Il circolo PD di Washington dà la linea ai circoli italiani contro il populismo

il nuovo “ordine compagni” del Pd ha fatto ridere pure i pennivendoli della stampa…ma quanto è interessato il Pd alla partecipazione dal basso, commovente…la stampa scrive che forse nemmeno quella dall’alto interessa il Partito….ah no eh? Tipo banchieri e massoni alla De Benedetti non comandano il Pd no vero? Si chiedono i pennivendoli chi lo abbia costituito….se non “investigano” loro…ma non è che ci voglia gran fantasia per arrivarci..Ecco le “direttive” per riprendere per i fondelli la gente…Le sinistre non hanno saputo rispondere ai cambiamenti dovuti alla globalizzazione….eh già, le sinistre mica l’han sostenuta, promossa, avallata, legalizzata?
 

Pd washington

Sapevate che esiste un Circolo PD di Washington? Ebbene non solo esiste ma prende iniziative importanti, come stilare report a uso dei circoli italiani e dar vita a una Task force anti-populismo e proposte concrete per “portare il Partito Democratico a più stretto contatto con i cittadini”. Una novità non da poco.
Al tempo del PCI erano Comitato Centrale e Segreteria a dare la linea, che giù per li rami delle federazioni arrivava ai circoli territoriali sparsi sul territorio. Col PD il percorso è diventato più vago, i circoli meno attivi, fino alla loro recente quasi-dismissione con la segreteria di Matteo Renzi, poco sensibile alla partecipazione dal basso – e forse anche dall’alto. Che farsene dei circoli (e degli iscritti) se tutto viene deciso al vertice, anzi, nel ‘cerchio magico’, e le primarie sono aperte a chiunque, di destra, sinistra o centro?
Adesso, con l’incalzare dei ‘populismi’, sembra che qualcosa stia cambiando, a giudicare dalla lunga mail in arrivo dai Circoli agli iscritti e ai simpatizzanti /elettori delle primarie. Uno di loro ce l’ha girata, sorpreso dai contenuti, ma prima di tutto dalla novità di cui sopra. Ovvero dal ruolo inedito del fantomatico Circolo di Washington D.C. di cui nulla peraltro si dice nella mail. Chi lo ha costituito, e quando? Chi rappresenta? Chi ne fa parte? Mistero.
Come che sia, è da questo Circolo americano che è partita, “l’indomani della vittoria elettorale di Donald Trump”, la riscoperta delle “comunità politiche” sulle quali investire per “dar voce ai cittadini” a partire dai circoli Pd (quelli che esistono e dono ancora attivi).
 
Una novità in sé positiva, se non fosse che l’obiettivo non è tanto quello di promuovere un dibattito ampio nella base piddina sulla linea politica del partito – come suggeriva Fabrizio Barca, per intenderci – quanto la lotta al cosiddetto populismo. E che a promuovere le iniziative, si specifica, sarà la Task force Anti-Populismo che viene definita “ un gruppo di lavoro internazionale coordinato dal PD di Washington”.
La task force si è già attivata e ha prodotto un rapporto con 15 proposte da girare ai circoli PD italiani – magari anche di altri paesi europei. Si legge infatti nella prefazione: “ Il presente lavoro nasce(…) dalla constatazione che i grandi partiti democratici in Europa non stiano dando risposte soddisfacenti per rimediare ai fattori scatenanti del populismo e di conseguenza sono particolarmente vulnerabili ad effetti quali disincanto democratico, deficit di rappresentanza, disimpegno dei cittadini dalle responsabilità civiche, risentimento e frustrazione nei confronti delle élites, opposizione alle soluzioni offerte dalle istituzioni e dagli esperti, rabbia nei confronti della diversità”.
Le due cause che hanno scatenato questi malesseri secondo questa analisi hanno entrambe a che fare con la globalizzazione. Sintetizziamo:
La prima fa riferimento alla “contrapposizione nuova tra ‘perdenti’ e ‘vincenti’ della globalizzazione – non sovrapponibile alla vecchia dialettica capitale vs lavoro (…) Da qui “la difficoltà nella rappresentazione politica dei ‘perdenti’, soprattutto usando vecchie retoriche di sinistra”. Si sapeva da tempo.
Con la seconda causa si entra un po’ più nel merito, riconoscendo che “accordi internazionali in Occidente per rendere possibile la globalizzazione hanno limitato lo ‘spazio di azione’, soprattutto in Europa. “ I programmi e le politiche dei partiti principali sono diventati sempre meno distinguibili e facile bersaglio dei partiti populisti, che si fanno invece promotori di politiche radicali e percepite come potenzialmente risolutive ”.
 
