Non condannate “Left”, è il naturale epilogo di una sinistra che molla Peppone per abbracciare Soros

Chi siano gli “elmetti bianchi” e quale sia stato il loro compito nella guerra in Siria è noto ma la stampa, operando da grancassa della coalizione anti-Assad, li ha sempre dipinti come degli angeli che mettevano la loro vita al servizio di quella degli altri, salvando tutti, persino i miliziani fedeli a Damasco, se ne avessero avuto bisogno. Bene, qualche breve nota biografica. La Syria Civil Defense (SCD) – i cui membri sono chiamati comunemente “elmetti bianchi” – è una organizzazione civile finanziata dagli Stati Uniti e dal Syrian National Council (l’opposizione armata siriana nata nell’agosto 2011 per combattere contro il governo di Bashar al-Assad): viene fondata in Gran Bretagna e inizia la sua attività nel 2013, grazie a finanziamenti statunitensi e britannici. Fondatore degli “elmetti bianchi” è questo signore Risultati immagini per james le mesurier
James Le Mesurier, un ex ufficiale dell’esercito britannico. Nato a Singapore e cresciuto in Inghilterra, dopo aver superato brillantemente la sua formazione militare presso la prestigiosa Royal Military Academy di Sandhurst, è stato destinato al reparto d’elites dei Royal Green Jackets, reggimento di fanteria dell’esercito britannico in forza al quale ha compiuto missioni operative in Irlanda del Nord, in Kosovo e infine in Bosnia. Lasciato l’esercito, ha lavorato per le Nazioni Unite, poi l’Unione europea e infine ha abbracciato la causa umanitaria, fondando l’organizzazione di protezione civile Syria Civil Defense (SCD), la cui sede principale attualmente è a Dubai. Insomma, di tutto si può parlare tranne che di spontaneismo. E se questa grafica, Risultati immagini per james le mesurier
 
preparata da un’emittente inglese, non dalla tv di Damasco, ci mostra su quali contatti di bassissimo livello possano godere gli “elmetti bianchi”, questi video
ci mostrano in realtà quale sia stata la loro funzione: propaganda allo stato puro contro Assad prima e poi contro l’intervento russo al fianco delle truppe di Damasco, iraniane ed Hezbollah.  Bene, questa left
 
è invece la foto pubblicata nella pagina Facebook dal settimanale Left, sorto dalle ceneri di Avvenimenti, già allegato dell’Unità e autodefinitosi “A sinistra senza inganni”. Per questi signori, nel numero in edicola domani, gli “elmetti bianchi” sono le persone dell’anno del 2016. Insomma, chi ha fiancheggiato i terroristi in Siria, merita un premio, un riconoscimento pubblico. Ora, in un Paese dove quatti quatti ci scodellano la soluzione preconfezionata del caso Regeni quando abbiamo ancora la testa obnubilata dai fumi enogastronomici del Natale, può accadere di tutto ma la cosa grave non è “Left” (il quale, immagino, sia letto dai redattori e da pochi congiunti di buon cuore), è cosa “Left” rappresenti.
Ovvero, la degenerazione di una sinistra che in nome della globalizzazione come valore assoluto ha gettato alle ortiche Peppone per abbracciare George Soros. E se ne vanta, oltretutto.
E’ la stessa sinistra blairiano-clintoniana che si è bevuta la narrativa della pulizia etnica in Kosovo (dove, stranamente, il fondatore degli “elmetti bianchi” operava in un reparto d’elite, immagino in sostegno dei terroristi-narcos dell’UCK), salvo tornare brevemente pacifista in favore di telecamera quando tre suoi guru rispondenti ai nomi di Piero Pelù (quello delle matite cancellabili al referendum che oggi si scopre fare investimenti con il circolo renziano), Jovanotti e Ligabue hanno deciso che era ora di dire “mai più” alla guerra.
 
Il Mio Nome è Mai Più
In compenso, per 72 giorni la Serbia è stata devastata dai bombardamenti NATO, benedetti da un governo di sinistra che ha aperto le porte di Aviano ai caccia.
Motivo scatenante dell’intervento?
La falsa strage di Racak, smentita a guerra finita dal patologo del Tribunale Penale Internazionale per la ex-Jugoslavia, Emilio Perez Pujol (intervista al Sunday Times e a Le Monde) ma tramutata in casus belli dalla coppia d’oro del mondialismo da Terza Via, ovvero Madeleine Albright e Richard Hoolbroke. Disgregata a dovere la Jugoslavia, restava la Serbia a dare fastidio ai piani egemonici della NATO ad Est e nei Balcani: et voilà, una bella “guerra umanitaria”, ossimoro che è la carta d’identità della sinistra rappresentata da “Left” e dalla sua copertina.
E vogliamo parlare di come la sinistra di lotta e di governo si sia adeguata alle esigenze atlantiste dell’intervento in Afghanistan prima, per vendicare l’11 settembre (casualmente responsabilità, almeno finanziaria, saudita, ovvero principale alleato Usa nel Golfo), in Iraq poi, guerra giustificata dalle fialette piene di Aulin di Colin Powell e infine di tutte le cosiddette “primavere arabe”, sponsorizzate da Dipartimento di Stato e Soros Foundation?
Non si può parlare di buona fede, perché ognuna di queste guerre ha portato con sé e lasciato sul terreno prove sufficienti a smontare i motivi istituzionali e rivelarne l’agenda nascosta: se supportano quelle guerre, quelle strategie, quelle scelte geopolitiche, è perché o le si condivide o si è in malafede e, quindi, ontologicamente dalla parte del più forte. Siamo passati da una sinistra che vedeva complotti CIA ovunque negli anni Sessanta, Settanta e Ottanta e una sinistra che dei desiderata della CIA è paradossalmente un’emanazione mediatico-politica.
Siamo passati dall’adorazione per l’URSS alla criminalizzazione tout court di Vladimir Putin, con cotè di applausi e occhi lucidi a ogni nuova sanzione comminata contro Mosca. Siamo passati dal denunciare la repressione britannica in Irlanda del Nord, brandendo Bobby Sands come esempio, a dedicare la copertina del settimanale “a sinistra senza inganni” a quegli stessi “elmetti bianchi” fondati da uno che in Ulster sparava e metteva in pratica operazioni psyops di guerra psicologica.
 
