Ecco il vero volto dell’integrazione

Chi sostiene l’immigrazione, sostiene lo schiavismo

Integrazione 1
Esercito Industriale di Riserva
Integrazione 2
Legge, n. 388 del 2000 (inserita nella finanziaria dall’allora Ministro Amato) che permette anche agli
stranieri di percepire un assegno di pensione “sociale”, pari a € 395,60 euro al mese, più 154,90
euro di importo aggiuntivo, per un totale esentasse di € 7.156 euro annui. Chi, in altre parole, non ha mai avuto contributi previdenziali e ha compiuto i 65 anni, può richiedere questo assegno all’INPS di competenza, anche se straniero. Esiste un modo per sfruttare appieno questa norma nonostante lo straniero non abbia mai lavorato (neanche in nero) sul territorio italiano. Infatti, la legge italiana prevede, tra le altre cose, il cosiddetto istituto del “ricongiungimento famigliare” rivolto a tutti gli stranieri che siano regolarmente residenti nel territorio e abbiano la carta di soggiorno in regola. Per loro dunque è possibile chiedere allo Stato italiano la possibilità di fare arrivare in Italia figli, moglie e genitori, ottenendo per questi un regolare permesso di soggiorno. Il giovane straniero regolare chiede il ricongiungimento famigliare per i propri genitori ultrasessantacinquenni, i quali arrivano nel nostro paese con un regolare permesso. A questo punto dovranno solo recarsi all’INPS di competenza per ottenere la pensione sociale in base alla legge 388 del 2000. Un danno non indifferente per lo Stato italiano, che si sobbarca anche il mantenimento di persone che in alcun modo hanno mai vissuto nel territorio e nel territorio hanno mai lavorato.

 

Torino-Lione: un progetto inutile – La Francia venerdì 28 luglio consegna all’Italia la “Dichiarazione di pausa”

 

www.PresidioEuropa.net/blog info@PresidioEuropa.net

Movimento No TAV

Comunicato Stampa

27 luglio 2017

http://www.presidioeuropa.net/blog/?p=12351

Il Movimento No TAV, che da 28 anni chiede l’abbandono del progetto, prende pacatamente nota e prosegue nell’opposizione

I fondi nazionali ed europei dovranno ora essere indirizzati verso politiche alternative di mobilità

Venerdì 28 luglio Elisabeth Borne, la ministra dei trasporti francese comunicherà a Roma al suo omologo italiano Graziano Delrio, la decisione del Presidente Emmanuel Macron[1] di “mettere in pausa” il progetto Torino-Lione.

Per dovere di cronaca ricordiamo che il 19 luglio 2017 la ministra dei trasporti Elisabeth Borne ha affermato che la Torino-Lione entra in una pausa[2], esattamente il contrario di quello che le attribuisce di aver detto il ministro Delrio.

Gli antefatti La decisione del nuovo inquilino dell’Eliseo era attesa, da anni l’Alta Amministrazione francese[3] aveva enunciato con forza l’insostenibilità economica, sociale ed ecologica della Torino-Lione.

Emmanuel Macron, già durante la campagna elettorale aveva manifestato il proposito di intervenire per porre fine all’abisso del debito ferroviario francese come indicato in dettaglio nel programma del suo partito: «Restituiremo al Parlamento il potere di decidere una politica realista di sviluppo delle infrastrutture. Presenteremo una legge che orienterà le infrastrutture, considerando la necessità di rinnovare l’esistente, fin dall’inizio del mandato, per selezionare i progetti da realizzare e assicurarsi che saranno finanziati, senza che tali decisioni siano a detrimento dell’esistente. » [4]

Cosa contiene la “Dichiarazione di pausaConoscendo a fondo il progetto Torino-Lione e le dinamiche politiche francesi, siamo in grado di anticipare cosa preciserà a Delrio la ministra Elisabeth Borne[5] che conosce perfettamente i dossier ferroviari ed è in grado di tracciare prospettive.

La sua sarà la “visita di cortesia” annunciata il 19 luglio all’Assemblea Nazionale francese e avrà lo scopo di illustrare nel dettaglio al Governo italiano la visione di Emmanuel Macron sui trasporti: priorità al trasporto dei pendolari e al finanziamento del rinnovamento e della manutenzione delle infrastrutture esistenti – fluviali, portuarie, stradali o ferroviarie – che sono state troppo poco curate negli ultimi anni a favore delle grandi opere.

L’orientamento presidenziale L’orientamento del presidente Macron sarà esaminato all’interno delle Assise della Mobilità[6], evento all’interno del quale si dovranno «identificare le attese all’orizzonte 2030» e «fare emergere nuove soluzioni». Cittadini, associazioni, ONG, imprese e amministratori locali saranno ascoltati nel mese di settembre, l’iniziativa sarà pilotata da un gruppo di lavoro con la partecipazione di parlamentari. Parallelamente saranno portate avanti «delle audizioni tecniche dei rappresentanti delle reti stradali, ferroviari e fluviali». I primi orientamenti delle Assise saranno quindi presentati alle autorità che organizzano i trasporti.

Il processo si concluderà entro dicembre 2017 e la legge d’orientamento, annunciata da Macron il 1° luglio, sarà presentata al Parlamento nel primo semestre 2018. La ministra Borne ha inoltre precisato che nella legge sarà fissata «una visione delle infrastrutture a medio termine e una programmazione, anno per anno, dei progetti e dei finanziamenti dello Stato su un periodo di cinque anni». Inoltre un comitato d’orientamento assicurerà il seguito affinché le buone idee scaturite dalle Assise non si perdano strada facendo.

Notiamo che l’elenco dei soggetti che discuteranno nelle Assise della “pausa” non comprende alcun rappresentante dell’Italia e dell’Unione Europea, partner del progetto transfrontaliero della Torino-Lione. Questo afferma l’autonomia di decisione che la Francia vuole avere nei confronti dei terzi con i quali ha già sottoscritto degli accordi che potrebbero essere denunciati.

La posizione del Movimento No TAV Il Movimento No TAV lotta da 28 anni per l’abbandono del progetto e in questa circostanza prende pacatamente nota della riflessione del governo francese e non si accontenta dell’annuncio di una decisione presa dall’alto in Francia “sperando” che sia l’attesa soluzione di una lotta presto trentennale.

Ma ha una responsabilità: da un lato fornire pubblicamente tutti gli elementi per la comprensione di questa svolta (i media e la politica sono confusi e tendono a nascondere e deformare), dall’altro lato produrre e diffondere idee per dare forza anche in Italia a questa prospettiva. I fondi nazionali ed europei dovranno ora essere indirizzati verso politiche alternative di mobilità.

La decisione della pausa è l’inevitabile conseguenza della disastrosa realtà economica e sociale del trasporto ferroviario in Francia che la stessa ministra Borne ha riconosciuto: il debito di SNCF è di €50 miliardi e aumenta di €3 miliardi all’anno[7], le linee ad Alta Velocità sono per il 70% deficitarie e utilizzate solo dal’2% dei viaggiatori[8], 5300 km di rete ordinaria hanno subito rallentamenti nella velocità di esercizio per ragioni di sicurezza a causa della scarsa manutenzione.[9]

L’esperienza del Movimento No TAV, che da quasi trent’anni approfondisce il progetto, ne fa il riferimento privilegiato ad ogni livello, tecnico, economico e politico. Il Movimento No TAV ha l’autorevolezza che è indispensabile nelle relazioni con le istituzioni locali, nazionali ed europee. I ministri Borne e Delrio non potranno il 28 luglio evitare di tenerne conto nella riunione, a pena di impostare l’incontro su argomenti incoerenti con l’obiettivo della pausa: riflettere sull’utilità della Torino-Lione.