Conseguenza di quella che viene chiamata ‘degenerazione populista’ è “l’intensificarsi di messaggi a sfondo razzista, xenofobo e misogino, che alimentano il malcontento per trasformarlo in arma contro determinati obiettivi. Vedi i rifugiati e migranti. Messaggi amplificati dai social “.
 
Quindi? “Prioritario è normalizzare’ il discorso politico”, viene detto . Spiegando che la ‘ strategia del terrore’ non paga – come si è visto con Brexit e Trump : non solo è inutile ma anche dannosa perché “radicalizza ulteriormente la contrapposizione élite-popolo” e fa apparire poco solide le istituzioni democratiche.
“ Il PD deve trasformarsi in grande movimento democratico … coinvolgendo gli elettori per ristabilire un rapporto di fiducia fra i cittadini e i loro rappresentanti in parlamento, nella segreteria, nei circoli. E’ questa la MISSIONE del PD, il cui successo dipende dalle politiche ma anche dal ricostituire il rapporto con le persone, guadagnando la fiducia anche dell’elettorato influenzabile dalle ideologie populiste.
Segue il nuovo approccio all’iniziativa dei Circoli, che dovranno “elaborare risposte e strategie per ‘rimediare ai fattori scatenanti del populismo”. Si tratta di rafforzare le forme di partecipazione alla vita politica e al PD; di promuovere il coinvolgimento dei cittadini nella formulazione di nuove politiche e di adottare forme di comunicazione adeguate; nonché di migliorare la capacità del PD di agire sul territorio. Un ritorno alle origini? Apparentemente, perché le modalità suggerite sono nuove, adatte ai tempi della comunicazione via web. Come lo sono già quelle di certi partiti populisti, vedi il M5S al quale si fa spesso riferimento.
 
Significativo che si chieda “formalmente all’Assemblea Nazionale di considerare le proposte contenute in questo rapporto e di sostenerle, anche con risorse finanziarie”. Segno che l’iniziativa del Circolo PD di Washington non è ancora ufficialmente adottata dal partito.
 
Le 15 proposte si suddividono in tre gruppi, considerati “i tre pilastri fondamentali” sui quali deve basarsi la partecipazione alla cosa pubblica. Sintetizziamo:
 
A. La componente digitale della comunicazione politica. Si tratta di: investire sulle tecnologie per la campagna elettorale, come già fece Obama; sviluppare forum e comunità politiche online sul modello di Rousseau , la piattaforma del M5S; garantire ai circoli servizi informatici , creando un Centro risorse, una pagina Fb e account Tw del PD; : combattere la post-verità, sviluppando un sistema efficace per verificare fatti e favorendo l’accesso e lo scambio di informazioni online; proporre con i parlamentari PD una campagna per la regolamentazione delle info che girano sui social (si fa riferimento a un blog in inglese, il cui link però non funziona); prendere spunto da tecniche di partiti populisti per aumentare le condivisioni su Fb e altri social; costruire una narrazione politica positiva, evitando gli errori commessi con Brexit e nelle elezioni Usa
bisogna focalizzarsi su alternative reali …globalizzazione e disuguaglianze non vanno date per scontate … occorrono proposte reali e concrete…Ma gli esempi si limitano a “modelli innovativi di protezione sociale e di fornitura di servizi più efficienti per i cittadini”, un nuovo welfare insomma.
B. La partecipazione attiva a livello locale e la ricerca di nuove forme di coinvolgimento sul territorio è il secondo pilastro. Vale a dire di creare nuovi luoghi di discussione a livello quartiere/paese, anche impiegando professionisti/ community managers; aiutare i circoli, fornendo loro dei vademecum di cosa sono ovvero dovrebbero essere; incentivare i buoni circoli, con premi in denaro ai meritevoli, da usare per la comunità locale; riportare piena trasparenza delle iscrizioni e delle cariche di segreteria; ricostruire il rapporto tra parlamentari e circoscrizione; prevedere ‘inviati speciali’ nelle aree difficili; utilizzare il volontariato.
 
