Agguati, scioperi e black out L’undici settembre della Libia

contro la borghesia, contro l’imperialismo, contro il macellaio Ghedafi ma anche contro la NATO, fatto sta che ora che il “macellaio” così raccontanto dai media senza prove ma tanti allocchi a credere alle menzogne hanno realizzato il sogno imperialista tanto contestato a parole, tramite la società civile che belante chiedeva la no fly zone per proteggere i civili. Adesso che il petrolio è del padrone capitalista, che sventola la bandiera della monarchia, che gli amati ribelli libici contro il “tiranno” dettano la legge del far west, i civili in LIbia muoiono come NELL’iraq liberato, ma le anime belle delle no fly zone evidentemente considerano queste vittime effetti collaterali, come li ritiene il loro amato presidente americano premio nobel per la pace. L’importante che a macellarli non sia il “brutale dittatore che fece le fosse comuni INESISTENTI a Tripoli” ma il progressista della Casa Bianca.

Agguati, scioperi e black out L’undici settembre della Libia
AFP

Lo scontro in Libia è salito di livello e ricalca la spaccatura fra Fratelli musulmani e salafiti che ha mandato in corto circuito tutta la primavera araba

Guerra per bande e raffinerie bloccate: in uno dei più grandi Paesi produttori di petrolio scarseggia gasolio e l’elettricità arriva a singhiozzo. Mentre a un anno dall’assassinio dell’ambasciatore americano Stevens a Bengasi spadroneggiano le milizie legate
ai salafiti e ad Al Qaeda. Il dopo Gheddafi assomiglia al caos
giordano stabile

I primi 400 poliziotti addestrati dagli italiani stanno per essere dispiegati a Bengasi. Entro la fine dell’anno saranno 4mila. Dovranno metter fine all’anarchia, riportare sicurezza e disarmare le brigate, degli ex rivoluzionari che fanno il bello e cattivo tempo in tutta la Libia. C’è un piccolo problema: i miliziani sono 200mila, bene armati, rispondono solo ai loro capi, in particolare a Hashim Bishr, salafita con studi a Riad e in Tunisia, aperto sostenitore della sharia dura e pura. Bishr controlla Tripoli e dintorni e a lui fanno riferimento almeno 100mila guerriglieri che chiedono pensioni di guerra, posti pubblici, nella polizia e nell’esercito e non obbediscono a nessuno, tanto meno al governo di transizione guidato da Ali Zaidan.

A Bengasi comanda invece la Libya Shield, 20-30mila uomini, rapporti labili con il ministero dell’Interno che pretende di rappresentare, o sostituire, per garantire la sicurezza. C’è un attentato o un’esecuzione al giorno. Gli ultimi omicidi eccellenti sono stati quelli di Youssef Alasifr, vicecapo della magistratura militare, fatto saltare in aria con la sua scorta il 29 agosto, e dell’ex colonnello gheddafiano Salim Aurfy che ha subito la stessa sorte ieri.

Attorno alle due aggregazioni principali ruotano decine di piccole brigate, formate da uomini che hanno, o dicono di avere, combattuto contro Gheddafi. Alle brigate fanno riferimento anche i lavoratori dei campi petroliferi e dei terminal da dove viene esportato il greggio. Chiedono aumenti di stipendio, rimozioni di dirigenti con presunti legami con l’ex raiss e royalties da versare direttamente alle brigate. Il ministro dell’interno, all’inizio dello sciopero, due mesi fa, ha minacciato l’uso della forza per far ripartire gli impianti. I miliziani hanno circondato il ministero a Tripoli, sono entrati kalashnikov alla mano e lo hanno costretto a più miti consigli.

