Covid-19, non torniamo alla normalità. La normalità è il problema

https://ilmanifesto.it/covid-19-non-torniamo-alla-normalita-la-normalita-e-il-problema/?fbclid=IwAR3nGMUXQhiEN0mL0gt10nIM2QAqCuTh9paErQ-gUsqT9O1f9LW8lg6OAhM

Volontari della ong Open arms fanno test per Covid-19 a Barcellona

Volontari della ong Open arms fanno test per Covid-19 a Barcellona 

NOTA DEL TRADUTTORE

Quello che segue è l’articolo più intelligente, o uno dei migliori, che abbia letto sul Covid-19. Perciò ho fatto la fatica di tradurlo dallo spagnolo.

L’autore è Ángel Luis Lara, sceneggiatore e studioso di cinema il quale, evidentemente forzato a casa, si è messo a studiare la situazione. Ho conosciuto Ángel nel 2009 a San Cristóbal, in Chiapas, a un incontro promosso dall’Esercito zapatista di liberazione nazionale (Ezln) e chiamato “La digna rabia”, a cui lui, io e molti altri intellettuali e militanti erano stati invitati dagli zapatisti e dove ciascuno ha tenuto una sua “ponencia”, intervento, di fronte a migliaio di indigeni, messicani e gente venuta da ovunque e sedendo a fianco dei comandanti dell’Ezln e al subcomandante Marcos (oggi Galeano).

Per Ángel fu facile, parlare in spagnolo, lui è di Madrid, per me fu piuttosto terrorizzante. E comunque Ángel mi colpì per la sua intelligenza, arguzia, agilità nel saltare da una corrente culturale a un’altra: ero piuttosto invidioso.

Ora ho trovato questo articolo nello spazio che El Diario, quotidiano on line indipendente in Spagna, offre a Amador Fernandez-Savater, altro piuttosto giovane osservatore della società ai tempi del neoliberismo decadente, per lo meno dai tempi degli Indignados, e che cerco sempre di leggere per non sentirmi troppo stupido o tradizionalista.

L’articolo di Ángel Luis Lara è molto lungo, cioè inadatto a Facebook, dove hanno molto più successo invettive, epigrammi, slogan e foto di famiglia. Ma siccome da ragazzo leggevo molto Gramsci, mi è rimasta la convinzione che, come diceva all’ingrosso lui, lo studio è una faticosa assuefazione. Tanto più se si tratta di un fenomeno come la fine del mondo, o giù di lì, causata da un virus sconosciuto (uno dei tanti, in verità, solo che questo è peggiore). Perciò a volerci capire qualcosa e a immaginare cosa fare per venirne fuori, oltre a prendersela con i governanti per le loro stupidaggini o crimini, bisogna approfondire.

Traducendolo ho capito molte più cose, e questo è già un bel guadagno. Ecco l’articolo.

Pierluigi Sullo

Non torniamo alla normalità. La normalità è il problema

1.

Nell’ottobre del 2016 i suini neonati degli allevamenti della provincia di Guangdong, nel sud della China, cominciarono ad ammalarsi per il virus della diarrea epidemica suina (PEDV), un coronavirus che colpisce le cellule che ricoprono l’intestino tenue dei maiali. Quattro mesi dopo, tuttavia, i piccoli suini smisero di risultare positivi al PEDV, anche se continuavano ad ammalarsi e a morire.

Come confermarono gli esami, si trattava di un tipo di malattia mai visto prima e che fu battezzata come Sindrome della Diarrea Acuta Suina (SADS-CoV), provocata da un nuovo coronavirus che uccise 24 mila suini neonati fino al maggio del 2017, precisamente nella stessa regione in cui tredici anni prima si era scatenata l’epidemia di polmonite atipica conosciuta come SARS.

Nel gennaio del 2017, nel pieno dello sviluppo dell’epidemia suina che devastava la regione di Guangdong, vari ricercatori in virologia degli Stati uniti pubblicarono uno studio sulla rivista scientifica “Virus Evolution” in cui si indicavano i pipistrelli come la maggiore riserva animale di coronavirus del mondo.

Le conclusioni della ricerca sviluppata in Cina furono coincidenti con lo studio nordamericano: l’origine del contagio fu localizzata, con precisione, nella popolazione di pipistrelli della regione.

Ma come fu possibile che una epidemia tra i maiali fosse scatenata dai pipistrelli? Cos’hanno a che fare i maiali con questi piccoli animali con le ali?

La risposta arrivò un anno dopo, quando un gruppo di ricercatori cinesi pubblicò un rapporto sulla rivista “Nature” in cui, oltre a segnalare al loro paese il focolaio rilevante di apparizione di nuovi virus ed enfatizzare l’alta possibilità di una loro trasmissione agli esseri umani, facevano notare come la crescita dei macro-allevamenti di bestiame avesse alterato le nicchie vitali dei pipistrelli.

Inoltre, lo studio rese chiaro che l’allevamento industriale ha incrementato le possibilità di contatto tra la fauna selvatica e il bestiame, facendo esplodere il rischio di trasmissione di malattie originate da animali selvatici i cui habitat sono drammaticamente aggrediti dalla deforestazione.

Tra gli autori di questo studio compare Zhengli Shi, ricercatrice principale dell’Istituto di virologia di Wuhan, la città da cui proviene l’attuale Covid-19, il cui ceppo è identico per il 96 per cento al tipo di coronavirus trovato nei pipistrelli per mezzo dell’analisi genetica.

2.

Nel 2004, l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), l’Organizzazione mondiale della salute animale (Oie) e l’Organizzazione delle Nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), segnalarono l’incremento della domanda di proteina animale e l’intensificazione della sua produzione industriale come principali cause dell’apparizione e propagazione di nuove malattie zoonotiche sconosciute, ossia di nuove patologie trasmesse dagli animali agli esseri umani.

Due anni prima, l’organizzazione per il benessere degli animali Compassion in World Farming aveva pubblicato sull’argomento un interessante rapporto. Per redigerlo, l’associazione britannica aveva utilizzato dati della Banca mondiale e dell’Onu sull’industria dell’allevamento che erano stati incrociati con rapporti sulle malattie trasmesse attraverso il ciclo mondiale della produzione alimentare.

Lo studio concluse che la cosiddetta “rivoluzione dell’allevamento”, ossia l’imposizione del modello industriale dell’allevamento intensivo legato ai macro-allevamenti, stava provocando un incremento globale di infezioni resistenti agli antibiotici, rovinando i piccoli allevatori locali e promuovendo la crescita delle malattie trasmesse attraverso alimenti di origine animale.

Nel 2005, esperti della Oms, della Oie e del Dipartimento dell’agricoltura degli Stati uniti e il Consiglio nazionale del maiale di questo paese elaborarono uno studio nel quale si tracciava la storia della produzione negli allevamenti dal tradizionale modello delle piccole fattorie familiari fino all’imposizione delle macro-fattorie industriali.

Tra le sue conclusioni, il rapporto segnalava, come uno dei maggiori impatti del nuovo modello di produzione agricola, la sua incidenza nell’amplificazione e mutazione di patogeni, così come il rischio crescente di disseminazione di malattie.

Inoltre, lo studio notava come la sparizione dei modi tradizionali di allevamento a favore dei sistemi intensivi si stava producendo nella percentuale del 4 per cento l’anno, soprattutto in Asia, Africa e Sudamerica.

Nonostante i dati e gli allarmi, non si è fatto nulla per frenare la crescita dell’allevamento industriale intensivo.

Oggi, Cina e Australia concentrano il maggior numero di macro-fattorie del mondo. Nel gigante asiatico la popolazione degli animali allevati si è praticamente triplicata tra il 1980 e il 2010.

La Cina è il produttore di animali allevati più importante del mondo, e concentra nel suo territorio il maggior numero di “landless systems” (sistemi senza terra), macro sfruttamento di allevamenti in cui si affollano migliaia di animali in spazi chiusi.

Nel 1980 solo il 2,5 per cento degli allevamenti cinesi era costituito da questo tipo di fattoria, nel 2010 raggiungeva il 56 per cento.

Come ci ricorda Silvia Ribeiro, ricercatrice del Gruppo di azione su erosione, tecnologia e concentrazione (ETC), una organizzazione internazionale che si concentra nella difesa della diversità culturale e ecologica e dei diritti umani, la Cina è la fabbrica del mondo.

La crisi scatenata dall’attuale pandemia provocata dal Covid-19 rivela il suo ruolo nell’economia globale, particolarmente nella produzione industriale di alimenti e nello sviluppo dell’allevamento intensivo.

Solo la Mudanjiang Ciy Mega Farm, una fattoria gigante situata nel nord-est della Cina, che contiene centomila vacche la cui carne e il cui latte sono destinati al mercato russo, è cinquanta volte più grande della più grande fattoria bovina dell’Unione europea.

Un balcone a Pamplona, foto Ap /LaPresse

3.

Le epidemie sono un prodotto dell’urbanizzazione. Quando circa cinquemila anni fa gli esseri umani cominciarono a raggrupparsi in città con una certa densità di popolazione, le infezioni poterono colpire simultaneamente grandi quantità di persone e i loro effetti mortali si moltiplicarono.

Il pericolo di pandemie come quella attuale si generalizzò quando il processo di urbanizzazione è diventato globale.

Se applichiamo questo ragionamento all’evoluzione della produzione di carne le conclusioni sono realmente inquietanti. In un periodo di cinquanta anni l’allevamento industriale ha “urbanizzato” una popolazione animale che prima si distribuiva in piccole e medie fattorie familiari. Le condizioni di affollamento di questa popolazione in macro-fattorie convertono ciascun animale in una sorta di potenziale laboratorio di mutazioni virali suscettibili di provocare nuove malattie e epidemie.

Questa situazione è tuttavia più inquietante se consideriamo che la popolazione globale di animali allevati è quasi tre volte maggiore di quella di esseri umani.

Negli ultimi decenni, alcune delle infezioni virali con maggiore impatto si sono prodotte grazie a infezioni che, oltrepassando la barriera delle specie, hanno avuto origine nello sfruttamento intensivo dell’allevamento.

Michael Greger, ricercatore statunitense sulla salute pubblica e autore del libro “Flu: A virus of our own hatching” (influenza aviaria: un virus che abbiamo incubato noi stessi), spiega che prima della domesticazione degli uccelli, circa 2500 anni fa, l’influenza umana di certo non esisteva.

Allo stesso modo, prima della domesticazione degli animali da allevamento non si hanno tracce dell’esistenza del morbillo, del vaiolo e di altri morbi che hanno colpito l’umanità da quando sono apparsi in fattorie e stalle intorno all’anno ottomila prima della nostra era.

Una volta che i morbi saltano la barriera tra specie possono diffondersi nella specie umana provocando conseguenze tragiche, come la pandemia scatenata da un virus dell’influenza aviaria nel 1918 e che in un solo anno uccise tra 20 e 40 milioni di persone.

Come spiega il dottor Greger, le condizioni di insalubrità nelle trincee della prima guerra mondiale sono solo una delle variabili che causarono una rapida propagazione del contagio del 1918, e sono a loro volta replicate oggi in molti dei mega-allevamenti che si sono moltiplicati negli ultimi venti anni con lo sviluppo dell’allevamento industriale intensivo.

