La “Dottrina Obama” per l’Africa travolge il MALI

ottobre 28, 2012

mcc43
*Uomini di paglia per destabilizzare il Mali: Amadou Sanogo
*Le rivendicazioni popolari del Nord: MLNA e l’indipendenza dell’Azawad

*La “minaccia islamista” per giustificare interventi militari nel Nord Africa
*ONU, notaio di decisioni già prese: risoluzione 2071 per l’invio contingente militare nel Nord Mali (Azawad)
*
USA e Francia: conciliazione di interessi

Amadou Sanogo e la destabilizzazione del Mali

La tragedia del Mali inizia in marzo quando Amadou Sanogo, il capitano “ berretto verde” cresciuto alla scuola militare degli Stati Uniti,  guida il putsch contro il legittimo presidente Amadou Touré, proprio alla vigilia delle elezioni alle quali Touré non si sarebbe ripresentato. Sanogo, costretto a farsi da parte in giugno e a dissolvere il suo comitato per il raddrizzamento della democrazia (CNRDRE) dentro un organismo formalmente più istituzionale, ora cerca di tornare in scena rilasciando interviste ai  media francesi.
Definisce se stesso come “Charles De Gaulle del Mali” e fantastica di un esercito nazionale  “moralmente ricostruito”. A chi non segue, per quanto è possibile fare e comprendere, le vicende del Mali queste possono apparire semplici chiacchiere. Sono, invece, l’autocandidatura a uomo di fiducia di Hollande.
La Francia è il  deus ex machina della tessitura di iniziative destinate a porre il Mali nel progetto a lungo termine della militarizzazione dell’Africa. Lo  porta avanti gli Stati Uniti dai tempi della presidenza Bush, Obama lo ha incrementato coinvolgendo un maggior  numero di nazioni. Il più delle volte in sordina,  rumorosamente nei casi Libia Uganda Costa d’Avorio  e Mali, sempre con la Francia al suo fianco .

 

MLNA e indipendenza dell’Azawad

In febbraio, poche settimane prima del putsch (ved. I mali del MALI in tempo reale), il Movimento di liberazione dell’Azawad, MNLA, si era sollevato contro l’esercito nazionale e aveva rivendicato l’indipendenza della regione  richiedendo, inascoltato, il riconoscimento ONU del nuovo stato  (ved.TUAREG: vogliamo la Repubblica democratica e laica dell’Azawad ).
Minacciata l’integrità territoriale, esautorati dal putsch i vertici nazionali, sospesa la Costituzione, i paesi dell’Africa Occidentale legati dal patto economico denominato Ecowas, di cui anche il Mali fa parte, daranno il via a una serie  di vertici e conferenze che coinvolgeranno via via i soggetti maliani: la classe politica, la giunta golpista, il MLNA, fino alle milizie jihadiste di Ansar Dine e il Mujao improvvisamente comparse nell’Azawad ad avversare il progetto democratico e laico dell’indipendenza, agitando lo spauracchio di   uno stato islamico sull’intero territorio del  Mali.

 

La “minaccia islamista” funzionale
alla militarizzazione del Nord Africa

Queste dichiarazioni jihadiste fanno sì che i media, al traino dell’agenzia francese AFP, diano ampio risalto all’imminenza del “pericolo islamista”, sfruttando la crisi umanitaria  nella quale viene a trovarsi la popolazione. La recente notizia di “colonne di jihadisti” in arrivo nell’Azawad, per unirsi ai gruppi già presenti in vista dell’arrivo del contingente militare internazionale, ha alzato il livello di allarme.
I Tuareg del MNLA, gruppo che del territorio è la voce politica, sarebbero stati i primi ad avere concrete  ragioni di preoccupazione qualora la dimensione dei fatti riportati fosse reale. In mancanza di dichiarazioni ufficiali, i media allineati tessono intorno al movimento una rete di sospetti  raccolti fra i politici maliani ostili alla separazione dell’Azawad da Bamako. Più alta la percezione del pericolo che minaccia le popolazioni, al nord certamente provate dalla guerra fra le fazioni e dalle violenze jihadiste sui civili, più diventa credibile la necessità di un intervento internazionale e  auspicabile la sua realizzazione.

