziativa dell’amministrazione Trump l’abbozzo di un reddito minimo universale per tutti. Una proposta che è stata avanzata da molti per lungo tempo.
    In Europa, la sospensione delle regole del Patto di stabilità, l’emissione di «obbligazioni corona» o l’attivazione di prestiti del Meccanismo europeo di stabilità sono tutte misure essenziali.
  2. Creare posti di lavoro. Tuttavia, le iniziative appena menzionate sono insufficienti. È necessario comprendere che il sistema di produzione occidentale è, o sarà, parzialmente bloccato. A differenza del crollo del mercato azionario del 1929 e della crisi dei mutui subprime del 2008, questa nuova crisi colpisce innanzitutto l’economia reale. Nella maggior parte delle aziende, al 30% dei dipendenti ai quali venisse impedito di lavorare non corrisponderebbe il 30% in meno di produzione, ma una produzione pari a zero. Se un’azienda inserita in una catena del valore smette di produrre, l’intera catena viene interrotta. Stiamo constatando che le catene di approvvigionamento just-in-time (ossia senza scorte) ci rendono estremamente fragili. Pensiamo alla filiera della produzione e della fornitura del cibo. Naturalmente, alcuni governi sono pronti a inviare la polizia o l’esercito per costringere i lavoratori a rischiare la propria vita per non interrompere le catene di approvvigionamento. Le lavoratrici e i lavoratori posti più in basso nella catena di produzione e approvvigionamento sono i primi esposti e i primi sacrificati. Un’enorme ammissione di impotenza!
    Nella maggior parte dei Paesi costretti a praticare il contenimento, il sistema produttivo viene quindi parzialmente bloccato, o lo sarà presto. Le catene del valore globali stanno rallentando e alcune saranno tagliate. Il lavoro è involontariamente «in sciopero». Non siamo solo di fronte a una carenza keynesiana della domanda – perché chi ha i contanti non può spenderli, dal momento che deve rimanere a casa –, ma di fronte anche a una crisi dell’offerta. Questa pandemia ci introduce, dunque, in un tipo di crisi nuovo e senza precedenti, in cui si uniscono il calo della domanda e quello dell’offerta. In tale contesto, l’iniezione di liquidità è tanto necessaria quanto insufficiente. Essere appagati da questo equivarrebbe a dare le stampelle a qualcuno che ha appena perso le gambe…
    Solo lo Stato, perciò, può creare nuovi posti di lavoro capaci di assorbire la massa di dipendenti che, quando usciranno finalmente di casa, scopriranno di aver perso il lavoro. L’idea dello Stato come datore di lavoro di ultima istanza non è neppure nuova: è stata studiata molto seriamente dall’economista britannico Tony Atkinson. Naturalmente, affinché ciò abbia un senso, dobbiamo seriamente pensare al tipo di settori industriali per i quali vogliamo favorire l’uscita dal tunnel. Questo discernimento dev’essere fatto in ciascun Paese, alla luce delle caratteristiche specifiche di ciascun tessuto economico.
    È quindi legittimo e indispensabile che gli Stati occidentali, oggi come ieri, utilizzino una spesa in deficit per finanziare lo sforzo di ricostruzione del sistema produttivo che sarà necessario alla fine di questo lungo parto; e lo dovranno fare in modo acuto e selettivo, favorendo questo o quel settore. Ovviamente, il loro debito pubblico aumenterà. Ricordiamo che, durante la Seconda guerra mondiale, il deficit pubblico degli Stati Uniti raggiunse il 20% del Pil per diversi anni consecutivi. Ma il deficit sarebbe molto più grande in assenza di ingenti spese da parte dello Stato per salvare l’economia.
    Possiamo anche notare che il piano di aggiustamento strutturale imposto alla Grecia alcuni anni orsono è stato assolutamente inutile: il rapporto debito pubblico/Pil di Atene ha raggiunto nel 2019 gli stessi livelli del 2010. In altre parole, l’austerità uccide – lo vediamo bene coi nostri occhi in questo momento, nei nostri reparti di rianimazione –, ma non risolve alcun problema macroeconomico.

Ricostruire e salvare la democrazia

A questo punto, un possibile errore sarebbe quello di apprezzare l’efficacia dell’autoritarismo come soluzione. «E se le nostre democrazie fossero scarsamente pronte? Troppo lente? Bloccate dalle libertà individuali?». Questo ritornello risuonava già prima della pandemia. Se consideriamo la Cina, la situazione sta sicuramente migliorando, ma l’epidemia non è stata ancora sconfitta, neppure a Wuhan. D’altra parte, è vero che a Pechino sono stati costruiti due ospedali in pochi giorni e che il governo cinese non è in mano alla lobby finanziaria, ma, per trarre i benefici di questi due punti a favore, dovremmo forse rinunciare alla democrazia?

Una volta abbandonato il contenimento in maniera controllata, un’altra pericolosa trappola sarebbe quella di limitarci a ripristinare semplicemente il modello economico di ieri, accontentandoci di migliorare in modo marginale il nostro sistema sanitario per far fronte alla prossima pandemia. È urgente capire che la pandemia Covid-19 non solo non è un cosiddetto «cigno nero» – era perfettamente prevedibile, sebbene non sia stata affatto prevista dai mercati finanziari onniscienti –, ma non è nemmeno uno «shock esogeno». Essa è una delle inevitabili conseguenze dell’Antropocene. La distruzione dell’ambiente che la nostra economia estrattiva ha esercitato per oltre un secolo ha una radice comune con questa pandemia: siamo diventati la specie dominante sulla Terra, e quindi siamo in grado di spezzare le catene alimentari di tutti gli altri animali, ma siamo anche il miglior veicolo per gli elementi patogeni.