La Terza Via, il grande inganno della globalizzazione, ci ha portato a questo: incarnare, declinare e incastonare nel contesto globale come progressista ciò che in realtà è potere allo stato puro, imperialismo, terrorismo finanziario, destabilizzazione.
L’orrore di conradiana memoria oggi è il mainstream, mascherato da umanitarismo. A testimonianza di questo c’è la nuova arma della sinistra: la post-verità, le “fake news”, il “linguaggio d’odio”, ovvero bollare come bufale tutte le notizia che escono dallo schema narrativo di Usa e soci e che vanno a infrangere il totem del politicamente corretto.
Quanti ospedali pediatrici distrutti dai russi hanno pianto su “L’Unità”, su “Repubblica” e sicuramente su “Left”? Ora scopriamo che erano utilizzati dai cosidetti ribelli moderati come deposito per le armi e scopriamo anche che “Medici senza frontiere” non ha mai avuto alcun ospedale in Siria e che non comunica le coordinate delle strutture che supporta, nonostante il suo presidente lanciasse accuse pesantissime come queste
nei confronti delle truppe di Damasco. E la post-verità sarebbe quella dei blog e della stampa indipendente? Le bufale sarebbero quelle di chi sta con Putin e non con Al-Baghdadi o Al-Nusra?
 
La questione è culturale, prima che strategica. Una sinistra che ha contrabbandato e svenduto i diritti dei lavoratori per quelli LGBT, accettando la riduzione in schiavitù di massa dei voucher in nome delle unioni civili (andate a vedere quante ne sono state celebrate dall’ok al Ddl Cirinnà e quanti milioni di voucher sono stati venduti) e della dittatura del piagnisteo è null’altro che il cavallo di Troia della mercificazione totale della società, schematizzata in genere e non più percepita in classi.
Una sinistra che scambia un pianificato piano di destabilizzazione per accoglienza, ha violentato e ucciso se stessa: accettare che la nuova rivoluzione sia quella globalista del “no borders” e non più quella dell’uguaglianza sociale e dei diritti reali per chi ha davvero bisogno – e non per chi viene qui a svernare da Paesi non in guerra, chiedendo wi-fi più potente e pasti gourmet in attesa di andare a sfruttare, da vero parassita, il welfare tedesco o svedese – equivale ad abdicare dallo status di pensiero politico per adagiarsi in quello più comodo (e, a volte, remunerativo) di gadget del pensiero unico.
Chi paga infatti il conto di questa situazione? Le periferie e i ceti deboli, non certo chi abita in centro o magari a Capalbio, paradiso della sinistra in tweed che i migranti non li ha voluti ma ha preferito scomodare amicizie politiche per ottenere lo stesso risultato cui anelavano gli abitanti di Gorino con i loro blocchi stradali. Ci vuole classe anche nell’essere “razzista”, l’ipocrisia è bene supremo e motore immobile. Bollare come fascista il fatto che la sicurezza sia il primo dei diritti che i ceti meno abbienti reclamano è suicida, tanto più che quel campo è divenuto non a caso feudo e bacino elettorale della destra, più o meno centrista). Dichiarare gli “elmetti bianchi” persone dell’anno è soltanto l’epilogo naturale di un processo metastatico iniziato anni fa. Ma occorre prendere atto che il cambio di paradigma scompagina molte logiche, ottunde molte menti e incattivisce molti animi: anche a destra, dove un anti-comunismo d’antan spinge molti a vedere nella Russia di Putin la minaccia rossa, patologia che negli anni Settanta portò molti “fascisti” a fare il gioco della CIA e di Gladio in chiave anti-sovietica. State sereni, ci sarà tempo per riflettere. E pentirsi amaramente.
Di Mauro Bottarelli , il 29 dicembre 2016

LA TERRIBILE CRONISTORIA DELL’OMICIDIO DI GHEDDAFI

ed i diritto umanisti tanto politically correct sedicenti antirazzisti pacifisti si sono dati tanto da fare ad organizzare sit in in favore dei cosiddetti ribelli moderati, a diffamare la Jahmayria, a fornire racconti epici eroici di questi “combattenti” per la libertà contro il despota e GUAI A DUBITARE, ad inventare fantomatiche fosse comuni mentre occultavano gli eccidi, stupri e sterminio dei neri di Tawerga per esempio (strano per dei sé dicenti antirazzisti)…e poi come non pensare alla malafede ed al loro servizio e devozione verso i liberatori di sempre della NATO ? Ora non dovrebbe essere complicato capire subito chi lavora per i guerrafondai assassini a stelle e strisce, il copione della primavera o rivoluzione colorata è identico, Libia, Ukraina, Siria, ora Polonia e ..gli stessi stati uniti anti – Trump (che non gradisce i piani di espansione militare tanto cari alla Kilary e seguaci).
Il pezzo di Jean Paul Pougala del 14 aprile 2011 su Pambazuka News titolava “Le bugie dietro la guerra occidentale in Libia” descrive come l’Africa inizialmente avesse sviluppato il proprio sistema di comunicazioni transcontinentali comprando un satellite il 26 dicembre 2007: l’African Development Bank aveva sborsato 50 milioni di dollari dei 400 necessari, la West African Development Bank ne aveva aggiunti 27.ghedafi
La Libia aveva contribuito con 300 milioni, rendendo l’acquisto possibile.
Pougala scrive quando tutto è già in opera, il nuovo sistema “connetteva tutto il continente a livello telefonico, radiofonico e televisivo, oltre ad altre applicazioni tecnologiche come la telemedicina e l’insegnamento a distanza”.
Dopo 14 anni di perdite di tempo del FMI e della Banca Mondiale, la generosità del leader libico Muammar Gheddafi aveva permesso l’acquisto, che aveva evitato alle nazioni africane di richiedere un prestito di 500 milioni per avere accesso ad un satellite ed aveva privato le banche occidentali di potenziali miliardi in prestiti ed interessi.. al tempo, Gheddafi stava anche cercando di creare un sistema bancario trans africano basato sull’oro, per liberare il continente dai vincoli finanziari con il FMI e la Banca Mondiale – questo avrebbe gravemente danneggiato i due predatori.
 
Fin dal 2003 Gheddafi aveva lavorato sodo per ristabilire la sua reputazione di finanziatore del terrorismo, rinunciando a qualsiasi futuro supporto alle organizzazioni terroristiche e creando un fondo per le vittime dei voli Pan Am 103 e UTA 772, entrambi abbattuti da attacchi terroristici, dei quali si sospettava un finanziamento libico. Il 10 dicembre 2007 Gheddafi si era recato in Francia per un incontro con il Presidente Nicolas Sarkozy.
Durante il loro incontro dell’11 dicembre all’Eliseo, Gheddafi E Sarkozy avevano siglato accordi per un valore di 15 miliardi di dollari riguardo forniture militari e la costruzione di una centrale nucleare, ma ciò che più contava oltre al commercio era già in agenda. In un report del 12 marzo 2012, il consorzio di giornalismo investigativo Mediapart dichiarava “Secondo informazioni contenute in un report confidenziale preparato da un esperto francese di terrorismo e finanziamenti al terrorismo stesso, la campagna elettorale presidenziale del Presidente Sarkozy del 2007 aveva ricevuto almeno 50 milioni di euro di fondi neri dal regime del dittatore libico Muammar Gheddafi”. Documenti diffusi da Mediapart l’11 settembre 2016 confermano che le relazioni finanziarie tra Sarkozy e Gheddafi risalivano almeno al 10 dicembre 2006.
 