Lo scontro è salito di livello e ricalca la spaccatura fra Fratelli musulmani e salafiti che ha mandato in corto circuito tutta la primavera araba, a partire dall’Egitto. Bengasi, nell’area salafita, accusa i Fratelli musulmani che dominano l’Assemblea costituente di Tripoli di volersi tenere tutti i profitti del petrolio, esattamente come faceva Gheddafi. Tripoli ribatte che Bengasi vuol vendere direttamente il petrolio dei giacimenti della Cirenaica, senza passare per il governo centrale. Il premier Zaidan ha minacciato “di far saltare le petroliere se si fossero avvicinate ai terminal” ribelli e di riprendersi i porti con l’esercito. Ibrahim Ali Jathran, ex generale, che con invece con i suoi uomini veri e non sulla carta, controlla quello di Brega, il più importante, ha replicato che era “una dichiarazione di guerra” e avrebbe resistito “a tutti i costi”.

Lo sciopero va avanti, quattro dei sei terminal sono bloccati, le esportazioni al lumicino, la produzione è crollata da 1,6 milioni di barili al giorno a 130mila, che non bastano neanche per i consumi interni. Le raffinerie sono ferme, comincia a scarseggiare il gasolio per alimentare le centrali elettriche e da una settimana ci sono black out continui nelle città. A Sabha, nel deserto, manca anche l’acqua, perché le pompe dei pozzi sono ferme. Il Paese, tra i grandi produttori di greggio del mondo, è costretto a importare carburante dall’Egitto. Intanto i Fratelli musulmani, per quanto indeboliti dal golpe dei militari al Cairo, minacciano di sfiduciare lo stesso Zaidan, troppo poco devota, appoggiati dal Gran Muftì Al Sadiq al Ghiryani che accusa il premier di “incompetenza”. A due anni dall’esecuzione di Gheddafi, un bilancio brillante, non c’è che dire.

Tanto più brillante se si pensa che nell’anniversario dell’undici settembre c’è un solo posto al mondo dove Al Qaeda possa festeggiare senza il rischio di vedersi bombardare da un drone. E’ Bengasi. Per Ansar al Sharia, il ramo locale dell’organizzazione terroristica che ha colpito le Torri Gemelle, come per la potentissima confraternita salafita Al-Dawa wa al-Islah, insufflata di soldi sauditi, è un doppio anniversario. Esattamente un anno fa un commando di 200 islamisti, imbeccati da una talpa nel ministero dell’Interno di Tripoli, tende un micidiale agguato all’ambasciatore americano Chris Stevens. Obama, e le autorità libiche, promettono che i colpevoli saranno individuati e puniti. Per circa un anno i droni Usa sorvolano la città e individuano una decina di uomini chiave del commando. Il capo è Ahmed Khattala, uno dei leader della Lybia Shield, galassia di brigate più o meno estremiste.

La stampa americana scrive di “Washington che fa pressione su Tripoli perché sia consegnato”. La task force di pronto intervento dei Marines, basata a Sigonella, è stata portata da 200 a 450 uomini. Ma sono le brigate che comandano a Bengasi, ancor più legate ad Al Qaeda di quelle che pattugliano Tripoli. Usare i droni per eliminare Khattala sarebbe uno sgarbo troppo grande al debolissimo governo Zaidan. E potrebbe far scoppiare il vulcano islamista in tutta la Libia. Quindi i killer di Stevens per ora se ne stanno tranquilli, mille volte più che i colleghi in Pakistan, Yemen o Afghanistan. Chissà che questo pensiero molesto non abbia contribuito a frenare il dito di Obama prima dei raid sulla Siria dove le brigate rivoluzionarie assomigliano sempre più a quelle libiche.

http://www.lastampa.it/2013/09/11/esteri/agguati-scioperi-e-black-out-lundici-settembre-della-libia-12w8guwPrmiUdIFxNW75SP/pagina.html

Lavrov stoppa Obama

MARTEDÌ 10 SETTEMBRE 2013
di Michele Paris

A seguito della proposta lanciata dal ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, per cercare di fermare l’aggressione militare americana contro la Siria, il governo francese ha annunciato martedì di volere trasformare l’ipotesi di porre l’arsenale chimico di Damasco sotto il controllo internazionale in una risoluzione da presentare al Consiglio di Sicurezza ONU. Le intenzioni di Parigi, però, non sono dirette ad evitare un nuovo conflitto in Medio Oriente, bensì a gettare basi teoricamente più solide per un intervento armato contro il regime di Assad, legittimato in apparenza da un mandato autorevole come quello delle Nazioni Unite.