In termini di evoluzione biologica, per un virus è molto più «efficace» infettare gli esseri umani che la renna artica, già in pericolo a causa del riscaldamento globale. E questo sarà sempre più così, perché la crisi ecologica decimerà altre specie viventi. È soprattutto la distruzione della biodiversità, in cui siamo da tempo impegnati, a favorire la diffusione dei virus[9]. Oggi molti ne sono consapevoli: la crisi ecologica ci garantisce pandemie ricorrenti. Accontentarsi di dotarsi di mascherine ed enzimi per il prossimo futuro equivarrebbe a trattare solo il sintomo. Il male è molto più profondo, ed è la sua radice che dev’essere medicata. La ricostruzione economica che dovremo realizzare dopo essere usciti dal tunnel sarà l’occasione inaspettata per attuare le trasformazioni che, anche ieri, sembravano inconcepibili a coloro che continuano a guardare al futuro attraverso lo specchietto retrovisore della globalizzazione finanziaria. Abbiamo bisogno di una reindustrializzazione verde, accompagnata da una relocalizzazione di tutte le nostre attività umane.

Ma, per il momento, e per accelerare la fine della crisi sanitaria, è necessario fare ciò che è possibile, e dunque proseguire negli sforzi per schermare e proteggere la popolazione.

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[1].      Cfr P. Baker – E. Sullivan, «U.S. Virus Plan Anticipates 18-Month Pandemic and Widespread Shortages», in New York Times, 17 marzo 2020.

[2].      Cfr J.-D. Michel, «Covid-19: fin de partie?!» (https://bit.ly/3996Evs), 18 marzo 2020; T. Pueyo, «Coronavirus: The Hammer and the Dance. What the Next 18 Months Can Look Like, if Leaders Buy Us Time» (https://bit.ly/3bjAA9K), 19 marzo 2020.

[3].      Già nel 1347 Pierre de Damouzy, medico di Margherita di Francia, contessa delle Fiandre, raccomandò il confinamento agli abitanti di Reims per sfuggire alla peste nera. Cfr Y. Renouard, «La Peste noire de 1348-1350», in Revue de Paris, marzo 1950, 109.

[4].      Cfr N. M. Ferguson – D. Laydon et Al., «Impact of non-pharmaceutical interventions (NPIs) to reduce COVID-19 mortality and healthcare demand» (https://doi.org/10.25561/77482), Londra, Imperial College, 16 marzo 2020.

[5].      È noto che la prima tentazione del governo Johnson è stata quella di lanciare il Regno Unito in un esperimento di immunizzazione collettiva. Anche il governo francese è stato tentato da questa «soluzione», sebbene in modo meno esplicito. Su questo argomento, cfr T. Vey, «La France mise sur l’“immunité de groupe” pour arrêter le coronavirus», in Sciences, 13 marzo 2020.

[6].      Si tratta della trascrittasi inversa (AMV o MMLV) e del Taq (o Pfu) che amplifica la reazione chimica, consentendo di identificare la presenza di Covid-19. Questi sono i due enzimi che diversi laboratori stanno cercando di produrre ininterrottamente.

[7].      «Low-cost & Open-Source Covid19 Detection kits», cfr https://app.jogl.io/project/118 e anche hashtag su Twitter#OpenCovid19

[8].      La collapsologia è un discorso pluridisciplinare interessato al collasso della nostra civiltà. Parte dall’idea che le azioni umane abbiano un impatto duraturo e negativo sul pianeta. Si basa su dati scientifici, ma anche su intuizioni, per cui a volte viene accusata di non essere una vera scienza, ma piuttosto un movimento.

[9].      Cfr J. Duquesne«Coronavirus: “La disparition du monde sauvage facilite les épidémies”», intervista a Serge Morand, ricercatore del Cnrs-Cirad, in Marianne, 17 marzo 2020.

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TO RESTART AFTER THE COVID-19 EMERGENCY

At the price of the unprecedented suffering of a significant percentage of the population, what we are experiencing is the fact that the West, from a public health point of view, does not have at its disposal appropriate instruments and public resources for this situation. How can we enter the 21st century from the point of view of public health, under the pressure of the Covid-19 emergency? In addition, containment as a solution serves only to buy time to organize a health service «resistance»  and to prepare the economy to be relaunched with new paradigms, after the dramatic acknowledgement of the failure of neoliberal solutions and the impracticability of a «happy» degrowth.

LA DOPPIA MORALE DELL’OLANDA, PARADISO DEGLI EVASORI MA RIGOROSA CON I BILANCI DEGLI ALTRI

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Difficile prendere lezioni di buon comportamento da un Paese dove solo il 17% della popolazione crede in qualcosa, dove sono rimaste 60 chiese funzionanti e dove è legalizzata l’eutanasia anche per i bambini (di Fulvio Scaglione).

Ho giurato a me stesso che, comunque vada a finire, nulla potrà rovinarmi il gusto del calcio totale di Cruijff e compagni, le ombre e le luci dei quadri di Vermeeer, lo spettacolo dei canali, il museo Van Gogh di Amsterdam, la cioccolata e persino lo spot dell’ Olandesina con Corrado a Carosello. Certo è che quando compare in Tv il volto di Wopke Hoekstra, già dirigente di una grande azienda petrolifera e ora ministro delle Finanze dell’ Olanda, anche i miei più fieri propositi vacillano.

È lui il cattivo, quello che la Germania, insieme con Austria, Finlandia e i Baltici, manda avanti per bloccare, a livello di Unione Europea, il progetto di Coronabond tanto caro, invece, a Francia, Italia, Portogallo, Spagna e altri. Prima di tornare a Hoekstra, però, bisogna spendere due parole sul senso di questi Coronabond, che sarebbero obbligazioni europee garantite da tutti gli Stati membri della Ue per consentire ai Paesi a corto di liquidità di affrontare le spese fatte a debito ma necessarie a uscire dalla crisi provocata dal Coronavirus. La spaccatura europea viene di solito riassunta così: i Paesi virtuosi, quelli con i bilanci in ordine (Germania e compagnia), non vogliono impegnarsi accanto ai Paesi spendaccioni (tipicamente l’ Italia). Questo per quanto riguarda i quattrini. Poi ci sarebbero le ragioni politiche: nei Paesi del Sud Europa si insiste sui Coronabond anche per dimostrare che l’ Europa è generosa e funziona e non dare spazio ai “sovranisti” che invece la giudicano matrigna. Ma anche i Paesi del Nord Europa ragionano così: fermiamo i Coronabond, dicono, perché altrimenti i nostri “sovranisti” potranno dire che l’ Europa è un carrozzone che si mangia i risparmi dei nostri cittadini.