Miliardi di polli, per esempio, sono allevati in questa macro-imprese che funzionano come spazio di contenimento suscettibile di generare una tempesta perfetta di carattere virale.

Da quando l’allevamento industriale si è imposto nel mondo, la medicina sta rilevando morbi sconosciuti e un ritmo insolito: negli ultimi trent’anni si sono identificati più di trenta patogeni umani, la maggior parte dei quasi virus zoonotici come l’attuale Covid-19.

4.

Il biologo Robert G. Wallace ha pubblicato nel 2016 un libro importante per tracciare la connessione tra i modelli della produzione capitalista di bestiame e l’eziologia delle epidemie esplose negli ultimi decenni: “Big Farms Make Big Flu” (le mega-fattorie producono macro-influenze).

Alcuni giorni fa, Wallace concesse una intervista alla rivista tedesca Marx21, nella quale sottolinea una idea chiave: concentrare l’azione contro il Covid-19 su mezzi d’emergenza che non combattano le cause strutturali dell’epidemia è un errore dalle conseguenze drammatiche. Il principale pericolo che fronteggiamo è considerare il nuovo coronavirus come un fenomeno isolato.

Come spiega il biologo statunitense, l’incremento degli incidenti con virus, nel nostro secolo, così come l’aumento delle loro pericolosità, sono direttamente legati alle strategie delle corporazioni agricole e dell’allevamento,  responsabili della produzione industriale intensiva di proteine animali.

Queste corporazioni sono così preoccupate per il loro profitto da assumere come un rischio proficuo la creazione e propagazione di nuovi virus, esternalizzando così i costi epidemiologici delle loro operazioni agli animali, alle persone, agli ecosistemi locali, ai governi e, proprio come mostra la pandemia attuale, allo stesso sistema economico mondiale.

Nonostante l’origine esatta del Covid-19 non sia del tutto chiara, essendo possibili cause dell’infezione virale tanto i maiali delle macro-fattorie quanto il consumo di animali selvatici, questa seconda ipotesi non scagiona gli effetti diretti della produzione intensiva di animali.

La ragione è semplice: l’industria dell’allevamento è responsabile dell’epidemia di influenza suina africana (ASP) che ha devastato le fattorie cinesi che allevano maiali l’anno scorso.

Secondo Christine McCracken, la produzione cinese di carne di maiale potrebbe essere crollata del 50 per cento alla fine dell’anno passato. Considerato che, almeno prima dell’epidemia di ASf nel 2019, la metà dei maiali che esistevano nel mondo veniva allevata in Cina, le conseguenze per l’offerta di carne di maiale sono state drammatiche, particolarmente nel mercato asiatico.

E’ precisamente questa drastica diminuzione dell’offerta di carne di maiale che avrebbe motivato un aumento della domanda di proteina animale proveniente dalla fauna selvatica, una delle specialità del mercato della città di Wuhan, che alcuni ricercatori hanno segnalato come l’epicentro dell’epidemia di Covid-19.

5.

Frédéric Neyrat ha pubblicato nel 2008 il libro “Biopolitique des catastrophes” (biopolitica delle catastrofi), una definizione con la quale egli indica una maniera di gestire il rischio che non mette mai in questione le cause economiche e antropologiche, precisamente le modalità di comportamento dei governi, delle élites e di una parte significativa delle popolazioni mondiali in relazione alla pandemia attuale.

Nella proposta analitica del filosofo francese, le catastrofi implicano una interruzione disastrosa che sommerge il presunto corso normale dell’esistenza. Nonostante il suo carattere di evento, si tratta di processi in marcia che mostrano, qui e ora, gli effetti di qualcosa che è già in corso.

Come segnala Neyrat, una catastrofe sempre si origina da qualche parte, è stata preparata, ha una storia.

La pandemia che ci devasta disegna con efficacia la sua caratteristica di catastrofe, tra l’altro nell’incrocio tra epidemiologia e economia politica. Il suo punto di partenza è saldamente ancorato nei tragici effetti dell’industrializzazione capitalista del ciclo alimentare, particolarmente nell’allevamento.

Oltre alle caratteristiche biologiche intrinseche dello stesso coronavirus, le condizioni della sua propagazione includono gli effetti di quattro decenni di politiche neoliberiste che hanno eroso drammaticamente le infrastrutture sociali che aiutano a sostenere la vita. In questa deriva, i sistemi sanitari pubblici sono stati particolarmente colpiti.

Da giorni circolano nelle reti sociali e nei telefoni mobili testimonianze del personale sanitario che sta combattendo con la pandemia negli ospedali. Molti coincidono con la descrizione di una condizione generale catastrofica caratterizzata da una drammatica mancanza di risorse e di personale sanitario.

Come annota Neyrat, la catastrofe possiede sempre una storicità e dipende da un principio di causalità.

Dagli inizi del secolo, differenti collettivi e reti cittadine hanno denunciato il profondo deterioramento del sistema pubblico della salute che, per mezzo di una politica reiterata di sottrazione di capitali, ha condotto praticamente al collasso la sanità in Spagna.

Nella Comunidad (Regione) di Madrid, territorio particolarmente colpito dal Covid-19, l’investimento pro capite destinato al sistema sanitario si è andato riducendo in modo critico negli ultimi anni, mentre si scatenava un parallelo processo di privatizzazione. Sia la cura primaria come i servizi di urgenza della regione erano già saturi e con gravi carenze di risorse prima dell’arrivo del coronavirus.

Il neoliberismo e i suoi agenti politici hanno seminato su di noi temporali che un microorganismo ha trasformato in tempesta.

Ospedale da campo a Madrid, foto Ap /LaPresse

6.

Nel pieno della pandemia ci sarà sicuramente chi si affannerà nella ricerca di un colpevole, si tratti di un capro espiatorio o di un furfante. Si tratta di certo di un gesto inconscio per mettersi in salvo: trovare qualcuno a cui attribuire la colpa tranquillizza perché depista sulle responsabilità.

Tuttavia più che impegnarsi nello smascherare un soggetto solo, è più opportuno identificare una forma di soggettivizzazione, ossia interrogarsi su uno stile di vita capace di scatenare devastazioni così drammatiche come quelle che oggi investono le nostre esistenze.

Si tratta senza dubbio di una domanda che non ci salva né ci conforta e meno ancora ci offre una via d’uscita. Sostanzialmente perché questo stile di vita è il nostro.

Un giornalista si è avventurato qualche giorno fa ad offrire una risposta sull’origine del Covid-19: “Il coronavirus è una vendetta della natura”. Al fondo non gli manca una ragione. Nel 1981 Margaret Thatcher depose una frase per i posteri che rivelava il senso del progetto cui lei partecipava: “L’economia è il metodo, l’obiettivo è cambiare l’anima”.

La prima ministra non ingannava nessuno. Da tempo la ragione neoliberista ha convertito ai nostri occhi il capitalismo in uno stato di natura. L’azione di un essere microscopico, tuttavia, non solo sta riuscendo di arrivare anche alla nostra anima, ma ha spalancato una finestra grazie alla quale respiriamo l’evidenza di quel che non volevamo vedere.

Ad ogni corpo che tocca e fa ammalare, il virus reclama che tracciamo la linea di continuità tra la sua origine e la qualità di un modo di vita incompatibile con la vita stessa. In questo senso, per paradossale che sembri, affrontiamo un patogeno dolorosamente virtuoso.

La sua mobilità aerea sta mettendo allo scoperto tutte le violenze strutturali e le catastrofi quotidiane là dove si producono, ossia ovunque.

Nell’immaginario collettivo comincia a diffondersi una razionalità di ordine bellico: siamo in guerra contro un coronavirus. Eppure sarebbe forse più esatto pensare che è una formazione sociale catastrofica quella che è in guerra contro di noi già da molto tempo.

Nel corso della pandemia, le autorità politiche e scientifiche dicono che sono le persone gli agenti più decisivi per arginare il contagio.

Il nostro confinamento è inteso in questi giorni come il più vitale esercizio di cittadinanza. Tuttavia, abbiamo bisogno di essere capaci di portarlo più lontano.

Se la clausura ha congelato la normalità delle nostre inerzie e dei nostri automatismi, approfittiamo del tempo sospeso per interrogarci su inerzie e automatismi.

Non c’è normalità alla quale ritornare quando quello che abbiamo reso normale ieri ci ha condotto a quel che oggi abbiamo.

Il problema che affrontiamo non è solo il capitalismo in sé, ma anche il capitalismo in me. Chissà che il desiderio di vivere non ci renda capaci della creatività e della determinazione per costruire collettivamente l’esorcismo di cui abbiamo bisogno.

Questo, inevitabilmente, tocca a noi persone comuni.

Grazie alla storia sappiamo che i governanti e i potenti si affanneranno a fare il contrario.

Non permettiamo che ci combattano, dividano o mettano gli uni contro gli altri.

Non permettiamo che, travolti una volta ancora dal linguaggio della crisi, ci impongano la restaurazione intatta della struttura stessa della catastrofe.

Benché apparentemente il confinamento ci abbia isolato gli uni dagli altri, tutto questo lo stiamo vivendo insieme.

Anche in questo il virus appare paradossale: si mette in una condizione di relativa eguaglianza. In qualche modo riscatta dalla nostra amnesia il concetto di genere umano e la nozione di bene comune. Forse i fili etici più efficaci da cui cominciare a tessere un modo di vita diverso a un’altra sensibilità.

Articolo pubblicato in italiano per gentile concessione dell’autore. Traduzione dal castigliano di Pierluigi Sullo. Edizione originale su El Diario.

Coronavirus: Marco Travaglio propone di commissariare Lombardia e Piemonte

https://www.nextquotidiano.it/travaglio-commissariare-lombardia-e-piemonte/?fbclid=IwAR0KbvloWHxyX7uIOY_W8TnQvEk2S3COoqEpfW9zj9DZzersPh2lVXB6LhA

| 14 Aprile 2020

travaglio sea watch salvini patronaggio - 4

Marco Travaglio sul Fatto di oggi ci racconta cosa succede nell’emergenza Coronavirus SARS-COV-2 e COVID-19 in Lombardia, dove la premiata ditta Gallera & Fontana sta imperversando tra tamponi e zone rosse dimenticate mentre gli assessori come Mattinzoli dicono che i lombardi vogliono menare Conte:

È sempre più difficile convincere un cittadino del Molise o del Veneto che deve restare ai domiciliari chissà fino a quando perché in Lombardia e in Piemonte i contagi e i morti, anziché scendere, salgono. O meglio, si potrebbe convincerlo se, dopo i disastri fatti nei primi due mesi, le giunte lombarda e piemontese mostrassero uno straccio di strategia per aggredire il virus. Invece continuano a subirlo, inerti e in balia degli eventi, senza un orizzonte né una linea d’azione chiara. Passano il tempo a chiacchierare, alodarsi, imbrodarsi e scaricare barile su “Roma”. Esemplare l’assessore forzista lombardo Mattinzoli che, mentre le destre accusano Conte di rompere l’unità nazionale, lo insulta dandogli del “pezzo di merda”, minacciandolo di “riempirlo di botte”: ed è ancora al suo posto.

