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SCRITTO DA: MASSIMO BONATO – GEN• 06•14
Da oltre vent’anni in lotta per il recupero delle terre, contro la deforestazione, le dighe occidentali e la repressione poliziesca
Si chiamano Mapuche, nome che la dice lunga sulle loro origini e sulle loro radici: Mapudungun significa Popolo della Terra. Un popolo che viveva prima del saccheggio perpetrato dai Conquistadores spagnoli, lì insediatisi secoli or sono.
Matías Catrileo
Il 3 gennaio circa 3000 Mapuche si sono riuniti a Santiago del Chile per commemorare la morte di Matías Catrileo, studente morto sei anni fa colpito alla schiena da colpi di arma da fuoco esplosi da un Carabinero, mentre stava cercando di recuperare un fondo agricolo. Ancora una volta, il centro di Santiago si è trasformato in uno scontro aperto, volto a reprimere duramente la protesta mapuche, che all’occasione altro non era se non la commemorazione della morte di un comunero, come tanti ne son morti in questi anni.
I Mapuche lottano per recuperare le loro terre ancestrali, che lo Stato cileno ha venduto nel tempo a grandi latifondisti stranieri prima, a imprese forestali poi e ad agenzie come la Endesa (controllata Enel) perché riducessero i loro bacini a dighe, spostando interi villaggi e popolazioni. Una lotta che è costata in vent’anni un carissimo prezzo in termini di vite umane e diritti umani, grazie alla Ley Antiterrorismo varata a suo tempo da Pinochet, ma applicata rigorosamente sino a oggi.
Indubbiamente il Cile resta “il primo della classe”, secondo i funzionari del Fondo monetario internazionale (FMI), il più neoliberale del pianeta. E l’economia cilena rimane una delle economie più trasnazionalizzate, secondo l’indice di transnazionalizzazione elaborata dalla UNCTAD (United Nations Conference on Trade and Development).
Parlare di Investimenti diretti esteri (IDE) riporta alla ristrutturazione capitalistica degli anni Settanta, a partire dal colpo di stato (1973). La dittatura militare (1973-90) lanciò allora un’economia di esportazione che preludeva all’ingresso massiccio delle multinazionali, garantite da riforme legislative favorevoli agli investimenti esteri.
Gli investimenti stranieri in Cile sono disciplinati dallo Statuto per gli investimenti stranieri (DL 600) creato nel 1974 dalla Banca Centrale del Cile. Uno Statuto che ha forza di legge, e attraverso il quale gli investitori stranieri possono scegliere il regime fiscale applicabile alle imprese nazionali, senza che un contratto possa essere modificato unilateralmente dal Cile stesso. Un quadro giuridico che non pone alcun limite ai profitti che le multinazionali possono fare sul suolo cileno.
Il Cile è fornitore di materie prime, principalmente rame. Oltre al settore minerario, che ha raggiunto il 34,1 % tra il 1974-2011, gli investimenti nel settore dei servizi sono diventati la componente più dinamica, raggiungendo il 22,4% dei flussi, e concentrandosi su telecomunicazioni e settore bancario a capitale prevalentemente spagnolo.
Le politiche attuate hanno permesso alle imprese di continuare ad aumentare i propri profitti in un contesto di crisi economica globale. Profitti esorbitanti creati a scapito dei lavoratori attraverso flessibilità del lavoro, subappalto, precarietà in termini di diritti, di un costo elevato per l’ambiente e la perdita di sovranità costante e permanente.
In questo quadro si inserisce la lotta Mapuche per la terra. Una terra saccheggiata a man bassa, divenuta il modello del libero mercato, ovvero della libertà di creare profitti a discapito del popolo, dei diritti umani e dell’ambiente.
Massimo Bonato 06.01.14