C. Il terzo pilastro riguarda la diffusione del principio del governo aperto ( opengov),volto a rendere i processi decisionali trasparenti e partecipati, alla portata di tutti. “La retorica populista batte molto sull’opacità dei processi decisionali pubblici, tacciati di scarsa legittimità o di supposte influenze indebite da parte dei “poteri forti”, viene spiegato. La possibile risposta consiste nel diffondere il principio dell’opengov per rendere trasparenti e partecipati i processi decisionali – sia all’interno del PD sia proponendo un modello di governo aperto. E’ questa la 15ma proposta, non da poco se venisse attuata.
 
“Un tema trasversale rispetto a questi tre punti – si aggiunge – è una riforma nella gestione strategica dei circoli “ che devono diventare luoghi aperti, accoglienti, dove i cittadini trovino un vero ascolto”.
 
Le CONCLUSIONI, infine, dove si ammette apertamente che “ il metodo serve a poco senza contenuti. Constatando che “ questo rapporto ha deliberatamente evitato di entrare nel merito dell’agenda politica del PD, lasciando da parte temi caldi del dibattito quali immigrazione, crescita economica, sicurezza, lavoro”. “Il successo dei movimenti e dei leader populisti nasce anche dall’ incapacità dei partiti di centrosinistra di elaborare politiche adatte agli enormi cambiamenti che le società occidentali hanno attraversato negli ultimi decenni . Globalizzazione economica, movimenti migratori e nuove tecnologie hanno reso la società sempre più complessa. I sistemi di welfare faticano ….
 
Servono NUOVE POLITICHE insomma – anche se non può spettare ai circoli elaborali, par di capire. E però : “Siamo convinti che i problemi si risolvano meglio e più velocemente se le comunità promosse dai partiti sono unite e solidali, favorendo un clima di fiducia”.
 
“Al ‘movimento’ ed alla democrazia diretta, rispondiamo con il “partito delle comunità” e con la democrazia rappresentativa”. Una aperta SFIDA al M5S.
di Maria Grazia Bruzzonme – 29/01/2017
Fonte: La Stampa

Chi l’avrebbe mai detto! Transparency International finanziato da Soros accusa i populisti di corruzione

lobby bruxellesma per fortuna nell’Europa dei popoli, dove governano ininterrottamente partiti neoliberisti, globalizzatori, guerrafondai umanitari, cosiddetti socialisti la corruzione non sanno mica cosa sia vero? Chissà cosa ci faranno mai i 30 mila lobbisti a Bruxelles….mica per allungare mazzette… Dal FQ (dove c’è la chiara denuncia di una europarlamentare del M5S)
Secondo le stime di Corporate Europe, a Bruxelles ci sono circa 1500 lobby e 30mila lobbisti professionisti impegnati nel cercare di influenzare il percorso legislativo europeo
 
Ovvio che questa “democrazia” vada difesa dai populisti…

Transparency International – l’organizzazione con sede a Berlino i cui sondaggi sulla “corruzione percepita” non fanno altro che dimostrare come sia efficace la propaganda che dipinge certi paesi come più corrotti di altri – ha condotto uno studio secondo il quale i cosiddetti “populisti” che si aggirano per l’Europa non darebbero abbastanza garanzie di lotta alla corruzione. L’evidente faziosità di questo studio si spiega agilmente guardando alle fonti di finanziamento di questa organizzazione, tra le quali figura uno dei personaggi viventi  più pericolosi per la democrazia. Via Russia Today
Mentre le élite UE si sentono minacciate dall’attuale rivolta populista, volta a porre fine a programmi di immigrazione facile ed incontrollata ed a promuovere il nazionalismo al posto della globalizzazione, un autorevole think tank sostiene che – tenetevi forte – il populismo alimenta la corruzione.
Transparency International, ente anti-corruzione con sede a Berlino, nel suo annuale Indice di Percezione della Corruzione mette in guardia contro i presunti pericoli del populismo, quell’animale politico che di tanto in tanto si aggira fra le nazioni, come una forza della natura, per lottare contro gli eccessi di una minoranza elitista che ha perso il contatto con la realtà.
 
Il populismo è la cura sbagliata” ha dichiarato il presidente di TI Jose Ugaz, pur senza offrire ricette alternative. “Nei paesi governati da leader populisti o autocratici, si assiste spesso al declino della democrazia e ad un’inquietante frequenza di tentativi di repressione della società civile, di limitazione della libertà di espressione, e di attacchi all’indipendenza della magistratura.
 