Indimenticabile l’assessore forzista Gallera, così garrulo fino all’altroieri malgrado il record mondiale di morti nella sua regione, e ora silente dopo la scoperta dello scandalo di Alzano (i suoi fedelissimi che vietano la chiusura dell’ospedale dopo i primi focolai) e dell’ordinanza che riversa nelle Rsa i malati Covid dimessi dagli ospedali, ma ancora infetti. Leggendario lo sgovernatore leghista Fontana, che accusa il governo di negare la cassa integrazione a 1 milione di lombardi senz’averla mai chiesta. Poi si dice stupito perché “ero convinto che la curva rallentasse più velocemente”, ma fa poco o nulla per frenarla: scarsa mappatura dei contagi, nessuna campagna aggressiva di tamponi, niente sorveglianza attiva sui contagiati, nessun piano di test sierologici, ignorata la medicina territoriale, isolamento tutto da dimostrare nelle Rsa fra reparti con sani e con malati Covid. Nulla di ciò che fa il Veneto di Zaia, leghista anche lui, ma con la test sul collo.

giulio gallera attilio fontana

E così, mentre tutti parlano d’altro per fare propaganda e/o non doversi smentire, si perdono di vista due Regioni totalmente fuori controllo che, non certo per colpa dei cittadini, rischiano di prolungare il lockdown di tutt’Italia anche dopo il 14 maggio. È vero, il virus nei primi giorni è stato sottovalutato in tutto il mondo. Ma sono trascorsi quasi due mesi e non si pub più accettare che Fontana si trinceri ancora dietro “il virus particolarmente violento in Lombardia”, perché la sua violenza è stata direttamente proporzionale a vari fattori, in primis gli errori dei vertici sanitari della sua Regione: all’inizio (sull’ospedale di Alzano e la mancata zona rossa in Bassa Val Seriana), in seguito (con le Rsa e la rincorsa all’ospedalizzazione selvaggia) e oggi (zero strategie per aggredire l’emergenza).

Né si può lasciare il Piemonte in balla di una giunta di inetti che si ispirano all’unico modello da non seguire: quello lombardo. Non lo diciamo noi: lo dicono i medici, con denunce documentate a cui nessuno ha neppure tentato di replicare (se non col decisivo argomento che gli Ordini dei medici sono “al servizio del Pd”). La politica non c’entra nulla: c’entra la pelle dei lombardi e dei piemontesi e anche la sorte di un intero Paese ancora bloccato per i numeri spaventosi di quelle due regioni. Il governo, se può, pensi seriamente a commissariare le due Regioni, o almeno le loro Sanità allo sbando. Per il bene di tutti.

Torino, la città più bombardata d’Italia durante la Seconda Guerra Mondiale

http://www.piemontetopnews.it/torino-la-citta-piu-bombardata-ditalia-durante-la-seconda-guerra-mondiale/?fbclid=IwAR1lCBnM7GY15KOrpi5095GoLGLcEkNfoguw-E6K58efuF4T6bXqyHyG_lo

TORINO. A partire dagli Anni Venti del Novecento Torino stava diventando un centro industriale, sede dell’innovazione tecnologica del Paese, e si andavano strutturando complessi manifatturieri, alcuni di una certa rilevanza, quali la Fiat per la produzione di veicoli civili e militari, o l’Upa, una cellula dell’Unpa (l’Ufficio nazionale di protezione antiaerea che si occupava di attuare i provvedimenti relativi all’oscuramento, la protezione, il rifugio e il soccorso della popolazione.), istituito tra il 1936 e il 1937, e soppresso dopo la fine del conflitto nel 1946, che aveva il compito di fornire alla popolazione approvvigionamenti di maschere antigas, materiali sanitari, costruzione rifugi.

Queste furono alcune delle ragioni per cui bombardare Torino, iniziando il 12 giugno del 1940, due giorni dopo la dichiarazione del duce, Benito Mussolini, riguardante l’entrata dell’Italia in guerra contro Francia e Inghilterra, e il cambiamento delle vie i cui nomi contenevano riferimenti al nemico, come corso Inghilterra, che diventerà corso Costanzo Ciano, e via Marna, che diverrà via Bligny.

Da quel momnento, e fino al 1945, la città sarà la più bombardata d’Italia. L’8 novembre del 1943, poi, Torino subirà la prima grande incursione diurna, compiuta da un centinaio di aerei, che farà 202 morti e 346 feriti durante il primo giorno di scuola per elementari e medie. A seguito delle distruzioni che colpiranno strade, edifici, case, monumenti e quant’altro, arando completamente alcuni quartieri, la fisionomia della città cambierà. «Sembra che una nuvola di fuoco, resa ancor più luminosa dall’oscurità, gravi su Torino»: è in questo modo che Emanuele Artom, partigiano e storico italiano di origine ebraica, vittima dell’Olocausto, descriverà uno dei numerosi bombardamenti.

Questi alcuni tra i luoghi bombardati: monumento dell’Artigliere, isolato compreso tra le vie Bonafous, Gioda (ora via Giolitti) e lungo Po Diaz, Stabilimenti Gilardini, corso Giulio Cesare, via Roma, via monte Bianco, Accademia Albertina delle Belle Arti, via Accademia Albertina 6, Istituto Salesiano Maria Ausiliatrice in Valdocco, via Cibrario, cinema Massimo, via Scarlatti 18, stazione Porta Nuova, ospedale Mauriziano, Casa Benefica, via Principi d’Acaja 40, via San Massimo angolo via Maria Vittoria, Azienda Tranvie Municipali, deposito di corso Regina Margherita 14, corso Orbassano, Palazzo delle Corporazioni, via Mario Gioda (ora via Giolitti) 28, corso Racconigi 60, Galleria Subalpina, piazza Cesare Augusto, corso Regina Margherita angolo via Macerata, corso Vittorio Emanuele II 94.

E ancora: chiesa della Crocetta (Beata Vergine delle Grazie), corso Peschiera (ora corso Luigi Einaudi), piazza Castello e via Pietro Micca, ospedale Molinette, campo sportivo “Torino Calcio”, via Filadelfia, Scuola elementare Michele Coppino, corso Duca degli Abruzzi 45, via San Secondo angolo via Legnano, Teatro Alfieri, piazza Statuto, corso San Martino, via Boucheron, Istituto Magistrale Regina Margherita, via Belfiore 46, Tempio israelitico, via Pio V 12, corso Peschiera, corso Gabriele d’Annunzio (ora corso Francia) angolo via Pietro Bagetti, Aeronautica, corso Italia (ora corso Francia) 366, via Filiberto Pingone, via San Quintino, via Maria Vittoria angolo via san Massimo, via Vassalli Eandi angolo via Bagetti, via Carlo Capelli 33-35, via Sacchi angolo via Pastrengo, via Santa Teresa angolo via San Tommaso, via Lodi, Caffè Raymondi, via Rodi 2 bis, farmacia dell’Ospedale Maria Vittoria, via Cibrario angolo via Medail, via Po, piazza Palazzo di Città, Fiat Lingotto.

In cinque anni la città sarà bombardata più di cinquanta volte. Tra i rifugi antiaerei, il Museo della Resistenza, in corso Valdocco 4, negli Anni Quaranta fu il rifugio aziendale del quotidiano “La Gazzetta del Popolo”, e una mostra multimediale, allestita fino al 30 dicembre prossimo, fa rivivere i momenti dei bombardamenti.
La Seconda Guerra Mondiale, con la firma della resa tedesca nel 1945, e la conseguente entrata degli americani a Torino, sarà ricordata tristemente dalla città anche per un altro terribile fatto: i deportati in treno verso il campo di concentramento di Mauthausen, che una targa commemorativa all’interno della stazione di Porta Nuova non farà mai dimenticare.

Milano, l’ospedale in Fiera finora è un grande flop: solo sei i pazienti ricoverati

https://milano.fanpage.it/milano-lospedale-in-fiera-finora-e-un-grande-flop-solo-sei-i-pazienti-ricoverati/

Dall’iniziale progetto di 500 posti letto ai 53 attualmente in funzione, con soli sei pazienti effettivi: quello dell’ospedale in Fiera a Milano è un progetto intorno al quale ci sono tanti punti di domanda. Intanto i medici puntano il dito contro la scelta di creare una struttura distante dagli ospedali delle province attualmente sotto stress per l’emergenza coronavirus: non sarebbe stato meglio potenziare le strutture già esistenti?

CRONACA LOMBARDIA MILANO 10 APRILE 2020 20:25

di Chiara Ammendola


È uno strano caso quello dell’ospedale in Fiera a Milano dove ad oggi i pazienti ricoverati sono sei, fino a ieri erano la metà, mentre entro questa sera ne arriveranno altri due, per un totale di otto. “Tutti i nuovi pazienti hanno un’età compresa tra 60 e 70 anni – si legge nella nota inviata dalla regione Lombardia – si tratta di 3 uomini e 2 donne e provengono tutti da aree della Brianza”. Insomma i pazienti ad oggi ricoverati provengono di fatto dalla Brianza che conta secondo l’ultimo bollettino aggiornato 3.424 contagi, non da Milano, la città con più casi in tutta la Lombardia (12.748), né da Bergamo e Brescia, province dove i contagi superano i 10mila e che di fatto sono tra le più colpite dall’emergenza coronavirus.

Il progetto iniziale nato in piena emergenza prevedeva 500 posti
Cosa ne è stato di quell’ospedale che doveva essere un polmone per l’intera Lombardia? Dati alla mano le terapie intensive degli ospedali delle province lombarde lavorano ancora a pieno ritmo, i ricoveri aumentano quotidianamente ma all’ospedale strenuamente voluto dalla regione Lombardia non arriva nessuno. Il progetto iniziale che prevedeva 500 posti in un hub costruito per essere un punto di riferimento per l’emergenza sanitaria e non un lazzaretto è stato poi ridotto ad una capienza di 200 posti letto. Ad oggi però i posti letto disponibili e in funzione sono 53 nel Padiglione 1 mentre i lavori al Padiglione 2 continuano per mettere a disposizione nei prossimi giorni altri 104 posti. Un progetto costato 21 milioni di euro e che fa fatica a posizionarsi in quella che lo stesso assessore al Welfare Giulio Gallera ha definito “la bomba atomica” che ha travolto la Lombardia.

I dubbi sul grande progetto della regione Lombardia

La domanda sorge spontanea: perché? Il personale non manca anche se non è abbastanza, stando a quanto dichiarato dal Policlinico, che ha in carico la gestione, nel Padiglione lavorano anestesisti, infermieri, medici e operatori socio sanitari per un totale di 50 persone. La Protezione Civile con un bando indetto settimane fa ha raccolto l’adesioni di centinaia di medici senza contare il numero in continua crescita dei volontari provenienti dal resto d’Europa e del mondo: dove sono stati indirizzati? Lo spazio c’è, purtroppo anche i pazienti che continuano i loro ingressi negli ospedali della regione Lombardia. Con ritmo meno pressante, per fortuna, e la speranza è che si continui così, che i pazienti continuino a diminuire giorno dopo giorno. Di fatto però c’è qualcosa che manca, secondo il Policlinico i pazienti sarebbero seguiti nel territorio di provenienza e per questo non avrebbero necessità di un ricovero in Fiera, per i medici invece respiratori e letti non sarebbero sufficienti per mettere in piedi la terapia intensiva più grande del Paese, questo perché è opinione comune che una terapia intensiva non può vivere separata da tutto il resto dell’Ospedale, e qui il Policlinico non è proprio dietro l’angolo.