La posizione dell’Italia La missione del nuovo MIT – Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti si riassume, per volontà del ministro Delrio in questa frase: “L’Italia non ha bisogno di grandi o piccole opere, ha bisogno di opere utili alla comunità” da lui pronunciata martedì 21 aprile 2015 alla Commissione Ambiente[10]. Salvo il grave fatto che Delrio non ha mai realizzato una apertura verso le comunità.

Con il comunicato del 25 luglio Delrio, con mancanza di tatto verso la ministra francese, le ha attribuito parole mai pronunciate[11], mentre quello che la ministra Borne ha detto il 19 luglio sono facilmente comprensibili[12]: “La pausa riguarderà anche il tunnel della Torino-Lione”.

Delrio ha oggi l’occasione di rimettersi all’ascolto dell’opposizione al TAV, riesaminando nei dettagli -come farà la Francia- l’utilità della Torino-Lione per la comunità.

In realtà l’utilità della Torino-Lione, progetto obsoleto immaginato nel secolo scorso, vista la situazione economica del XXI secolo, è evaporata secondo il giudizio ormai generale: la linea esistente, totalmente ristrutturata da Italia e Francia, è utilizzata solo al 15% della sua capacità!

Rimangono “utili” solo gli interessi economici (e non trasportistici) delle imprese che la devono realizzare, della politica che vuole decidere senza ascoltare i cittadini, e della criminalità organizzata che influenza e si impadronisce delle Grandi Opere.

In questo senso sollecitiamo il ministro Delrio a schierarsi con la ministra Borne per mettere in campo un’analoga pausa di riflessione sulla Torino -Lione in Italia senza valutare la decisione del partner francese come un disturbo degli interessi italiani alla pari delle recenti decisioni della Francia che hanno e stanno interessando l’Italia nei settori finanziari ed industriali e di politica estera[13].

L’abbandono della Torino-Lione darebbe all’Italia molti vantaggi economici e ambientali tra i quali quello di non finanziare – come previsto dagli iniqui accordi – buona parte della tratta francese dell’opera.

In questa fase è utile ricordare che l’Italia ha voluto la Torino-Lione fin dal 1988, mentre la Francia ha iniziato a dimostrato interesse solo quando l’Italia, per “conquistare il progetto”, ha offerto alla nazione transalpina di pagarlo per due terzi.

Questa offerta alla Francia è stata una vera e propria cessione di sovranità dell’Italia a favore della Francia, una realtà che i Governi italiani che si sono succeduti hanno sempre nascosto ai cittadini.

L’iniqua ripartizione dei costi del progetto Torino-Lione L’Accordo di Roma del 2012[14] ha fissato la ripartizione dei costi del progetto Torino-Lione che, al netto del contributo del 40% dell’Europa, attribuisce all’Italia il 58% dei costi e alla Francia il 42%.[15]

Ma, dato che il Tunnel di 57,2 km sotto le Alpi giace per soli 12,2 chilometri in territorio italiano, il costo al chilometro per l’Italia sarà di €245 milioni, cinque volte quello francese di €48 milioni.[16]

Ciò nonostante la Francia, ben conscia di dover pagare una fattura molto inferiore a quella italiana per entrare in possesso dei suoi 45 chilometri di galleria, non dà peso a questo regalo dell’Italia e conferma -con la pausa- il suo dubbio sull’utilità dell’opera transfrontaliera.

Di fronte a questa decisione il Governo italiano dovrebbe solo ringraziare la Francia per la pausa e contribuire alla decisione di chiudere i cantieri.

La posizione dell’Europa L’Unione Europea non farà pagare alcuna penale per la rinuncia al progetto, tra l’altro non un metro di tunnel è stato scavato. Sarà sufficiente che i beneficiari richiedano la sospensione del finanziamento come indicato nel Grant Agreement[17].

I lavori e gli studi geognostici fin qui realizzati dalla Francia e dall’Italia potranno essere utilizzati nei prossimi secoli se i futuri governi rivedono la loro decisione per costruire un nuovo tunnel ferroviario.

Francia e Italia dovrebbero rinegoziare con l’Europa delle alternative Allo scopo di non perdere importanti finanziamenti europei[18] per la Torino-Lione, Italia e Francia dovrebbero rinegoziare con la Commissione Europea i fondi accordati alla Torino-Lione e chiedere -nell’ambito della procedura di Mid-Term Evaluation[19] che sarà esaminata a fine anno dal Parlamento europeo- di dirottarli verso progetti alternativi.

Immaginiamo progetti per accrescere e migliorare la mobilità pubblica e privata della stragrande maggioranza dei cittadini, dai treni locali al trasporto nelle città, dal trasporto collettivo a quello individuale, fino al trasporto delle merci. Dovranno essere idee alternative in sintonia con l’esigenza di ridurre le emissioni e i consumi energetici.

Tra l’altro il finanziamento europeo concesso a Francia e Italia nel dicembre 2015[20] potrà essere utilizzato solo entro la fine del 2019: è quasi certo che a quella data TELT non avrà terminato i lavori finanziati dal Grant Agreement, visto che il cantiere de La Maddalena ha terminato lo scavo geognostico e quello francese va a rilento. Come conseguenza la Commissione europea probabilmente taglierà nel 2018 parte dei fondi alla Torino-Lione come già deciso nel 2013 secondo il principio “use it or lose it” (usalo o perdilo)[21].

TELT dovrebbe ascoltare il Presidente Macron[22] È inoltre sorprendente come la società TELT abbia potuto lanciare in questi mesi una campagna europea per la promozione di appalti per la Torino-Lione fino al 2019 per €5,5 miliardi, come confermato da Il Sole 24 Ore[23], quando il principale partner–la Commissione europea- ha deciso di finanziare i lavori per la Torino-Lione fino al 2019 per soli €1,91 miliardi attraverso un contributo di €813,78 milioni (sono principalmente attività di preparazione allo scavo, e non lo scavo definitivo del tunnel)[24].

Circa questa iniziativa di TELT, la ministra Elisabeth Borne si è espressa chiaramente il 19 luglio 2017 affermando alla Commissione Sviluppo Sostenibile dell’Assemblea Nazionale: “Se ci sono dei problemi sul funzionamento e la regolarità delle procedure (di TELT N.d.R.), la giustizia dovrà occuparsene” [25].

[1] Il 1° luglio 2017 Emmanuel Macron all’inaugurazione della linea ad AV Parigi-Rennes,  ha annunciato davanti a 700 invitati di volere mettere un freno alle grandi opere e a dare la priorità ai trasporti dei pendolari e a finanziare il rinnovamento delle infrastrutture esistenti.

http://www.leparisien.fr/transports/emmanuel-macron-ne-veut-pas-relancer-de-nouveaux-grands-projets-01-07-2017-7103601.php,

[2]http://www.presidioeuropa.net/blog/?p=12210

https://reporterre.net/La-ministre-des-transports-Elisabeth-Borne-On-fait-une-pause-sur-le-Lyon-Turin,

[3] Conseil Général des Ponts et chaussées nel 1998, Inspection Générale des Finances insieme al Conseil Général des Ponts et Chaussées nel 2003, la Corte dei conti nel 2009 e nel 2012.