Ma la vera ragione, quella profonda che nessuno vuole ammettere, è un’ altra. Il varo dei Coronabond sarebbe un grosso passo avanti verso un’ Europa più solidale, quindi più federale. E la condivisione di un debito collettivo un passo altrettanto grosso verso l’ armonizzazione delle politiche finanziarie, quindi anche di quelle fiscali.

Ed è questo che ci riporta al nostro Hoekstra. Perché l’ Olanda ha tante caratteristiche interessanti, per esempio gli olandesi sono il popolo con la maggiore altezza media al mondo, sono i più grandi consumatori di liquirizia al mondo e hanno la più alta densità di musei per abitante al mondo. Ma sulla virtù e correttezza finanziaria forse dovrebbero abbassare le arie. L’ Olanda, infatti, altro non è che un paradiso fiscale. Non lo dico io ma un recente rapporto del Parlamento europeo, che ha ufficialmente chiesto alla Commissione Europea di indagare sulle politiche di dumping fiscale attuate nel Paese dei mulini a vento e in altri come Irlanda, Cipro, Malta e Lussemburgo.

Qual è il trucco olandese? Semplice: abbassare il più possibile le tasse alle aziende straniere che hanno sede fiscale in Olanda. In qualche caso azzerarle, come avviene per le royalties sui brevetti concessi in uso. Pensate che pacchia per le aziende della tecnologia fine e dell’ informatica. Così succede che in Olanda abbiano sede 15 mila società e che dei 4.500 miliardi di euro che queste fanno ogni anno transitare per il Paese (circa cinque volte l’ intero Prodotto interno lordo olandese), solo 200 siano tassati. Ovvio che le aziende, al posto di pagare le tasse in Francia o in Italia (che nella Ue sono i Paesi con la più pesante tassazione sulle aziende) corrano ad approfittare della generosità olandese. Che è larga verso gli imprenditori ma stretta verso gli altri Paesi della Ue, che con questo sistema ci rimettono circa 50 miliardi l’ anno di tasse non pagate. Di questi 50 miliardi una buona fetta, pare una decina, viene dall’ Italia. In questo modo, pur essendo gli olandesi abili imprenditori e amministratori, non è poi difficilissimo far quadrare i conti a una popolazione di 18 milioni di persone.

E poi c’ è il resto, ovviamente. Attenzione, il luogo comune (i tedeschi e il passo dell’ oca, la boria francese, la pigrizia degli italiani…) è sempre in agguato. Però risulta difficile prendere lezioni di morale e di buon comportamento da un Paese dove solo il 17% della popolazione dichiara di credere in qualcosa, dove sono rimaste circa 60 chiese funzionanti e dove, nel 2001 e per la prima volta al mondo, è stata legalizzata l’ eutanasia. Per tutti, anche per i minori. Bontà loro, i legislatori hanno previsto che per i ragazzini tra i 12 e i 16 anni sia necessaria l’ autorizzazione dei genitori. Come per bigiare l’ ora di ginnastica. Vermeer, aiutaci tu!

(RI)costruire l’Italia dopo la pandemia – Lettera al Governo condivisa e sottoscritta da Movimenti ed Associazioni

COORDINAMENTO NAZIONALE NO TRIV

Comunicato stampa

[RI]COSTRUIRE L’ITALIA, Associazioni e Movimenti si rivolgono al Governo per chiedere misure immediate e coraggiose 

Tutti sanno che nulla potrà tornare come prima, ma è adesso che dobbiamo, insieme, darci da fare perché lavoratori, disoccupati, associazioni, movimenti, organizzazioni sindacali, soggetti politici animati da autentica solidarietà democratica, sappiano invertire la rotta dello sfruttamento e del primato dei grandi monopoli. – dichiara il Portavoce del Coordinamento Nazionale No Triv, Francesco Masi – Covid-19 è la tragica lente di ingrandimento che ci consente di guardare nel profondo le crepe e le ingiustizie di un sistema che già prima dell’emergenza sanitaria aveva messo in pesante discussione il diritto alla salute, al lavoro giusto e ad un’esistenza dignitosa”.

Occorre ricostruire l’Italia su basi radicalmente nuove, ripartendo dalla completa attuazione della Costituzione, in netta discontinuità con le politiche dell’attuale e dei precedenti Governi: per ammissione dei suoi stessi fautori, l’ideologia del “meno Stato” ha creato intollerabili disuguaglianze ed ingiustizie: privilegi per pochi (quasi 20 miliardi di euro vanno ogni anno sotto forma di sgravi ed agevolazioni alle fonti fossili mentre negli ospedali mancano respiratori e posti letti in terapia intensiva) ed immani sacrifici per tutti gli altri.

I diritti inviolabili di tutti alla salute, all’abitare, al lavoro ed alla conoscenza, continuano ad essere violati, per assurdo, anche nel corso dell’emergenza sanitaria ed in piena crisi economica.

Il Governo lascia aperte le fabbriche di armi; conferma le spese per l’acquisto di sofisticate macchine di morte – sottolinea Enrico Gagliano, Cofondatore del Coordinamento-. Finanzia petrolieri e grandi opere inutili anziché mettere maggiori risorse dove invece servirebbero per davvero: per rafforzare la Sanità; realizzare le migliaia di piccole opere ferme da anni di cui il Paese ha bisogno; fare le bonifiche; rilanciare l’occupazione; garantire un reddito minimo e dignitoso a chi non ce l’ha; investire nella formazione e nella ricerca”.

In un momento così grave in cui il Parlamento non ha voce, l’Unione Europea rischia di sfaldarsi a causa degli egoismi nazionali; Stato e Regioni entrano spesso in conflitto; lavoratrici, lavoratori, partite Iva e piccole e medie imprese sono costretti a pagare il prezzo più pesante della crisi, Associazioni e Movimenti chiedono al Governo di recuperare risorse indispensabili, tagliando, fin dal prossimo provvedimento di Collegato Ambientale, i Sussidi Ambientalmente Dannosi (20 miliardi di Euro in tutto) per destinarli per intero, già a partire dal prossimo Documento di Economia e Finanza, a favore del rafforzamento strutturale della Sanità Pubblica (in particolare, i presìdi salvavita: unità di terapia intensiva e rianimazione), per progetti di risanamento ambientale, per realizzare centinaia di piccole opere utili, per la ripubblicizzazione della gestione dei servizi essenziali, per il “lavoro giusto e verde”, per accelerare la transizione energetica.