Settembre è stato il mese di un convulso iter di mosse diplomatiche pilotate dalla Francia.
Con i maliani del sud impazienti di vedere tornare l’Azawad sotto il governo centrale, l’1 settembre il presidente Dioncounda Traoré invia una richiesta di assistenza militare all’Ecowas, che immediatamente presenta all’Onu la richiesta di autorizzazione all’invio di truppe e interpella l’Unione Africana per ottenere collaborazione. Traorè compie ancora  un’altra mossa di rinforzo della precedente: scrive a Ban Ki-moon chiedendo un intervento militare internazionale nel nord del paese “per liberarlo dagli integralisti islamici legati ad Al-Qaeda che ne hanno preso il controllo”.
Chi dà notizia di questo passo formale? La Francia, per bocca del ministro degli Esteri Laurent Fabius.

 

L’ONU e la risoluzione 2071 per l’intervento militare

Il 12 ottobre il Consiglio di Sicurezza vota all’unanimità la risoluzione 2071 ( qui il documento UN)

Il testo messo ai voti era stato presentato,  non sorprende, dalla Francia.
Concede 45 giorni ancora agli sforzi dell’Ecowas per le mediazioni di pace, sulle quali veglia l’uomo della Francia: Blaise Campaorè (arrivato alla presidenza del Burkina Faso con il golpe che uccise Thomas Sankara).
In mancanza di risultati, l’Onu darà corso alla richiesta “del” Mali e deciderà l’invio di un contingente militare sotto controllo internazionale. Il testo sollecita altresì l’invio di istruttori per potenziare l’esercito nazionale. Missione, questa, nella quale eccellono gli Usa.
L’Ecowas, probabilmente altri stati dell’Unione africana, porteranno le loro truppe. François Hollande ha dichiarato che non avverrà invio di soldati francesi, sorvolando sull’accordo di collaborazione militare che nel 2003 è stato siglato fra  Ecowas e l’insieme di unità dell’esercito francese che vanno sotto il nome ufficiale di  Armée d’Afrique, e più comunemente Africom. La Francia detiene pertanto, formalmente o meno,  il comando del futuro contingente.

L’Azawad diventerà un terreno di guerra alle porte dell’Algeria, la nazione araba meno allineata e ossequiente a Washington, quella che più ha avversato finora i gruppi legati ad Al-Qaeda. Guerra ai confini di paesi deboli, dalle istituzioni corrotte e asservite a padroni occidentali, governi e multinazionali, con il prevedibile rischio che proprio i  membri di Ecowass ne vengano sconvolti (ved. nota in calce)

La risoluzione Onu invita i gruppi locali,  quindi il movimento MLNA, a dissociarsi dai terroristi dell’Al-Qaeda nel Maghreb, la famigerata Aqmi. Tuttavia Johnnie Carson, sottosegretario di stato americano  per l’Africa, dichiara “questi Tuareg non sono implicati nel terrorismo” e invita il governo del Mali e il MNLA ad aprire trattive. Il messaggio nascosto diretto al movimento è: abbandonate la rivendicazione dell’indipendenza, in cambio dell’autonomia amministrativa e dell’applicazione dei precedenti, finora disattesi,  accordi per lo sviluppo dell’Azawad.

USA e Francia, conciliazione di  interessi

A Parigi Carson ha partecipato alla conferenza in cui Stati Uniti e Francia hanno discusso “la minaccia islamista che plana sull’Africa Occidentale” e i piani per la sicurezza dell’intero Sahel. I due paesi che si contendeno il dominio politico economico della zona si sono accordati per non intralciarsi vicendevolmente. La Francia ha i propri interessi minerari da espandere e mettere in sicurezza, gli Usa  il proprio  progetto militare a lungo termine. Manlio Dinucci lo ha ben illustrato,  prendendo spunto dalla riorganizzazione dell’esercito libico da parte degli USA, nell’articolo su Il Manifesto che ho riprodotto in questo blog con il titolo Il Pentagono, la Libia e gli ascari

Volendo passare dal disegno globale a qualche dettaglio delle operazioni compiute in Africa da Obama, cito dall’esauriente articolo di The Nation dal titolo: La Dottrina di Obama

“L’anno scorso la guerra in Libia – un’operazione regionale con droni a corto raggio dalla base di Gibuti, Etiopia e Seychelles – una flotta di 30 navi nell’oceano Indiano a supporto delle operazioni regionali – molteplici operazioni militari e Cia contro i militanti in Somalia, con addestramento di agenti somali, prigioni segrete, raid e attacchi con elicotteri – massiccio afflusso di denaro per operazioni antiterrorismo in tutta l’Africa orientale – una possibile guerra vecchio stile segretamente condotta con mezzi aerei- decine di milioni di dollari in armi a mercenari locali – operazione mista di  intervento militare e cyber-intelligence per catturare Kony, il famoso capo dell’Esercito di Dio che opera in Uganda Sud Sudan Congo, nonché nella Repubblica Centro-africana (ultimamente diventata anch’essa sede di una base americana)   sono solo spiragli della strategia in rapida espansione di Washington in Africa.