Costruire una terapia intensiva lontano dal resto dell’ospedale non ha senso
Secondo il cardiologo Giuseppe Bruschi, Dirigente Medico I livello dell’ospedale Niguarda “una terapia intensiva funziona solo se integrata con tutte le altre Strutture Complesse che costituiscono la fitta ragnatela di un ospedale (dai laboratori alla radiologia, della farmacia agli approvvigionamenti, della microbiologia all’anatomia patologica); perché i pazienti ricoverati in terapia intensiva necessitano della continua valutazione integrata di diverse figure professionali, non solo degli infermieri e dei rianimatori, ma degli infettivologi, dei neurologici, dei cardiologi, dei nefrologi e perfino dei chirurghi”. Parole che riaprono a quanto chiesto proprio dai medici in piena emergenza: “Perché non potenziare gli ospedali e le strutture già esistenti invece di costruire un grande hub a se stante?”. Di fatto questa scelta avrebbe permesso di investire i 21 milioni di euro provenienti da donazioni di privati in qualcosa che poi sarebbe rimasto alla Sanità Lombarda, come terapia intensiva o come struttura da poter riutilizzare in altro modo. Invece si teme in un altro, l’ennesimo, investimento sbagliato nella Sanità Lombarda, e nella costruzione di una nuova cattedrale nel deserto. Il progetto nato in piena emergenza Coronavirus non ha guardato nel lungo periodo ma solo nella richiesta immediata che intanto però cambiava col passare dei giorni lasciando operatori sanitari e presidi ospedalieri a combattere contro un nemico sempre più forte.
Chiara Ammendola

Residenze per anziani, la delibera della vergogna

https://ilmanifesto.it/residenze-per-anziani-la-delibera-della-vergogna/?fbclid=IwAR3iRVazCD_faTba4lF5bg_8l08966lamq2WnOuz90pBRuC-wC153Q8XyQg

manifesto

PIEMONTE. Imbarazzo nella giunta Cirio. Il picco è ancora lontano. Ieri 104 morti, record di decessi in un solo giorno

Alberto Cirio
 Alberto Cirio

«Le Asl potranno reperire, nell’ambito di Rsa autorizzate, posti letto dedicati a pazienti attualmente Covid positivi con bisogni sanitari compatibili con l’assistenza in Rsa». Ecco, uno stralcio del testo della delibera che imbarazza la giunta regionale del Piemonte, sulla falsa riga di quella che ha sollevato un polverone in Lombardia. Introvabile e fantomatica quanto l’araba fenice, solo ieri è stata pubblicata sul Bollettino ufficiale della Regione Piemonte, nonostante fosse operativa dal 20 marzo. E nonostante l’assessore regionale alla Sanità Luigi Icardi avesse detto che «nessuno ha trasferito o ha intenzione di trasferire pazienti positivi dagli ospedali alle Rsa».

L’opposizione è passata all’attacco. Marco Grimaldi (Leu) reclama un intervento urgente. «Anche se per alcuni concittadini sarà troppo tardi, prima questa delibera verrà cancellata e meglio sarà». Dell’operato della giunta ne chiedono conto anche Pd e M5s.

Risolto il giallo, restano i problemi. Le Rsa per anziani, che non sono state preservate e isolate come dovuto, sono un focolaio. L’ultimo caso – dopo quelli eclatanti di Grugliasco (30 morti), Brusasco (16), Trofarello (24) – è quello della casa di riposo di piazza Mazzini a Vercelli, dove si sono registrati 41 morti in poco più di un mese, e su cui indaga la Procura locale.

Interpellata da alcune Rsa, per avere un parere legale in merito all’ipotesi di dirottare pazienti Covid dagli ospedali alle Rsa, l’avvocato Maria Grazia Cavallo ha dichiarato: «Caricare di ulteriori responsabilità le strutture residenziali sarebbe gravissimo. Gli anziani ospitati nelle strutture sono i più deboli fra i deboli e i più fragili fra i fragili». Ha fornito agli enti una valutazione preventiva del rischio.

«Per quanto ben funzionanti, le Rsa non sono né strutturalmente né finalisticamente funzionali a gestire situazioni così delicate come la compresenza, sia pure in settori separati e dedicati, di malati anziani portatori di malattia ancora così poco conosciuta e contagiosa. Farlo, sarebbe come mi ha detto un medico “lanciare una molotov in un fienile”. Il rischio di contagio sarebbe troppo alto e non si tutelerebbero né pazienti, né ospiti, né personale».

Il picco in Piemonte è ancora lontano, ieri si sono registrati 104 morti, in base ai dati forniti dall’Unità di crisi. Si tratta del record di decessi in un solo giorno. Rimane incompleto lo screening, attraverso tamponi, del sistema socio-sanitario e non si placano le lamentele sulle protezioni inidonee degli operatori. Sono circa 50mila i cittadini che in Piemonte vivono un periodo temporaneo o meno in una Rsa. E molte falle palesatesi in questa epidemia erano già latenti.

Roberto Venesia, segretario della Fimmg (Federazione italiana medici di medicina generale) fornisce una fotografia dettagliata del problema: «Solo il 10% delle Rsa ha un medico strutturato, nelle altre c’è una presenza dei medici solo occasionale. Se un paziente, che a casa era coperto da un’assistenza domiciliare programmata, finisce in Rsa non può continuare a usufruirne perché questo servizio è impedito in Piemonte dal 2015 (al tempo c’era la giunta Chiamparino, ndr).

Un vuoto non sopperito negli anni, in cui, tra l’altro, non si è fatta manutenzione del territorio e sono state trascurate le residenze». Venesia con il Gruppo ricerca e innovazione della Fimmg ha quantificato che i contagiati in Piemonte sono sei volte le cifre ufficiali, grazie a un monitoraggio di «medici sentinella» sul territorio: «Un sistema di sorveglianza che, se incrementato, potrebbe permettere di intercettare meglio il contagio e affrontarlo direttamente con terapia farmacologica».

Per la paura della morte non viviamo più

https://www.ilfattoquotidiano.it/…/per-la-paura-de…/5766079/


di Massimo Fini | 10 Aprile 2020

Più va avanti questa storia e più somiglia a un suicidio collettivo. Non giudico l’operato del nostro governo, peraltro seguito da molti altri Paesi, parlo qui, per così dire, della filosofia di vita e di quella sociale del mondo occidentale o occidentalizzato. Per il timore della morte abbiamo rinunciato a vivere.
Questa epidemia, proprio per il modo con cui l’abbiamo affrontata, cercando di contenerla con tutti i mezzi invece di lasciarla fluire liberamente, può avere, come una molla troppo compressa, un rimbalzo quasi della stessa forza oppure, se si vuole un’altra metafora, un fiume in piena davanti al quale venga eretta un’alta diga prima o poi ne raggiunge la sommità e quindi bisogna alzare ulteriormente la diga se non si vuole che una semplice piena divenga un’alluvione. Per questo dubitiamo molto che gli attuali divieti possano essere allentati, è più facile che vengano rinforzati. Le Autorità hanno stabilito che l’indice R0 non può fermarsi a un sinistro “1 vale 1”, cioè una persona contagiata ne contagia a sua volta solo un’altra, ma il rapporto deve scendere a 0,5 per la riapertura di negozi, bar, ristoranti e addirittura a 0 per stadi, discoteche, cinema, teatro. Per cui è molto probabile che le attuali restrizioni, magari allentate ma subito ripristinate o addirittura indurite se la curva tende di nuovo al rialzo, durino un anno e anche più. Un anno di reclusione è poco o tanto per una vita? È tantissimo per un anziano che ha ancora pochi spiccioli da spendere, ma anche per un ragazzo perdere un anno della propria giovinezza non è poco. Né di fronte alla compatta volontà del gregge è possibile a qualcuno, novello Capaneo, ribellarsi. Non tanto perché bar e ristoranti sono chiusi, se ne può fare anche a meno, ma perché non può invitare nessuno a cena e semmai azzardasse suonare il campanello altrui si vedrebbe guardato con terrore: “Vade retro Satana, noli me tangere”.
In una società che rifiuta l’idea stessa della morte, dominata dal terrorismo diagnostico e scientifico, ossessionata dall’ubris del controllo, era logico che andasse a finire così. Ma noi non possiamo controllare un bel nulla, ce ne illudiamo solo, il Fato, per sua natura imprevedibile e incalcolabile, è sempre lì ad attenderci.
Nel suo libro, Le illusioni della medicina, Bensaid, apprezzato medico francese, racconta questa storia. M. L., un uomo di quarant’anni, è un grassone, un ghiottone, gioviale ed esuberante come sono spesso le persone di questo tipo. I medici gli avevano riscontrato una ipertensione modesta ma tenace, un tasso di colesterolo abbastanza elevato. Ma M. L. non se ne era preoccupato. Finché un giorno legge sull’autorevole Le Monde (il dio stramaledica i giornali autorevoli che mai come in questa fase si sono dimostrati più che inutili perniciosi) i rischi di infarto cui andava incontro. Si allarma e si reca da Bensaid perché vuole essere curato, benché il medico cerchi di convincerlo che “i fattori di rischio che gli erano stati segnalati non erano altro che fattori di rischio, egli non era predestinato a essere vittima di una patologia vascolare, era semplicemente un po’ più esposto a questo rischio rispetto ai suoi simili, ma solo un po’”. Ma M. L. è ormai deciso a curarsi e il medico lo accontenta. Ma Bensaid nota che l’uomo non è più lo stesso, si è incupito, è diventato triste, amaro, aggressivo, depresso. Nel giro di pochi anni M. L. verrà ucciso da un melanoma. E Bensaid si chiede: “Io non potevo saperlo, ma gli avevo avvelenato, inutilmente, quelli che dovevano essere gli ultimi anni della sua vita. Lo avevo reso infelice… per prevenire patologie del tutto ipotetiche”.
Allo stesso modo ci stiamo comportando noi. Quindicimila deceduti per Coronavirus sono lo 0,025 sul totale di 60 milioni di italiani cioè, al momento, ciascuno di noi ha 0,025 probabilità di morire per questo morbo. Per prevenire una morte che dal punto di vista del singolo è del tutto ipotetica, e da quello della collettività ha proporzioni minime (anche se, certo, senza le limitazioni la percentuale sarebbe stata più alta, ma crediamo non di molto) abbiamo chiuso a chiave un’intera popolazione.

Le financement du Lyon Turin relancé en catimini malgré le coronavirus 20 avril 2020 – Il finanziamento della Torino Lione prorogato di nascosto nonostante il coronavirus,  20 aprile 2020

https://reporterre.net/Le-financement-du-Lyon-Turin-relance-en-catimini-malgre-le-coronavirus

untitled1

ARTICOLO TRADOTTO

untitled

Secondo un Comunicato stampa del 15 aprile di TELT, (non presente qui http://www.telt-sas.com/it/stampa/, N.d.T.)  il promotore del progetto di collegamento ferroviario Lione-Torino, l’accordo di finanziamento tra l’UE, la Francia e l’Italia nell’ambito del fondo CEF per la prima tranche di finanziamenti europei per la tratta transfrontaliera Lione-Torino è stato prorogato fino al 31 dicembre 2022.