A dare notizia del proposito della Francia è stato martedì il ministro degli Esteri, Laurent Fabius, il quale ha fatto sapere che il governo Socialista redigerà un testo che, a suo dire, dovrebbe servire a “misurare le intenzioni” di Russia e Cina che, dopo avere finora impedito l’approvazione di qualsiasi misura per facilitare la rimozione di Assad, hanno dato la loro approvazione al piano sul monitoraggio delle armi chimiche siriane.

Come è noto, quest’ultimo era scaturito lunedì da una frase del segretario di Stato americano, John Kerry, che ha avuto conseguenze inaspettate. Rispondendo alla domanda di un reporter nel corso di una conferenza stampa a Londra, il capo della diplomazia USA aveva cioè affermato, con ogni probabilità in maniera retorica, che per evitare un attacco contro il proprio paese, Assad avrebbe dovuto “consegnare ogni sua arma chimica alla comunità internazionale entro la prossima settimana”.

Sul volo di ritorno dalla Gran Bretagna, Kerry è stato poi raggiunto telefonicamente dal suo omologo russo Lavrov che gli ha comunicato la nuova proposta, rivelata pubblicamente ancora prima dell’arrivo dell’ex senatore democratico negli Stati Uniti.

Con una mossa che ha allo stesso tempo messo in imbarazzo un governo di Washington sempre più in confusione e offerto una via d’uscita alla Casa Bianca quanto meno per ritardare un’operazione militare profondamente impopolare, Lavrov ha annunciato di volere lavorare con Damasco per studiare un meccanismo che porti l’arsenale siriano sotto la supervisione ONU, nonché alla sua distruzione finale.

Il piano russo è stato immediatamente accettato dal ministro degli Esteri di Assad, Walid al-Moallem, e poco dopo ha ricevuto da più parti una sostanziale approvazione, a cominciare da Teheran e Pechino ma anche da svariati governi occidentali dimostratisi molto cauti nei giorni scorsi nei confronti delle mire belliche statunitensi.

Le diverse motivazioni dietro l’accettazione della proposta Lavrov da parte di sostenitori e oppositori di Assad sono apparse però quasi subito evidenti, gettando più di un’ombra sulle probabilità di riuscita del piano.

Ciò è risultato chiaro proprio dalla presa di posizione di martedì del ministro degli Esteri francese Fabius, il cui proposito di ratificare con spirito bipartisan un piano apparentemente condiviso da tutte le parti in causa attraverso un voto ONU è stato contraddetto dal probabile contenuto che avrà la risoluzione a cui si sta lavorando a Parigi.

Il testo prefigurato da Fabius, infatti, dovrebbe finire per condannare ugualmente il “massacro del 21 agosto [a Ghouta, presso Damasco, con armi chimiche] commesso dal regime siriano” anche senza prove concrete della responsabilità di quest’ultimo.

Inoltre, se Assad non dovesse adeguarsi alle indicazioni contenute nella risoluzione, sarebbero previste “serie conseguenze”, cioè verrebbe giustificato l’uso della forza, come accadde al regime di Saddam Hussein nonostante la collaborazione mostrata con gli ispettori ONU alla ricerca di armi di distruzione di massa in Iraq.

In sostanza, la Francia e l’Occidente in generale sarebbero pronti a sfruttare ogni possibile controversia o incertezza nel processo di smantellamento dell’arsenale bellico siriano per puntare il dito contro un regime non disposto a collaborare con la comunità internazionale, così da avere la copertura necessaria per condurre un’operazione militare volta al cambio di regime che Parigi e Washington stanno faticando in questi giorni a giustificare.