[4] https://en-marche.fr/emmanuel-macron/le-programme/mobilite

[5] Carriera: https://fr.wikipedia.org/wiki/%C3%89lisabeth_Borne

[6] Fonte: http://www.ville-rail-transports.com/lettre-confidentielle/assises-mobilite-elisabeth/

[7] http://transport.sia-partners.com/20170106/evolution-de-la-dette-sncf-et-role-de-letat-dans-son-controle

[8] http://transports.blog.lemonde.fr/2017/01/05/tgv-investissements-passagers/

[9] http://www.ville-rail-transports.com/lettre-confidentielle/assises-mobilite-elisabeth/

[10] http://webtv.camera.it/evento/7807 Le parole del ministro Delrio “L’Italia non ha bisogno di grandi o piccole opere, ha bisogno di opere utili alla comunità” sono ai minuti 8’47’’- 9’20’’http://www.mit.gov.it/comunicazione/news/nuovo-mit

[11]  (ANSA) – Roma 25/7/2017 – Delrio: “La loro idea è di fare una revisione della progettazione, noi l’abbiamo già fatta sulla tratta nazionale, credo che il Governo francese abbia tutto il diritto di fare una revisione. Ma non è in discussione in alcun modo il tema del tunnel”.

[12] http://www.presidioeuropa.net/blog/?p=12210

https://reporterre.net/La-ministre-des-transports-Elisabeth-Borne-On-fait-une-pause-sur-le-Lyon-Turin,

[13] Nei confronti dell’Italia è da anni che il nostro vicino occidentale dimostra tutta la sua intraprendenza, basti pensare alle acquisizioni bancarie e industriali che ha realizzato in pochi anni, ad es. : Lactalis/Parmalat, Vivendi-Niel/Telecom Italia, LVMH/Bulgari, Crédit Agricole/Casse di Risparmio, BNP Paribas/Bnl. Inoltre, l’ultima mossa di Marcon di convocare i due capi libici a Parigi il 25 luglio e la critica della partecipazione italiana nel cantiere STX, sono stati giudicati negli ambienti governativi italiani interventi di disturbo degli interessi italiani.

[14] Accordo di Roma 30.1.2012,it Cfr. articoli 11 e 18

[15] La chiave di ripartizione, al lordo del contributo europeo è: UE 40% – Italia 35% – Francia 25%. Al netto è: Italia 58% – Francia 42%

[16] http://www.presidioeuropa.net/blog/?p=9871

[17] Grant Agreement – December 2nd, 2015: 11.15.1 Suspension of the implementation by the beneficiaries

[18] Scheda del Progetto 2014-EU-TM-0401-M final Tunnel di Base del Moncenisio

[19] Qui la roadmap della Mid-Term Evaluation :

http://ec.europa.eu/smart-regulation/roadmaps/docs/2017_move_003_mid_term_evaluation_connecting_europe_facility_en.pdf

[20] Grant Agreement – December 2nd  2015

[21] http://www.presidioeuropa.net/blog/?p=3854

http://www.presidioeuropa.net/blog/?p=3721

[22] Le dimissioni del generale Pierre de Villiers, un esempio da seguire dai capi di TELT (Torino-Lione)

[23] Il Sole 24 Ore – Torino-Lione: 81 bandi di gara per 5,5 miliardi da qui al 2019 http://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2017-05-22/torino-lione-81-bandi-gara-55-miliardi-qui-2019-191718.shtml?uuid=AEKxQ5QB&refresh_ce=1

[24] https://ec.europa.eu/inea/sites/inea/files/fiche_2014-eu-tm-0401-m_final.pdf

[25] La ministra ha risposto 1h 46’ 08’’- 1h 46’ 57’’: http://videos.assemblee-nationale.fr/video.4788339_596f6b0577c22.commission-du-developpement-durable–mme-elisabeth-borne-ministre-chargee-des-transports-19-juillet-2017

 

Eritrea: là dove l’Italia non ha coraggio

http://fulviogrimaldi.blogspot.it/2017/07/eritrea-la-dove-litalia-non-ha-coraggio.html

MONDOCANE

MARTEDÌ 25 LUGLIO 2017

Eritrea: là dove l’Italia non ha coraggio Fulvio Grimaldi ci racconta l’Eritrea che non trapela in Occidente, Paese che per ‘aiutarli a casa loro’, meglio se li “lasciamo fare!”, visti i danni fatti

Fulvio Grimaldi ci racconta l’Eritrea che non trapela in Occidente, Paese che per ‘aiutarli a casa loro’, meglio se li “lasciamo fare!”, visti i danni fatti

Questa intervista integra il mio precedente articolo sulle menzogne e calunnie riprese dal missionario,  Padre Alex Zanotelli, dalla campagna di demonizzazione lanciata dall’imperialismo neocolonialista contro il paese più libero, indipendente e socialmente equo del continente africano.

L’appello vergognoso rivolto dal comboniano iper-eurocentrico ai giornalisti italiani perchè diffondano bugie e diffamazioni sui paesi che l’imperialismo vuole depredare e distruggere ha definitivamente smascherato questo ambiguo pacifista che pensa di salvarsi l ‘anima criticando le vendite d’armi e saltando a piè pari tutte le nefandezze colonialiste nel cui contesto quelle armi occidentali si collocano.    

Eritrea: là dove l’Italia non ha coraggio

Fulvio Grimaldi ci racconta l’Eritrea che non trapela in Occidente, Paese che per ‘aiutarli a casa loro’, meglio se li “lasciamo fare!”, visti i danni fatti

 di CESARE GERMOGLI  20 luglio 2017 17:00

Credit EritreaLive

Aiutiamoli a casa loro‘, la formula magica sventolata dalle forze politiche di turno con cui si cerca di buttare acqua sul fuoco quando si parla, ormai quotidianamente, del problema immigrazione.
Niente da ridire sul proposito, ovviamente, la cui giustezza di fondo è quasi lapalissiana. Qualche dubbio può invece sorgere quando si cerca di capire le modalità con cui tale linea andrebbe seguita, ma anche qui rimaniamo nel campo non inedito dei propositi non accompagnati da piani concreti.
se scoprissimo che non solo stiamo facendo poco per favorire il progresso economico e sociale in Africa, ma che al contrario stiamo operando nella direzione opposta, cosa dovremmo pensare?

Questo sembra emergere quando si ascolta la testimonianza di Fulvio Grimaldi, giornalista e inviato di guerra per RAI e BBC, poi documentarista indipendente che, dopo una recente visita in Eritrea, ha realizzato insieme a Sandra Paganini ‘Eritrea una stella nella notte dell’Africa‘, un docufilm che racconta una verità diversa su quello che oggi è il paese più demonizzato dell’Africa.

Abbiamo quindi parlato con lui dei rapporti tra il nostro paese e la prima delle sue ex coloniele cui autorità auspicano un intensificarsi dei rapporti con l’Italia risultando però inascoltate.
Cerchiamo dunque di andare oltre la superficie e di capire cosa c’è realmente dietro ad una situazione diversa da come la possiamo immaginare, e da come ci è stata raccontata.
In cosa consiste la specificità dell’Eritrea nel contesto africano, in particolare nei rapporti con l’occidente?

Innanzitutto la questione Eritrea andrebbe sempre affrontata inquadrandola nel contesto complessivo del continente africano, che in questo momento è sicuramente sotto un attacco massiccio di molte potenze che si sono rese conto che lì c’è un futuro fatto di grande potenziale economico, e quindi di arricchimento inestimabile. E che ci sono le condizioni, anche dal punto di vista politico e sociale, per intervenire e approfittarne, data la presenza di una serie di governi corrotti che hanno aperto le porte ad nuovo colonialismo, sostanzialmente portato avanti dalle stesse potenze coloniali di un tempo, più gli Usa ora in prima fila, ma con rinnovato vigore.
In questo contesto l’Eritrea si colloca un po’ a parte, ricoprendo una posizione molto specifica e diversa dalla maggioranza dei paesi africani, in quanto non è succube dei diktat degli organismi finanziari e politici internazionali. Questo ha comportato naturalmente l’inimicizia delle potenze occidentali, accompagnata anche da una massiccia propaganda mediatica ostile, in quanto questo paese esce dal quadro di quello che si vorrebbe che fossero i governi subalterni del sud del mondo, per esempio non accettando (unico paese africano insieme allo Zimbabwe) alcuna presenza militare statunitense sul proprio territorio.
Tale clima che si è creato attorno all’Eritrea si è sostanziato, tra i vari modi, nelle sanzioni comminate dall’Onu nel 2009.