Secondo il Comunicato stampa di TELT, “l’atto aggiuntivo alla decisione di finanziamento, la cui versione finale è stata inviata il 20 marzo scorso, è stato firmato da INEA, l’agenzia incaricata del finanziamento dei programmi comunitari, e dagli Stati. L’accordo iniziale, firmato nel 2015, prevede un finanziamento di 814 milioni di euro su un totale di 1,915 miliardi di euro per le opere da realizzare nel periodo 2015 – 2019. È stato prorogato fino al 2022, tenendo conto dell’avanzamento dei lavori, frutto del lavoro svolto dal promotore pubblico negli ultimi 5 anni, ma anche delle incertezze politiche che hanno segnato lo sviluppo del progetto e che hanno portato a pause e ridefinizione delle scadenze. L’aggiornamento del programma di lavoro è stato formalizzato da Francia e Italia sulla base del dossier di valutazione compilato da TELT e condiviso con INEA nel corso di una riunione tecnica tenutasi l’11 febbraio 2020 a Bruxelles. »

Interrogata ripetutamente dall’inizio di marzo da Reporterre, la Commissione Trasporti della Commissione Europea ha risposto in modo evasivo. Solo il 17 aprile, due giorni dopo il comunicato stampa TELT, una e-mail del portavoce ha indicato che l’accordo non è stato firmato: “Qualsiasi proroga dei sussidi CEF è preceduta da discussioni e trattative piuttosto lunghe tra i promotori del progetto e l’INEA. In questo caso, i contatti tra le due parti sono in corso dopo la richiesta formale di proroga delle sovvenzioni presentata dall’Italia e dalla Francia il 30 settembre 2019. Ciò richiede semplicemente del tempo, in quanto sia la Commissione Europea che l’INEA devono garantire che l’estensione sia giustificata e ragionevole e che sia tale che i lavori vengano svolti secondo il nuovo calendario e che quindi permettano il pieno utilizzo della sovvenzione da parte dei beneficiari. Non c’è quindi alcun legame con la pandemia del coronavirus. E sì, la firma è imminente e vi informeremo non appena sarà stata firmata. »

Ciò porta a concludere che le informazioni di TELT (la clausola di finanziamento è stata firmata il 15 aprile o prima) sono false o che la Commissione sta mentendo alla stampa.

TESTO IN FRANCESE

untitled

Selon un communiqué du 15 avril du promoteur du projet de liaison ferroviaire Lyon-Turin, TELT (Tunnel euralpin Lyon Turin), l’accord de financement entre l’UE, la France et l’Italie dans le cadre du mécanisme pour l’interconnexion en Europe (MIE) pour la première tranche de financement européen de la section transfrontalière du Lyon-Turin a été prolongé jusqu’au 31 décembre 2022.

Selon le communiqué de TELT, « l’avenant à la décision de financement, dont la version finale a été envoyée le 20 mars, a été signé par l’INEA, l’agence en charge du financement des programmes UE et par les États. L’accord initial, souscrit en 2015, prévoit un financement de 814 millions d’euros sur un total de 1,915 milliard d’euros pour les travaux à réaliser sur la période 2015 – 2019. Il a été prolongé jusqu’en 2022 en tenant compte de l’avancée des travaux, fruit du travail du promoteur public depuis 5 ans, mais également des aléas politiques qui ont marqué le développement du projet et qui ont engendré des pauses et des redéfinitions des échéances. La mise à jour du programme de réalisation de l’ouvrage a été formalisée par la France et l’Italie sur la base du dossier d’instruction constitué par TELT et partagé avec l’INEA lors d’une réunion technique le 11 février 2020 à Bruxelles. »

Interrogé de manière répétée depuis début mars par Reporterre, la Commission Transports de la Commission européenne a répondu de manière évasive. Ce n’est que le 17 avril, soit deux jours après le communiqué de TELT, un mel du porte-parole nous indiquait que la convention n’était pas signée : « Toute prolongation des subventions du FCE est précédée de discussions et de négociations assez longues entre les promoteurs du projet et l’INEA. Dans le cas présent, les contacts entre les deux parties sont en cours depuis la demande formelle de prolongation de la subvention présentée par l’Italie et la France le 30 septembre 2019. Cela prend simplement du temps car la Commission européenne et l’INEA doivent toutes deux s’assurer que la prolongation est justifiée et raisonnable et qu’elle est telle que les travaux seront réalisés conformément au nouveau calendrier et permettront donc la pleine consommation de la subvention par les bénéficiaires. Il n’y a donc aucun lien avec la pandémie de coronavirus. Et oui, la signature est imminente et nous vous informerons dès qu’elle aura été signée. »

Ce dont on peut conclure que, soit l’information de TELT (l’avenant de financement a été signé le 15 avril ou avant) est fausse, soit que la Commission ment à la presse.

 Source : Reporterre  Dessin : © Red !/Reporterre

Lettera Aperta all’Europa: Fermare le Grandi Opere Inutili e Imposte per aiutare le popolazioni nella crisi che accompagna e seguirà la Pandemia

Comunicato Stampa

PresidioEuropa

Movimento No TAV

22 Aprile 2020

www.presidioeuropa.net/blog/?p=21585

Lettera Aperta all’Europa

 Charles MICHEL, Presidente del Consiglio dell’Unione europea

Ursula von der LEYEN, Presidenta della Commissione europea

David SASSOLI, Presidente del Parlamento europeo

Giuseppe CONTE, Presidente del Consiglio dei Ministri

Fermare le Grandi Opere Inutili e Imposte per aiutare le popolazioni

nella crisi che accompagna e seguirà la Pandemia

Il Bilancio europeo 2021-2027 (QFP) deve essere profondamente modificato

Nell’Unione Europea vi sono 112 milioni di poveri

Il finanziamento europeo della Torino Lione, un Crimine Climatico,

e le spese militari dell’Unione europea devono essere cancellati

SIAMO CITTADINE E CITTADINI EUROPEI e vogliamo mettere in guardia le Istituzioni europee e il Governo italiano sul rischio che politiche sbagliate potranno causare danni maggiori della stessa Pandemia COVID-19 in atto.

Nel giro di poche settimane la Pandemia si è diffusa rapidamente in Europa e nel mondo, con immediate gravi conseguenze: milioni di persone si sono contagiate e più di centomila sono morte.

Ma, accanto alla diminuzione di contagiati e di morti, assistiamo al rapido e violento indebolimento delle economie a livello planetario e il conseguente aumento delle diseguaglianze, della disoccupazione e delle povertà.

Molti scienziati e la Banca Mondiale affermano l’esistenza di una evidente correlazione tra la Pandemia e il Cambiamento Climatico che è provocato dalle politiche della crescita infinita tra le quali gli investimenti senza ritorno nelle Grandi Opere che devastano il Pianeta e assorbono ogni anno circa l’8% del PIL mondiale.

La Carta di Tunisi del 2013, che unisce associazioni e movimenti popolari che si battono contro la costruzione di Grandi Opere Inutili e Imposte, ha indicato nei Mega Progetti una delle cause del disastro ecologico con rilevanti conseguenze negative per l’umanità.

Le politiche neoliberiste attribuiscono alla realizzazione di Mega Progetti infrastrutturali il ruolo di “strumento ideale” per la crescita dell’economia e per l’aumento del benessere degli abitanti del Pianeta.

SIAMO CITTADINE E CITTADINI EUROPEI e da trent’anni lottiamo contro la Torino-Lione, un mega progetto ferroviario che costerebbe € 26 miliardi, imposto ai contribuenti in Italia, in Francia e in Europa, inutile, senza ritorno economico, UN VERO CRIMINE CLIMATICO.

Dinnanzi alla catastrofe sociale ed economica generata dalla Pandemia siamo quasi imbarazzati a voler ostinatamente difendere la nostra lotta, ma di fronte agli appelli sconsiderati dei promotori delle Grandi Opere da loro definite “la soluzione” per il dopo Pandemia, sentiamo l’urgenza, la responsabilità e l’obbligo di essere ancora più determinati nella nostra opposizione.

La Torino-Lione, un Crimine Climatico, è una delle opere volute dall’Unione Europea per creare sviluppo e coesione degli Stati membri nell’ambito TEN-T finanziato dal fondo CEF. In realtà si tratta di progetti di linee ferroviarie che minacciano l’ambiente con l’arroganza dei loro costi e dimensioni, rappresentano un modello di “sviluppo” sbagliato e un sistema di trasporti disomogeneo e inefficace secondo la Corte dei conti europea che non crea benessere e coesione ma diseguaglianze sociali.

E’ dimostrato che il progetto Torino-Lione, un Crimine Climatico, contribuisce pesantemente al cambiamento climatico.

Ma, non ostante la presente drammatica situazione, la Presidenta della Commissione europea Ursula von der Leyen ha affermato il 2 aprile scorso che “Il bilancio europeo 2021-2027 è il più forte e più importante strumento di risposta alla crisi generata dalla Pandemia per la ripresa a lungo termine”.

La sua dichiarazione è superba e temeraria: il Bilancio pluriannuale dell’Unione Europea (QFP) redatto dalla Commissione europea nel 2018 rappresenta la continuazione della normalità ed è la sintesi delle politiche neoliberiste che hanno contribuito allo squilibrio generale delle economie mondiali e allo stesso Cambiamento Climatico, deve essere profondamente modificato.

AFFERMIAMO che di fronte alla volontà di “ritorno alla normalità” espresso dalla Commissione europea, la “normalità è la causa dei problemi”, mentre il cambiamento e la solidarietà sono la soluzione.

DENUNCIAMO la campagna delle lobby delle Grandi Opere che pretende di fare partire centinaia di cantieri definiti “il toccasana per il rilancio dell’economia dell’Unione europea”.

CHIEDIAMO l’approvazione di un emendamento CO2 alla Legge Europea sul Clima affinché, nello spirito dell’Accordo di Parigi, ogni opera infrastrutturale sia sottoposta a valutazione indipendente dell’impronta di carbonio nelle fasi di costruzione e di esercizio per l’ottenimento del finanziamento della UE.

CHIEDIAMO la cancellazione del finanziamento europeo della Torino-Lione, un Crimine Climatico, un progetto inutile, senza ritorno economico, che sottrae preziose risorse economiche ai bilanci dell’Unione europea, dell’Italia e della Francia.

CHIEDIAMO la creazione di un Fondo di Solidarietà finanziato dal Bilancio 2021-2027 per l’immediato sostegno dei cittadini poveri che sono 112 milioni nell’Unione Europea e il loro numero è in aumento a causa della Pandemia.

Per finanziare il Fondo di Solidarietà CHIEDIAMO che siano cancellati dal QFP:

– tutti gli investimenti CEF nelle  infrastrutture di trasporto  (oggi previsti in €33,5 Mld) che non dimostrino di avere una impronta di carbonio nulla, sia in fase di costruzione che a lungo termine, e una analisi costi/benefici positiva,

–  tutte le spese militari europee previste in circa €35 Mld.