Tale eventualità, anche dando per scontato che Damasco e i vari governi coinvolti riescano a raggiungere un difficile accordo, sembra tanto più probabile quanto appare complesso e pieno di ostacoli il processo di individuazione, catalogazione e trasferimento delle armi chimiche in possesso di Assad.

Se, inoltre, le condizioni imposte dall’Occidente per intraprendere un percorso di questo genere dovessero prevedere il passaggio attraverso una risoluzione ONU come quella prospettata dal ministro francese Fabius, Russia e Cina ricorrerebbero con ogni probabilità al loro diritto di veto, facendo naufragare l’intero progetto.

L’obiettivo immediato dell’amministrazione Obama, in ogni caso, sembra essere quello di impedire che il processo messo in moto dalle parole incaute di Kerry finisca per togliere l’opzione militare dal dibattito in corso sulla Siria. Inizialmente, addirittura, dal Dipartimento di Stato erano giunte tempestive rettifiche alla frase del Segretario per chiarire come l’ipotesi che Assad consegni le proprie armi chimiche per evitare la guerra fosse puramente “retorica”.

In seguito alla mossa di Lavrov, tuttavia, questa proposta è diventata in fretta la notizia del giorno, con politici ed esponenti di governi di mezzo mondo che hanno espresso almeno la loro disponibilità a valutare un accordo con Damasco negoziato dal Cremlino.

Numerosi membri del Congresso americano, ad esempio, hanno preso la palla al balzo manifestando il loro ottimismo per una soluzione pacifica, soprattutto coloro che sembravano intenzionati a votare contro la richiesta di autorizzazione all’uso della forza in Siria e che temevano di essere criticati dalla Casa Bianca per non avere saputo rispondere in maniera ferma ad un presunto attacco con armi chimiche.

Lo stesso presidente Obama, alla fine, ha preso atto della nuova situazione e nella serata di lunedì ha anch’egli definito “fattibile” la proposta Lavrov. L’inversione di marcia del presidente è giunta significativamente al termine di una giornata trascorsa nel tentativo di convincere i “congressmen” americani ad approvare l’aggressione contro la Siria e alla sua frenata deve avere contribuito anche la pubblicazione di ulteriori sondaggi sui media americani che hanno evidenziato nuovamente la freddezza della popolazione per un’altra guerra imperialista nascosta dietro motivazioni umanitarie.

Obama ha comunque tutt’altro che abbandonato i propositi di guerra, tanto che alla CNN ha chiarito come un accordo accettabile sulle armi chimiche di Assad possa essere raggiunto solo mantenendo viva la “minaccia militare” contro Damasco.

Il primo effetto concreto dell’ipotesi circolata lunedì è stato così il rinvio del voto previsto per mercoledì al Senato americano sull’autorizzazione all’uso della forza in Siria secondo il testo approvato settimana scorsa dalla commissione Esteri.

Ad annunciarlo è stato il leader democratico di maggioranza, Harry Reid, dopo avere incassato nel corso della giornata alcune defezioni di compagni di partito contrari alla guerra e in previsione di una umiliante sconfitta per Obama nel ramo del Congresso dove i numeri sembravano essere più favorevoli alla Casa Bianca.

Gli sforzi del governo americano per giungere ad un intervento militare non saranno comunque interrotti nei prossimi giorni, durante i quali è facile prevedere l’insorgere di “complicazioni” al piano Lavrov o di novità sul campo che accelererebbero nuovamente i preparativi di guerra.

La propaganda di Washington, perciò, non sembra dover cessare in seguito ai nuovi sviluppi favoriti dalla Russia, come ha confermato lunedì la consigliera per la sicurezza nazionale di Obama, il falco degli interventi umanitari Susan Rice. In un intervento presso il think tank “New America Foundation”, quest’ultima ha infatti ribadito la necessità di un’aggressione militare contro la Siria facendo riferimento cinicamente ai bambini morti nell’attacco a Ghouta del 21 agosto condotto con buone probabilità proprio dai “ribelli” appoggiati dall’Occidente.

