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India: le legge non riesce a fermare le tradizioni che opprimono le donne

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L’India è uno dei quattro paesi (BRIC) che trainano l’economia mondiale. La velocità della crescita del Pil non si accompagna al cambio di mentalità dove un misto di tradizione e religione relega la Donna nel ruolo di accessorio spesso ingombrante al punto tale da eliminarlo fisicamente.

di Silvia Jethmalani

L’India e’ un mondo a parte. E’ il posto dove arrivi con le tue conoscenze e convinzioni e dove sei costretto a rivedere tutto, ad interrogarti nel profondo dell’anima.
Un paese vasto, affascinante da togliere il fiato, ricco di storia e contemporaneamente una nazione terribilmente ingiusta verso Il suo stesso popolo: razzista al suo interno e ancorata a tabù millenari da farla risultare, nella realtà quotidiana degli indiani, una nazione invivibile.

Povertà, ignoranza, intolleranza verso le persone disabili, corruzione altissima e radicata come una mafia, ottuse superstizioni, violenza sulle donne, divisione delle persone in caste di appartenenza. Discriminazione sociale, condizione inumana delle vedove specialmente nelle zone non urbanizzate e la lampante disparità di trattamento del genere femminile, considerato inferiore in tutto e per tutto a quello maschile.
Questa umiliante condizione della donna è l’aspetto che più colpisce il cuore quando parli con le persone. La riscontri camminando tra i mercati o gustando il masala chai [1] nella dhaba [2] o piuttosto nel lussuoso Cafè della Starbucks. Te ne accorgi se visiti il paese da viaggiatore, non come semplice turista e acquisisci una certezza: l’india non è un paese per donne. Anche se non tutti la pensano così.

La donna non può essere indipendente e autonoma.
La mentalità Indiana e’ ancora fortemente influenzata, oltre che dai precetti della religione, dagli scritti del legislatore Manu, il quale, nella sua opera dal titolo “Manu laws” o “Codice di Manu” (testo di data incerta ma databile intorno alla nascita di Cristo) assegnava alla donna lo status di “chattel” ovvero “bene mobile” e impartiva con le sue leggi il comportamento dell’uomo induista nella vita sociale e religiosa.
Manu affermava: “Dalla culla alla tomba la donna e’ dipendente dall’uomo: nell’infanzia dipende dal padre, nella giovinezza dal marito e nell’età’ avanzata dal figlio maschio” [3].

Dalla degradante considerazione della donna nascono costumi sociali umilianti e tragedie che avvelenano l’intera società. Uno di questi e’ senza dubbio quello della dote. Questa pratica risulta attualissima in India, sebbene sia stata legalmente abolita nel 1961. Come spesso accade modificare una legge è relativamente rapido ma cambiare la mentalità radicata nelle persone può richiedere intere generazioni.

L’esistenza della donna indiana viene offesa dal momento della sua messa al mondo a quello della sua dipartita. Una bambina e’ considerata solo un pesante fardello da sfamare, da controllare, da far sposare (costringendo la famiglia a pagare una dote) e dalla quale non si riceve nessun tipo di vantaggio.

L’infanticidio femminile in India ha raggiunto livelli vergognosamente alti. Non parliamo solo di soppressione di bambine nate, fatto di per sé terribile, ma anche di feticidio femminile. La legge ha reso illegale il test per stabilire il sesso del nascituro ma le famiglie con maggiore possibilità economica ricorrono alle cliniche private e, per mezzo dell’amniocentesi, lo verificano. Se sarà una bambina, in moltissimi casi, la eliminano tramite l’aborto senza tanti rimorsi. Paradossalmente la pratica abortiva è praticata da famiglie di buon livello sociale e ricche che considerano la “femmina” una “condanna economica”, un peso, una maledizione piuttosto che dalle famiglie povere e di poca cultura.