(Appena diffuse queste informazioni nel 2012 Sarkozy aveva negato di aver ricevuto denaro libico come finanziamento – pratica illegale in Francia, che lo avrebbe potuto condurlo al carcere – e aveva tentato di denunciare Mediapart. Tuttavia, parte un’investigazione ufficiale sulla condotta di Sarkozy era trapelata sul sito di Mediapart e le prove riconducevano direttamente al fatto che il Presidente francese aveva ricevuto il denaro).
Gheddafi aveva capito che a causa dell’iniziativa del satellite e della sua proposta di un sistema bancario panafricano (delle quali sicuramente l’occidente era a conoscenza), la sua popolarità presso i leader occidentali era in terribile calo, tanto da renderlo un possibile obiettivo di un “cambio di regime”, perciò aveva sperato che finanziando il leader francese si sarebbe comprato un’assicurazione sulla vita.
 
Nel frattempo aveva fatto del suo meglio per apparire come un uomo di stato pro-occidente. Nell’agosto del 2008 Gheddafi aveva firmato accordi con gli USA formalizzando la compensazione per le vittime del terrorismo di stato e nel settembre 2008 Condoleeza Rice aveva visitato la Libia e dichiarato che le relazioni tra le due nazioni stavano entrando in una “nuova fase”.
 
Nel febbraio 2009, però, Gheddafi era stato eletto Presidente dell’Unione Africana e per la prima volta aveva reso pubblica la definizione “Stati Uniti d’Africa” e aveva suggerito la possibilità di un sistema bancario panafricano. (Profeticamente il 12 marzo 2009 Sarkozy aveva introdotto la Francia nella NATO, violando una tradizione risalente ai tempi di De Gaulle). Successivamente, in Agosto del 2009, Abdelbaset Ali al-Megrahi – pregiudicato per aver partecipato al bombardamento del volo Pan Am 103 – fu rilasciato dal carcere in Scozia ed accolto come un eroe al suo ritorno in Libia, più tardi lo stesso anno la Libia aveva siglato un accordo con la Russia per l’acquisto di 1.8 miliardi di dollari in armi. Questi eventi non migliorarono la posizione di Gheddafi agli occhi dei leader occidentali.
Per di più, il piatto era molto ricco. Prima della caduta di Gheddafi, la Libia aveva riserve liquide per 150 miliardi di dollari, oltre alle 143 tonnellate di oro nelle casseforti di Gheddafi. Come aveva scritto Pougala “[Larga parte di questo denaro] era stata accantonata come contribuzione libica per tre progetti fondamentali che sarebbero serviti a dare l’ultimo tocco alla Federazione Africana – la African Investment Bank a Sirte, Libia, la creazione, nel 2011, del Fondo Monetario Africano, e la creazione della Afrcan central Bank ad Abuja in Nigeria, che iniziando a stampare valuta africana avrebbe suonato un requiem per il franco CFA, attraverso il quale Parigi aveva tenuto al giogo vari stati africani per più di 50 anni”.
 
Il 7 giugno 2016, Bob Fitrakis scrive su Black Opinion:
 
le vere ragioni dell’attacco sono state spiegate da uno dei più famosi sicari economici statunitensi, John Perkins.
Perkins spiega che l’attacco alla Libia, come quello all’Iraq, ha a che fare solo con il controllo delle risorse, non solo petrolio, ma anche oro. La Libia ha il più alto standard di vita in Africa. Secondo il FMI, la Banca Centrale Libica è al 100% di proprietà statale. Il FMI stesso stima che la banca abbia riserve in oro per quasi 144 tonnellate.
La NATO è andata in Libia come un moderno pirata per saccheggiarne l’oro. I media russi, oltre a Perkins, hanno scritto che il panafricanista Gheddafi, l’ex Presidente dell’Unione Africana, sosteneva che l’Africa avrebbe usato l’abbondante oro presente in Libia e Sud Africa per creare una valuta africana basata sul dinaro aureo.
 
È significativo che nei mesi che hanno portato alla risoluzione dell’ONU che ha permesso agli USA ed ai loro alleati di invadere la Libia, Muammar al-Gheddafi parlava apertamente della creazione di una nuova valuta che avrebbe rivaleggiato con dollaro ed euro. Infatti questi invitava le nazioni africane e musulmane ad unirsi in un’alleanza che avrebbe dato vita alla nuova valuta, il dinaro aureo, la forma principale di scambio internazionale. Avrebbero venduto petrolio e altre risorse in dinari aurei.
 
Nel dicembre 2010, una rivoluzione in Tunisia abbatté il governo. In seguito, nel 2011, incominciarono le “Primavere arabe”: rivolte popolari in Oman, Yemen, Egitto, Siria e Marocco. Mentre queste avevano portato al cambio di regime in Tunisia, in Egitto erano state brutalmente soppresse, mentre in Siria e Yemen avevano scatenato guerre civili non ancora estinte. Quelle in Oman e Marocco si erano spente da sole.
In Libia le cose stavano diventando quasi buffe,. A partire dal 15 febbraio 2011, una serie di proteste che chiedevano la cacciata di Gheddafi iniziò a scoppiare in Libia. Il 20 febbraio 2011 si parlava di 300 civili morti e del fatto che Gheddafi avesse sguinzagliato l’aviazione contro i dissidenti a Tripoli. Sarkozy a quel punto aveva trovato il modo di salvare i suoi amici banchieri e di coprire i finanziamenti illegali ricevuti da Gheddafi. Il 10 marzo 2011 Sarkozy decise di riconoscere come governo libico il “Consiglio Nazionale di Transizione”, l’ombrello sotto cui operavano i ribelli, e dichiarò l’istituzione di una no-fly zone, nel caso in cui Gheddafi avesse deciso di utilizzare armi chimiche contro la propria popolazione.
In un report del Guardian dell’11 marzo 2011:
 
La decisione unilaterale di Sarkozy di riconoscere il consiglio di transizione della Libia come legittimo rappresentante del popolo libico era grossolanamente prematuro. “Sarkozy sta agendo da irresponsabile” aveva avvermato un diplomatico europeo.
 