Infine, resta imprescindibile il varo di una misura reddituale immediata e universale, per tutti, a prescindere da genere, settore produttivo, tipo di contratto.

Roma, mercoledì 8 aprile 2020

Le Realtà Organizzate che hanno condiviso e sottoscritto il documento sono:

Coordinamento Nazionale No Triv • Campagna Stop TTIP Italia • Forum Italiano dei Movimento per l’Acqua • Movimento No Tav • Fairwatch • Fondazione Capta • No Scorie International • Disarmisti Esigenti • Italia che cambia • Ambiente e Salute • Coordinamento Comitati Sardi • Abruzzo Beni Comuni • Armonia degli Opposti • Associazione Bianca Guidetti Serra • Comune • Coordinamento Comitati No Triv del Val di Noto • Mamme di Marco No Tav • No Triv Lombardia • No Triv Sicilia • No Tunnel Tav Firenze • Consorzio Siciliano Le Galline Felici • Gruppo Ecologico El Muroon • Wwf Cremona • Legambiente Cremona-Circolo Verde Verde • Cittadini democrazie e partecipazione • Basta Veleni Brescia • Raspa (Rete Autonoma Sibaritide e Pollino per l’Autotutela) • Comitato No Sfratto-Diritto alla Casa di Bergamo e Brescia • Collettivo Linea Rossa Bassa Bresciana • Comitato No Autostrade Cr-Mn e Ti-Bre • No Gasarano Sergnano • Associazione Irene • Associazione Culturale Sciami • APS Amici della Ludoteca-Cassina de’ Pecchi • Rivista “Valori”

all.to

LETTERA AL GOVERNO, [RI]COSTRUIRE L’ITALIA

Nel bel mezzo della crisi sanitaria, l’Europa finanzia la linea ad alta velocità Torino-Lione come se non fosse successo nulla

 https://www.mediacites.fr/https://www.mediacites.fr/complement-denquete/lyon/2020/04/07/en-pleine-crise-sanitaire-leurope-finance-la-lgv-lyon-turin-comme-si-de-rien-netait/

di Eliana Patriarca, 7 aprile 2020

La Commissaria ai Trasporti ha appena concesso una proroga di € 813,8 milioni per finanziare la linea ferroviaria franco-italiana. I critici della linea Torino-Lione protestano contro una decisione che viola le regole interne dell’Europa e chiedono una revisione delle priorità di bilancio europee a favore della salute pubblica e della lotta contro Covid-19.

Business as usual”… anche nel bel mezzo della crisi Covid-19. In un momento in cui si profila il crollo economico in Europa, il progetto ferroviario Torino-Lione ha appena ricevuto un impulso finanziario da Bruxelles. 

Il 31 marzo 2020 la Commissione Europea ha deciso di prorogare il contributo di € 813,8 milioni stanziato a favore della Francia e dell’Italia per questo progetto di linea ad alta velocità transalpina. “Nel bel mezzo di una crisi nel finanziamento dell’emergenza sanitaria”, questo è “un enorme spreco di denaro pubblico”, denuncia la delegazione Europa-Ecologia dei Verdi al Parlamento europeo.

Il gruppo di eurodeputati verdi, insieme al gruppo di La France Insoumise e al Movimento Cinque Stelle, hanno scritto alla Commissaria europea per i Trasporti, Adina Vălean, esortandola a riconsiderare le sue priorità di bilancio. Senza alcun risultato. Nel settembre 2019, il promotore della Torino-Lione, la società franco-italiana TELT, ha chiesto una proroga di tre anni degli aiuti europei.

Concesso nel 2014 (2015, N.d.T.) per la costruzione del tunnel transfrontaliero tra Saint-Jean-de-Maurienne e la Val di Susa, il contributo di € 813,8 milioni corrisponde a un programma di lavori da € 2 miliardi che TELT si era impegnata a completare entro la fine del 2019. Tuttavia, questi lavori non sono ancora stati completati. Bruxelles sceglie quindi di esonerarla dalla sua stessa regola “usalo o perdilo”, secondo la quale un sussidio che non è stato completamente utilizzato entro il termine previsto va perso.

Una decisione considerata opaca

Già nel 2013 TELT aveva ottenuto una proroga di due anni della prima sovvenzione europea (€ 400 milioni). Questa è la prova di “un chiaro favoritismo verso la Francia, l’Italia e Telt”, ha detto Gwendoline Delbos-Corfield MEP e Vice-presidente del Gruppo Verdi/EFA. Le tre delegazioni (Verdi, LFI e M5S) hanno anche denunciato l’opacità di questa decisione presa senza consultare il Parlamento, nonché la mancanza di trasparenza sull’adeguatezza dell’uso dei fondi pubblici.

Nonostante le ripetute richieste, nessuno dei tre gruppi è stato in grado di ottenere dal Commissario Europeo per i Trasporti copie delle richieste di proroga dei due Stati, né l’ammontare dei sussidi pagati o dovuti a Telt al 31 dicembre 2019, né l’elenco dei lavori realizzati fino a quella data. È quindi impossibile sapere quante centinaia di milioni di euro di fondi pubblici non rientrano nel campo di applicazione della norma europea con questa nuova estensione.

In una risposta inviata ai Verdi il 26 febbraio 2020, Adina Vălean si limita a confermare che “le condizioni per una proroga di almeno un anno sono soddisfatte” senza spiegare la natura di tale proroga. Il Commissario ai Trasporti non ha risposto alle domande di Mediacités. INEA, l’Agenzia esecutiva per l’innovazione e le reti che gestisce i programmi di trasporto della Commissione, ci ha confermato via e-mail di aver dato la sua approvazione per “una proroga dell’utilizzo del sussidio” di almeno un anno “entro il 31 marzo”, dopo aver “studiato attentamente la situazione del progetto, in particolare ciò che è stato realizzato e ciò che resta da fare”. “INEA ha appena sottolineato che la crisi della Covid-19 potrebbe portare a “un leggero ritardo nella firma del documento di proroga” dell’accordo di sovvenzione, a causa delle “procedure di telelavoro”.