Quanto è critica attualmente la situazione politica ed economica dell’Eritrea?

Le sanzioni del 2009 hanno sicuramente peggiorato una situazione venutasi a creare anche in seguito all’uscita dell’Eritrea da una guerra di liberazione trentennale, poiché le rendono difficile svolgere un ruolo di partner economico nei confronti di altri paesi senza che questi vengano a loro volta sanzionati e isolati.
La realtà è comunque diversa da quella che la propaganda mediatica vuole far passare per vera, cioè quella di un paese ostaggio di una dittatura che è causa di povertà estrema, dalla quale la popolazione cercherebbe di fuggire in tutti i modi. La politica sociale del governo è improntata a una equa distribuzione della ricchezza, tale da cancellare fame e miseria. Si tratta di un modelloo di giustizia sociale ed ecologica chge non può che essere inviso, per il suo potenziale di contagio, agli interessi predatori del nuovo colonialismo.

Cosa determina quindi la grande affluenza di migranti eritrei verso l’Europa?

In questo senso le problematiche economiche sono determinanti, non quelle politiche. Le sanzioni internazionali hanno frenato notevolmente uno sviluppo che negli anni dopo la liberazione, 1991, e fino all’aggressione etiopica del 1998-2000 (su mandato Usa), era stato tra i maggiori nel continente africano.
Ho girato ripetutamente l’Eritrea e non ho riscontrato assolutamente le condizioni di miseria estrema e di fame che si trovano in tanti altri paesi del continente. E questo per merito di un governo che ha posto come sua assoluta priorità l’autosufficienza, la non dipendenza dagli organismi internazionali, una politica che pone al primo posto i mbisogni basilari della popolazione e dove, di conseguenza, le disuguaglianze sono minime,
Ciò si può notare da una parte all’altra dell’Eritrea dove non si trova una povertà estrema nonostante le difficili condizioni che il paese ha dovuto affrontare, tra  guerre di aggressione, isolamento economico e diplomatico e la mancanza di scambi commerciali se non con alcuni paesi arabi e che se ne infischiano delle sanzioni internazionali.

Questo isolamento ha sabotato la capacità del mercato del lavoro di assorbire la domanda delle nuove generazioni generando un flusso migratorio cospicuo, ma gonfiato nelle statistiche e anche da un pull factor inventato dai colonialisti per svuotare il paese delle sue migliori energie. Infatti, ai rifugiati eritrei, e solo a  loro,è concesso automaticamente il diritto d’asilo in Europa, e per questo motivo molti profughi provenienti da paesi vicini, come Etiopia, Gibuti, Somalia, con grandi affinità etnmiche, linguistiche e culturali, vantano strumentalmente la cittadinanza eritrea per godere dei diritti che a loro non sarebbero concessi.
A questo si aggiunga la tendenza naturale al ricongiungimento famigliare con la prima generazione di immigrati eritrei, giunti nel nostro paese in particolare negli anni ’70, in fuga dali bombardamenti e dalla repressione del regime etiopico.

Il ministro degli Esteri eritreo ha recentemente manifestato un grande interesse all’intensificarsi dei rapporti politici, economici ed imprenditoriali con l’ex potenza coloniale italiana, non trovando però nel nostro paese un ascolto attento. Se è veramente così che occasione stiamo perdendo?

È certamente così. Questa è una grande vergogna storica dell’Italia che ha nei confronti dell’Eritrea un debito gigantesco. Siamo stati una colonia rapinatrice e predatrice, abbastanza spietata e con caratteri analoghi all’apartheid sudafricana. Certamente abbiamo anche contribuito ad un certo sviluppo del paese in ambito urbanistico, agricolo e dell’industria leggera, ma sempre e soprattutto a beneficio delle classi borghesi italiane colonizzatrici. Alla popolazione indigena non era permesso di accedere all’istruzione superiore, non si doveva superare la quarta elementare,  si restava confinati nei propri ghetti con accesso accesso solo ai lavori più umili. 

Tutti i governi del dopoguerra sono responsabili del  rifiuto di un doveroso e anche proficuo rapporto di amicizia e collaborazione. Politica autolesionista, dato il grande potenziale geostrategico e geoeconomico offerto dall’Eritrea per la sua posizione strategica cruciale sul Mar Rosso e sullo stretto di Bab-el-Mandeb, che, aprendo all’Oriente, costituisce una specie di ponte tra Medio Oriente, Asia, Europa e Africa; oltre ad essere un paese ricco di risorse naturali.

Non abbiamo avuto la forza e il coraggio di approfittare di questa condizione di potenziale partnership privilegiata con un paese chiave nell’area del corno d’Africa e questo per sottostare agli interessi delle multinazionali e dei centri di potere occidentali. Si tratta delle stesse dinamiche che hanno portato alla caduta di Gheddafi in Libia, altro paese con cui l’Italia godeva di rapporti privilegiati sul piano economico ed energetico in particolare. Anzi, aderendo alla guerra di sterminio lanciata da Francia, Usa, Nato abbiamo compromesso forse definitivamente, oltre la pace nella nostra area e la sopravvivenza di un grande paese,  i nostri interessi. Interessi  che sono stati sostituiti da quelli degli altri.

Un miglioramento nei rapporti tra Italia ed Eritrea potrebbe rientrare nel famoso paradigma dell”Aiutiamoli a casa loro”? E quanto questo potrebbe incidere sul contenimento dei flussi migratori?

Anche solo il ritiro delle sanzioni economiche ridurrebbe ad un fenomeno marginale l’emigrazione di giovani dall’Eritrea. Per cui dovremmo smetterla di cercare di imporre i nostri modelli di assetto politico ed istituzionale ad altri paesi.  La storia dimostra che con questo pretesto, insieme a quello della difesa dei diritti umani, l’occidente ha più volte causato disastri piuttosto che risolvere problemi. In sostanza, per aiutarli a casa loro, per evitare che Eritrea e Africa vengano svuotate dalle loro giovani generazioni, cioè’ dalle migliori energie, dal futuro, per offrirsi nude alla spoliazione colonialista, con parallela destabilizzazione di molti paesi europei,  basterebbe astenersi dal volere loro dettare quel che devono fare, rispettarne autonomia e libertà di scelta. Collaborare nel quadro di questo rispetto.