Mark Rutte, Primo Ministro olandese, affermò “La trovo una mossa folle da parte della Francia. Fare un passo avanti e sostenere ‘Riconosco un governo di transizione’ a sfregio di ogni pratica diplomatica non è la giusta soluzione per la Libia”
 
Il 19 marzo 2011 Sarkozy diresse i caccia francesi in missione contro la Libia e ordinò alla portaerei Charles de Gaulle di recarsi in acque libiche. I Francesi non erano soli. Prima nella stessa settimana – il 15 marzo – un F15 statunitense si era schiantato in Libia. Il 29 marzo gli USA avevano confermato che A-10 Warthog e elicotteri d’assalto A-130 erano stati inviati in Libia. Il 16 aprile il giornalista Jeremy Scahill, intervistato a The Eld Show:
Scahill: gli agenti della CIA sul campo in Libia sono in stretta relazione con i ribelli. Questa, come ha detto il Colonnello Jacobs, è la normalità. Ciò che mi preoccupa maggiormente è che sicuramente ci sono già operazioni speciali statunitensi sul territorio, che si preoccupano di marchiare gli obiettivi che dovranno essere colpiti dagli attacchi aerei. Ed, devo dirti che lo scenario di cui parli – quando parli di armare i “combattenti per la libertà”, mi porta alla mente le disastrose guerre sporche degli anni ’80, cioè, gli USA che vengono direttamente coinvolti in una guerra su territorio libico, con un pugno di ribelli … questi non hanno addestramento militare. Voglio dire, tu mi sta dicendo che gli USA sono nettamente schierati con una delle due parti di una guerra civile.
Il 7 giugno 2016 Fitrakis scrive:
in un documento del Dipartimento di Stato declassificato, inviato ad Hillary il 2 aprile 2012, l’assistente Michael Blumenthal conferma che Perkins aveva ragione e che l’attacco sulla Libia non aveva nulla a che fare con il fatto che Gheddafi potesse essere una minaccia per la NATO o gli Stati Uniti, ma che l’unico obiettivo era razziarne l’oro.
Il governo libico possiede 143 tonnellate d’oro e una quantità simile di argento. Nel tardo marzo 2011, queste riserve vennero spostate a Sabha (verso il confine sud occidentale con Niger e Ciad); Blumenthal aveva informato la Clinton, sottolineando l’importanza di quell’oro, che veniva accumulato come riserva per la creazione di una valuta panafricana legata al dinaro aureo libico. Questo piano avrebbe permesso ai paesi francofoni africani di avere un’alternativa al franco francese (CFA).
Blumenthal rivela la ragione dell’attacco NATO e del saccheggio imperiale francese, l’intelligence francese è venuta a conoscenza di questo piano poco dopo lo scoppio della ribellione, questa è stata una delle ragioni che ha spinto il Presidente Sarkozy a sferrare l’attacco.
 
5 erano le ragioni della guerra illegale della NATO contro la Libia. Secondo Blumenthal Sarkozy cercava: a. di ottenere una maggiore fetta della produzione libica di petrolio, b. di aumentare l’influenza francese in nord africa, c. di migliorare la sua posizione in Francia, d. di fornire all’esercito francese un modo di mettersi in luce, e. di soddisfare la preoccupazione dei suoi consiglieri nei confronti del piano a lungo termine di Gheddafi, di soppiantare la Francia come potenza dominante nell’Africa francofona.
 
È ovvio che Blumenthal avesse inteso il bisogno di Sarkozy di proteggere i banchieri francesi dal piano di Gheddafi, ma sicuramente non poteva avere idea dell’ulteriore motivo – eliminare le prove del proprio coinvolgimento nei finanziamenti illegali. Va altresì notato – e sottolineato – che nessuna delle ragioni elencate nell’e-mail di Blumenthal potrebbe giustificare un’invasione di uno stato sovrano.
Il 30 marzo 2011 il governo britannico espulse 5 diplomatici dall’ambasciata libica, visto che le relazioni tra Libia e occidente continuavano a peggiorare. Nei mesi successivi la guerra imperversò in tutta la Libia. Ad un certo punto si promosse una tregua tra governo libico e Consiglio Nazionale di Transizione (NTC), che non durò e in agosto la nazione era nuovamente messa a ferro e fuoco dalla guerra civile.
 
Dopo il 31 marzo 2011 gli USA avevano applicato la no-fly zone sui cieli libici, apparentemente per aiutare una rivolta legittima e togliere dal suo trono un dittatore sanguinario, ma i risultati degli attacchi andarono ben oltre il cambio di regime di Gheddafi. Il 18 giugno 2011 la NATO ha attaccato il Grande Fiume Artificiale, un enorme progetto per l’irrigazione che portava l’acqua ad immense distese aride. I caccia colpevoli di questo crimine non solo hanno distrutto un pezzo vitale delle infrastrutture libiche, ma il 22 luglio hanno fatto a pezzi anche l’unica fabbrica che poteva costruire i pezzi per le riparazioni necessarie. Questa mossa malvagia non aveva alcuno scopo, se non quello di punire tutta la popolazione libica.
Aiutati e sostenuti dalle potenze occidentali, i “ribelli” assediarono Tripoli e il 21 agosto 2011 la città cadde nelle mani dell’NTC. Gheddafi e il suo staff volarono immediatamente a Sirte. Poco dopo le 8 di sera il 20 ottobre 2011, con i “ribelli” che incalzavano, Gheddafi tentò di abbandonare Sirte su un convoglio di 75 veicoli, ma la sua fuga fu scoperta da un velivolo della RAF. Un drone predator statunitense guidato da qualcuno seduto nel deserto del Nevada lanciò i primi missili contro il convoglio, lo stesso fece il velivolo della RAF. 10 veicoli furono distrutti. Gheddafi sopravvisse all’attacco, ma fu immediatamente catturato dall’NTC, che lo aveva trovato in un canale di drenaggio. Gheddafi su crivellato di colpi e una baionetta gli fu infilata nel retto.
Prima della morte di Gheddafi la Libia era una nazione stabile, se non una tradizionale nazione stato. Secondo un report intitolato “La Libia di Gheddafi era la più prospera democrazia africana” di Garikai Chengu, apparso il 12 gennaio 2013 “La Libia era divisa in innumerevoli piccole comunità che di base si comportavano come piccoli stati autonomi all’interno di uno stato più grande. Questi avevano il controllo sui propri distretti e potevano prendere una serie di decisioni tra cui come allocare gli introiti della vendita di petrolio. All’interno di questi mini-stati, i tre principali organi della democrazia libica erano Comitati Locali, Congressi Popolari e Consigli Rivoluzionari Esecutivi”. Chengu spiega come i Comitati Locali facessero riferimento ai Congressi del Popolo, che poi passavano le decisioni ai Consigli Rivoluzionari Esecutivi, creando così un consenso diffuso sulle decisioni che riguardavano tutta la popolazione. “La democrazia diretta in Libia utilizzava la parola ‘elevazione’ più che ‘elezione’, ed evitava le campagne politiche, che sono una caratteristica tipica dei partiti e beneficiano solo delle promesse elettorali. A differenza dell’occidente, i Libici non votavano solo ogni 4 anni per il Presidente e un parlamento centrale che prendesse tutte e decisioni per loro. Tutti i Libici prendevano decisioni riguardo la politica interna, quella estera e quella economica.” Rovesciare Gheddafi ha fatto a pezzi un sistema di governo che aveva funzionato bene – e tranquillamente – per quasi 50 anni.
 