Mettere fine a questo abisso finanziario

Gli eurodeputati verdi contestano il valore ecologico ed economico della Torino-Lione dal 2011. Un “progetto messo in discussione da tutte le amministrazioni centrali francesi e dalla Corte dei conti europea”, il cui costo è considerato “faraonico” (€ 26 miliardi nel 2012). Chiedono, come gli eurodeputati italiani del Movimento Cinque Stelle, “la fine di questo abisso finanziario”. Per Gwendoline Delbos-Corfied, “gli insegnamenti della crisi Covid-19” devono essere tratti il più rapidamente possibile e “le priorità di bilancio europee devono essere cambiate” a favore della “salute pubblica” e dei “progetti ecologici necessari e rilevanti”. L’eurodeputata di LFI Leila Chaibi condivide la stessa preoccupazione: “In un momento in cui ci interroghiamo sul “giorno dopo”, ogni singolo euro di denaro pubblico deve essere utilizzato per finanziare servizi pubblici e progetti di interesse generale che siano ecologicamente ed economicamente sostenibili”.

Sul campo, i cantieri della Torino Lione sono sospesi o fortemente rallentati da misure sanitarie. Ma sul suo sito web, TELT – che non ha risposto alle nostre domande – assicura la continuazione della sua attività amministrativa “grazie al telelavoro” e “in particolare il regolare svolgimento delle gare d’appalto in corso per un valore di oltre 3 miliardi di euro”.

En pleine crise sanitaire, l’Europe finance la LGV Lyon-Turin comme si de rien n’était | Mediacités

Eliane Patriarca

« Business as usual »… même en pleine crise du Covid‐19. Alors que le marasme économique guette l’Europe, le projet du Lyon‐Turin ferroviaire vient de bénéficier d’un piston financier de la part de Bruxelles. Le 31 mars, la Commission européenne a en effet accepté de proroger la subvention de 813,8 millions d’euros attribuée à la France et à l’Italie pour ce projet de ligne transalpine à grande vitesse. « En pleine crise de financement de l’urgence sanitaire », c’est « un gaspillage massif d’argent public », dénonce la délégation Europe‐Ecologie Les Verts au Parlement Européen.

Le groupe des eurodéputés écologistes, tout comme celui de La France Insoumise et du mouvement italien Cinq Etoiles, ont adressé chacun des courriers à la Commissaire européenne aux Transports, Adina Valean, afin que celle‐ci reconsidère ses priorités budgétaires. En vain. Le promoteur du Lyon‐Turin, la société franco‐italienne Telt, avait sollicité en septembre 2019 une extension de trois ans de l’aide européenne.

Accordée en 2014 pour la réalisation du tunnel transfrontalier entre Saint‐Jean‐de‐Maurienne et le Val de Suse, la subvention de 813,8 millions d’euros correspond à un programme de 2 milliards d’euros de travaux que Telt s’était engagé à achever fin 2019. Or ceux‐ci ne sont pas terminés. Bruxelles choisit donc de l’exonérer de sa propre règle du « use‐it‐or‐lose‐it », selon laquelle une subvention non entièrement consommée à la date‐butoir est perdue.

Une décision jugée opaque

En 2013 déjà, Telt avait obtenu une prorogation de deux ans de la première subvention versée par l’Europe (400 millions d’euros). La preuve d’un « favoritisme manifeste envers la France, l’Italie et Telt », estime Gwendoline Delbos‐Corfield, députée européenne et vice‐présidente du groupe Verts‐ALE. Les trois délégations (Verts, LFI et Cinq Etoiles) dénoncent en outre l’opacité qui entoure cette décision prise sans consultation du Parlement, ainsi que le manque de transparence sur la pertinence de l’utilisation des fonds publics.

Malgré leurs demandes répétées, aucun des trois groupes n’a pu obtenir de la Commissaire européenne aux Transports les copies des demandes de prorogation des deux Etats, ni le montant des subventions versées ou dues à Telt au 31 décembre dernier, pas plus que la liste des travaux accomplis à cette date. Il est donc impossible de savoir combien de centaines de millions d’euros de fonds publics échappent, avec cette nouvelle prorogation, aux mailles de la règle européenne.

Dans une réponse adressée aux Verts le 26 février 2020, Adina Valean confirme seulement que « les conditions d’une prolongation d’au moins un an sont réunies » sans en expliciter la nature. La Commissaire aux Transports n’a pas répondu aux questions de Mediacités. L’Inea, l’Agence exécutive inovation et réseaux qui gère les programmes transports de la Commission, nous a confirmé par mail qu’elle avait donné son aval pour « une extension d’utilisation de la subvention « d’au moins un an » au 31 mars, après avoir « étudié soigneusement la situation du projet, notamment ce qui a été accompli et ce qui reste à accomplir. » L’Inea précise juste que la crise du Covid‐19 pourrait entraîner « un léger retard de la signature de l’avenant » à la convention de subvention, en raison des « procédures de télétravail ».

« Mettre fin à ce gouffre financier »

Les eurodéputés Verts contestent depuis 2011 le bien fondé écologique et économique du Lyon Turin. Un « projet remis en cause par toutes les administrations centrales françaises et par la Cour des comptes européenne », dont le coût est jugé « pharaonique » (26 milliards d’euros valeur 2012). Ils appellent, à l’instar des eurodéputés italiens Cinq Etoilesà « mettre fin à ce gouffre financier ». Pour Gwendoline Delbos‐Corfied,  il faut tirer au plus vite « les enseignements de la crise du Covid‐19 » et « modifier les priorités budgétaires européennes » au profit de la « santé publique » et de « projets écologiques nécessaires et pertinents ». Même préoccupation chez l’eurodéputée LFI Leila Chaibi : « Au moment où on s’interroge sur ”le jour d’après ”, le moindre euro d’argent public doit être utilisé pour financer des services publics et des projets d’intérêt général, viables écologiquement et économiquement. »

Sur le terrain, les chantiers du Lyon Turin sont soit suspendus soit fortement ralentis par mesure sanitaire. Mais sur son site web, Telt – qui n’a pas donné suite à nos questions – assure poursuivre ses activités administratives « grâce au télétravail » et « notamment le bon déroulement des appels d’offres en cours pour une valeur de plus de 3 milliards d’euros ».