Nella stessa uscita pubblica, l’ex ambasciatrice USA alle Nazioni Unite ha inoltre affermato che l’uso di armi chimiche deve essere punito anche perché potrebbe diventare “una minaccia diretta per il nostro principale alleato nella regione”, vale a dire Israele.

Curiosamente, queste ultime parole della Rice sono giunte poco dopo la rivelazione da parte del network Russia Today di una possibile nuova provocazione dei “ribelli” siriani, i quali starebbero valutando l’ipotesi di lanciare un attacco con armi chimiche contro Israele da località sotto il controllo del regime, così da far ricadere ancora una volta la colpa su Assad e spianare definitivamente la strada verso una guerra totale nel paese mediorientale.
http://www.altrenotizie.org/esteri/5654-lavrov-stoppa-obama.html

Syrian Parliament Letter To The US House Of Representatives – An important document being censored by the US press

DNA / September 9, 2013 / 4 Comments

 Syrian Parliament Letter To The US House Of Representatives—An important document being censored by the US press….off the BNP web site: “The main factor of 9/11 attacks was the hatred Wahhabi Jihadist Ideology adopted and financed by Saudis”

 ScreenHunter_327 Sep. 07 18.04

www.bnp.org.uk/sites/default/files/us_house_of_representatives.pdf

 ScreenHunter_331 Sep. 07 18.05

Source : stevengoddard.wordpress.comnytimes.com

Letta, rifacce Tarzan! #Lettamente + Il collasso delle famiglie italiane

rifacce_tarzan.jpg

26 giugno 2013, dal Corriere della Sera: “Chi è Pinocchio?”. Letta risponde con durezza a Beppe Grillo che criticava le misure sul lavoro giovanile approvate dal governo. “Si sappia che sono bugiarde le informazioni sul decreto lavoro per i giovani che Grillo mette sul suo blog per chiamarmi Pinocchio”.

Oggi, 3 novembre 2013, dal Corriere della Sera: “Fallisce il bonus assunzioni del governo per i giovani.” Letta, rifacce Tarzan!

 

“La tanto sbandierata misura che avrebbe dovuto garantire 200 mila assunzioni ha fallito miseramente, come qualunque persona di buon senso aveva previsto. Oramai il governo va avanti a slogan, facendo annunci privi di ogni riscontro con la realtà, in attesa che avvenga qualcosa che risolva i problemi che loro non sanno assolutamente risolvere. Quando il governo annuncia di aver diminuito le tasse sul lavoro, garantendo a pochi italiani un incremento di 14 euro mensili in busta paga, mentre gli stessi italiani dovranno tirarne fuori molti di più in ragione di nuove e più pesanti tasse, vuol dire che il livello della nostra rappresentanza ha raggiunto livelli senza alcun riscontro nella storia d’Italia. Questa gente è totalmente aliena alla realtà del Paese.” Giorgiofra

 Beppegrillo.it

 Il collasso delle famiglie italiane

di Linda Laura Sabbadini – 03/11/2013

 Fonte: Il Blog di Beppe Grillo [scheda fonte]

 Nella prima fase della crisi abbiamo avuto due grossi ammortizzatori sociali che hanno operato in modo che la crisi non avesse conseguenze più devastanti e che hanno funzionato. Il primo è stato la cassa integrazione che ha protetto soprattutto i capifamiglia, il secondo, informale, è stato la famiglia che ha protetto in particolare i giovani che vivevano al suo interno. Ma con il proseguire della crisi le famiglie sono in difficoltà profonda e non riescono più a svolgere questo ruolo di ammortizzatore sociale” Linda Laura Sabbadini, Direttore del Dipartimento per le statistiche sociali ed ambientali, Istat – Istituto Nazionale di Statistica