Lungi dal combattere il capitalismo clientelare, questi leader solitamente finiscono con l’istituire sistemi ancora più corrotti” ha aggiunto Ugaz.
In tema di corruzione, l’osservatorio si improvvisa come esperto nella lettura del pensiero, asserendo che i politici populisti “non hanno intenzione di affrontare seriamente il problema [della corruzione].
Lo studio mette sotto accusa alcuni fra i politici più controversi, come Donald Trump (USA), Marine Le Pen (Francia), Jaroslw Kaczynski (Polonia) e Victor Orban (Ungheria), che  hanno scalato le classifiche di consenso popolare del loro elettorato dichiarando guerra aperta ad un establishment ormai agonizzante.
 
Transparency International lancia l’allarme su questi “truffatori” della politica, in quanto “emotivi, localisti e spesso di destra…” rilevando però nel contempo che questi indisciplinati nuovi arrivati “hanno saputo sfruttare la delusione della gente nei confronti di un ‘sistema corrotto’ e presentarsi come l’unica ‘via d’uscita’ dal circolo vizioso appena descritto…
Pur fra tutte le riflessioni dedicate ai potenziali rischi relativi ai nuovi sovversivi, lo studio vistosamente omette qualsiasi riferimento alle cause della disaffezione di così tante persone verso i soliti noti politici di carriera, che, va detto, sono colpevoli di crimini ben più gravi della semplice corruzione.
In troppi casi si è trattato di complicità in vere e proprie stragi, dai cruenti cambi di regime in posti come l’Iraq, la Libia, l’Afghanistan, alle operazioni tuttora in corso in Siria, fino alla devastazione della civiltà occidentale dovuta all’immigrazione incontrollata di profughi senza il consenso dei cittadini. Quando anche i paesi membri della NATO dovessero sentirsi in colpa per la loro diretta complicità negli omicidi seriali di intere nazioni, la soluzione non sarebbe certo costringere i loro cittadini ad accogliere sul territorio nazionale gli sfollati di queste zone di guerra.
 
Tenendo conto delle losche azioni perpetrate da numerosi paesi della NATO, tanta preoccupazione sull’alto grado di corruzione appare piuttosto esagerata e fuori luogo. A costo di scadere nel cinismo, distinguere la corruzione dalla politica equivale a distinguere l’uovo dalla gallina, e, come ci ricorda il famoso indovinello, è molto difficile dire quale dei due sia nato prima.
 
E già che siamo in tema di corruzione. Il livello di corruzione nello schieramento della Clinton, rivelato da WikiLeaks alla vigilia delle elezioni presidenziali del 2016, è semplicemente sconcertante, e dovrebbe bastare a precludere qualsiasi ramanzina sulla buona educazione da parte dei signori di Transparency International.
Tanto per iniziare, a novembre si è scoperto che la Clinton Foundation aveva ricevuto una ‘donazione’ da 1 milione di dollari dal Qatar senza informarne il Dipartimento di Stato,  violando così una convenzione che la obbligava a rendere pubbliche tutte le donazioni ricevute dall’estero. L’assegno sarebbe stato un regalo di compleanno all’ex presidente Bill Clinton nel 2011 per i suoi 65 anni. In base ad un’email pubblicata il mese scorso, sembra che ad un certo punto ci sarebbe stato un incontro fra lui ed alcuni funzionari del Qatar, ma non è chiaro se ciò sia poi realmente accaduto.
Al tempo stesso, è anche emerso che l’Arabia Saudita ed il Qatar, oltre ad elargire generose donazioni alla Clinton Foundation, stavano anche armando e finanziando i militanti dell’Islamic State. Ora ditemi se questo non è un caso di corruzione da manuale.
 
Non è dunque un caso se i populisti sono apparsi ovunque nel mondo, più o meno nello stesso momento, in risposta alla domanda di nuova leadership. Il fatto che la Francia abbia la sua versione di Donald Trump nella persona di Marine Le Pen potrebbe sorprendere solo chi non segue gli eventi internazionali, o non è adeguatamente informato in proposito.
Proprio adesso che molti politici occidentali, ed i loro partiti di appartenenza, rischiano di sparire dalla circolazione (negli stati di maggior spicco dell’UE si assiste oggi ad una feroce lotta tra le loro fila, a causa della spettacolare ascesa di politici anti-establishment di estrema destra, come Le Pen in Francia, Geert Wilders in Olanda e Frauke Petry in Germania), è alquanto sospetto che Transparency International pubblichi uno studio per mettere in guardia gli elettori contro il rischio di essere raggirati da demagoghi di destra.
Ma c’è una spiegazione molto semplice per la faziosità di questo studio, dovuta all’enorme conflitto di interesse in cui si trovano i suoi sponsor.
Dacci dentro, George!
 
