Agguati, scioperi e black out L’undici settembre della Libia

contro la borghesia, contro l’imperialismo, contro il macellaio Ghedafi ma anche contro la NATO, fatto sta che ora che il “macellaio” così raccontanto dai media senza prove ma tanti allocchi a credere alle menzogne hanno realizzato il sogno imperialista tanto contestato a parole, tramite la società civile che belante chiedeva la no fly zone per proteggere i civili. Adesso che il petrolio è del padrone capitalista, che sventola la bandiera della monarchia, che gli amati ribelli libici contro il “tiranno” dettano la legge del far west, i civili in LIbia muoiono come NELL’iraq liberato, ma le anime belle delle no fly zone evidentemente considerano queste vittime effetti collaterali, come li ritiene il loro amato presidente americano premio nobel per la pace. L’importante che a macellarli non sia il “brutale dittatore che fece le fosse comuni INESISTENTI a Tripoli” ma il progressista della Casa Bianca.

Agguati, scioperi e black out L’undici settembre della Libia
AFP

Lo scontro in Libia è salito di livello e ricalca la spaccatura fra Fratelli musulmani e salafiti che ha mandato in corto circuito tutta la primavera araba

Guerra per bande e raffinerie bloccate: in uno dei più grandi Paesi produttori di petrolio scarseggia gasolio e l’elettricità arriva a singhiozzo. Mentre a un anno dall’assassinio dell’ambasciatore americano Stevens a Bengasi spadroneggiano le milizie legate
ai salafiti e ad Al Qaeda. Il dopo Gheddafi assomiglia al caos
giordano stabile

I primi 400 poliziotti addestrati dagli italiani stanno per essere dispiegati a Bengasi. Entro la fine dell’anno saranno 4mila. Dovranno metter fine all’anarchia, riportare sicurezza e disarmare le brigate, degli ex rivoluzionari che fanno il bello e cattivo tempo in tutta la Libia. C’è un piccolo problema: i miliziani sono 200mila, bene armati, rispondono solo ai loro capi, in particolare a Hashim Bishr, salafita con studi a Riad e in Tunisia, aperto sostenitore della sharia dura e pura. Bishr controlla Tripoli e dintorni e a lui fanno riferimento almeno 100mila guerriglieri che chiedono pensioni di guerra, posti pubblici, nella polizia e nell’esercito e non obbediscono a nessuno, tanto meno al governo di transizione guidato da Ali Zaidan.

A Bengasi comanda invece la Libya Shield, 20-30mila uomini, rapporti labili con il ministero dell’Interno che pretende di rappresentare, o sostituire, per garantire la sicurezza. C’è un attentato o un’esecuzione al giorno. Gli ultimi omicidi eccellenti sono stati quelli di Youssef Alasifr, vicecapo della magistratura militare, fatto saltare in aria con la sua scorta il 29 agosto, e dell’ex colonnello gheddafiano Salim Aurfy che ha subito la stessa sorte ieri.

Attorno alle due aggregazioni principali ruotano decine di piccole brigate, formate da uomini che hanno, o dicono di avere, combattuto contro Gheddafi. Alle brigate fanno riferimento anche i lavoratori dei campi petroliferi e dei terminal da dove viene esportato il greggio. Chiedono aumenti di stipendio, rimozioni di dirigenti con presunti legami con l’ex raiss e royalties da versare direttamente alle brigate. Il ministro dell’interno, all’inizio dello sciopero, due mesi fa, ha minacciato l’uso della forza per far ripartire gli impianti. I miliziani hanno circondato il ministero a Tripoli, sono entrati kalashnikov alla mano e lo hanno costretto a più miti consigli.

Lo scontro è salito di livello e ricalca la spaccatura fra Fratelli musulmani e salafiti che ha mandato in corto circuito tutta la primavera araba, a partire dall’Egitto. Bengasi, nell’area salafita, accusa i Fratelli musulmani che dominano l’Assemblea costituente di Tripoli di volersi tenere tutti i profitti del petrolio, esattamente come faceva Gheddafi. Tripoli ribatte che Bengasi vuol vendere direttamente il petrolio dei giacimenti della Cirenaica, senza passare per il governo centrale. Il premier Zaidan ha minacciato “di far saltare le petroliere se si fossero avvicinate ai terminal” ribelli e di riprendersi i porti con l’esercito. Ibrahim Ali Jathran, ex generale, che con invece con i suoi uomini veri e non sulla carta, controlla quello di Brega, il più importante, ha replicato che era “una dichiarazione di guerra” e avrebbe resistito “a tutti i costi”.

Lo sciopero va avanti, quattro dei sei terminal sono bloccati, le esportazioni al lumicino, la produzione è crollata da 1,6 milioni di barili al giorno a 130mila, che non bastano neanche per i consumi interni. Le raffinerie sono ferme, comincia a scarseggiare il gasolio per alimentare le centrali elettriche e da una settimana ci sono black out continui nelle città. A Sabha, nel deserto, manca anche l’acqua, perché le pompe dei pozzi sono ferme. Il Paese, tra i grandi produttori di greggio del mondo, è costretto a importare carburante dall’Egitto. Intanto i Fratelli musulmani, per quanto indeboliti dal golpe dei militari al Cairo, minacciano di sfiduciare lo stesso Zaidan, troppo poco devota, appoggiati dal Gran Muftì Al Sadiq al Ghiryani che accusa il premier di “incompetenza”. A due anni dall’esecuzione di Gheddafi, un bilancio brillante, non c’è che dire.

Tanto più brillante se si pensa che nell’anniversario dell’undici settembre c’è un solo posto al mondo dove Al Qaeda possa festeggiare senza il rischio di vedersi bombardare da un drone. E’ Bengasi. Per Ansar al Sharia, il ramo locale dell’organizzazione terroristica che ha colpito le Torri Gemelle, come per la potentissima confraternita salafita Al-Dawa wa al-Islah, insufflata di soldi sauditi, è un doppio anniversario. Esattamente un anno fa un commando di 200 islamisti, imbeccati da una talpa nel ministero dell’Interno di Tripoli, tende un micidiale agguato all’ambasciatore americano Chris Stevens. Obama, e le autorità libiche, promettono che i colpevoli saranno individuati e puniti. Per circa un anno i droni Usa sorvolano la città e individuano una decina di uomini chiave del commando. Il capo è Ahmed Khattala, uno dei leader della Lybia Shield, galassia di brigate più o meno estremiste.

La stampa americana scrive di “Washington che fa pressione su Tripoli perché sia consegnato”. La task force di pronto intervento dei Marines, basata a Sigonella, è stata portata da 200 a 450 uomini. Ma sono le brigate che comandano a Bengasi, ancor più legate ad Al Qaeda di quelle che pattugliano Tripoli. Usare i droni per eliminare Khattala sarebbe uno sgarbo troppo grande al debolissimo governo Zaidan. E potrebbe far scoppiare il vulcano islamista in tutta la Libia. Quindi i killer di Stevens per ora se ne stanno tranquilli, mille volte più che i colleghi in Pakistan, Yemen o Afghanistan. Chissà che questo pensiero molesto non abbia contribuito a frenare il dito di Obama prima dei raid sulla Siria dove le brigate rivoluzionarie assomigliano sempre più a quelle libiche.

http://www.lastampa.it/2013/09/11/esteri/agguati-scioperi-e-black-out-lundici-settembre-della-libia-12w8guwPrmiUdIFxNW75SP/pagina.html

Agguati, scioperi e black out L’undici settembre della Libiaultima modifica: 2013-11-19T12:17:32+01:00da davi-luciano
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