Forse il Dott. Caselli non diceva davvero.

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 02/11/2015

La Giunta replica al Procuratore di Torino.

Il blog di Giancarlo Caselli apparso su “Il Fatto Quotidiano” del 31 ottobre fornisce una chiara rappresentazione delle idee che l’ex Procuratore di Torino ha in materia di giustizia.

In parte le conoscevamo già, e non sono per nulla rassicuranti.

Avvocati insaziabili, paragonati ai berluscones superstiti, che coltivano improbabili istanze garantiste che lo infastidiscono.

E così il Procuratore si lamenta che l’imputato abbia facoltà di non rispondere o che abbia diritto di mentire, regole queste basilari che trovano riferimento anche in brocardi antichi (nessuno può essere obbligato a farsi del male: “nemo tenetur se detegere”).

Si incupisce per la circostanza che l’imputato (che, bontà sua, ha il sacrosanto diritto di essere difeso) possa avere “addirittura” due avvocati. Trascura il Procuratore quale sia la sproporzione di forze tra chi fa le indagini (Procura, Polizia giudiziaria) e chi le subisce, per cui poter godere della assistenza di due difensori sembra il minimo.

Si dispiace che, qualora la difesa non sia di fiducia, lo Stato provveda al pagamento del difensore d’ufficio, ma dimostra di avere le idee poco chiare sul punto, poiché l’affermazione è doppiamente sbagliata: ed invero, chi è assistito d’ufficio, se ha i mezzi, è tenuto al pagamento delle competenze del difensore e chi non ha i mezzi è ammesso al patrocinio a spese dello Stato, anche se assistito dal difensore di fiducia, come è giusto che sia in un Paese che coltivi il principio di uguaglianza e creda nel diritto di difesa.

Si duole del fatto che l’imputato possa svolgere indagini difensive e che il codice consenta di eccepire delle nullità (che il Procuratore chiama “cavilli”) in grado di travolgere “l’intero faticoso lavoro di anni”, dimenticando che se il lavoro è fatto male è necessario che venga travolto (le nullità più gravi devono essere rilevate d’ufficio dal giudice in qualunque stato e grado del processo) e che la parità delle parti (enunciazione sulla quale il Procuratore non sarà d’accordo) può persino prevedere la seccatura che chi è accusato tenti di difendersi provando.

Fatte queste premesse, il Procuratore passa all’analisi dell’art. 111 della Costituzione e rileva che il principio della ragionevole durata del processo non sarebbe osservato. Ecco la ricetta: interruzione della prescrizione “quantomeno dopo la condanna di primo grado”, tacendo che così i processi sarebbero davvero interminabili e, non poteva mancare, abolizione del secondo grado di giudizio, trascurando che il 40 per cento delle sentenze di primo grado vengono riformate in appello e che, se non ci fosse stata questa noiosa forma di garanzia, Enzo Tortora e molti altri sarebbero finiti condannati.

Aggiunge il Dott. Caselli, pur difendendo (d’ufficio) la motivazione dei provvedimenti giudiziari, che in altri Paese si può essere condannati o assolti con un fogliettino “15×20 su cui sta scritto unicamente guilty o not guilty”, tacendo che si tratta di Paesi rispettabili, con tradizioni diverse, che hanno la giuria popolare e magari un giudice veramente terzo e separato nella carriera rispetto al pubblico ministero.

Conclude il Dott. Caselli sostenendo la necessità di una riforma organica delle impugnazioni, ma, soprattutto, insiste per la cancellazione di alcuni “punti vergognosi”. Tra questi il divieto di reformatio in peius (evidentemente senza che vi sia una impugnazione da parte della Procura), definito come un antico retaggio del diritto romano, mentre, invece, risponde a un criterio di civiltà giuridica e la previsione di adeguate multe “per chi presenti ricorsi pretestuosi o dilatori”, tacendo ancora una volta che già esistono tali previsioni e che la pretestuosità di un ricorso è cosa opinabile, specialmente per chi la pensi in modo diverso dal Dott. Caselli.

Il quadro d’insieme tratteggiato in modo sommario quanto perentorio dal Dott. Caselli, che esprime addirittura lamentele su istituti di garanzia antichi e non certo liberali e democratici, potrebbe spaventare, se non fosse che chiunque comprende che a tutto c’è un limite e, dunque, il timore cede il passo alla razionalità, così che le affermazioni del Procuratore vanno ascritte alla categoria delle provocazioni o delle amenità, non volendo immaginare, neppure per un momento, di doverle qualificare come il peggiore esempio di populismo giudiziario.

La Giunta

Roma,2 novembre 2015

Forse il Dott. Caselli non diceva davvero.ultima modifica: 2015-11-03T22:37:02+01:00da davi-luciano
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