Mario Giordano :”E’ una strage di italiani”.Ecco che cosa ci uccide come in guerra La mortalità in Italia aumenta a livelli esponenziali con numeri da capogiro paragonabili ai tempi di guerra! A spiegare il perchè di ciò è Mario Giordano.

mappa satellite inquinamentoArticolo di due anni fa. Qualcuno è allarmato? A qualcuno dei nostri governanti tanto preoccupati per la nostra salute tanto da imporre vaccini si è preoccupato da allora? Che cosa è stato fatto in due anni? Ah giusto, i fasssisti …i populisti sono il vero problema del regime. Ma sarà una fake news, intanto l’Inps ringrazia.Poi ci sono le banche da salvare.
Un pò di dati da cui partire per approfondire l’argomento, si possono trovare qui
visto che i signori di bufale.net si sono subito prodigati a scrivere che non si possono imputare le morti all’inquinamento
Foto La mappa che dimostra come la Pianura Padana sia tra le aree più inquinate d’Europa (Esa – Sentinel 5P)

Mario Giordano :”E’ una strage di italiani”.Ecco che cosa ci uccide come in guerra
La mortalità in Italia aumenta a livelli esponenziali con numeri da capogiro paragonabili ai tempi di guerra! A spiegare il perchè di ciò è Mario Giordano.
In 8 mesi 46mila mila morti in più. Ogni mese, dunque, 5mila in più. Ogni giorno 166 in più. Significa che ogni ora in Italia muoiono 7 persone in più rispetto all’ anno scorso.
È un’ enormità. Tanto più che per trovare una simile impennata nella mortalità bisogna risalire al 1943, in piena Seconda Guerra Mondiale.
 
E prima di allora al 1918, con la Prima Guerra Mondiale e l’ aggiunta dell’ influenza spagnola. Ma che cos’ è che sta sterminando gli italiani come se fossimo in guerra? Nessuno ha la risposta giusta, i demografi s’ interrogano, guardando i dati con stupore e preoccupazione. Ma è inevitabile che tutti pensino ad un’ unica grande causa. Il suo nome è: crisi. Purtroppo eravamo stati facili profeti: ogni generazione ha la sua guerra. I nostri nonni morirono nelle trincee del Carso, i nostri padri vissero fra Gestapo e bombardamenti. Noi siamo falcidiati da una depressione senza precedenti, unita naturalmente alle scelte assassine dell’ euro e dell’ Europa, applicate in Italia con ben nota ottusità.
Dal rigor Monti al rigor mortis, il passo è stato evidentemente breve: sempre più anziani non hanno i soldi per curarsi, la prevenzione è andata a farsi benedire, l’ alimentazione è peggiorata, le famiglie in difficoltà sono aumentate a dismisura e i tagli ai servizi sociali rendono sempre più complicato trovare aiuti nel welfare. Ora dobbiamo dire che stiamo bene, sennò Renzi s’ arrabbia.
Ma chi glielo spiega a quei 46mila connazionali che nel frattempo sono passati a miglior vita?*Numeri da epidemia – Ci potremmo provare. Scusi, signor defunto, lo sa che in Italia ora il Pil cresce dello 0,7 per cento? E il prossimo anno – parola del presidente del Consiglio – crescerà pure dell’ 1,5 per cento? Non si sente già un po’ meglio? Lo so che nel frattempo lei non può far crescere il suo Pil, al massimo fa crescere i crisantemi sulla tomba, ma che ci possiamo fare? Non mi faccia lo zombie-gufo, per cortesia, e mostri il volto dell’ Italia che ce la fa. Ce la fa a cosa? A defungere? Embeh? Ora non faccia come i giornalisti, che vedono sempre tutto nero. Sì, lo so che anche lei vede nero, ma non si formalizzi. E poi è solo perché il Parlamento non ha ancora approvato la riforma dei cimiteri, con l’ Italicum dei lumini e l’ abolizione delle lapidi. Altrimenti anche lei sarebbe già diventato renziano. Oserei dire: renziano da morire. Scherzi a parte, i dati dell’ Istat sono tragici. Nei primi otto mesi dell’ anno ci sono stati 445mila decessi contro i 399mila dello stesso periodo dell’ anno scorso. Un’ impennata dell’ 11 per cento.
Se si andrà avanti di questo passo, a fine dicembre i morti saranno 666mila, livello per l’ appunto mai più toccato in Italia dal 1945. Siccome, a quanto ci risulta, nel 2015 in Italia non c’ è stata una catastrofe nucleare e nemmeno un devastante terremoto, siccome non si è verificata un’ epidemia di peste bubbonica o di vaiolo pustoloso, a che cosa si può imputare questa crescita spaventosa? Certo: la popolazione invecchia. Certo: in inverno ci sono state meno vaccinazioni. E anche certi spettacoli della politica, a dir la verità, sono risultati piuttosto letali. Ma basta tutto questo a giustificare una strage simile a quella di una guerra mondiale? Ovviamente no. L’ unica spiegazione possibile è dunque quella della crisi economica. Quanti italiani hanno dovuto rinunciare a curarsi? Quanti negli ultimi anni hanno peggiorato il loro livello di alimentazione? Quanti sono stati costretti a dormire per strada? La verità è che il peso della crisi, lunghissima e assassina, si sta riversando d’ improvviso sulle spalle sempre più fragili del Paese.
E l’ effetto è così impressionante che non si può non tener conto, anche nelle scelte della politica. Siamo sicuri, per esempio, che si possa ancora risparmiare sulla sanità? Siamo sicuri che si possano nascondere tagli feroci sotto le parole dolci della “razionalizzazione”? Siamo sicuri che si possano aumentare i ticket per gli esami e ridurre i servizi? E questi 46mila morti non chiedono forse un intervento urgente sulla povertà? Magari provvedimenti più incisivi dei timidi tentativi contenuti in finanziaria?
 