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Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 12:47

Operazione dei Nas in tutta Italia: «Soldi dalle case farmaceutiche ai medici»

24 Lug 2017 05:10

Il ministero della Salute rende noti i risultati di una vasta operazione effettuata dai NAS: «Medici e funzionari percepivano denaro dalle case farmaceutiche in cambio dell’incremento della prescrizione dei loro farmaci».
tangenti medicinali
Il 20 luglio 2017 i carabinieri del NAS di Milano hanno effettuato un’operazione nelle province di Milano, Monza e Brianza, Lecco, Varese, Vercelli, Verona, Piacenza, Bologna, Roma, Firenze, Latina e Palermo. Ciò nell’ambito dell’indagine nota con il nome di “Dominio”. A riferirlo è il ministero della Salute, che sottolinea come siano state eseguite «29 perquisizioni locali, 21 ordini di esibizione di documentazione e 4 informazioni di garanzia, disposte dalla Procura della Repubblica di Milano, che ha pienamente condiviso le risultanze investigative emerse nei confronti di persone fisiche e giuridiche, ritenute responsabili, a vario titolo, dei reati di corruzione, induzione indebita a dare o promettere denaro o altre utilità, abuso d’ufficio, truffa e riciclaggio».
Le indagini erano state avviate nel corso dell’autunno del 2016 e, prosegue il ministero, «hanno consentito di individuare all’interno di una delle ASST (Agenzie Socio Sanitaria Territoriale) di Milano, un illecito e clientelare modus operandi organizzato e gestito da alcuni tra medici e funzionari della struttura sanitaria i quali, abusando delle loro funzioni di pubblici ufficiali, in primo luogo, condizionavano alcuni concorsi pubblici, favorendo l’assunzione di medici e paramedici da loro prescelti per meri interessi personali; in secondo luogo, percepivano dalle case farmaceutiche somme di denaro come premio in cambio dell’incremento della prescrizione dei loro farmaci, nonché per finanziare le assunzioni».
La nota del ministero aggiunge che «il sistema corruttivo prevedeva l’illecito finanziamento, da parte delle case farmaceutiche, di convegni scientifici, corsi di aggiornamento e borse di studio con enormi elargizioni di denaro, mascherate come sponsorizzazioni per l’attività di ricerca medica che, allo stato, non risulta svolta. Per nascondere i legami corruttivi, il denaro ottenuto veniva indirizzato verso alcune società “provider di servizi” compiacenti che formalmente organizzavano gli eventi, ma di fatto distraevano il denaro ottenuto dalle società farmaceutiche, per ridistribuirlo nei conti correnti dei medici, ricompensati anche con beni di varia natura (cellulari, computer, ecc.)».

VACCINI: IN TOSCANA PREMI IN DENARO FINO A 3000 EURO AI PEDIATRI

luglio 14 2017

CODACONS: PROVVEDIMENTO SCANDALOSO. ESPOSTO A PROCURA E CORTE DEI CONTI E DIFFIDA ALL’ORDINE DEI MEDICI DI FIRENZE. QUALI RISORSE VENGONO UTILIZZATE PER REGALARE SOLDI AI CAMICI BIANCHI?
Scandaloso per il Codacons l’accordo siglato dalla Regione Toscana che riconosce premi in denaro ai medici pediatri che sottopongono tutti i propri pazienti alle vaccinazioni. Una misura talmente grave e iniqua che porta oggi l’associazione dei consumatori a presentare un esposto alla Corte dei Conti della regione e alla Procura di Firenze e una diffida nei confronti dell’Ordine dei medici.
La Regione Toscana ha siglato un accordo che riconosce sostanziosi premi in denaro ai pediatri – spiega il Codacons – Per ogni atto vaccinale al medico viene erogato un importo di 15 euro, ma il premio sale a 1.000 euro se si raggiunge una copertura vaccinale tra i propri assistiti maggiore del 95% per l’ esavalente; 1.000 euro per copertura maggiore del 95% per morbillo; 1.000 euro per copertura vaccinale tra gli assistiti femmine maggiore dell’ 80% per papilloma virus.
Tali premi sono dimezzati se il raggiungimento è tra 92 e 95% per l’ esavalente, tra 71 e 80% per papilloma virus.
Lo scopo sanitario della vaccinazione viene così mercificato e si trasforma in una corsa al profitto e alla somministrazione il più elevata possibile di vaccini – prosegue l’associazione – Ci si chiede poi con quali risorse verranno pagati i medici e se tali premi ricadranno sulle spalle della collettività.
Per tale motivo l’associazione ha deciso di presentare un esposto alla Corte dei Conti della Toscana, affinché verifichi eventuali usi impropri dei soldi pubblici derivanti dall’accordo in questione, e alla Procura di Firenze per accertare possibili fattispecie penalmente rilevanti. Una formale diffida sarà inoltre inviata all’Ordine dei medici di Firenze perché apra un procedimento disciplinare nei confronti di tutti i pediatri che hanno accettato emolumenti in denaro in cambio della vaccinazione di massa.

Tra fuochi e lacrimogeni i No Tav raggiungono il cantiere

post — 23 luglio 2017 at 02:37

Si è conclusa da pochi minuti la passeggiata serale in Clarea organizzata dal campeggio di lotta No Tav.

In oltre trecento si è partiti dal presidio di Venaus con una carovana di macchine per raggiungere Giaglione e da li ripartire in direzione cantiere.

Ci si è divisi in diversi gruppi e mentre una parte è rimasta sul sentiero principale, altri hanno preso la via dei boschi salendo in alto per poi ridiscendere, altri ancora sono scesi più in basso guadando il Clarea per arrivare alle spalle del cantiere.

Da subito la polizia ha mostrato di non gradire la presenza dei No Tav, lanciando lacrimogeni per non far avvicinare al cancello di sbarramento e far desistere chi percorreva i sentieri tra i boschi. Il risultato da loro sperato non è stato minimamente raggiunto: in risposta alla loro arroganza ore di cori, battiture e fuochi d’artificio che hanno illuminato il cielo sopra il cantiere hanno regalato alla Clarea una nuova luce di Resistenza.

Mentre il fronteggiamento continuava, alcuni No Tav sono riusciti a raggiungere il cantiere, tagliarne le reti di protezione ed issare la bandiera del movimento, come monito a chi crede di poter continuare indisturbato l’opera di devastazione del territorio della valle.

Questa sera si è dimostrato che nessuna pacificazione è alle porte e che i No Tav non si stancheranno mai di lottare per liberare la propria terra e conquistare la possibilità di un presente e futuro diversi.

Avanti No Tav!

Esposito (Pd) difende i torturatori del G8: sono stati attaccati, hanno risposto

http://www.globalist.it/news/articolo/2009320/esposito-pd-difende-i-torturatori-del-g8-sono-stati-attaccati-hanno-risposto.html

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Il senatore dimentica che Bolzaneto e la Diaz furono rappresaglie a freddo per le quali la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per tortura

diaz genova

Un manifestante ferito durante l’assalto alla Diaz a Genova

globalist 22 luglio 2017

Povero Pasolini che (oltre ad aver dovuto sopportare anni di bugie e depistaggi sul suo omicidio) adesso deve anche subire le citazioni fuori contesto di uno di questi fenomeni del Pd, un tempo erede (in parte) della tradizione progresstista italiana e ora diventato marmellata neo-liberista e neo-autoritaria con una spruzzata di diritti civili per darsi un tono.
Così a citare a sproposito Pier Paolo Paolini è arrivato un renziano doc come il senatore Esposito: 
“Sono pasoliniano: tra un gruppo di incappucciati violenti e le forze dell’ordine sotto attacco, sto senza se e senza ma con le seconde. A Genova carabinieri e poliziotti non erano il nemico, rappresentavano lo Stato. Sono stati attaccati, hanno risposto”.
Così il senatore del Pd Stefano Esposito ha parlato del G8 del 2001,commentando le polemiche sollevate dal consigliere provinciale di Ancona dem Diego Urbisaglia che ha ricordato su Facebook la morte del manifestante no global Carlo Giuliani, immaginando un immaginario figlio al posto del carabiniere Placanica, al quale raccomandare di “prendere bene la mira”.
“Quando si copre un ruolo pubblico – ha detto Esposito – non si possono lanciare messaggi come fossimo al bar sport. Trasmettere poi a un figlio l’idea di sparare contro qualcuno non mi piace: deve essere l’ultima opzione. Il che, ben inteso, non significa che le forze dell’ordine debbano fare le vittime sacrificali: se ci sono frange violente, è giusto che la polizia reagisca. Non dovrebbe essere un concetto difficile da capire, eppure c’è ancora qualcuno che sta, a prescindere, con chi devasta le città. Il diritto a manifestare c’è per tutti, quello alla violenza, no”.
A proposito di bar dello sport e cariche pubbliche, c’è un particolare grande come una voragine che lo pseudo-pasoliniano dimentica: alla Diaz prima fu organizzato un depistaggio facendo ritrovare una molotov e altri oggetti messi dagli agenti per incolpare i manifestanti (come solo le polizie sudamericane sapevano fare) poi inventarono la storia (risultata falsa e costruita ad arte) dell’aggressione di un manifestante armato di coltello contro un poliziotto. Poi ci fu una vera e propria rappresaglia nella quale la polizia massacrò di botte chiunque passasse a tiro di manganello facendo irruzione notturna nella scuola dove le persone dormivano.
Idem a Bolzaneto: torture e violenze contro i manifestanti arrestati. O ci vuol far credere che la polizia si doveva difendere da ragazxi e ragazze ammanettate?
A Genova andò in scena una vergogna. Una vergogna per la quale molti “servitori dello Stato” sono stati condannati. Dimentica anche, Esposito, che il 7 aprile 2015 la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato all’unanimità che era stato violato l’articolo 3 sul “divieto di tortura e di trattamenti inumani o degradanti. Sia per la Diaz che per Bolzaneto.