TALPE, CRICETI E NÉ-NÈ —– VIRUS, AL POLLAIO CI PENSANO LE VOLPI —— MA CI SONO ANCHE POLLI CHE SI OCCUPANO DELLE VOLPI

https://fulviogrimaldi.blogspot.com/2020/04/talpe-criceti-e-ne-ne-virus-al-pollaio.html

MONDOCANE

MERCOLEDÌ 22 APRILE 2020

Per il 25 aprile: https://youtu.be/ZcV7r9pYDtU Liberare tutti

Fin da molti anni addietro, noi affermammo senza esitazione che non si doveva ravvisare il nemico ed il pericolo numero uno nel fascismo o peggio ancora nell’uomo Mussolini, ma che il male più grave sarebbe stato rappresentato dall’antifascismo che dal fascismo stesso, con le sue infamie e nefandezze, avrebbe provocato; antifascismo che avrebbe dato vita storica al velenoso mostro del grande blocco comprendente tutte le gradazioni dello sfruttamento capitalistico e dei suoi beneficiari, dai grandi plutocrati, giù giù fino alle schiere ridicole dei mezzi-borghesi, intellettuali e laici.” (Amadeo Bordiga)

Medici curanti di provata esperienza
Abbiamo una classe dirigente a un tasso di cialtroneria e criminosità combinate che difficilmente trova riscontro nei tempi moderni e in altri paesi del continente. Magniloquente, mendace, retorica e incolta, asservita a qualunque potere che si presenti forte, coniugata alla malavita organizzata, civile e incivile, e dunque, corrotta in tutte le sue sfaccettature. Irrigidita nella posizione del ciclista, pesta verso il basso e piega la schiena verso l’alto, pronta a fottere il popolo di cui è il rigurgito peggiore. Financo pronta a ricorrere a terrorismo e stragi pur di tenere le cosiddette forze produttive, di cui si nutre, intimidite, soggiogate, inconsapevoli e obbedienti.

Questa è la consorteria mafio-massonico-clericale che sta operando per salvarci da un virus tutto suo. Ha saccheggiato il paese in termini di ambiente, natura e, dunque, salute, apparato produttivo, patrimonio pubblico, svenduto a padroni esteri e ad amici degli amici, impoverito la popolazione con milioni e milioni ridotti in miseria nera, oscenamente prona a scatenarsi in codardo oltraggio contro chi riscontra più debole e a umiliarsi in servile encomio verso coloro da cui spera guiderdoni, o teme castighi. Del suo popolo gli importa meno di un tallero bucato ed è prontissima a sparargli alla schiena con plotoni d’esecuzione comandati da Badoglio, Draghi o Prodi, non appena ciò venga richiesto da un invasore, occupante, o proconsole dell’imperatore.

Accanimento terapeutico

Ebbene, questo camarilla di sanguisughe, messa in difficoltà solo per rari e brevi attimi  storici – Repubblica Romana, lotta partigiana, popolo comunista, ’68 e meteora Cinque Stelle – negli ultimi ottant’anni, su ordine dei suoi referenti nei caveau, si è accanita a renderci “un volgo disperso che nome non ha”. E oggi è ancora e sempre la stessa, riuscita, strangolandoci con il ricatto più vile, quello su vita e salute, con pretesti assolutamente falsi, a eliminarci dalla scena. Una nazione incarcerata, imbrogliata, perseguitata, espropriata di tutti i suoi diritti, punita.

Pensavamo che oltre i regimi Prodi, Berlusconi, Monti non si potesse andare in termini di vendipatria e predatori dei beni di tutti. Con Conte, vero visconte dimezzato, con una metà in mano ai banchieri e l’altra al complesso digital-farmaceutico, abbiamo superato quel primato. Un maggiordomo a disposizione di tutto e del contrario di tutto. Un bruco giallo-verde autonominatosi “avvocato del popolo”, poi germogliato in azzeccagarbugli giallo-nero dell’idra a tre teste: Big Pharma, Big Digital e Big Bank. Un giurista a cui i più acclamati giuristi e costituzionalisti italiani, a partire da Zagrebelski, e a finire con Cassese, fino agli avvocati di Cagliari che lo hanno denunciato, rimproverano decreti illegittimi, anticostituzionali, addirittura scritti con i piedi che, però, hanno il merito di essere talmente laschi da consentire alle forze della repressione di scatenare arbitri ed eccessi coltivati in lunghi anni di apprendistato contro lavoratori, studenti, pensionati. Da noi, come ovunque si perseguano fini bio-tecno-fascisti analoghi.

Democrazia? Non pervenuta
Un governo che prescinde totalmente dalla partecipazione, costituzionalmente obbligatoria, di 900 parlamentari, diversamente dal premier eletti dal popolo e, invece,  si mette a disposizione di un numero ancora più ipertrofico di membri cooptati delle task force. Ce ne sono per ogni ministero, ogni dipartimento, ogni sfizio di ogni presunta autorità. Accreditati esperti si scontrano tra di loro, scienziati altisonanti si sbertucciano in pubblico, sistematicamente marchiati da opposti conflitti d’interesse mostruosi. Eppure, anch’essi non eletti, sono dotati di decisionismo illimitato. Fino a quando quello dell’una combriccola d’interessi, detta task force, non si scontra con il decisionismo dell’altra. Per trarne favori sono scattati in gara frenetica vari soggetti con l’acquolina in bocca. Chi con il migliore kit sierologico (magari sponsorizzato dal luminare di un ospedale a Pavia); chi con il più invasivo sistema di tracciamento del suddito, che deve smettere di pretendersi cittadino (magari la ditta dei figli di Berlusconi, cui vuole bene un supercommissario). Ognuno ha il suo santo in qualche paradiso di esperti.
E le regioni, mica si potevano privare di task force anche loro, ovviamente anche qui l’una contro l’altra armata. E’ il Modello Italia. Unica task force a non essere messa in discussione da nessuno è quella sulle “fake news”. Affidata alla créme de la créme  del giornalismo di corte, si avvale di lanciafiamme marca OMS per incenerire chi non parla e scrive ammodino.

Se non muori di coronavirus non sei nessuno

L’incredibile tresca dei numeri
La task force suprema è quella del Capo della Protezione Civile. E’ lui che ci snocciola ogni pomeriggio i numeri della giornata. Hanno il pregio di essere inattendibili e di grande forza propagandistica. Non solo per il noto trucco di includere tra i decessi anche chi muore di tutt’altro (il 99%), ma è pure positivo a un virusino piccolo piccolo che non gli ha fatto altro che un raffreddore. Altro trucco: annoverare, tra i “casi”, anche gli asintomatici definiti “positivi”. Lo siamo tutti, in tempi di influenza, e manco lo sappiamo, dato che siamo sani come pesci. Prima che ci becchino col tampone. Terzo trucco: enumerazioni addirittura false e abusive per quanto riguarda la datazione. Morti del giorno? No, morti di 12 giorni prima, come certifica l’ISTAT, spiegandolo con i vari passaggi burocratici che ogni dato richiede. E, secondo l’Università la Sapienza di Roma, addirittura di venti giorni prima, con il picco dei contagi raggiunto fin dal 20 marzo, altro che ieri. Per cui gli allentamenti delle “restrizioni” avrebbero semmai dovuto partire un mese fa. Sempre che queste fossero intese a immunizzarci e mica a toglierci dai piedi.

Lo vedete questo grafico del “Fatto Quotidiano”. A smentire il dato statistico che gli altri anni la gente moriva di influenza come e anche meno di quest’anno, mette a confronto i decessi del 2019 e quelli di oggi. Impressionante, vero? E chi direbbe più niente a Conte, Borelli, Burioni, Arcuri, Colao, Ricciardi? Peccato che la linea bassa annoveri rigorosamente solo i morti accertati di sola influenza del 2019, mentre quella con la poderosa erezione non distingue tra morti di altre patologie, con a volte l’aggiunta “non determinante” di Covid-19. Non ponendo limiti alla frode, include addirittura morti “presunti” di virus, perlopiù in casa, non testati e senza mai quella autopsia che accerterebbe la causa. Che volpi!

Un bavaglio vale l’altro

Per farci sentire tutti al tempo stesso prigionieri ma anche arruolati, ci hanno detto che siamo in guerra. E guerra in effetti è, dai connotati diversi da quelli che dovrebbero farci massacrare “servendo la patria”, ma sempre guerra. Ed è nella guerra che ci si scopre combattenti o conigli, al fronte o imboscati. I primi oggi e storicamente in pesante minoranza e i secondi che borbottano innocue ambiguità dalla finestra.

O intubato o… guarisci
All’enorme frode dei numeri di cui sopra, ora si abbarbicano i pandemisti quasi disperatamente, man mano che fatti e scoperte iniziano a corrodere il bavaglio sulle nostre facce e sulla verità. A cominciare dal “commissario viristico” (detto dell’OMS, ma che l’OMS ora rinnega) a Palazzo Chigi, Walter Ricciardi, noto, in primis, come figlio di Mario Merola in una serie di film da Oscar girati tra camorra e Vesuvio e, in maximis, per aver dissolto anni fa lo strumento principale del contrasto alle epidemie presso l’lstituto Superiore di Sanità. Ora, consulente principe di Conte spara fosche previsioni all’orecchio dell’azzeccagarbugli a Palazzo Chigi, perché annunci che a ottobre, semmai uscissimo prima, non ci si illuda, si torna dentro e alla mercè di vigili e poliziotti adrenalizzati dal poterci fare quel che cazzo gli pare, dato che “ci sarà la seconda ondata”…..E figuriamoci se non schiafferà sotto intubazione tutto un popolo già privato di primavera ed estate e relative convalescenze solari (da impedire assolutamente perché, come sa bene lo scienziato non vaccinista, è il sole che cura il virus e così fotte il vaccino a Oms e agli spopolatori alla Bill Gates).
Intubazioni e ventilazioni oggi messe autorevolmente in forse, dalla scoperta, su e giù per il pianeta medico, che qui non si tratterebbe di mali dell’apparato respiratorio, bensì di trombi nel sangue da curare con antinfiammatori e l’eparina tanto detestata dai vaccinisti. Perché in quel caso, l’intubazione, ucciderebbe anche di più. Lo sapeva Galileo: quanto è ricca di sorprese la scienza!

Talpe, criceti e né-né

Dovrebbe essere rigoroso e lampante come un calcolo matematico, unica scienza esatta, altro che medicina e farmaci, l’evidenza di causa ed effetto che dovremmo trarre dalla continuità tra i falsari che ci amministrano questa dittatura digital-sanitario-poliziesca e i devastatori del nostro paese a partire da Gladio, terrorismo, austerity, africani deportati, “il manifesto”, Prodi, Fornero, Berlusconi, Monti, Renzi, il conte minus habens, l’altro Conte con l’immagine del picchiatore squadrista e poi miracolatore in Puglia. Quelli che ci hanno costretti nella Vergine di Norimberga UE e ci hanno strozzato con l’Euro, ci hanno sodomizzato con il Jobs Act, sventrato il paese con lo Sbloccaitalia, il TAV, il TAP, il MUOS, sempre all’ordine e alla guerra su ordine del  più grande Stato Canaglia del mondo e della sua succursale eurounionista.

 Per finire con il fratello minore (in tutti i sensi) del commissario Montalbano che, dopo aver messo le premesse, con il suo delinquenziale piano paesistico, per la frantumazione del centro storico della “Città Eterna”, coerentemente ora ordina agli over-65 di vaccinarsi contro l’influenza e, dunque, di aumentarsi le probabilità di morirne. Naturalmente viola la Costituzione, ma che fa, non è volontario l’obbligo? Certo, solo che, senza, non vai più da nessuna parte, neanche al cesso nel bar.