“Sono Linda Laura Sabbadini e sono Direttore del dipartimento sociale e ambientale dell’Istat. Mi occupo della raccolta dati, dell’elaborazione delle analisi di tutti gli aspetti che hanno a che fare con il sociale, la qualità della vita, le condizioni di vita delle famiglie e lo stato dell’ambiente. La crisi che stiamo attraversando è stata ed è ancora una crisi profonda. Il calo di occupati è cospicuo: fino al 2012 ci sono stati circa mezzo milione di occupati in meno. La crisi è stata profonda perché non ha risparmiato nessuno, ha colpito il nord come il sud, ha toccato segmenti di popolazione che già vivevano condizioni difficili ma anche chi si trovava in situazioni reddituali più favorevoli. Profonda anche per la sua durata, le crisi cui abbiamo assistito precedentemente sono state generalmente più brevi, basta pensare a quella dell’inizio degli anni ’90, gravissima ma circoscritta. La combinazione di questi tre aspetti è ciò che caratterizza la crisi che stiamo vivendo e che la rende particolarmente preoccupante.

Gli effetti che sta producendo sul mercato del lavoro e sulle condizioni di vita delle famiglie sono particolarmente acuti. C’è stato un processo di ricomposizione strutturale tra le categorie degli occupati. È cambiata, infatti, la composizione per età dell’occupazione: la componente degli ultracinquantenni è cresciuta – anche per effetto della normativa sulle pensioni che ha spostato in avanti l’età dell’uscita e allungato così la permanenza sul posto di lavoro di molti – ed è diminuito il peso sia dei giovani che dei 30-49enni. La composizione si sta modificando anche per tipologie di contratti. A partire dal 2008 c’è stata, per esempio, una polarizzazione tra le varie forme contrattuali perché l’occupazione cosiddetta standard – quella a tempo indeterminato e a tempo pieno – è diminuita di circa 950 mila unità e, al contempo, è cresciuta l’occupazione part-time. Di questa però è quasi esclusivamente la componente involontaria ad aumentare. Si tratta cioè di impieghi a orario ridotto accettati in mancanza di un lavoro a tempo pieno. La diffusione del tempo parziale non è legata a scelte dei lavoratori e non si espande per conciliare i tempi di vita, come avviene in molti altri paesi. Al contrario, si configura di più come strumento di flessibilità al quale ricorrono le imprese. Per esempio nella grande distribuzione, dove ci sono esigenze particolari di orari e turni, viene utilizzato per ottenere tempi di apertura più lunghi. Aumentano perciò i contratti part-time, in molti casi combinati anche con l’elemento del tempo determinato. Accanto alla ricomposizione per fasce di età e per tipologia contrattuale si è aggiunta anche quella per tipo di professione. Sono aumentate le professioni di tipo manuale e sono diminuite, invece, quelle tecniche. Quindi anche sotto questo aspetto c’è stato un depauperamento della situazione degli occupati.