ZANOTELLI, ZITTO E VERGOGNATI – PRIMA LUI POI NETANIAHU

http://fulviogrimaldi.blogspot.it/2017/07/zanotelli-zitto-e-vergognati-prima-lui.html

MONDOCANE

SABATO 22 LUGLIO 2017

Interrompo il mio impegno monotematico sul nuovo documentario “O la Troika, o la vita”, che mi sta tenendo lontano da blog, facebook, youtube e un sacco di amici e interlocutori, perché sopraffatto dall’indignazione rispetto al solito energumeno delle distrazioni di massa e disinformazioni imperialiste che si fa, e vien fatto, passare per modello di pacifismo e solidarietà per gli oppressi e sfruttati.

Occuparsi del prete Zanotelli, quando quello che Israele sta facendo da settant’anni e di nuovo oggi ai palestinesi rende il massacro nazista di Varsavia, o la strage Usa di civili vietnamiti a My Lai, o le carneficine dei decapitatori wahabiti, Isis o sauditi, in Siria, Iraq o Yemen,  delle sporadiche intemperanze, parrebbe spaesante, quasi depistante, certo sproporzionato. Gli è che delle nefandezze del post-nazista  Netaniahu, delle sue SS travestite da coloni, della sua corte mediatica e spionistica talmudista, grazie ai nuovi massacri compiuti intorno ad Al Aqsa e alla spianata delle moschee, dove gli invasori talmudisti vorrebbero ricostruire uno storicamente fantasmatico Tempio di Salomone, se ne stanno occupando già in tanti.

Tutti con i palestinesi, finchè non si muovono.

Dato che da qualche anno il popolo, la resistenza palestinesi dalla simbiosi Autorità Palestinese-regime necrofago israeliano sono stati fatti a brandelli, con le sinistre emasculate, disintegrate eticamente e politicamente dalla scelta anti-Assad e Hamas ridotto a meri schiamazzi dalla connivenza talmudisti-Fratelli Musulmani di Qatar e Turchia, la “causa palestinese” ha sempre raccolto più sostenitori, più apologeti, più prefiche che quella dell’altro riscatto arabo negato, in Iraq, Libia, Siria, Yemen. Le cause innocuizzate, ridotte a istanze di poveretti, di vittime inoffensive, sono compatibili, non turbano nessuno, vi si può dispiegare per intero la propria autocoscienza e compiere rigeneranti lavacri della propria ipocrisia.

Aspettate che, magari, stavolta, grazie all’innesco  dell’Oberstummbannfuehrer, con i suoi provocatori ostacoli alla frequentazione dei palestinesi musulmani di ciò che è loro, come a suo tempo il boia di Sabra e Shatila, Sharon, quando trascinò il suo apparato psicofisico, tanto lardoso quanto corrotto, per la Spianata delle Moschee, i palestinesi rispondano a tono. Magari con quella violenza che l’ONU e il diritto internazionale legittimano contro nazifascismi e occupazioni. E vedrete come si assottiglieranno le file dei corifei devoti della non-violenza. Difficile, mi pare, oggi come oggi, che si vada oltre alla sacrosanta esplosione di rabbia e alle davidiane fionde e pietre. Prima i vari Abu Mazen e sue mafie andrebbero processate per altro tradimento. Non c’è chi dirige, coordina, organizza. C’è solo chi rinnega, tradisce e colpisce alle spalle. Quelli giusti stanno nelle celle della Gestapo sionista.

I santi apripista di Cortez e della Compagnia delle Indie

Si parlava di Alex Zanotelli. Missionario  e guru del pacifismo da due lire al chilo. L’uomo che già per essere un missionario, cioè un militante degli storici squadroni di apripista dei colonialismi e genocidi attraverso l’alienazione coatta delle menti dei colonizzandi, sollecitata dal ricatto  “sanità, istruzione e paradiso”, mi risultava sospetto. Ma poi missionario addirittura comboniano, cioè di quel ramo dei facilitatori dell’eurocentrismo militare, economico e culturale cristiano, che deteneva il controllo totale sull’evoluzione della società del più grande stato africano, il Sudan. Ne gestivano in monopolio privato scuole, università e ospedali fino a quando, negli anni ’70, il nasseriano presidente Nimeiry non completò l’indipendenza della nazione e li espropriò e nazionalizzò ogni cosa.

Sudan e Sud Sudan: i regali dei comboniani all’Africa

Da allora i comboniani, forze speciali del Vaticano come non mai, in stretta collaborazione con gli Usa e Israele e relative multinazionali del petrolio, del legno e di altre risorse, presero a brigare per impartire al Sudan statizzato e poi anche islamizzato una lezione  epocale: la secessione del sud a maggioranza nera e cattolica. L’hanno ottenuta e il Sud Sudan, interessante solo perché grande serbatoio di energia fossile, è da allora qualcosa rispetto alla quale la Libia post-Nato, dilaniata, come il Sud Sudan, dai conflitti interetnici e tribali, come sempre gestiti da opposti interessi nazional-multinazionali, è solo una partita un po’ dura di football americano. Un ininterrotto Niagara di sangue da quando comboniani e potenze coloniali se ne sono impadroniti nel 2011.

Per diffidare di Padre Zanotelli ce n’era. Diventato monumento sul piedistallo eretto sulle baracche del ghetto keniano di  Korogocho (come Saviano con Gomorra), si è assicurato un pulpito che, ahinoi, è ascoltato, oltreché dai compari amici del giaguaro, anche da una massa considerevole di utili idioti. E’ da questo pulpito che il monaco ha lanciato ai giornalisti  italiani (e, data la caratura del personaggio. del mondo) un appello tonitruante in favore della pace, contro la vendita di armi a Stati belligeranti e in perfetta linea con tutte le considerazioni con le quali l’attuale imperialismo necroforo va accompagnando e agevolando le sue operazioni d sterminio e predazione nel Sud del mondo. Linea che con l’imperialismo della menzogna, delle sanzioni e delle guerre già si sposava perfettamente nella rivista comboniana “Nigrizia” diretta dallo Zanotelli.