Questi sono gli uomini. E questi sono gli italiani. Improvvisamente sembrano estinti. Soprattutto la specie che si batteva contro soprusi, guerre, imperialismo, reazione, finti sinistri-autentici destri. Non parlo dei quasi 60 milioni col tappo di tessuto sul muso e il tappo delle pareti di casa sull’esistenza. Parlo di quelli col tappo sulla mente. E qui siamo al bestiario di cui al titolo. Ci sono gli italiani-talpa resisi invisibili e inaudibili in anfratti sotterranei, dove nulla si vede e nulla si sa e quindi nulla c’è da vedere e sapere. E fare. Se ci fosse un appello, figurerebbero assenti. Ma danno non fanno. I criceti sono quelli che, per fare come qualcuno gli dice, sono pronti a immolarsi nella ruota che gira, fino a dare fuori di testa e di anima. A volte escono dalla ruota, sventolano la bandiera e cantano Bella Ciao. Poi rientrano nella ruota. Piacciono molto a Zingaretti Jr. Ma anche a Bill Gates.

I né-né sono frequenti da noi da quando qualcuno pronunciò a Sarajevo la carognata “né con la Nato, né con Milosevic”, poi “né con gli USA, né con Saddam”, “né con Sarkozy, né con Gheddafi”… Formuletta universale che, regolarmente, favorisce il secondo termine dell’equazione. E’ diventato, questo sì, un virus micidiale che mette se stessi al sicuro, per quanto nell’ignominia, e tutti gli altri alla mercè di un qualche terminator. Oggi il né-nè si configura come equidistanza, a volte anche un po’ sbilanciata, tra il “né con i metodi dei governi virusiani” e il “né con i complottisti che mettono in discussione tutto il film”. Si danno l’aria di equilibrati, razionali, non travolti da impeti faziosi. Sono, come sempre, la mano che si ritira quando ti trovi in difficoltà nell’acqua.

Chi non sta da una parte o dall’altra della barricata, è la barricata.” (Vladimir Lenin)



Ultimamente qualcosa in direzione ostinata e contraria si sta muovendo anche da noi. Qualche medico autorevole. Qualche ricercatore onesto, alcuni magistrati e avvocati, qualche blog, qualche web-tv. Rispetto alle glorie patrie (?) è pochino. Niente rispetto a quanto sta propriamente esplodendo contro la Grande Cospirazione in altri paesi: Germania, con il conforto del meglio della classe medica e dei giuristi. Quando a Heidelberg, una popolarissima avvocata, Beate Bahner, ha denunciato il governo di anticostituzionalità, i soliti invasati in divisa l’hanno presa e sbattuta in una clinica psichiatrica. Ma la Corte Costituzionale ha sancito che il divieto di manifestazioni pubbliche è illegittima e Beate ha dovuto essere rilasciata. Davanti a un pubblico plaudente in strada, senza mascherine, che nessuno ha osato toccare. E così a migliaia a Berlino, in Slovenia, Belgio, perfino in Russia, in altri paesi, addirittura negli Usa, nei vari Stati, cosa che nessuno avrebbe immaginato per un popolo considerato semilobotomizzato dai sedicenti liberal obamian-clintoniani, con New York Times, Washington Post e CNN. Ma che ha dalla sua Donald Trump, vedete un po’

Qui i link per godervi qualcosa che qualcuno da noi ha suggerito per il 25 aprile. Ci conto poco. Mancano i Vietcong.

https://youtu.be/JHIT1Q2WPMY manifestazione USA
https://youtu.be/BiWzHZAMJCg  Manifestazione Heidelberg per avvocato Bahner
https://youtu.be/GjBCRt2-Gd8  Manifestazione Berlino contro lockdown
https://youtu.be/-TqnRJmkG6g USA
https://youtu.be/JHIT1Q2WPMY USA https://youtu.be/A-Ckdm_qs1k USA
https://youtu.be/29Yh4c3T7Yg India
https://youtu.be/i64uv-q-tEI Insegnanti Danimarca !!!!
https://youtu.be/FHIcEgm1Tpg  Sydney Australia

  

ECCO IL LIBRO: CAMBIARE IL MONDO CON UN VIRUS —– GEOPOLITICA DI UN’INFEZIONE

https://fulviogrimaldi.blogspot.com/2020/04/ecco-il-libro-cambiare-il-mondo-con-un.html

MONDOCANE

SABATO 18 APRILE 2020

 

Dovrebbe uscire a giorni, quando riapriranno le librerie tutte e sarà disponibile nell’ e-commerce, questo mio instant-book sull’ Italia e un po’ di mondo nell’era del coronavirus (Zambon Editore,160 pp, €12.00), Ve ne darò tempestivo avviso.

Viviamo nella morsa di coloro a cui è capitato di poter assumere un comando assoluto, senza precedenti, sulla nostra vita, sui nostri diritti fondamentali, violando Costituzione e ogni legge giuridica, morale, civile, umana. E’ il racconto di fatti, con relative riflessioni e analisi, che hanno alterato il nostro modo di vivere e di pensare come era successo solo nel capovolgimento che, con i successori di Costantino, a partire dal quarto secolo dopo Cristo, uccise una civiltà. Molto meno vi si può paragonare quanto abbiamo subito sotto occupazioni straniere, o nel fascismo. 

Tutta questa catastrofe nella quasi totale assenza di resistenza, come, invece, la percepiamo manifestarsi, alla faccia dei media occultatori, in altri paesi a noi vicini. Il tritapensiero, nel quale siamo stati inseriti da molti anni, ha di nuovo spurgato il dogma. Il libro annovera voci di scienziati, osservatori, pensatori liberi, che non si piegano alla terrificante manipolazione in atto. Riporta dati che smentiscono l’alluvione di propaganda intimidatrice cui ci sottopone il complesso scientifico-mediatico che si è completamente messo sotto i piedi la politica.. E, soprattutto, contiene una vasta disamina, che il lettore giudicherà azzeccata o meno, su cosa e chi ha preceduto, determinato, guidato, l’operazione coronavirus e su quali prospettive si prova a trarne sul piano dei rapporti di potere, sulle libertà individuali, collettive, nazionali e sugli assetti economici, sociali e geopolitici che ne dovranno sortire.

“Ci troviamo davanti a un vero scontro frontale tra le grandi multinazionali e gli stati. Questi subiscono gravi interferenze nelle loro fondamentali decisioni politicheeconomiche e militari da parte di organizzazioni mondiali che non dipendono da nessuno Stato, non rispondono delle loro attività a nessun governo e non sono sottoposte al controllo di nessun parlamento e di nessuna istituzione che rappresenti l’interesse collettivo. In poche parole, la struttura politica del mondo sta per essere sconvolta.” (Luis Sepulveda, scrittore, guardia del corpo di Allende, guerrigliero).

Centomila vittime solo a New York!” miagolò con voce da Niobe, cui Apollo e Artemide stavano uccidendo 14 figli. Ma purtroppo la velina di Enrico Mentana non rimase pietrificata come Niobe. Continuò a miagolare stramaledette minchiate dal TG La7 delle 08.30 del 13 aprile. Trattasi del canale che si è assunto il merito davanti a Bill Gates, uomo di Cupola, di fare da pifferaio del media-untoraggio a fini di vaccino coatto e di regime del controllo universale. Vittime, nel linguaggio che io conosco quando si parla di malattie, vuol dire morti. Quel giorno  in tutti gli USA si era arrivati a 11mila decessi, quasi tutti poveri e perlopiù neri.

Evidentemente l’ordine di servizio di chi sta gestendo questa pandemia era quella di sopperire alla normale attenuazione del fenomeno patologico dopo i consueti 70 giorni, con l’aggiunta di morti per forza di propaganda. Così veniamo a sapere che quasi 1,500 decessi in casa sono stati registrati dalle autorità sanitarie della megalopoli americana come “morti PRESUNTI di coronavirus”. Come al solito li aveva preceduti il laboratorio Italia, a cui quello del dr.Frankenstein fa un baffo quanto a etica e rigore scientifico, proclamando su tutte le testate che il numero della “vittime” era, par force, del tutto sottovalutato. Non terrebbe conto dei morti anonimi, non esaminati, non registrati, scelleratamente nascostisi in casa. E neanche dei milioni di positivi asintomatici (quelli di tutte le influenze, da che mondo e mondo, che guariscono e si immunizzano da soli senza Bill Gates, Roberto Burioni, intubatori vari e quaquaraquà padano-secessionisti  che sognano di trasferirsi in un avanspettacolo bavarese con jodl)).

A chi servono i numeri dell’ex-berlusconiano Mentana?

E qui si dovrebbe tornare alle invocazioni inutili, perché finiscono in orecchie di mercanti, di una numerazione corretta, scientifica, secondo standard evidentemente considerati antiquati, tanto che sono stati abbandonati da tutti, Mentana in testa (che, paonazzo, ricordate aver urlato dal suo schermo che non censura mai nessuno e, però, ha imparato a censurare i numeri di morti che non gli tornano, forse durante i 13 anni in cui ha berlusconianamente diretto il TG5). Ricordate quando si annunciava che 98 su 100 morti, quasi tutti ottantenni e passa, morivano PER polmonite, diabete, arresti cardiocircolatori, trombi, privati di difese immunitarie, cui s’era alla fin fine aggiunto il virus? Non causa determinante! Hanno smesso molto presto. E sticazzi! Come si sarebbe potuto giustificare l’imprigionamento di tutto un popolo e le punizioni tipo Al Capone, violatore del proibizionismo, a chi è un puntino su una spiaggia di tre chilometri (è successo, vedi la raccapricciante Barbara D’Urso incitare un drone poliziesco a inseguire una cellula umana sola in un immenso deserto di sabbia: “Piglialo, piglialo, coppalo, coppalo…!” Il faro spazzarughe sulla faccia ci ha impedito di scorgere gli occhi iniettati di sangue.

https://twitter.com/pietroraffa/status/1249767883330248709   Inseguimento spiaggia D’Urso

Sepulveda, bel colpo!

Pensate, non hanno avuto neppure il rispetto per un grande combattente con la parola e il corpo, come Luis Sepulveda, e ne hanno falsificato la morte. I media l’hanno subito sequestrato e sbattuto nell’elenco mortuario del covid-19. “Anche Sepulveda ucciso dal coronavirus”. Figurati se si lasciavano scappare una “vittima” di tale risonanza per l’operazione virus!

Il “manifesto”, pronto come non mai ad appiattirsi sulle linee di forza della fase, lo ha detto ucciso dal virus almeno quattro volte tra prima e terza pagina. Una bandiera da sventolare davanti alle schiere di Bill Gates, Soros, Rockefeller, Kissinger. E invece no. Sepulveda ere. ancora in cura per una grave polmonite che lo aveva colpito nel 2019. E all’esame post-mortem (che in Spagna si fa e qui no) è risultato NEGATIVO AL’ESAME CORONAVIRUS!