UN MESE DALLA RECLUSIONE, TRE MESI DAL VIRUS: FACCIAMO IL PUNTO —– CORONAVIRUS: CHI, COME, PERCHE’

https://fulviogrimaldi.blogspot.com/2020/04/un-mese-dalla-reclusione-tre-mesi-dal.html

MERCOLEDÌ 8 APRILE 2020

La prima cosa, nella temperie in cui, con terrorismo mediatico, reclusione, punizioni, hanno immerso i cittadini per privarli della capacità di capire, distinguere, agire, addossando agli stessi soggetti che la subiscono il senso di colpa per la perdita di fondamentali diritti costituzionali, è attraversare lo specchio deformante in cui tutti vengono rappresentati untori gli uni degli altri e che occulta chi, travisato dalla mascherina, opera alle nostre spalle.

Da Dio, Patria, Famiglia, a Vita, Salute, Soli

Al ricatto sulla salute e sulla vita, propria e dei propri cari, succedaneo a quello sperimentato sulla sicurezza minacciata da AIDS, terrorismo e clima, si aggiunge il più viscoso raggiro della retorica della resistenza, del papale “siamo tutti nella stessa barca”, dell’“andrà tutto bene”, dei soffietti allo stare in casa di melensi VIP dello spettacolo e dello sport, del patriottismo di consolidati venditori di patria e sovranità. Sostituire a questa chiamata alle armi, corredata da tutti gli ammennicoli linguistici della guerra santa contro il male, che ci recluta per chi è intento a sacrificarci al suo interesse (non diversamente da altre guerre,1915 e 1940), una resistenza partigiana, che parta da demistificazione e informazione corretta, dovrebbe essere la priorità del cittadino consapevole.

L’evidenza di una cospirazione a fini non dichiarati, ma che l’esperienza storica rende di facile individuazione, è data dalla compattezza del fronte politico-mediatico che non ammette crepe e che, se si verificano, le sigilla con il cemento della repressione. Nel percorso dell’intera operazione, non è stato data alla cittadinanza l’opportunità di sentire una sola voce, scientifica o mediatica, che mettesse in dubbio la vulgata ufficiale. Viviamo la criminalizzazione del dissenso, addirittura dell’onere socratico del dubbio, dell’ineluttabile logica antidogmatica, sia ippocratica che galileiana. Siti e voci della rete che presentino opinioni alternative, vengono denunciate e se ne chiede l’oscuramento. Il protagonista di tutte le grandi campagne vaccinali, Roberto Burioni, del noto San Raffaele di Milano, clinica privata di Don Verze, cara all’ex-governatore CL Formigoni (corruzione e sei anni di carcere), arriva a diffidare legalmente una delle maggiori autorità della nostra virologia, Maria Rita Gismondo, dell’ospedale pubblico “Sacco” di Milano Si era permessa valutazioni sdrammatizzanti su un virus che non differisce, per  contagi ed effetti letali, da quelli influenzali di altri anni.

Falsi, travisamenti, occultamenti

Le tecniche di subornazione delle coscienze e conoscenze comprendono travisamenti e occultamenti. Travisati totalmente sono i contagi e i decessi. Inizialmente trasparivano, sebbene a fatica, numeri in cui si distingueva tra morti CON Covid-19 e morti PER Covid-19, precisando che i secondi erano pochissimi e i primi avevano per causa diretta, non il virus, ma fino a tre pregresse patologie gravi, anche terminali, oltre a un’età media superiore agli ottant’anni. Si moriva di polmonite, diabete, collassi cardiocircolatori, a cui si aggiungeva l’influenza. Da un certo momento in poi, tutti rinunciano a questa specifica e i morti diventano tutti, indistintamente, da coronavirus. Chi finisce sotto un tram, ma si ritrova con un raffreddore, rischia di essere assegnato alla morìa virale. Quando segni di insofferenza allo stato d’assedio iniziano a serpeggiare tra i reclusi, si alza il volume. I morti in ospedale, in terapia intensiva, non bastano. Se ne trovano altri. Nelle case. Ipotetici, ma da includere nel conto. Con un tampone che all’80% produce falsi positivi si possono trovare contagiati anche in vetta al Monte Bianco. Peccato, poi, che anziani malandati e depressi dal lockdown, privi del sole e della relativa vitamina D, necessaria all’immunodifesa, privi di movimento, privi di presidi medici, privi di una socialità che è quanto gli resta di vita, siano poi morti prematuramente per davvero. Eugenetica?

A chi il potere? Alla scienza? A chi la scienza? A noi!

Sotto coperta, invisibili, finiscono le decine, centinaia, di esperti internazionali, anche di chiarissima fama accademica. Personaggi al vertice della sanità pubblica dei rispettivi paesi e anche dell’UE, come il virologo tedesco Wolfgang Wodarg, accademico all’Università di Flensburg, presidente dell’Assemblea del Consiglio d’Europa e responsabile della sanità pubblica del suo Land. Scienziati, esperti europei, americani, asiatici, che mettono in discussione interpretazioni e la bontà dei mezzi e metodi impiegati, ricordando opportunamente quanto si era verificato in passate occasioni di pandemie che tali non erano. Ci si ricordi della “febbre suina”, H1N1, del 2009, promossa a pandemia dagli stessi propagandisti OMS e Big Pharma. Il risultato fu un decorso breve, con appena 10mila decessi, meno della consueta influenza e molto meno della più letale epidemia del 2018 (che scoprì le strutture lombarde nella stessa condizione di caos e inadeguatezza, provocata da trent’anni di saccheggio della sanità pubblica).  Quanto alle società farmaceutiche, ottennero dai governi ordinativi per milioni di vaccini, poi inutilizzati e finiti nelle discariche, e incamerarono miliardi di dollari del contribuente.