Veniamo ora alla crescita della disoccupazione avvenuta dal 2008. Nella prima fase della crisi questa crescita non era accentuata come la stiamo osservando adesso. È aumentata di intensità soprattutto dalla seconda metà del 2011. Siamo arrivati a più di 3 milioni di disoccupati, cioè di persone che cercano attivamente lavoro , ovviamente l’incremento è stato maggiore nel Sud dove già si partiva da livelli più alti. Parallelamente all’aumento della disoccupazione, c’è anche stata l’ampliarsi di un segmento di popolazione che è molto vicino alla disoccupazione. Si tratta di quelle persone che vorrebbero lavorare, ma che non hanno fatto azioni concrete di ricerca e, dunque, sono rimaste inattive in parte perché scoraggiate, forse in risposta a una situazione talmente critica da far pensare che non fosse possibile trovare un posto di lavoro. Sono aumentati contemporaneamente sia i disoccupati, sia gli scoraggiati. Nel mese di agosto abbiamo raggiunto il 12,2% di tasso di disoccupazione generale, il 40,1% per la prima volta di tasso di disoccupazione giovanile in Italia, questi dati però si accompagnano anche a un dato sul tasso di occupazione al 55,8% che benché sia al minimo è stabile da 5 mesi. La seconda metà del 2012 e i primissimi mesi del 2013 hanno visto un calo di occupazione importante, che resta ora stabile. La disoccupazione cresce molto perché le persone sono portate più a cercare attivamente lavoro in questo momento di crisi perché ne hanno bisogno. Le persone hanno cominciato a cercare attivamente lavoro più che in passato e così siamo passati da una situazione in cui il tasso di disoccupazione italiano era più basso di quello europeo, a una in cui, invece, il nostro tasso è divenuto più alto in media di quello europeo. Nell’ambito di questa crisi, in una prima fase abbiamo avuto due grossi ammortizzatori sociali che hanno operato in modo che la crisi non avesse conseguenze più devastanti e che hanno funzionato. Il primo, formale, è stato la cassa integrazione che ha protetto soprattutto i capifamiglia, il secondo, informale, è stato la famiglia che ha protetto in particolare i giovani che vivevano al suo interno. I giovani sono stati il segmento più colpito da questa crisi, ma la maggior parte di quelli che hanno perso il lavoro, viveva ancora all’interno della propria famiglia di origine che se ne è fatta carico e un po’ ha tamponato gli effetti sociali di questa crisi. Infatti, se si fosse trattato di giovani già usciti dalla famiglia di origine e con una propria famiglia autonoma, sarebbero ricaduti con maggiore probabilità nelle fasce di povertà. Ma con il proseguire della crisi le famiglie sono in difficoltà profonda e non riescono più a svolgere questo ruolo di ammortizzatore sociale. Se consideriamo i giovani fino a 29 anni è calato il tasso di occupazione di 7 punti percentuali, e sono stati più colpiti quelli meno istruiti, quelli con la laurea se la sono cavata meglio. La laurea ha costituito una protezione dagli effetti della crisi: anche se magari i giovani con la laurea non sempre riescono a svolgere il lavoro che vorrebbero, comunque sono meno espulsi dal mercato del lavoro. Dal punto di vista territoriale la crisi ha colpito tutti. Gli stranieri sono un altro segmento molto penalizzato, tenete conto che hanno perso 6,5 punti di tasso di occupazione e addirittura arriviamo a un calo di 10 punti se si considerano i soli maschi.

In generale la componente maschile dell’occupazione è stata più colpita perché concentrata nell’industria e nelle costruzioni che sono i due settori maggiormente interessati dalla crisi. I motivi per cui le donne hanno tenuto meglio oltre alla maggiore presenza nei servizi sono stati fondamentalmente tre: 1) il numero di straniere occupate sta continuando a crescere perché inserite non nell’industria ma nei servizi alle famiglie trainati dalla domanda legata a un bisogno che è diventato ormai incomprimibile, quello dell’assistenza agli anziani non autosufficienti; 2) sono aumentate le ultracinquantenni, perché per effetto delle riforme pensionistiche permangono più a lungo nel posto di lavoro; e 3) perché donne di stato sociale basso, soprattutto nel Mezzogiorno, hanno ricominciato a cercare lavoro per tamponare gli effetti della perdita del lavoro del proprio compagno e adattandosi l’hanno trovato.”

63enne tenta suicidio

ANCONA – Annuncia il suicidio alla fidanzata, che si trovava a Siracusa, e lei dalla Sicilia fa subito scattare i soccorsi, consentendo ai medici del 118 di arrivare in tempo per salvare l’uomo, un 63enne di Ancona. L’hanno trovato riverso a terra, nel suo appartamento di via Montebello, stordito dai tranquillanti e dall’alcol ingerito in dosi massicce. I soccorsi sono scattati poco dopo le 8, con l’intervento dei vigili del fuoco, che hanno consentito ai sanitari di entrare nell’appartamento, e di una volante della questura.
http://www.tzetze.it/redazione/2013/11/annuncia_il_suicidio_alla_fidanzata_con_un_sms_lei_da_lallarme_e_lo_salva/index.html