La figlia femmina e’ vista dalla maggior parte degli indiani come un vuoto a perdere. Però costituisce un “bottino” non indifferente per la “famiglia d’acquisto”, quella del potenziale marito.
In India il matrimonio e’ generalmente combinato dai clan familiari. E’ un contratto tra due famiglie. La donna non sposa l’uomo bensì la sua intera famiglia. La moglie va generalmente a vivere con il marito nella casa dei genitori di lui. Qui subirà altre vessazioni, soprusi e ricatti.
Le coppie che si scelgono per amore, in modo indipendente, sono ancora rare e socialmente mal viste.
La dote e’ un vero e proprio flagello economico, una condanna per i genitori della sposa e l’ennesima umiliazione per lei in quanto le viene attribuito un prezzo che la possa rendere “appetibile e competitiva” agli occhi della famiglia del futuro marito.

La famiglia di lei si sente obbligata a pagare costi altissimi per il matrimonio, per i festeggiamenti e per l’ingresso della figlia nella nuova casa. Un tempo la dote consisteva generalmente in denaro e in oro. Oggi sulla scia dello sviluppo economico nel bottino della dote confluiscono anche apparecchi tecnologici, mobilio, automobili, cellulari, scooter, condizionatori d’aria, televisori ecc.
Qui il problema è proprio culturale. Legalmente non c’è nessun obbligo a investire i risparmi di tutta una vita e a indebitarsi fino alla morte per pagare la dote. Ma chi non lo fa perde la faccia, l’onore, la rispettabilità. Inoltre la figlia non troverebbe probabilmente un marito. E in India una donna non sposata è vista negativamente, disprezzata, considerata a dir poco “strana” e, soprattutto tra le persone meno abbienti dove le donne generalmente non lavorano, vissuta nuovamente come un peso per il proprio nucleo familiare.

Se la dote non e’ ritenuta abbastanza generosa, cominciano vere e proprie torture psicologiche, soprusi e ogni genere di violenza verso la sposa, per costringere i suoi genitori a sborsare ancora più soldi. E quando il denaro non arriva più la soluzione e’ quella di togliere di mezzo la malcapitata giovane consorte per far spazio ad un’altra moglie e richiedere una nuova dote.
Si contano in India ogni anno oltre 8000 “morti per dote”. La maggior parte degli omicidi vengono fatti passare per incidenti domestici. In moltissimi casi la sposa viene letteralmente bruciata viva. I parenti del marito, o lui stesso, racconteranno che la donna ha preso fuoco vicino ai fornelli mentre cucinava per l’amata famiglia allargata.

Nel caso in cui la donna pensasse di lasciare la casa del marito per paura di essere uccisa si ritroverebbe abbandonata da tutti senza sapere cosa fare e dove andare. Tornare dalla famiglia d’origine è fuori discussione in quanto dopo tutto quello che hanno speso per liberarsi di lei non sarebbero certo disposti a riprenderla in casa. Il disonore che potrebbe arrecare ai genitori e’ un altro fattore che incide sulla decisione.
Il più delle volte una moglie, se ancora in vita naturalmente, sceglie di rimanere a fare l’ospite indesiderato in casa dei suoceri nonostante tutte le prepotenze e le sopraffazioni che subisce. Poi, quando sarà il suo turno di interpretare il ruolo di madre o suocera su un’ipotetica figlia o su una nuora, commetterà gli stessi abusi un tempo subiti. E il circolo vizioso si riproduce.

La donna Indiana si ritrova in una ragnatela mortale dalla quale non riesce ad uscire. L’unico modo sarebbe quello di spezzare finalmente questa assurda catena che obbliga le donne a vivere esistenze imposte da altri, a prostrarsi ai piedi di uomini che impongono la loro legge, a sacrificare sogni progetti e sentimenti. Ma lo scotto da pagare è molto alto ma potrebbe diventare conveniente fosse solo per la sopravvivenza.

S. J. 10.10.14

[1] letteralmente: “Tè speziato misto” o semplicemente Chai è un tè aromatizzato indiano ricavato dal tè nero con una miscela di spezie ed erbe indiane. (Wikipedia)

[2] tipico ristorante indiano

[3] in originale ”From the cradle to the grave a woman is dependent on a male: in childhood on her father, in youth on her husband, in old age on her son”. Tratto dal libro May you be the mother of a hundred sons di Elisabeth Bumiller, ed. Penguin Books

India: le legge non riesce a fermare le tradizioni che opprimono le donneultima modifica: 2014-10-10T19:10:14+02:00da
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