Il tentativo di asfaltare ogni divergenza dal dogma proclamato da un “Comitato Tecnico-scientifico”, che, nelle sue posizioni, più o meno coincide con il “Patto Trasversale per la Scienza”, fondato dal dr. Burioni e che ne sostiene la dottrina, ha subito qualche contraccolpo da voci in rete. A ciò dovrà ora porre rimedio la “task force” che sia il governo, sia la RAI, hanno nominato per reprimere le “fake news”. Il giudizio su ciò che fake è, o non lo è, non è demandato a un’autorità indipendente. E’ monopolio dei “fake facts”. Basterebbe questo.

Evitiamo, nonostante molti precedenti storici, di proporre una versione “complottista”, per cui il virus sarebbe stato diffuso intenzionalmente, in vista di profitti esorbitanti da vaccino e di concentrazione di poteri. Ma resta la certezza dell’utilizzo prefigurato e pianificato che se ne è fatto. A New York, nel novembre scorso, con la John Hopkins University, la Fondazione Bill e Melinda Gates, da sempre impegnata nella lotta alla sovrappopolazione e nella promozione della vaccinazione universale, insieme alle maggiori multinazionali della farmaceutica, fa attuare la simulazione di una pandemia da coronavirus del tipo apparso poi a Wuhan, con previsione di 60 milioni di morti. Poche settimane dopo – la coincidenza! – nella zona a più alto inquinamento e più alta densità elettromagnetica da G5 della Cina – scoppia l’epidemia, poi magistralmente contenuta e sconfitta. Lo stesso fenomeno si ripete in Padania, nella zona a più alto inquinamento d’Europa e a più alta densità di 5G d’Italia. Vi sarà qualche fondamento nella denuncia di mille scienziati per cui smog e il bombardamento elettromagnetico da 5G provocano cadute immunitarie?

Modello Italia

La risposta italiana non assomiglia a quella cinese, o sudcoreana. E’ un caos inenarrabile di ordini, contrordini, autorità in ordine sparso, eminentemente inteso a alla totale liquidazione dei diritti del cittadino, con la sciagurata dirigenza lombardo-veneta che esibisce tutta la sua incompetenza, arroganza secessionista e si tira dietro un premier che, pur nella sua estrosità comunicativa notturna, sciolta dal consenso parlamentare, di ukase in ukase, riduce il popolo ai domiciliari e allo stato d’assedio. L’OMS, strettamente intrecciato, operativamente e finanziariamente, a Big Pharma, propone al mondo il “modello Italia”.

Lotta di classe: dai campi alle fabbriche a Matrix

Il sociocidio globale determinato dal collasso della vecchia economia, senza, in Occidente, le minime salvaguardie di protezione collettiva che hanno i paesi fuori dalla cintura imperialista, farà sembrare la depressione del ’29 un acquazzone. Chissà se anche stavolta si potranno impiegare i milioni di disoccupati e miserabili per l’estensione bellica dell‘Impero. Il nuovo assetto di classe dovrebbe essere determinato da una concentrazione di potere senza precedenti nei vertici apolidi e cosmopolitici di una tecnocrazia scientifico-digitale dotata di strumenti di controllo biologici totali. Sparirà l’economia di vicinato, tessuto sociale e culturale di garanzia collettiva e convivenza, divorata da monopoli e oligopoli. Le mafie, in perenne collusione con le classi dirigenti, si gonfieranno dei resti della devastazione. Nazioni intere, cui sarà negato l’ingresso nel “nuovo mondo”, saranno ridotte a sacche di miseria e mendicità. Secondo Goldman Sachs, i prestiti all’Italia dovranno salire a oltre 165 miliardi di euro. Il premier che farnetica di una “prossima primavera”, lo dica a chi quel debito pubblico dovrà ripagarlo ai soliti strozzini, con gli interessi.

Nuovo Ordine Mondiale

L’uso geopolitico dell’operazione è già in atto. In questa prima fase assistiamo al tentato genocidio di paesi disobbedienti, a cui sanzioni USA-UE-ONU, per l’occasione intensificate, impediscono di procurarsi farmaci e cure: Iran, Venezuela, Siria, Iraq, Nordcorea, altri. La demonizzazione della Cina, alimentata dal discorso del “virus cinese”, si intensifica e punta a contrastare il superamento economico, tecnologico e produttivo degli Usa da parte di Pechino. Ma anche a neutralizzare l’attrazione di un’Europa,   garrotata dall’ UE, per le prospettive di progresso e pace che comporta la via della Seta. Un progetto infrastrutturale e di scambi che unisce l’Eurasia all’America Latina e all’Africa, già consacrato in diverse forme di collaborazione e sostenuto dalla più avanzata tecnologia militare della Russia e dalle immense materie prime di quel paese. Del resto il soccorso che paesi “nemici”, Cina, Russia, Cuba, hanno portato ai paesi colpiti, confrontato con l’ignavia e il cinico egoismo di entità “amiche” come UE e Usa, dovrebbe aver aperto qualche dubbio sull’opportunità della nostra collocazione.

E’ un mondo distopico quello che si vorrebbe fare uscire da questa crisi. L’Alleanza Globale per l’Immunizzazione da Vaccino (GAVI) di Bill Gates, sostenuta da fautori della riduzione demografica, come Kissinger e Soros, un partneriato pubblico-privato cui partecipano le maggiori società del farmaco e che finanzia anche l’OMS, ha lanciato nell’autunno scorso, sempre da New York, la cosiddetta Agenda ID2020. Si tratta di un programma di vaccinazione universale coatta, che imprima ai neonati un’identità digitale in grado di archiviarne e rivelarne i dati per tutta la vita. A Davos, nel gennaio scorso, è stato licenziato. Verrà sperimentato quest’anno in Bangladesh. Poi dovrebbe toccare a tutti.

Un mondo di sorvegliati, controllati, manipolati, in mano a una cupola tecnico-scientifica-digitale. Non ci si poteva arrivare che attraverso la paura per la salute e la vita.

