Grecia mette all’asta le case pignorate, scoppiano scontri

sarà una fake news dei “fassisti populisti”

ATENE (WSI) – E’ diventato uno scontro tra componenti del partito al governo Syriza ed ex ministri fuoriusciti quello avvenuto in tribunale ad Atene durante la prima giornata della vendita all’asta della case dei greci morosi nei confronti delle banche.
 
Condizione chiave del terzo piano di salvataggio internazionale della Grecia, le aste di pignoramento sono state ripetutamente interrotte dagli attivisti di sinistra che avrebbero fatto irruzione nell’aula del tribunale ateniese per fermare quelli che reputano provvedimenti ingiusti che prendono di mira soprattutto le categorie sociali più povere.
Tra i manifestanti anche Panagiotis Lafazanis, ex ministro nel primo governo Tsipras e oggi il capo del Partito di Unione popolare, insieme a membri del sindacato Pame, legato al Partito comunista greco Kke. La polizia è dovuta intervenire in tenuta antisommosa anche usando lacrimogeni e alcune persone sono rimaste ferite negli scontri.
Due anni fa quando era salito al governo il primo ministro Alexis Tsipras aveva promesso di proteggere le prime case dal pignoramento ma la Troika per salvare il paese dalla grave recessione impose le sue misure di austerity tra cui rimettere gli immobili posti a garanzia del mutuo, anche la prima casa, nel mercato immobiliare nel più breve tempo possibile. Con la firma di un un nuovo piano di salvataggio Atene non riuscita a mantenere la sue promesse e proteggere le prime abitazioni delle persone. La recessione ha investito il paese provocata proprio dalle misure di austerity che hanno tagliato i posti di lavoro e bloccato gli investimenti delle imprese.
 
Oggi il governo greco auspica di iniziare i colloqui con i creditori per l’uscita dal piano di salvataggio del prossimo anno
30 novembre 2017, di Alessandra Caparello

Terremoto, i conti non tornano

terremoto-6mesi004-1000x600Sulle spese per l’emergenza terremoto i conti non tornano. La questione è tornata d’attualità  con la lettera che il Tesoro ha inviato la settimana scorsa alla Commissione europea per indicare le misure con cui l’Italia intende operare la correzione dei conti pubblici da 3,4 miliardi chiesta da Bruxelles.
 
A proposito delle risorse da investire per la ricostruzione post-sisma, il ministro dell’Economia si mostra prudente: “Allo stato attuale non possiamo determinare con certezza l’impatto dei recenti eventi sismici sulle finanze pubbliche – scrive Pier Carlo Padoan – ma è probabile che i costi andranno ben oltre un miliardo di euro già nel 2017. Per mobilitare le risorse destinate a questo scopo sarà istituito un Fondo apposito”.
La cautela del ministro sembra più che ragionevole, ma non basta a fugare ogni dubbio sulla gestione dei fondi per il terremoto. Il problema nasce dal fatto che lo scorso ottobre, in un’altra lettera alla Commissione europea, il Governo aveva quantificato in 3,4 miliardi di euro le risorse aggiuntive da impiegare nel 2017 per far fronte all’emergenza sisma (curiosamente, la somma coincide con quella chiesta da Bruxelles a correzione dei conti di quest’anno). Si tratta di un ulteriore margine di flessibilità che l’Italia ha ottenuto dall’Europa, perché quei soldi non saranno conteggiati ai fini del Patto di stabilità e crescita.
Sennonché, di quei 3,4 miliardi si trova ben poco nella legge di Bilancio approvata a dicembre: appena 600 milioni. Nel dettaglio, la spesa si articola in questo modo: 100 milioniper la concessione del credito d’imposta maturato in relazione all’accesso ai finanziamenti agevolati, di durata venticinquennale, per la ricostruzione privata”; 200 milioni “per la concessione dei contributi per la ricostruzione pubblica” e 300 milioni di cofinanziamento regionale di fondi strutturali.
I tecnici obiettano che molti soldi destinati al terremoto figurano in forma aggregata nei fondi dei singoli ministeri, ma la sproporzione fra 3,4 miliardi e 600 milioni è davvero eccessiva perché questa spiegazione appaia sufficiente. In seguito, il Tesoro ha precisato che “un altro miliardo arriverà dal Fondo per lo sviluppo degli investimenti e lo sviluppo infrastrutturale istituito dall’articolo 21 della Legge di bilancio”.
 
Il sito del Senato conferma che “l’articolo 21 istituisce un Fondo per il finanziamento di investimenti in materia di infrastrutture e trasporti, difesa del suolo e dissesto idrogeologico, ricerca, prevenzione del rischio sismico, attività industriali ad alta tecnologia e sostegno alle esportazioni, nonché edilizia pubblica”.
Non è chiaro se questo Fondo sia lo stesso di cui parla Padoan nella sua ultima lettera a Bruxelles. Se così fosse – come pare probabile – vorrebbe dire che il totale dei soldi stanziati esplicitamente dall’Italia per l’emergenza terremoto arriverebbe ad appena 1,6 miliardi di euro nel 2017, cioè meno della metà dei 3,4 miliardi chiesti a ottobre. In caso contrario, la differenza sarebbe meno ampia ma i conti non tornerebbero comunque.
 
Insomma, il quadro non è abbastanza chiaro per muovere accuse e vogliamo pensare che esista una soluzione rassicurante a questo problema di ragioneria. L’unica certezza è che, su un tema così delicato, sarebbe il caso di muoversi con più trasparenza.
di Antonio Rei  posted by Redazione febbraio 6, 2017