Sarkozy rimane un uomo libero. Deve ancora essere perseguito per aver ricevuto illegalmente denaro libico per finanziare la propria campagna elettorale e per aver scatenato una guerra illegale per coprire la propria relazione illegale con Gheddafi.
Molto è stato scritto circa la catastrofe caduta sulla Libia a seguito dei criminali attacchi francesi e statunitensi – 400.000 persone strappate alle proprie case, violenze e repressioni, la creazione di un nuovo stato fantoccio in seguito ad un’iniziativa di politica estera degli USA. Ma il vero danno è stato arrecato all’Africa stessa, se la proposta di Gheddafi di un sistema bancario trans africano fosse giunta a compimento, quello sfortunato continente per la prima volta in secoli avrebbe avuto una vera libertà e una vera indipendenza a portata di mano, una circostanza che le potenze occidentali non si sarebbero potute permettere. Libertà e giustizia non hanno mai fatto parte dell’agenda occidentale.
 
La sera del 20 ottobre 2011, durante un’intervista alla CBS alla notizia della morte di Gheddafi, il Segretario di Stato Hillary Clinton si lasciò scappare una battuta con il suo staff, affermando “Siamo venuti, abbiamo visto, lui è morto”, poi applaudì e rise fragorosamente. Questa rimane la più vile e degradante immagine di sempre di un membro del governo USA.
 
Chris Welzenbach è uno scrittore (“Downsize”), che per anni è stato membro del Walkabout Theater di Chicago. Può essere contattato a incoming@chriswelzenbach.com.
DI CHRIS WELZENBACH
05.10.2016
 
Il testo di questo articolo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali, citando la fonte comedonchisciotte.org e l’autore della traduzione FA RANCO

Varsavia ha un problema ‘italiano’: i ricchi sovversivi di Stato

Manifestazioni violente.  Picchiatori che provano a rovesciare le auto dei deputati del PiS,il partito del governo che ha vinto le elezioni;   la polizia che respinge a manganellate e lacrimogeni  tentativi  dei rivoltosi di irrompere nella Dieta (Parlamento) per bloccare  l’approvazione di una legge; febbrili preparativi per organizzare anche in Polonia una piazza Majdan” all’Ucraina, con fredda pianificazione di “wc, centro-stampa, palco con audio” e “incidenti di sangue dopo due giorni”.  Insomma è la rivolta   democratica contro il governo reazionario di Beate Szilo,  creatura dell’appartato (ma presentissimo) Jarosław  Kaczyński ?

Così l’ha raccontata il Corriere della Sera: «Era dai tempi del primo sindacato libero del blocco comunista, Solidarnosc, che in Polonia non si creava un movimento così compatto e combattivo per la democrazia. In migliaia si sono ritrovati, Costituzione alla mano…”.

Tutto vero. Basta non dire che la punta di lancia della opposizione democratica, scesa in piazza a incendiare il paese, è costituita da 32 mila ex agenti dei servizi segreti e alti funzionari del periodo comunista   sovietico-polacco, in lotta contro la  minaccia di taglio delle loro pensioni.

La nuova legge – per votare la quale il Parlamento ha dovuto riunirsi in una sala diversa dall’aula solita, che era minacciata di irruzione “democratica” – pone un tetto alle pensioni di  costoro; un tetto che le parifica alla pensione media in  Polonia, pari a 2 mila zloty  mensili, circa 435  euro.  Un affronto per chi   fino ad oggi gode di una pensione anche di 20 mila zloty, 4.350 euro al mese.

Come mai? Il motivo è che in Polonia la transizione è stata non violenta, civile e umana; il che comporta che  i funzionari del regime comunista passato, anche quelli  addetti alla repressione, non solo non sono stati fucilati; gli  sono state lasciate le pensioni di prima: pensioni d’oro. Adesso il  governo del PiS (Diritto e Giustizia, Prawo i Sprawiedliwość)  , che ha vinto le elezioni nel 2015,  ha osato la parificazione.  Perché tra l’altro, molti dei pensionati da 400 euro mensili lo devono al fatto che hanno perso anni di contributi, o perché erano stati messi in galera come dissidenti da quelli che prendono  pensioni 10 volte superiori, o perché durante il regime  non potevano più trovare un lavoro pagato decentemente essendo segnati  dal carcere come oppositori.

Spero non sfugga l’analogia con la situazione italiana.  Anche se la nostra è molto più grave: non solo i “ricchi di stato”  da noi   sono  milioni, non solo hanno stipendi superiori in media al 17 per cento dei privati con mansioni simili,  con punte di privilegio da 200 mila  euro per diversi dirigenti pubblici, di 74 mila euro annui per il personale non-dirigente  (attenzione: NON dirigente) delle ‘autorità” tipo AGcom; e 48 mila per i NON dirigenti  della Presidenza del Consiglio, senza dire dei docenti universitari da 71 mila euro annui e del personale di regioni e comuni sui 40 mila annui – a fonte di una settore privato che, ormai, offre  salari da 400-600 mensili col voucher.

E’ sia chiaro, il problema che   distingue (nel male) il nostro paese da tutti quelli dell’Occidente capitalista.  In Usa, i veri grandi ricchi  (l’1% per cento che s’è accaparrato tutti i lucri  lasciandone niente al ceto medio) ,  producendo la più odiosa  iniquità sociale, sono comunque dei  privati  che guadagnano nel settore privato.   I nostri ricchi sono ricchi di Stato, che estraggono i loro lucri dal denaro pubblico, ossia dalla torchia fiscale che esercitano sui privati impoveriti;  inoltre, come constatiamo ogni giorno, sono inadempienti (non fanno ciò per cui sono lautamente pagati per fare), spesso parassiti (coprono posti inutili),  assenteisti e  truffatori di denaro pubblico: a Roma si  intascano il denaro per riattare gli  asili per rimodernare il loro appartamento,  dovunque approfittano in modo ladronesco di tutte le occasioni di lucro indebito che la loro posizione permette – senza alcun senso di responsabilità verso la comunità nazionale,  cui dovrebbero essere grati, e  che vedono come bestiame da mungere  e tosare.

Perché proprio gli stipendi scandalosamente alti –  che nella teoria mitica sono dati per togliere loro tentazioni di farsi corrompere  – sono invece la causa della loro corruzione, della loro insaziabile voglia di intascare sottraendo i soldi ai  cittadini poveri. In combutta coi politici che, essendo “Politici di mestiere”, si percepiscono come dirigenti pubblici anziché come rappresentanti del popolo,  e si spartiscono la torta coi funzionari.

So già che qualche statale o regionale o provinciale mi manderà mail furenti.  Ma invece dovrebbe riflettere  – fra gli esempi che emergono ogni giorno –  sull’ultimo: quello del ministro Poletti  ( del lavoro, “de sinistra”) che ha   sputato sui cervelli italiani costretti ad emigrare   con frasi da despota saudita ( “Conosco gente che se ne è andata ed è bene che stia via, non soffriamo a non averli più fra i piedi”) e il cui  figlio, Manuel Poletti, non emigra perché dirige un settimanale della Provincia  di Ravenna (area Lega delle Cooperative)   – finanziato da chi? Dalle casse pubbliche: con 191 mila euro annui  nel 2015, 197mila nel 2014, e 133mila nel 2013. Più di mezzo milione.