Se voleste fare una ricerca di consumo su un certo prodotto, lascereste condurre il sondaggio al produttore di quel prodotto, o preferireste affidare il compito ad un organismo indipendente? Immagino sia quasi impossibile non convenire che il modo più sicuro ed affidabile sia commissionare il lavoro ad una terza parte indipendente dall’azienda. Ciò ridurrebbe drasticamente il rischio di pervenire a risultati inesatti, causati da quella cosa chiamata ‘interesse personale.’
 
E proprio in questo sta il difetto eclatante, non solo di questo studio, ma della stessa Transparency International nella sua funzione di osservatorio indipendente.
Una veloce occhiata alla sua lista di sponsor dovrebbe fugare ogni dubbio sul perché Transparency International si mostri estremamente diffidente con i politici populisti che stanno agitando le acque del potere in Europa.
Oltre a ricevere donazioni da vari governi (giusto per nominarne qualcuno, la Germania, il Regno Unito, gli Stati Uniti, l’Irlanda, l’Estonia e la Finlandia), TI è finanziata da alcuni tra i più pericolosi personaggi viventi per la democrazia, addirittura con la gentile partecipazione del finanziere e filantropo George Soros in persona.
Nella scaletta degli sponsor di TI, l’Open Society Institute (OSI) e l’Open Society Initiative for West Africa (OSIWA) si piazzano subito dopo il National Endowment for Democracy (NED), una lobby travestita da non-profit sponsorizzata dal governo americano.
Questo ne fa ovviamente l’ultima organizzazione da cui ci si potrebbe attendere un’opinione obiettiva sull’avanzata dei nuovi soggetti politici a livello mondiale. Lo stesso George Soros si è reso di fatto in larga parte responsabile per il flusso massiccio di profughi verso l’Unione europea, arrivando persino ad offrire incentivi in denaro ai rifugiati desiderosi di intraprendere il lungo e pericoloso viaggio dal Medio Oriente al continente Europeo.
Chi se ne importa se nessuno fra questi sfollati, che peraltro meritano tutta la nostra solidarietà, finirà col vivere nello stesso quartiere di Soros, il quale può comunque tranquillamente permettersi tutta la protezione personale che si rende indubbiamente necessaria quando si adottano politiche così sconsiderate. Per i comuni cittadini europei, costretti ad accogliere milioni di nuovi arrivati, con i quali non condividono le stesse preferenze religiose, sociali e culturali, né in molti casi lo stesso livello di scolarizzazione, questo esperimento sociale condotto per il capriccio di un miliardario è invece la quintessenza della dissennatezza.
Perciò non sorprende che lo studio di TI prenda di mira in particolare il Primo Ministro ungherese Victor Orban. Proprio questo mese, Szilard Nemeth, vice presidente del partito di governo Fidesz, ha dichiarato la sua intenzione di utilizzare “tutti i mezzi a disposizione” per “eliminare” le ONG finanziate dallo speculatore di origine ungherese, perché “sono al servizio del capitalismo globalizzatore ed impongono il politicamente corretto al di sopra dell’interesse nazionale.
 
Ma questo è ancora nulla in confronto al premio conferito da Transparency International nientemeno che all’ex-Segretario di Stato americano Hillary Clinton nel 2012, per “la sua attenzione verso l’importanza di rafforzare la trasparenza e contrastare la corruzione come parte integrante della politica estera USA, un premio destinato esclusivamente per questi contributi.” Va da sé che questo premio ha generato notevole scetticismo in tutto il mondo.
Il livello di conflitto di interesse di questo studio di TI è talmente spettacolare da rappresentare, come è il caso per tante altre oscure stanze del potere nell’UE di oggi, praticamente un invito all’applicazione della stessa trasparenza tanto predicata da loro.
posted by Redazione febbraio 6, 2017
di Robert Bridge, 30 gennaio 2017
Traduzione di Margherita Russo