L’Italia  era stata  trasformata con molta facilità già da gran tempo in una dipendenza militare americana. Lo si vede bene dall’immagine…

Basi US in Italia, link al post su Sigonella

nota – elenco paesi Ecowas

Benin  Burkina Faso   Capo Verde   Costa d’Avorio   Gambia   Ghana  Guinea  Guinea-Bissau  Liberia  Mali   Niger   Nigeria   Senegal   Sierra Leone   Togo

http://mcc43.wordpress.com/2012/10/28/la-dottrina-obama-per-lafrica-travolge-il-mali/

 

Mali. Hollande ribadisce il sostegno all’intervento armato

Al termine di un incontro con Ban Ki Moon, il presidente francese ha promesso appoggio logistico e finanziario al dispiegamento di una forza militare

F.D.

Se mai ce ne fosse stato ancora bisogno, il presidente francese François Hollande ha ribadito ieri che la Francia è pronta a sostenere l’intervento armato nel nord del Mali, occupato dai ribelli islamici di Ansar al Dine e Mujao. Al termine di un faccia a faccia con il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki Moon, Hollande ha spiegato che presenterà “il prima possibile” una bozza di risoluzione al Consiglio di sicurezza dell’Onu per autorizzare il dispiegamento della forza militare della Comunità degli Stati dell’Africa occidentale (Cedeao-Ecowas) nelle regioni settentrionali. “Ci sarà un calendario da rispettare” ha aggiunto nel corso di una conferenza stampa congiunta con Ban Ki Moon, senza precisare quale ma riconoscendo che ci sono alcune difficoltà, tra cui la “composizione”, il “finanziamento” e il tipo di “armamento”, nel mettere in piedi la missione. “Spetta agli africani organizzarsi per garantire che possa essere formata con rapidità ed efficacia” ha continuato Hollande, confermando che la Francia fornirà “sostegno logistico, politico e finanziario”. L’obiettivo, ha sottolineato il capo dell’Eliseo, è “sradicare il terrorismo”. Il presidente francese si è inoltre detto favorevole alla decisione di Ban Ki Moon di nominare l’ex premier italiano Romano Prodi rappresentante speciale dell’Onu per il Sahel: “Il nome proposto mi sembra buono”. A sua volta il segretario generale delle Nazioni Unite ha detto di condividere la “preoccupazione” della Francia per la crescente influenza dei gruppi islamici nel Sahel. Nel corso della conferenza congiunta, Ban Ki Moon ha inoltre chiesto la liberazione “immediata” degli ostaggi francesi trattenuti da Al Qaida nel Maghreb islamico.
Sull’intervento armato nel nord del Mali, si è espresso anche il rappresentante del segretario generale dell’Onu, Saïd Djinnit, che si trova a Dakar, in Senegal, per una riunione dei capi della missione di mantenimento della pace delle Nazioni Unite in Costa Avorio, Liberia, Guinea-Bissau e Sierra Leone. Secondo il rappresentante Onu, “l’intervento in Mali si farà in funzione dell’esito del dialogo” tra il governo maliano e i gruppi islamici che occupano le regioni settentrionali. “Più ci si muove verso il dialogo, meno terreno c’è per un intervento militare”, ha detto Djinnit, annunciando una nuova riunione del Consiglio di Sicurezza per il 19 ottobre.
Apertura al “dialogo” che è stato ribadita anche dal ministro degli Affari maghrebini e africani, Abdelkader Messahel, che lunedì ha iniziato un tour nei Paesi del Sahel. “Negoziare sì, ma non con tutti”, ha precisato Messahel da Bamako, dove si è incontrato con il presidente ad interim Dioncounda Traoré e il primo ministro Cheick Modibo Diarra : “Il dialogo è possibile con chi si è allontanato dalla criminalità organizzata”, “dal terrorismo” e dalle “rivendicazioni secessionistiche”, ma “non ci sarà nessuna trattativa con i terroristi”. L’Algeria, ha continuato il ministro algerino, è impegnata nella “lotta contro il terrorismo e il crimine organizzato transnazionale”, smentendo le voci circolate nei giorni scorsi secondo cui Algeri avrebbe avviato colloqui sottobanco con il gruppo islamico di Ansar al Dine.
Intanto, il Movimento per la liberazione dell’Azawad (Mnla) che lunedì ha annunciato, dopo i colloqui con il presidente burkinabé, Blaise Compaoré, la rinuncia all’indipendenza dell’Azawad, è tornato sull’argomento, chiarendo la posizione. “Non abbiamo mai detto di rinunciare all’indipendenza e tutto ciò che riguarda questo aspetto sarà discusso con il governo maliano, quando siederemo insieme al tavolo dei negoziati” ha spiegato Moussa Ag Assarid, esponente del Mnla. Negoziati che secondo Ag Assarid verranno avviati “molto presto”. Fino a qualche mese fa, i ribelli tuareg non volevano trattare con il governo “corrotto” di Bamako. Ora la situazione si è capovolta. Cacciati dal nord dai gruppi islamici, si ritrovano a dover rinunciare all’indipendenza, puntando piuttosto sull’autodeterminazione dell’Azawad, per non uscire definitivamente fuori dai giochi.
 