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Poletti padre e figlio. Li manteniamo entrambi. Molto bene.

Ecco il Ricco di Stato, con la sua callosa coscienza di privilegiato arrogante,  sfrontato  nell’accaparrare il fondi pubblici per sé e  i suoi cari, senza alcun senso del dovere  sociale verso i cittadini che lo pagano. Come liberarci da questi oppressori?

Torno al  caso polacco perché è  istruttivo. Là,  i privilegiati che  il governo ha  tentato di disciplinare sono, essenzialmente pensionati  del passato socialismo reale, eppure hanno  messo la capitale a ferro e fuoco.  I nostri ricchi parassiti corrotti sono  “in servizio”, ossia hanno in mano  tutte le leve del potere, la macchina amministrativa, la “legalità”.  Non oso pensare  che cosa ci farebbero pur di proteggere i loro stipendi indebiti e i loro privilegi di parassiti.

L’altro fenomeno ricco di insegnamenti è  stato vedere come, a difesa dei  parassiti ex comunisti  polacchi, si sia schierato –  in quadrata legione –  l’intero mondo “liberal” progressista, che ha salutato entusiasticamente i sovversivi  come “opposizione democratica” in lotta per “la Costituzione”: la UE, Bruxelles, le centrali della globalizzazione,  e ovviamente i media mainstream.  Si è visto  benissimo che i media  di tutta Europa  erano pronti a sostenere con menzogne ed esagerazioni una imminente “rivoluzione colorata” polacca auspicata da Bruxelles  contro il regime “autoritario ed anti-immigrati”, xenofobo, reazionario (ha cercato di vietare l’aborto)  eccetera.

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Donald Tusk

Uno dei due partiti che hanno allestito in fretta  il “Comitato di Difesa della Democrazia” (KOD),  che i media cercano di far  passare come la nuova Solidarnosc, è il Platforma Obywatelska, PO,  ossia  il partito di Donald Tusk: presidente del Consiglio Europeo fino a due anni fa, neocon di tipo americano (a Washington è ospite fisso  dell’American Enterprise con Michael Ledeen),  liberista estremista in economia, e nonostante abbia perso le elezioni in Polonia,  eminenza grigia del potere europeista fra Juncker e Schulz. L’altro partito  è nato due anni fa, si è denominato da solo Nuovo (Nowoczesna); il suo fondatore , Ryszard Petru, ha un passato in università dell’URSS prima della caduta del Muro; dopo, prontamente , è passato banchiere d’affari nelle centrali del globalismo: prima alla  Banca Mondiale , poi alla Pricewaterhouse Coopers, ambasciatore informale di Tusk   preso il  Fondo  Monetario… il partito di Petru, alle elezioni,ha preso il 7 per cento.  Ora  è salutato da Bruxelles e da  CNN come il lottatore per la democrazia  contro il regime autoritario che (come sapete) si oppone ad accogliere  “la sua quota di immigrati islamici” dettata  da Berlino.

Segno inequivocabile che le  oligarchie, siano  comuniste siano”liberal”, si riconoscono a fiuto, si abbracciano,si adottano reciprocamente  si proteggono a vicenda. Con tutti  i mezzi.

CNN, Reuters, Washington Post hanno aiutato   la nascita rapidissima di una tv  polacca,  espresoTV ,  a difesa della “democrazia” insieme alla TVN, una tv polacca nata dopo il Muro, notoriamente allestita dai servizi segreti comunisti. La stella ne è stata Michal Broniatovski, figlio di un membro dei servizi,  poi redattore di Forbes (la rivista dei miliardari Usa) edizione polacca (per i miliardari locali).

Broniatovski “ha pubblicato un post su Facebook con il quale dà consigli su come scatenare una Majdan a Varsavia:

  1. Motivare i giovani. […] Ne bastano due-tremila disposti a passare la notte al freddo, ma ce ne vogliono decine di migliaia per sostenerli di giorno.
  2. Una grande piazza in centro alla città ed un grande edificio pubblico che può essere difeso sono essenziali per motivi logistici: WC, centro stampa…
  3. Le tende devono avere un cartello con scritto «Ufficio parlamentare» per garantirsi l’immunità.
  4. Le tende devono essere disposte come un accampamento fortificato; servono gabinetti portatili e mobili di legno.
  5. Dopo un paio di giorni servono incidenti sanguinolenti; un milione di persone accorreranno a manifestare in piazza e nelle zone circostanti.
  6. Bisogna organizzare i fondi per il cibo, la legna da ardere, l’impianto audio, un palco.
  7. Occorre un servizio d’ordine.
  8. È necessaria la presenza costante di artisti e di religiosi sul palco”.

(Roberto Marchesini, “Polonia, il rischio di una rivoluzione pilotata Media ed ex regime uniti contro il governo”, Nuova  Bussola Quotidiana, 19 dicembre)

E’ evidente il proposito di scatenare  una Majdan  polacca.  “Opposizione totale!”, è lo slogan dei “democratici” alla Tusk e Petru che difendono le pensioni dei funzionari sovietici.  Pronti a rovesciare il voto democratico con moti di piazza   “democratici” alla Soros?  Applauditi dal mondo “libero” e  dai suoi media.   E la benedizione di  “Bruxelles”, ben lieto essendo Juncker di veder finire  l’autonomismo del Gruppo di Visegrad.  E come sempre, le elites contro il popolo, denominato “populista”.

E sono, come il ministro Poletti, “liberal”,  progressisto-liberiste,  de’  sinistra diremmo in Italia.  A conferma di quel che si diceva qualche giorno fa: “la sinistra oggi ha tutti i caratteri di cui rimprovera Trump: intolleranza, odio della gente che non è ricca come lei, l’autoritarismo, il settarismo conformista del pensiero, e una gran prontezza alla violenza”.