Spianata la strada a chierichetti, adepti, nonviolenti vari, con le geremiadi, per noi del tutto sorprendenti(!) sull’asservimento dei giornalisti che tengono famiglia ai potentati mediatici, il missionario, stavolta addentratosi tra rotative e telecamere, implora tali servi di sfidare rampogne e financo cacciate in strada (non è il martirio suprema virù cristiana?) “tentando di far passare ogni giorno qualche notizia per aiutare il popolo italiano a capire…”  Da capire soprattutto – il comboniano non smentisce le sue priorità – il Sud Sudan, dove ci ricorda che c’è una “paurosa guerra  civile” e, in coerenza con tutti coloro che ci mascherano da “guerre civili”, aggressioni, maneggi e complotti colonialisti e imperialisti, chiude nel silenzio della sua limpida coscienza  i mandanti del conflitto, che è tutto intorno al petrolio e che sono tutti gli stessi delle analoghe “guerre civili” in Congo, in Somalia, Libia, Siria, Iraq….

Sarkozy, Hollande, Macron, George Clooney e… Zanotelli

Con profondo rispetto per gli ordinamenti statali e sociali che si danno altri paesi, altre storie, altre culture, altre necessità, a preferenza sui modelli praticati a Roma o New York, o nella monarchia assoluta del Vaticano, Zanotelli unisce la sua voce al coro con cui l’imperialismo inneggia al rinnovato assalto all’Africa. E’ il coro che, dagli arnesi politici delle banche e multinazionali giù giù fino ai loro sguatteri mediatici a cui s’appella Zanotelli, rappresenta all’opinione pubblica i governi e i paesi da frantumare e derubare. Quello del Sudan, già bombardato da Clinton con la distruzione della più grande fabbrica farmaceutica dell’Africa (forse perché Bashir aveva cacciato il fidato Osama bin Laden) e relative 10mila vittime da mancanza di medicinali, non è un presidente, ma il solito “dittatore”, con sulla coscienza  i popoli martiri della Nubia e del Darfur (cari a George Clooney e ad altre spie assoldate da Hollywood e Amnesty International). Profonda analisi. Il dettaglio della desertificazione avanzante, che in quelle regioni ha contrapposto agricoltori sedentari ad allevatori nomadi, offrendo agli specialisti della destabilizzazione di nazioni l’occasione di soffiare sul fuoco santificando gli uni e demonizzando gli altri, è dettaglio che al prete non interessa.

Com’è che si chiamano le ingerenze colonialiste nel Terzo mondo? Guerre civili.

Il monaco insiste poi sulla via delle mistificazioni imperial-coloniali, lamentando i silenzi mediatici sulle solite guerre “civili” nel Sahel, Ciad, Centrafrica, Mali, e doverosamente oscurando gli abbaglianti lampi del ritorno di fiamma neocoloniale della Francia con Sarkozy, Hollande, Macron, cui i surrogati jihadisti trasferiti in loco servono da pretesto per spedizioni militari che garantiscano il controllo sui più grandi giacimenti di uranio del mondo. Per questo serve che le popolazioni si sbranino tra loro con l’immissione di un po’ di Isis. Sarà la Legione a sistemare tutto. Sono queste, per il monaco pacifista, analisi da complottisti.

Rincuorati i fedeli con la condanna del silenzio “sulla vendita di armi pesanti e leggere a questi paesi che non fanno che incrementare guerre sempre più feroci da cui sono costretti a fuggire milioni di profughi” (guerre mica innescate qua e là dagli occidentali che, tra Usa e Francia e Israele (ora anche la Germania), hanno basi o presidi militari in 52 paesi africani su 53. Mica per controllare l’obbedienza dei governi, o, nel caso, innescare turbolenze “civili” nel quadro della strategia del caos, utile alle depredazioni e disutile alla saldezza  e autonomia degli Stati! Macchè, è tutto fatto nel segno della reciproca sicurezza e dello sviluppo.

Eritrea? Satana! L’ha detto Obama, non lo può non ripetere Zanotelli

Qual è il 53° paese africano, l’unico, che non ospita basi americane e, per sovrappiù, non chiede crediti dal Fondo Monetario Internazionale , né accetta diktat dalla Banca Mondiale, da Bruxelles, o da Washington e, orrore! persegue con determinazione una politica di equa distribuzione della ricchezza, ha alfabetizzato tutto il suo popolo nei 10 anni dopo i 30 della guerra di liberazione condotta contro l’Etiopia, sicario prima degli Usa, poi dell’URSS e poi, di nuovo, degli Usa? Che assicura sanità e istruzione a tutta la popolazione? E inopportunamente sta seduto sul nodo geopolitico, geostrategico e geoeconomico cruciale tra sud e nord, est ed ovest, sullo stretto di Bab el Mandeb, tra Mar Rosso e Mare arabico, Golfo Persico e Oceano indiano? E’ da lì deve essere rimosso perché serve agli Usa?  E perciò ogni due per tre subisce l’attacco di un’Etiopia, vera tirannia che annega nel sangue le rivolte delle minoranze depredate, ma pro-occidentale e dunque sfuggita agli anatemi del missionari? Quale è il paese africano che, senza aver mai mosso un dito contro nessuno, ma deve spendere somme preziose per difendersi dal mandatario etiopico di Usa-UE-Israele,  è alle solite sanzioni Usa. Onu e UE che ne vogliono sabotare lo sviluppo?

Chi ha buona volontà di seguirmi, mi ha letto, ha sentito qualche mia conferenza, ha visto il mio documentario “ERITREA, UNA STELLA NELLA NOTTE DELL’AFRICA”,  sa di chi parlo. E capirà perchè a leggere l’appello del comboniano mi si è rivoltato lo stomaco.

Il Premio Nobel per la pace e per le sette guerre genocide condotte, Obama, aveva detto: ”I due regimi più criminali del mondo sono la Corea del Nord e l’Eritrea”. Alex Zanotelli, accomunandosi con robusta nettezza alle diffamazioni del caporione bellico imperialista e arrivando al diapason delle sua addolorata indignazione, scrive:”E’ inaccettabile il silenzio sull’Eritrea, retta da uno dei regimi più oppressivi al mondo, con centinia di migliaia di giovani in fuga verso l’Europa”. Notate la perfetta sintonia, la meravigliosa armonizzazione, tra i due coristi della restaurazione colonialista in Africa (e ovunque)?

E a proposito della balla delle centinaia di migliaia di giovani in fuga (da un paese che vent’anni fa aveva 5 milioni di abitanti e oggi ne ha altrettanti!), particolarmente sporca è l’operazione del religioso cattolico che, da eccellenza della competenza africana, pretende di ignorare che un paese povero, sottoposto a sanzioni, isolato dagli scambi, possa avere problemi di occupazione (ma non di fame e miseria come tutti i vicini filo-occidentali). Pretende di non sapere che poderoso pull factor sia la concessione automatica dell’asilo politico a tutti i migranti eritrei e solo a loro (spopolare!), e quanti migranti dell’Etiopia, devastata dal land-grabbing e dalle dighe Impregilo, o dalla Somalia, affidata al caos perpetuo e ai bombardamenti Usa, si fanno passare per eritrei per rientrare nel privilegio. E si fa passare per voce del Signore. Bisogna vedere di quale signore.

L’appello del mentitore ai mentitori

Il missionario avrà fatto quel che ha fatto in Sudan e poi in Kenya, ma in Eritrea non ha mai messo piede e quindi, come sulle altre questioni su cui pontifica disinformando, il suo appello non è altro che un invito all’informazione come manipolata e spurgata dalle voci del padrone. Il missionario è anche giornalista. Per anni,su “Nigrizia”, organo catto-colonialista, come “il manifesto” è sinistro-imperialista, ha lastricato di cattive intenzioni e falsa informazione la via all’inferno neocolonialista. Viva la deontologia, Alex, viva le deformazioni della verità sui paesi che le malformazioni necrofile occidentali destinano al saccheggio e alla distruzione.