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 16:30

Dal sito del Movimento Popolare di Sollevazione

PER LA RINASCITA DELL’ITALIA,  ATTRAVERSO  L’ECONOMIA REALE E L’OSSERVANZA DELLA COSTITUZIONE di G. Paragone, T. Alterio, M. Pasquinelli, M. Scardovelli, P. Maddalena

APR 04, 2020by SOLLEVAZIONE in POLITICA INTERNA

 “Nulla impedirà al sole di sorgere ancora, nemmeno la notte più buia”

L’emergenza sanitaria finirà, quella economico-sociale che bussa alle porte sarà invece davvero devastante. L’epidemia ha infatti colpito una società già profondamente indebolita da decenni di scellerate politiche predatorie. La pretesa neoliberista di averci privato della sovranità nazionale, consegnandola all’Europa e ai mercati, ha indebolito le nostre difese immunitarie.

Anni di austerità in nome del rispetto dei vincoli europei hanno devastato il tessuto economico produttivo dell’Italia, spolpato la sanità pubblica, distrutto lo stato sociale. Tutto questo ha spalancato le porte alla finanza internazionale e alle multinazionali che hanno acquistato a buon mercato gran parte delle nostre ricchezze e del nostro patrimonio pubblico.

E’ arrivato il momento di dire basta al sistema neoliberista e a questa Unione Europea.

Quando il male è profondo la terapia non può che essere radicale. La recessione è già in corso, per sventare il pericolo che diventi catastrofica, per evitare che milioni di italiani siano gettati sul lastrico, occorrono misure drastiche, occorre avere una visione chiara e radicale che vada in una direzione opposta rispetto a quella fin qui imposta dall’Unione Europea e dalla nostra classe politica.

Davanti all’emergenza chiediamo al governo di adottare un piano che metta in sicurezza il Paese e che ponga le basi per una rinascita dell’Italia basata sui principi della Costituzione repubblicana.

Tra i primi provvedimenti urgenti:
1)  Sostenere chi è senza lavoro e senza reddito seguendo criteri di equità e semplificando le procedure di accesso agli aiuti.
2)  Sospendere mutui, prestiti e tasse per i cittadini in difficoltà.
3)  Concedere prestiti a fondo perduto per tutte le aziende, gli esercenti, gli agricoltori e gli artigiani affinché possano riprendere le loro attività.
Passata l’emergenza non si può e non si deve tornare allo status quo ante.  Ma chiediamo di:

1)  Tenere presente che lo Stato italiano ha mantenuto il potere di emettere  “moneta di Stato a corso legale”  (art. 117, comma 1, lett. e) Cost.); fatto che non c’è impedito, né dai Trattati né dallo Statuto della Bce); spendibili nel territorio italiano; ritenere che alla luce di quanto dispone la Convenzione di Vienna sui Trattati internazionali, nella situazione che si è creata, è possibile abrogare le ”leggi di ratifica” dei Trattati di Maastricht e di Lisbona, nonché dei Trattati relativi al WTO, al FMI e alla Banca mondiale degli investimenti;

2) Separare la banche commerciali dalle banche d’investimento. Trasformare Cassa Depositi e Prestiti e MCC, da Spa in “Enti pubblici”, che devono servire a soddisfare i diritti fondamentali dei cittadini, mentre il fine delle Spa è di soddisfare gli interessi economici dei “soci”. Tenere presente che la Banca d’Italia, potendo creare denaro dal nulla, deve esercitare la funzione di prestatore di ultima istanza.

3) Abrogare le leggi che consentono la finanziarizzazione del mercato (cartolarizzazioni, derivati, ecc.);

4) Porre in essere tutte le attività di carattere amministrativo e contabile al fine di individuare quella parte del debito pubblico derivata dalla speculazione finanziaria, da dichiarare inesigibile, alla luce di quanto prevede la Costituzione in ordine ai diritti fondamentali del cittadino;

5) Bloccare tutte le privatizzazioni, le cartolarizzazioni e le svendite del patrimonio pubblico. Nazionalizzare, come prevede l’art.43 della Costituzione, i servizi pubblici essenziali (nazionali e locali), “le fonti di energia” (acqua, luce, gas, industrie strategiche, fonti di produzione della ricchezza nazionale, ecc.); e le situazioni di monopolio. Far rientrare tali beni nel concetto di “demanio pubblico”, e cioè di proprietà collettiva demaniale del popolo rendendoli inalienabili, inusucapibili e inespropriabili. Incrementare lo Stato sociale e l’intervento dello Stato nell’economia.

6) Agire sul piano giudiziario contro le devastazioni ambientali, i contratti capestro con privati faccendieri o multinazionali straniere, considerando i cittadini, singoli o associati (art. 118 Cost) come parti della comunità statale (art.2 Cost), titolari di eguali diritti fondamentali, chiedendo ai giudici di far annullare le leggi incostituzionali dalla Corte Costituzionale.

E’ giunto il tempo di far ricorso al diritto di Resistenza di cui parlava Dossetti, al “potere negativo del popolo”, il quale è titolare dell’ultima parola quando, come accade da tempo, la  Costituzione viene violata. E’ tempo di uscire dalla gabbia di questa Unione europea e dell’euro senza alcun tentennamento o ambiguità. Essere un Paese sovrano non significa isolamento, ma, al contrario, significa essere un Paese libero capace di rapportarsi in modo paritario con gli altri Paesi. Essere sovrani significa liberarsi da una schiavitù per migliorare le nostre vite.

Dobbiamo essere la scintilla capace di risvegliare gli italiani sopiti, impauriti e senza speranze e, per questo, abbiamo tutti un compito grande: liberarci da questo senso di impossibilità, di impotenza, dalla prigione interiore in cui siamo finiti, per tornare ad essere un Paese grande come eravamo.

È questo il tempo di rinascere!

E’ giunto il tempo di costruire un partito che attui la Costituzione e ci liberi dalla gabbia europea!

Ce la faremo uniti!

Firmatari:

Gianluligi ParagoneTiziana AlterioMoreno PasquinelliMauro ScardovelliPaolo Maddalena