Il peggior castigo non è arrendersi senza lottare. Il peggior castigo è arrendersi senza aver potuto lottare. (Luis Sepulveda)

Ave Cesare, senes morituri te salutant

Comunque, qui sta il punto, come sintetizzato nel saluto dei gladiatori a Cesare, appena un po’ parafrasato (senes=vecchi) nel titoletto. Secondo conoscenze mediche, che risultano inoppugnabili perfino nell’ abbecedario di Pinocchio, agli anziani negare il sole, uccisore di batteri e fornitore di vitamina D, indispensabile per l’immunodifesa, oltrechè per un vitale buonumore, risulta fortemente dannoso. E così l’immobilità degli arti compromessi da artrosi, reumatismi, fratture malsanate e osteoporosi; la mancanza di cure di malattie croniche e che richiedono trattamenti periodici, la mancanza di fisioterapie per tenere in sesto l’organismo tutto, o ridare funzionalità al ginocchio, la negazione di terapie del dolore, la totale assenza  di rapporti sociali, il ponte saltato dalle gengive, salvo che, a volte, con una famiglia che non è detto ti tratti bene e viceversa. (Forse è per questo che uno dei soliti ammanigliati OMS con certi istituti, suggerisce di distanziare in isolamento camerale (là dove si dispone di 200 mq?) i membri della famiglia, o di prelevarli e riunirli in stabili che ricordano la clinica del grande surrealista Dino Buzzati in “Sette Piani” (al settimo per un semplice accertamento diagnostico, poi, con scuse varie, discesa di piano in piano fino a quello della morte).

«Sull’orlo del baratro ha capito la cosa più importante» miagolò Zorba. «Ah sì? E cosa ha capito?» chiese l’umano. «Che vola solo chi osa farlo» miagolò Zorba. (Luis Sepulveda)

Eugenetica

Il dato clinico certo è, invece, che i vecchi così muoiono. Ecco, forse, trovati i morti “di coronavirus presunti”, ma calcolati, nelle case. L’ha ordinato il generale capocommissione UE, Ursula von der Leyen, al nostro plotone d’esecuzione. Fortemente segnata dal suo ex-ruolo di ministro della guerra, e perciò prontissima a impegnarsi in questa che tutti amano definire in termini guerreschi, così che sappiamo di stare allineati e coperti per fila destr-destr!,  la nobildonna ha dichiarato che gli anziani usciranno non prima di Natale (si presume 2020). Non si sa se in verticale, con le grucce, o in orizzontale. Più probabile la seconda opzione. E data la pervicacia con la quale si perseguono questi risultati, non è affatto improprio pensarla all’Andreotti, cioè malissimo: ingegneria sociale, togliere di mezzo coloro che non partecipano alla produzione e concentrazione della ricchezza.

Vecchio, da decenni dichiarato obiettivo dei promotori della riduzione della popolazione mondiale, in questo senso selettiva. Non ci può essere dubbio che il senectudicidio sia parte del programma. Pensate a come hanno sfruttato il terremoto, prima dell’Aquila e poi dell’Italia Centrale. L’abbiamo attraversato con la telecamera. Ricostruzione programmaticamente negata, territori abbandonati (a probabili nuove destinazioni d’uso neoliberista), giovani dispersi nel mondo, vecchi lasciati a morire tra le macerie, comunità eliminata.

Le categorie più deboli vanno maggiormente protette, si afferma gonfiando il petto. E non sarebbero i bambini e i ragazzi che, per sfuggire alla tirannia, anche affettuosa, ma comunque autoritaria e monopolistica, della famiglia, hanno bisogno di frequentarsi e confrontarsi tra loro, in autonomia e responsabilità, fisicamente. Anche nella scuola, e non su un tablet? E non è la più debole di tutti, quella degli anziani, peso gravoso, nella famiglia e nella comunità, improduttivi ma consumatori, seppure a volte sostegno ai genitori per i bambini e forse unica fonte di reddito nelle società ridotte nei termini che sappiamo dagli stessi che oggi ci organizzano la fine per coronavirus.

Uccidere gli anziani per far morire Mnemosine

Se non si vogliono la depressione, l’anoressia, la nevrosi, spesso il suicidio, comunque la morte, utile in quanto “presunta da coronavirus”, gli anziani tocca farli uscire, non per ultimi, ma per primi. Al sole, agli amici, allo sgranchiamento, alle cure tornate a esserci, alla cultura. Ma se sono inutili, prossimi comunque alla fine? No, in un mondo che ha ucciso Mnemosine, sradicando la dea della memoria a forza di digitalizzazione e di eterno presente dalle giovani generazioni, ridotte all’incoscienza di sé e quindi alla manipolazione, i vecchi sono i depositari di un patrimonio di cultura e civiltà. Sono quelli della guerra, dell’antifascismo partigiano, della ricostruzione, dell’arte, del cinema, del teatro, della poesia, di Totò ed Eduardo, di Gigi Riva e Sandro Mazzola, di Bartali e Coppi, di Che Guevara. Sono l’archivio del retto modo di vivere, di valori quali coraggio e onestà (quelli di Luis Sepulveda) di cui da noi, specie tra chi si pretendeva antagonista, non si vede più il segno.

Pulizia generazionale

L’antesignana è stata la kapò degli esodati, Elsa Fornero, ovviamente fedele frequentatrice delle stamberghe sorosiane nel canale di Urbano Cairo. Sul modello delle pulizie etniche praticate da razze superiori nel Vicino Oriente, si è iniziata la pulizia degli eccessi per età. Non senza aver praticato in simultanea pulizie altre, generazionali e di genere. Magari senza strumenti coattivi e fisiologici e più sul piano morale e psicologico: paura e diffamazione. Esempi? Il terrorismo antisesso con l’AIDS, servito a vendere tonnellate di farmaco ATZ che, al solito, uccideva più del virus e dovette essere ritirato dopo vent’anni di stragi. La guerra delle donne, in quanto tali, agli uomini, in quanto tali, a prescindere, servita in patria e anche a livello geopolitico. La guerra al terrorismo, fatta dai coltivatori di terroristi, con relativo dilagare dell’odio e del sospetto e strette ai diritti democratici. La guerra fantasmatica in difesa dei LGBTQI. La guerra presunta per i migranti, ma in effetti contro i popoli del Sud e i lavoratori del Nord, fatta per conto delle multinazionali colonialiste e in nome della carità religiosa e laica. La guerra contro chi rivendica identità storica, sovranità nazionale e popolare, anatemizzato in sovranista e populista.

“Un vero ribelle conosce la paura ma sa vincerla” (Luis Sepulveda)

Uccidere gli anziani per far morire la Muse

Mi ha colpito il testo, davvero accorato e toccante di un medico piemontese, segnalatomi da amici e che voglio proporvi. Parla di chi se ne va, o e bell’e andato: operai, contadini, proletari, gente che lavora con le mani, gente devota a Cibele, Demetra, Gea. Io vorrei, traendolo dalla mia esperienza, particolarmente fortunata dato il mestiere, aggiungere anche un “se ne vanno” dedicato ai lavoratori della mente, quelli devoti alle nove figlie di Mnemosine: Clio, Urania, Melpomene, Talia, Tersicore, Erato, Calliope, Euterpe e Polinnia. Quelle che, come le divinità della terra e dell’opera manuale, a dispetto di 2000 anni di dogma tirannico, escludente e dannante, non sono riusciti a sradicare dal nostro inconscio collettivo, per cui di tempo in tempo resuscitano e tornano a liberarci. Sono duemila anni che provano a spazzarli via.

Se ne vanno

“Se ne vanno. Mesti, silenziosi, come magari è stata umile e silenziosa la loro vita, fatta di lavoro, di sacrifici.  Se ne va una generazione, quella che ha visto la guerra, ne ha sentito l’odore e le privazioni, tra la fuga in un rifugio antiaereo e la bramosa ricerca di qualcosa per sfamarsi.

Se ne vanno mani indurite dai calli, visi segnati da rughe profonde, memorie di giornate passate sotto il sole cocente o il freddo pungente.  Mani che hanno spostato macerie, impastato cemento, piegato ferro, in canottiera e cappello di carta di giornale.  Se ne vanno quelli della Lambretta, della Fiat 500 o 600, dei primi frigoriferi, della televisione in bianco e nero.

Ci lasciano, avvolti in un lenzuolo, come Cristo nel sudario, quelli del boom economico che con il sudore hanno ricostruito questa nostra nazione, regalandoci quel benessere di cui abbiamo impunemente approfittato.  Se ne va l’esperienza, la comprensione, la pazienza, la resilienza, il rispetto, pregi oramai dimenticati.

Se ne vanno senza una carezza, senza che nessuno gli stringesse la mano, senza neanche un ultimo bacio. Se ne vanno i nonni, memoria storica del nostro Paese, patrimonio della intera umanità.

L’Italia intera deve dirvi GRAZIE e accompagnarvi in quest’ultimo viaggio con 60 milioni di carezze…❤

 RICEVUTO da Dott.Begher, pneumologo ospedale S.Maurizio. Che chiede di divulgarlo… Grazie

***************************************************************************

Per quanto mi riguarda, attingendo alle mie esperienze e conoscenze, se ne vanno i miei primi datori di lavoro, Arnoldo Mondadori, pescecane con naso fine per i libri; Valentino Bompiani, aristocratico, più mecenate che industriale; la  Londra con la bombetta e i primi jeans negli anni’50 e, poi, nei ’60, la  Londra dei capelloni, di musica e fiori al posto della bombetta e dell’ombrello; Umberto Eco, che si circondava più di belle donne che di parole ambigue; Elio Vittorini, che, con generosità infinita, mi ha chiosato le poesie; Beppe Fenoglio, che mi ha impressionato più di tutti; Italo Calvino, nelle cui storie mi sono riconosciuto, Dino Buzzati, generosamente curioso delle mie povere idee sui treni Milano-Genova; Luciano Bianciardi, con cui andavamo per bettole nella Milano ’50, proletaria e canterina, valorizzata da Aimonino  Ponti e Nervi, non distrutta da sindaci e archistar da bere; Eugenio Montale, musone sardonico e finto scontroso tra polverose poltrone Biedermeyer e pile di libri per terra; Salvatore Quasimodo, con i suoi baffetti da sparviero presuntuoso; e Brera, il quartiere, i caffè tracimanti di idee e minigonne.

Gabriella Ferri, grande amicizia, grande pasionaria e grande depressa; Giammaria Volontè, in strada insieme a provocare la gente con astuzie teatrali e poi a sfuggire ai rimbrotti ironici di Elio Petri; Piazza del Popolo dei geniali snob di letteratura, cinema, giornalismo e cortigianeria; piazza Navona di bighelloni semi-eversivi e strafumati; il folkstudio, un’aria sotterranea dipinta da Venditti e inghirlandata da De Gregori. Preferivo Sergio Endrigo. Thomas Mann, che mi insegnava Hoelderlin a Colonia, i combattenti dell’IRA, quelli di Palestina, il ’68, Gore Vidal che in Via di Torre Argentina mi intratteneva su un’America di schifo e donava soldi a Lotta Continua, Pasolini e Moravia a discutere nella terrazza di un americano sotto casa mia; et ceteri et ceteri…… Pensa come si deve sentire oggi uno con questi nella sua vita e, comunque nel mondo che c’era! E, peggio di tutto, se ne vanno Michelangelo, Caravaggio, Boccioni, De Chirico, i cui dipinti dai freddi schermi non riusciranno più a toccarci l’anima attraverso la pelle e farci vibrare di quell’ anticonformismo rivoluzionario che significa libertà.

Detto questo, noi non ce ne andiamo. Anche perché Ernesto bassotto ha bisogno di noi. E noi di lui.

“Essere libero, non è poter fare ciò che si vuole, ma volere ciò che si può”. (Jean Paul Sartre)

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 12:51