Nodo Pensioni – E poi, ultimo ma non ultimo, se davvero la mortalità aumenta così rapidamente e il processo di allungamento della vita non è più “irreversibile”, come ci stanno spiegando gli esperti, ha davvero senso continuare ad allungare la vita lavorativa? Se la rotta demografica si è invertita così rapidamente, perché continuiamo ad alzare l’ età pensionabile? 46mila morti non bastano per cominciare a ripensare la legge Fornero? E che ci vuole allora? Lo sterminio degli ultrasessantenni? L’ annientamento dei capelli bianchi? L’ ecatombe al sapor di rughe e pannoloni?
25 Dicembre 2015 Di Mario Giordano per liberoquotidiano.it

Umbertide, un imprenditore si suicida in azienda: non poteva pagare gli stipendi

bartolinicomboma non c’era la ripresa? A qualcuno dei tanto solidali interessa la sorte dei 130 dipendenti? Qualcuno paga loro vitto alloggio e corsi di formazione per altri lavori? Le banche in democrazia, quella da proteggere dai brutti e cattivi, DEVE ESSERE SALVATA. Le vite umane italiane NO.

Un imprenditore di 61 anni si è suicidato nella sua azienda metalmeccanica a Umbertide, in provincia di Perugia. Poco prima l’uomo aveva lasciato un biglietto con il quale spiegava di volersi togliere la vita perché non riusciva a pagare gli stipendi ai suoi 130 operai. L’imprenditore si è tolto la vita nel sottoscala dello stabilimento, dove è stato ritrovato senza vita da un collaboratore. Nella lettera l’uomo ha raccontato che secondo lui non aveva più alternative dopo che la banca gli aveva negato altro credito. Il giorno prima nell’azienda era stato proclamato uno sciopero, organizzato proprio per protesta sul ritardo del pagamento degli stipendi. Questa mattina l’imprenditore avrebbe dovuto firmare un accordo con i sindacati.
4 Agosto 2017