10 Ottobre 2012 12:00:00 – http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=17193

I partiti hanno perso e danno i numeri.

I PARTITI HANNO PERSO E DANNO I NUMERI. MA GIÀ PENSANO DI ADERIRE A QUALUNQUE COSA, PUR DI RESTARE IN SELLA. di Antonio de Martini

Se si sommano i numeri dei cittadini che non sono andati a votare e quelli che hanno votato per la lista di Beppe Grillo, arriviamo al 70% degli aventi diritto al voto che rifiutano l’offerta politica della democrazia italiana.
Tutte le prefiche dei media continuano a dire che il simpatico e ilare vincitore della riffa presidenziale ha ottenuto il 31% dei voti.
Falso: ha ottenuto il 31% del 47% ( il 13% quindi della base elettorale) .

Il PD – che i sondaggi a livello nazionale danno ancora attorno al 28% – sono arrivati al13% del 47% ( facciamo il 7%?). forse prenderanno di più – per fare media – nella zona di Penati da Milano.

Sommando i due tronconi del centro destra ( 25+15%) e tenendo sempre a mente che si tratta del 40 del 47 ( facciamo il17%?) avremo i numeri reali.
Si rifaranno certo nel frusinate di Tajani e Fiorito.
Il partito di maggioranza assoluta è quindi quello di chi non va a votare: il 53% del 100% .
Inquadrati i numeri nel giusto contesto, passiamo in breve a esaminare le accuse e le “parate” che verranno.

Credo sia ovvio che le bande criminali siano andate a votare: è a loro che serve l’assessore per ottenere gli appalti con cui lucrano su tutto il ciclo economico.
Chi si astiene dal voto – lo dicono tutti- non partecipa all’attività amministrativa, erroneamente scambiata per politica. Un vecchio motto argentino diceva ” gubernar no es asfaltar” .
E i mafiosi vogliono asfaltare. Sono gli italiani esasperati dalla disonesta inefficienza che sono rimasti a casa soffocati dalla rabbia.

Governare non consiste nemmeno nello spremere quattrini ai cittadini appartenenti al ceto popolare, bensì oggi vuol dire DOMARE la finanza e le banche. I reati che compiono non li vede solo chi non vuole vederli.
Governare vuol dire accelerare la velocità di circolazione del denaro, non rallentarla pr aiutare poliziotti incapaci, quando non collusi.

Qualunquismo: falso anche questo. Se c’è un ragionamento politico e istituzionale dietro le scelte legate al momento elettorale, è proprio la difficile scelta di togliere legittimità democratica ad attività amministrative che ormai fanno concorrenza alla criminalità invece di contrastarla.

Il fatto che la Sicilia serva da esempio, ci aiuterà invece a vedere come reagiranno i boiardi di regime.
Stanno intanto pompando il fenomeno Grillo nella speranza che gli arrabbiati, vedendosi rappresentati in TV, intervistati, si plachino , si calmino.
Ricorderete il motto spiritoso di Andreotti dei ” voti in libera uscita” restate sordi al suono della ritirata. Non possono fare nulla se non spargere panico indeterminato.