FONTE

Ha ragione la Boldrini, combattiamo insieme le bufale. Anzi, facciamone proprio “Piazza pulita”

La presidentessa della Camera, Laura Boldrini, pochi giorni fa è stata lapidaria: “Anticipo che sto per lanciare un appello ai cittadini italiani, a tutti quelli che vogliono dare una loro partecipazione contro la disinformazione e le notizie false per la tutela del loro diritto a essere informati correttamente. Il tema delle bufale è fondamentale sul fronte dell’odio via internet e sui social network”. Ha ragione, su tutta la linea. Tanto più che, come mostrano queste foto,
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il suo appello in tal senso a Facebook ha funzionato, visto che a breve il social network si doterà di un rilevatore di fake news, al fine di evitarne il propagarsi a macchia d’olio. A gestire, come terza parte indipendente il processo di fact checking, sarà il Poynter Institute e questo screenshot
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ci mostra chi ha finanziato questo progetto per scoperta di fake news: oltre al National Endowment for Democracy, think tank ombrello che raggruppa tutte le associazioni impegnate nell’organizzazione di primavera colorate per conto del Dipartimento di Stato, c’è anche la Open Society Foundation di George Soros. Che ne dite, c’è garanzia sufficiente di imparzialità nel processo del fact-checking che potrebbe portare alla cancellazione dei vostri post e, magari, al blocco del vostro account? Per questo, se la presidentessa Boldrini mi permette, vorrei aiutarla a combattere questa piaga e, sempre se mi è concesso, partirei facendolo da un fronte di enorme attualità e controversia: il conflitto in Siria e la liberazione di Aleppo. Comincerei da qui,
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ovvero da Bana Alabed, un ragazzina di Aleppo che con i suoi tweet ha commosso il mondo intero, raccontando gli orrori della guerra e l’assedio che stava patendo con la sua famiglia. Bana ha solo 7 anni ma, come può constatare andando a vedere ciò ch scrive su Twitter, padroneggia un inglese degno di James Bond (capirà dopo il perché di questo paragone). Certo, la mamma Fatemah la aiuta ma rimane comunque impressionante. Almeno quanto il numero di followers che ha, ben 310mila. C’è però un problema, per l’esattezza questo:
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qualcuno si è preso la briga di controllare i metadati e ha scoperto che l’account di Bana è registrato nel Regno Unito. Un po’ distantino da Aleppo, non le pare illustrissima presidentessa Boldrini? Inoltre, sempre guarda caso, si scopre che il padre di Bana è membro delle brigate islamiche al-Safwa, gruppo molto vicino agli “Elmetti bianchi”, eroico corpo di protezione civile che il mondo ringrazia e ammira per il loro impegno nella salvezza delle vittime dei bombardamenti di quei facinorosi di russi, iraniani e truppe siriane. Oddio, questi video

Brilliant! Unedited, fake White Helmets ‘rescue’ video
Netflix and the White Helmets, hand in hand with al Qaeda
White Helmets’ bizarre ‘mannequin challenge’ in Syrian warzone

mi pare che mettano un attimo in discussione la narrativa ufficiale, lei cosa dice, presidentessa? Non sarebbe il caso di denunciare con viva e vibrante indignazione questa bufala?

E cosa dire di quest’altra foto,
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anch’essa iconica e che ha visto adottare simbolicamente questo “Aleppo boy” da tutto il mondo? E’ un falso? Probabilmente no ma qualche dubbio sorge dopo aver visto questo video,

nel quale il fotografo che ha immortalato lo scatto, Nour al-Din al-Zenki, è in compagnia di una banda di jihadisti, mentre si apprestano a sgozzare un bambino palestinese di 12 anni. Nel video c’è tutto, anche la giustificazione un po’ traballante di Sara Flounders, la numero uno dell’International Action Centre con cui il fotografo-attivista collaborava. Cosa dice, oltre alla foto non sarebbe carino che l’opinione pubblica – anche con risalto mediatico minore, per carità – conoscesse anche il curriculum politico di chi l’ha scattata, tanto per valutarne credibilità e reali finalità con strumenti qualificanti? E che dire di quest’altra fotografia,
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cittadini di Aleppo che lanciano appelli video, sottolineando più volte che sono spaventati dall’arrivo dell’esercito siriano (in effetti, sotto quattro anni di regime dell’Isis, la città ha vissuto un periodo di splendore e sviluppo indimenticabili, quasi rinascimentale) e che quello che stanno girando potrebbe essere il loro ultimo contributo filmato dalla città assediata? Bene, questo altro video

dimostra che non sono cittadini normali, bensì attivisti e blogger anti-Assad con parecchia capacità di finire nelle news occidentali in prime time con i loro video di propaganda. Eccheccazzo, illustrissima presidentessa Boldrini, non le pare che qui con le fake news, la post-verità e la propaganda si stia andando un po’ oltre? Ah già, quelle sono armi dei russi, i quali hanno anche fatto vincere Donald Trump con gli attacchi hacker e favorito la Brexit promettendo vodka gratis a migliaia di alcolizzati britannici. Comunque, Aleppo è città martire e va aiutata. Soprattutto, servono generi alimentari e occorre che questi finiscano a chi ne ha davvero bisogno. Questo video

ci mostra infatti come dopo la iattura della liberazione della città, quella che i media di tutto il mondo descrivono come una carneficina, la gente di Aleppo si stia recando nel quartier generale dell’Isis alla ricerca di cibo, visto che gli aiuti che arrivavano nella città venivano confiscati, stipati in questa sorta di magazzino e venduti a peso d’oro al mercato nero. Come si fa a non aver nostalgia di un periodo di simile floridezza e passione per il bene comune?

Particolarmente attivi sul fronte delle bufale sono poi i media sauditi, come ad esempio Al Arabiya, la quale ha pubblicato il 14 dicembre questo articolo
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nel quale annunciava “una copertura non stop dei recenti eventi di Aleppo nel dettaglio”. Come si può vedere, l’articolo è corredato con una foto che ritrae i già citati eroici “elmetti bianchi”, mentre estraggono un ragazzino dalle macerie di un edificio. Peccato che come potete notare, la stessa foto
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fosse a corredo di un articolo pubblicato dal quotidiano Aliwaa il 25 novembre di quest’anno, tanto per dimostrare la veridicità della copertura non stop di Al Arabiya. E ancora, il 13 dicembre, in pieno assedio di Aleppo, la popolare pagina Facebook in arabo “Memories ツ ツ” postava questa fotografia
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che otteneva 14mila likes, quasi 400 commenti e oltre 10mila condivisioni. A corredo della foto c’era la seguente frase: “Signore, abbiamo perso tutta la speranza, a parte quella in te. E abbiamo perso la fiducia in tutto, a parte che in te. Ci affidiamo a te per salvare il popolo di Aleppo dal disastro”. Incrociate le notizie di giornali e tg sull’assedio finale della città (tutte a senso unico) con questo post e immediatamente, quasi a livello pavloviano, si pensa a una catastrofe umanitaria, con gente incapace di fuggire. Peccato che invece fossero stati preparati corridoi umanitari da siriani e russi e che, soprattutto, la stessa foto
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risalga a un articolo della BBC in versione araba del 15 marzo del 2014, nel quale raccontavano le prese di posizione di molte celebrità in favore della fine della guerra in Siria. E sempre “Memories ツ ツ”, ancora il 13 dicembre, pubblicava quest’altra foto
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chiedendo di pregare per Aleppo: 3mila likes, un centinaio di commenti e 1000 condivisioni. Cosa pensa, Presidentessa, al riguardo? Ovviamente, bambini morti ad Aleppo per colpa dei combattimenti. No, invece, la foto è la stessa pubblicata il 21 luglio 2014 dal popolare blogger @MazenAlhddabi dopo un raid israeliano nella Striscia di Gaza. Sono bambini palestinesi morti due anni e mezzo prima ma per tutti i followers di quella pagina erano bambini siriani ammazzati da raid russi o mitra di Assad. Che ne penserà la presidentessa Boldrini?