Greci che mangiano gli avanzi dei profughi

cibo migrantigli indigeni, soprattutto quelli dell’europa dei popoli possono schiantare, non è razzismo. L’importante che i “richiedenti” asilo non debbano soffrire la fame, i greci non sono umani degni di essere nutriti e curati.
Greci che mangiano gli avanzi dei profughi
Da Ritsona (Eubea, Grecia). Per arrivare al campo profughi di Ritsona occorre prendere il treno che da Atene porta a Salonicco, cambiare ad Inoi e scendere nella minuscola stazione di Avlida. Quindi una corsa di dieci minuti in macchina fra le colline punteggiate di ulivi conduce a una vecchia base militare dell’aeronautica greca sperduta nella campagna, fra la polvere e il fango. Qui stanno, da marzo, settecentotrenta profughi scappati dal Medio Oriente, in attesa di documenti che li riconoscano come rifugiati politici. Quasi nessuno è partito con l’idea di restare in Grecia, ma la chiusura delle frontiere li ha sorpresi a metà del cammino verso l’Europa più ricca, bloccandoli in un limbo senza senso.
In tutto il Paese sono oltre sessantaduemila i migranti che aspettano di conoscere il proprio destino. Dopo il controverso accordo con fra Ue e Turchia per porre un freno ai flussi migratori, il governo di Ankara ha fermato sì le partenze dall’Anatolia, ma la pressione sulla Grecia non è diminuita. In base al Regolamento di Dublino III, i migranti sono obbligati a presentare la domanda di asilo nel primo Paese Ue in cui mettono piede: una scelta politica che scarica l’onere dell’accoglienza su Italia e Grecia, in prima linea nel fronteggiare l’emergenza.
I profughi dunque non possono proseguire, perché hanno già presentato richiesta di asilo alle autorità elleniche – e non possono tornare indietro, poiché la Turchia non li vuole. Le condizioni di vita variano da campo a campo e i Greci fanno di tutto per prodigarsi nell’accoglienza.
A Ritsona è stato fatto molto per alleviare le sofferenze dei profughi, che per il 95% dei casi provengono dalle regioni della Siria più colpite dalla guerra civile.
Con l’aiuto delle ong e di molte sigle del volontariato internazionale, da novembre i container hanno preso il posto delle tende, del tutto inadatte ad affrontare le rigide temperature invernali dell’Eubea. Il terreno in terra battuta, che alle prime piogge si trasformava in una palude, è stato ricoperto di ghiaia e grazie ai volontari sono state allestite una palestra e un asilo.
 
Il campo ospita infatti anche trenta neonati e duecentocinquanta bambini, che nel pomeriggio vanno a lezione nella scuola del paese, lasciata libera dai bimbi greci.
 
Gli adulti, invece, con moltissimo tempo a disposizione e quasi nulla da fare, si ingegnano per ingannare il tempo. Alcuni siriani collaborano alla gestione di un piccolo bar interno al campo. Qualcuno si è reinventato carpentiere, altri hanno aperto piccoli negozi per vendere qualche ortaggio o un pacchetto di sigarette.
 
Una volta presentata la richiesta di asilo possono passare anche sei mesi prima di ottenere una risposta. Il nemico principale diventa allora la noia.
“Le persone che vivono qui sono perlopiù stanziali – spiegano i responsabili di Echo100Plus, l’organizzazione no profit che si occupa della distribuzione dei beni di prima necessità – La stragrande maggioranza vuole andarsene: bisogna accelerare le procedure per definire lo status giuridico di queste persone. Anche per la Grecia si tratta di un carico molto pesante da sopportare”.
La regione di Ritsona è infatti pesantemente colpita dagli effetti della crisi economica e in molti, rimasti senza lavoro, faticano a procurarsi il necessario per vivere.
La fotografia più nitida di questo difficile stato di cose è forse la piccola folla di persone che ogni settimana si mettono in fila per ricevere il cibo in eccesso avanzato al campo profughi. Quando i migranti avanzano parte del cibo sono i volontari legati della chiesa ortodossa che ritirano il tutto, perché sia distribuito ai poveri.
“Io stesso sono senza lavoro – spiega il venticinquenne Adonis, mentre carica in macchina gli scatoloni con gli avanzi – In questa regione come in tutta la Grecia non c’è lavoro e la gente non ha da mangiare. Ma sarebbe un peccato se questo cibo venisse sprecato, così lo portiamo ai senzatetto.”
 
Intendiamoci, gettare il cibo nella spazzatura è un delitto che grida vendetta. Dar da mangiar agli affamati è viceversa un dovere morale che non sempre lo Stato greco riesce ad assolvere. In altre città sono stati i profughi stessi a portare il cibo ai senzatetto greci, raccogliendone entusiasmo e gratitudine.
 
Ma questo affollamento di disperazione e miseria non può che porre in luce – ancora una volta, casomai ce ne fosse ancora bisogno – l’ipocrisia di un’Europa che a parole si proclama solidale e nei fatti costringe la maggior parte dei profughi in un Paese che più di ogni altro è piegato da una crisi senza precedenti e che esso stesso è ormai alla fame. Anche questo è un peccato che grida vendetta.
posted by Redazione febbraio 2, 2017