Accogliamoli tutti e svuotiamo l’Africa

Assicuratosi altri meriti imperialisti e la munifica benevolenza di George Soros con l’invocazione all’accoglienza universale dei migranti, come auspicano coloro che non vedono l’ora di succhiarsi l’Africa dopo averla spopolata delle sue migliori energie, per poi  destabilizzare l’Europa periferica e contribuire  con questi nuovi schiavi a radere al suolo i diritti di tutti i lavoratori, Zanotelli sollecita la Federazione Nazionale della Stampa a smuovere la Commissione di Vigilanza sulla RAI e le grandi testate nazionali.  Ha scelto quelli giusti. Quelli visti in piazza per Giulio Regeni, collaboratore in Inghilterra di spioni e macellai di popoli (“Oxford Analytica”), e per tutte le bufale e False Flag che l’Impero dissemina sul suo tragitto di morte.

Non potendo mancare il riferimento che gli assicura la simpatia della più potente delle lobby, il frate blatera di “un’altra Shoah (ma non era unica?) che si sta svolgendo sotto i nostri occhi e che ci costringe tutti a darci da fare perché si rompa questo maledetto silenzio sull’Africa”.

Bravo, Padre Zanotelli, sembra quasi che queste parole siano dedicate all’AFRICOM, al comando centrale per l’Africa degli Usa che nei prossimi anni governerà la corsa dell’Occidente alla nuova rapina del continente delle grandi ricchezze. La shoah africana c’è già stata. Ne sono un bel pezzo i 20 milioni di vittime congolesi di Leopoldo II, benedetto dai missionari. O i 600mila libici fatti ammazzare dal nostro connazionale Mussolini.  O i 65mila ascari eritrei che i marescialli Graziani e Badoglio hanno mandato a morte per allargare l’Impero. Cittadini di un paese che occupammo, depredammo e che tu, senza vergogna,  continui a calpestare. E un’altra shoah africana è avviata, delle tante della storia dei padroni. Tu  hai fatto quanto serve.

Ora però l’Africa ti chiede un ultimo favore: il tuo di silenzio. Che noi, più pii di te, chiameremo benedetto.

Facciamo parlare questi:

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 17:23

LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DELLA REGIONE PIEMONTE – CHIAMPARINO: IL VALORE EFFETTIVO DELLA TORINO-LIONE E’ PROSSIMO A QUELLO SIMBOLICO …

LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DELLA REGIONE PIEMONTE

Gentile Direttore de La Repubblica,

e, p.c. : Egr. Sig. Sergio Chiamparino – Presidente della Giunta Regionale del Piemonte

Lettera Aperta – La Francia deve chiarire la sua posizione sulla Torino-Lione: ha un margine di ambiguità e non va bene.

Nell’articolo apparso oggi su La Repubblica – Torino la giornalista Maria Chiara Giacosa riporta che il Presidente della Giunta Regionale del Piemonte  Sergio Chiamparino ha affermato che “La Francia deve chiarire la sua posizione sulla Torino-Lione: ha un margine di ambiguità e non va bene. La Francia ha iniziato prima, è più avanti noi sui cantieri, e adesso ci ripensa?”.

Ci permettiamo di credere che il Presidente Chiamparino non sia ben informato: sono anni che l’Alta Amministrazione della la Francia (dalla Corte dei conti, alla Direzioni del Tesoro, al Presidente della Commission Mobilité 21, il deputato Philippe Duron) allerta il potere politico dell’insostenibilità di molti progetti ferroviari, tra i quali la Torino-Lione.

Sulla scia delle allerte che l’Alta Amministrazione francese aveva inviato al Presidente precedente, il nuovo inquilino dell’Eliseo, nell’ambito di una profonda ristrutturazione delle spesa pubblica, ha affermato a Rennes il 1° luglio (dunque 3 settimane fa, ma nessuno se n’era accorto…): “La Francia deve oggi concentrare di più i suoi investimenti sul rinnovamento della rete esistente… questo è l’orizzonte del quinquennato.”

Non crediamo che la posizione della Francia sia quindi ambigua. Siamo invece certi che la Francia ha il diritto di ripensarci.

Siamo di fronte ad un processo decisionale che è iniziato da tre settimane e che, al termine delle Assise della Mobilità previste  per il mese di settembre 2017 e ampiamente partecipate, si concluderà nel 2018 con l’approvazione da parte del Parlamento francese del Piano di Mobilità che conterrà la qualità e la quantità degli investimenti per la mobilità delle persone e delle merci in Francia nel prossimo quinquennio.

Forse il Presidente Chiamparino non è al corrente che la vera ambiguità del progetto Torino-Lione, al di là della sua inutilità, è l’iniqua ripartizione dei costi (ex art. 18 Accordo del 2012) che impone all’Italia di pagare per i suoi 12 chilometri del tunnel transfrontaliero di 57 chilometri, la maggior parte dell’investimento.

La Francia dovrebbe pagare il 42,1% per i suoi 45 km in Francia, mentre l’Italia pagherebbe il 57,9% di tutti i costi per i suoi 12,2 km che insistono sul territorio nazionale italiano.

Salvo il probabile aumento del costo certificato di €8,6 miliardi, l’Italia pagherebbe €2,99 miliardi (costo al km per 12,2 km: €245 milioni), mentre la Francia dovrebbe versare €2,17 miliardi (costo al km per 45 km: 48 milioni di €). L’Unione Europea dovrebbe investire €3,44 miliardi di € (60 milioni al km). http://www.presidioeuropa.net/blog/?p=9871

Ebbene la Francia, nonostante questa generosità italiana, dimostra oggi la sua libertà di decisione. Ci auguriamo che Chiamparino, nel momento in cui discuterà del progetto con i suoi amici francesi, Gentiloni e Delrio, si ricordi di citare questa verità incontestabile: l’Italia ha ceduto una parte della sua sovranità alla Francia.

Sulla perdita della sovranità dell’Italia ci aspettiamo una dichiarazione ufficiale da parte del Presidente Chiamparino.

Qui abbiamo riportato alcuni articoli dai media francesi che offrono ampie spiegazioni sul processo di ristrutturazione della spesa ferroviaria (e non solo) francese. La Pausa : Dossier dalla Francia

Cogliamo l’opportunità per rallegrarci con il Presidente Chiamparino che finalmente pare cominci a capire l’inutilità di quest’opera, dato che afferma che “il suo valore effettivo è prossimo a quello simbolico” che è immateriale per definizione.

Qui sotto trovate tre post attraverso i quali è possibile formarsi un giudizio più approfondito sulla questione “Pausa francese della Torino-Lione”.

Grazie per l’attenzione e cordiali saluti.

PresidioEuropa No TAV

SASSI CONTRO IL CANTIERE DI CHIOMONTE, I NO TAV ALLONTANATI CON GLI IDRANTI

Una foto d’archivio

Pubblicato il 22/07/2017
 
TORINO

Il movimento No Tav torna a farsi sentire in Valle di Susa. Nella tarda serata di ieri, un’ottantina di attivisti del movimento che si oppone alla realizzazione della nuova linea ferroviaria ad Alta Velocità Torino-Lione ha dato vita ad una sassaiola contro il cantiere di Chiomonte. Guadato il fiume Dora, è stato acceso un fuoco a ridosso dei jersey posti a protezione della zona rossa. 

I LACRIMOGENI  

I manifestanti sono stati allontanati dalle forze dell’ordine con l’uso di idranti. Su Notav.info, sito internet di riferimento del movimento, si parla anche di lancio di lacrimogeni. I No Tav hanno poi fatto ritorno al campeggio di Venaus, da dove questa sera è prevista un’altra «passeggiata» verso il cantiere della valle Clarea.