Da domani poi cominceranno a dichiararsi favorevoli al cambiamento ( non specificato) e vittime di una situazione di stallo che individualmente non potevano contrastare, ma “ADESSO, che c’è la congiura del cambiamento” ( parole autentiche del Presidente della CNA – Confederazione Nazionale Artigianato – a Venezia, oggi, in un pubblico discorso) sono pronti a gestire anche questa fase, da bravi membri di un ceto politico inamovibile.
Di andar via e passare la mano, neanche a parlarne.

Come i DC mischiandosi alle nuove formazioni nate dalla protesta hanno sistematicamente corrotto il tentativo di rinnovamento del 1992/3, spargendo la corruzione e trasmettendo i canali illegali di finanziamento a chiunque dei nuovi arrivati mostrasse interesse ( e tutti l’hanno mostrato!) adesso toccherà alla sinistra siciliana mandar tutto a carte quarantotto.
Si dichiareranno favorevoli al cambiamento a patto che siano loro a gestirlo.
Sarà faticoso mimare le riforme, ma sempre meglio che andare a lavorare.

Ricordo una storiella di origine FAO ( Food and Agriculture Organization) . In occasione del cinquantenario si crearono due borse di studio per ricerche sulla conservazione di una specie minacciata: gli elefanti.
Vinsero due importanti ricerche: ” cento ricette per cucinare la carne di elefante” e ” l’elefante nella Resistenza” .
Aveva ragione Longanesi, sulla bandiera degli italiani sta scritto ” tengo famiglia” e i siciliani, italianissimi sono!

http://corrieredellacollera.com/2012/10/29/i-partiti-hanno-perso-e-danno-i-numeri-ma-gia-pensano-di-aderire-a-qualunque-cosa-pur-di-restare-in-sella-di-antonio-de-martini/

Ucraina, la rinascita di Piotr Simonenko

Ucraina, la rinascita di Piotr Simonenko

La Commissione Elettorale Centrale della Repubblica dell’Ucraina sta fornendo i primi risultati delle elezioni svoltesi ieri, domenica 28 ottobre, nell’ex repubblica sovietica dell’Europa Orientale, con il 25% delle schede già scrutinate. Stando ai primi verdetti, il Partito delle Regioni del presidente filo-russo Viktor Yanukovich sarebbe riconfermato con il 37%, al quale seguirebbe un risultato sorprendente – ma che non deve certo stupire – ottenuto dal Partito Comunista Ucraino di Piotr Simonenko che, dopo anni di dura crisi, si starebbe confermando al secondo posto con il 15% dei consensi. E’ una vera e propria rinascita quella dei comunisti ucraini, che tornano alla doppia cifra a distanza di dieci anni, quando alle elezioni parlamentari del 2002 ottennero il 19,98%.
A causa di contrasti interni e del pesante clima russofobico e anticomunista scatenato dalla rivoluzione arancione del 2004, il Partito Comunista Ucraino ha vissuto momenti difficilissimi ed è stato persino sul punto di sciogliersi a causa dello scarsissimo seguito conseguito nel 2006, quando raccolse appena il 3,6%. Se questi risultati fossero confermati, perciò, Piotr Simonenko potrebbe tornare a Kiev da trionfatore. Il programma che pare aver decisamente convinto della sua validità il popolo ucraino, è fatto di punti concreti e molto attuali per le sorti del Paese slavo: nazionalizzazione delle aziende strategiche, lotta senza quartiere alla corruzione e agli oligarchi, redistribuzione delle terre agli agricoltori in un generale rilancio del primario, ripristino della lingua russa come seconda lingua ufficiale, chiusura di ogni partenariato per il dialogo con la Nato e con l’Unione Europea, adesione dell’Ucraina all’Unione Doganale formata da Russia, Bielorussia e Kazakistan, reintroduzione della pena di morte per i reati di estrema gravità.
Appare scontato l’appoggio che il suo gruppo parlamentare fornirà al partito di governo, componendo così una solida maggioranza di orientamento filo-russo che, da oggi, potrà anche imprimere una decisa svolta politica che riporti al centro del dibattito parlamentare le politiche sociali e del lavoro, in un Paese che vive da alcuni anni una pesantissima crisi e un continuo clima di destabilizzazione politica provocato dalle immancabili ingerenze occidentali (come dimostra il caso di Yulia Tymoshenko o il crescente clima russofobico scatenato dagli ultranazionalisti).

http://www.statopotenza.eu/4849/ucraina-la-rinascita-di-piotr-simonenko