Ma anche a casa nostra non scherziamo, visto che questo video

ci mostra l’appello per Aleppo della giornalista/esperta di politica estera, Rula Jebreal, andato in onda giovedì sera durante la trasmissione di La7, “Piazza pulita”. Ascoltatelo se, come il 99% degli italiani, il giovedì sera avete di meglio da fare che guardare Corrado Formigli, ne resterete colpiti. Si scopre, infatti, che la liberazione di Aleppo ha portato con sé esecuzioni sommarie, carneficine, rastrellamenti, sparizioni e addirittura stupri etnici perpetrati dalle truppe siriane, con venti donne di Aleppo che si sarebbero suicidate pur di non finire in mano alle milizie di Assad. Ora, io non so dove Rula Jebreal abbia trovato queste notizie, lei dice dal confine tra Libano e Siria (c’è da dire che ha un occhio di falco per vedere cosa succede ad Aleppo, visto che la città si trova quasi al confine con la Turchia) ma non c’è alcun riscontro di questo, da nessuna parte.
jebreal Un po’ come i famosi colpi di artiglieria che non permettevano ai civili e ai ribelli arresisi di evacuare la zona Est: giovedì i pullman verdi hanno lavorato incessantemente sotto l’occhio vigile dei militari russi. Ieri i bombardamenti sono ripresi ma indovinate da parte di chi? Anche perché, intuitivamente, cosa avrebbero da guadagnare truppe siriane, russi e iraniani da una strage di civili, dopo aver liberato la città e creato i corridoi? Se volevano fare una strage, avrebbe colpito a tappeto settimane fa, senza preoccuparsi dei civili usati come scudi umani da Al-Nusra, non vi pare? Oggi, poi, magicamente le evacuazioni sono riprese, dopo una nuova tregua: forse, le voci di arresti da parte dei siriani di addestratori anche occidentali mescolati tra le fila dei ribelli, ha portato qualcuno a più miti consigli. Eppure la signora Jebreal scomoda con assoluta leggerezza parole come “genocidio” e “moderno olocausto”, quasi certamente ignorandone il significato intrinseco.
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Resta un fatto e questo è riscontrato e riscontrabile: sotto l’Isis, stupri, impiccagioni, decapitazioni, lapidazioni, lanci di omosessuali dai tetti degli edifici e altre amenità da Grand Guignol in salsa salafita erano all’ordine del giorno, erano la legge ma non abbiamo sentito appelli come questo da parte della signora Jebreal, nessun j’accuse con toni così apocalittici? Cito testualmente dall’appello: “E’ dal 2011 che seguo questo conflitto dall’interno ma nessuno mi ha mai preparato alla barbarie, alla ferocia e alla carneficina che sta accadendo in queste ore ad Aleppo. Questa rivoluzione è iniziata nel 2011, quando i cittadini siriani, in maniera pacifica, chiedevano al regime riforme politiche, giustizia sociale, pane e libertà. E il regime ha seguito una strategia: rilasciare dalle prigioni i jihadisti, mentre massacrava e trucidava tutti gli attivisti pro-democrazia”.
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Ora, io capisco che i danni provocati dalla legge Basaglia non sono di competenza della presidentessa della Camera, così come evitare che chi avrebbe bisogno di amorevole aiuto finisca in tv in prima serata ma non vi pare che la ricostruzione sia vagamente miope, di parte e omertosa riguardo alcuni piccoli, insignificanti particolari? Tra i quali, ad esempio, l’appoggio sistematico – diretto o indiretto – di cui hanno potuto godere i terroristi dell’Isis grazie a governi stranieri che vogliono fortemente la testa di Assad per ragioni geopolitiche, primo dei quali quello che regola la vita nel Paese scelto per il suo lavoro dalla signora Jebreal? La quale, dopo aver cominciato la sua carriera con Michele Santoro, facendo le interviste in studio ad “Annozero”, è sparita dalla circolazione mediatica italiana per un po’, trasferendosi appunto negli Usa, dove è diventata analista di politica estera, intervistata in questo ruolo addirittura dalla CNN.
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Ora, al netto delle bufale on-line che Zuckerberg intende smascherare insieme a Soros e al National Endowment for Democracy, non vi pare che quanto andato in onda su La7 in prima serata sia quantomeno scandaloso nella sua faziosità, propaganda anti-russa e anti-Assad, oltre che nella negazione della realtà e mancanza di contraddittorio? Perché questo video

ci mostra come i cittadini di Aleppo non si siano proprio messi a piangere in massa quando le truppe siriane e iraniane hanno cacciato l’Isis e liberato la città, non vi pare? Perché non sono io a dire che quanto millantato dalla Jebreal sia palesemente distorto (se non integralmente falso) ma una giornalista indipendente e seria, la canadese Eva Bartlett, la quale il 9 dicembre scorso ha tenuto una conferenza stampa alle Nazioni Unite di ritorno dalla Siria, nel corso della quale ha sbugiardato clamorosamente tutti i media mainstream presenti. Vi invito a guardare il video integrale, lo trovate qui.

Magari la signora Jebreal, pur mantenendo la narrativa dello stupro etnico perpetrato dai miliziani di Assad, tasto su cui ha calcato elegantemente la mano, avrebbe potuto limitarsi ad aggiungere, en passant e per un minimo di deontologia professionale, che prima della liberazione non è che Aleppo fosse proprio Disneyland o Las Vegas. Così, tanto per completezza d’informazione e un minimo sindacale di senso del pudore. Ma si sa, come tutti i grandi professionisti, Rula Jebreal ha un carattere forte, indomito e questo video,

sempre tratto da una puntata di “Piazza pulita”, lo dimostra mi pare in maniera evidente, così come tratteggia in punta di dialogo la sua stabilità emotiva e intellettuale. Che altro aggiungere, illustrissima presidentessa Boldrini? Rimango umilmente a sua disposizione nella sacrosanta lotta contro le bufale, le fake news e la propaganda. Se vuole cominciare la sua crociata, penso di averle offerto abbastanza materiale. Ma dubito lo farà. La lascio quindi ai diritti dei migranti, al femminicidio, alla comunità LGBT, al gender nelle scuole, all’integrazione, ai nomi di cariche e professioni con desinenze ridicolmente declinate al femminile e alle altre materie degne della sua attenzione. La ricerca della verità su Aleppo e sulla “guerra civile” siriana – talmente civile da essere stata combattuta, sul fronte anti-Assad, da mercenari provenienti da una decina abbondante di Paesi – è roba da fascisti. Magari anche xenofobi e omofobi. Ma, soprattutto, amici di Putin. La colpa più grave.

di Mauro Bottarelli – 18/12/2016 Fonte: Rischio Calcolato

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