Mafia nigeriana: il patto con Cosa nostra, agguati con l’ascia e sangue bevuto. A Palermo prima inchiesta sulla ‘Cosa nera’

ritual killingUN ARTICOLO DEL 2015 dal FQ che parla delle inchieste sulla mafia nigeriana ed i rituali sanguinari, dedicato a chi vuole sminuire il tutto buttandola nel ridicolo (per proteggere mafia capitale questo ed altro)

Mafia nigeriana: il patto con Cosa nostra, agguati con l’ascia e sangue bevuto. A Palermo prima inchiesta sulla ‘Cosa nera’
di Giuseppe Pipitone | 19 ottobre 2015
Nel regno che fu di Riina e Provenzano, contestato per la prima volta l’aggravante mafiosa a un’organizzazione straniera. Il gruppo Black Axe controlla spaccio e prostituzione a Ballarò con il beneplacito dei boss locali. L’indagine partita da un regolamento di conti a colpi di scuri e machete. I simboli e i riti di affiliazioni emersi anche in precedenti processi a Brescia e Torino
Non è la storia di una famiglia di Cosa nostra, fatta di “soldati” e capibastone, boss latitanti e pentiti, sicari e sentinelle dello spaccio. Non è la storia di una gang di camorristi in trasferta, che ha attraversato il Sud Italia per mettere apposto gli affari in terra di Sicilia e rinsaldare alleanze con la “cupola”. Non c’entra nulla nemmeno con gli “scappati”, le famiglie massacrate dalla seconda guerra di mafia negli anni ’80, fuggite negli Stati Uniti e da lì ricomparse in Sicilia negli anni duemila. Eppure l’ultima inchiesta della procura di Palermo ha comunque svelato l’esistenza di un’associazione criminale di stampo mafioso, con capi e gregari, riti d’iniziazione e affari, metodi di convincimento violenti, protetta dalla più arcaica forma d’immunità: l’omertà. Solo che con la mafia di Riina e Provenzano, delle stragi e del business dell’eroina, ha poco a che fare.
Dopo un secolo e mezzo di storia criminale legata a Cosa nostra, in Sicilia, c’è infatti una nuova mafia, che ha messo radici a Palermo, tessendo alleanze e dettando legge tra i vicoli del centro storico. Qui i nuovi boss vengono da lontano, non parlano il siciliano, e la loro organizzazione ha un nome e una storia consolidate in un altro continente: la chiamano Black Axe, l’ascia nera, ed è nata negli anni ’70 all’università di Benin City, in Nigeria, come una confraternita di studenti. All’inizio è una gang a metà tra un’associazione religiosa (li chiamano culti) e una banda criminale, che stabilisce riti d’iniziazione e impone ai suoi affiliati di portare un copricapo, un basco con un teschio e due ossa incrociate, come il simbolo dei corsari. Da qualche anno, però, i tentacoli di questa nuova piovra criminale sono arrivati anche in Italia, dove i boss nigeriani hanno iniziato a dettare legge nei sobborghi di città come Brescia e Torino: droga, spaccio, gestione delle prostitute e un regime di terrore molto simile a quello che è il marchio di fabbrica delle mafie di casa nostra. “Vorrei attirare la vostra attenzione sulla nuova attività criminale di un gruppo di nigeriani appartenente a sette segrete, proibite dal governo a causa di violenti atti di teppismo: purtroppo gli ex membri di queste sette che sono riusciti ad entrare in Italia hanno fondato nuovamente l’organizzazione qui, principalmente con scopi criminali”, si legge in un’informativa dell’ambasciata nigeriana a Roma del 2011. E adesso, per la prima volta, i pm di Palermo hanno contestato l’aggravante mafioso ai boss nigeriani.

Riti voodoo per costringere minorenni a prostitursi, presi due nigeriani e un ghanese

prostitute nigerianema no è solo brava gente che scappa dalle guerre e dalla fame…..che importa se ci sono indagini della DIA che da anni indagano su questi gruppi mafiosi che compiono anche crimini rituali…tutte dicerie. Fortuna che alle femministe antirazziste antifasciste non importa della sorte e della vita di queste ragazze, per giunta straniere. E’ la mafia bellezza.


Arrestati a Lodi 7 nigeriani, tra i quali uno stregone: reclutavano le prostituteDurante un rito, alle ragazze veniva fatto firmare un contratto, in cui si impegnavano ad arrivare in Italia e lavorare fino a restituire 30mila euro

Riti voodoo per costringere minorenni a prostitursi, presi due nigeriani e un ghanese
Tre arresti della polizia in provincia di Caserta, finiscono in manette due nigeriane e un ghanese. L’inchiesta nata dal racconto choc di una minorenne
 
Sotto la minaccia dei riti voodoo costringevano ragazze minorenni a battere i marciapiedi, finiscono in manette due donne di nazionalità nigeriana e un uomo originario del Ghana, a Castelvolturno, in provincia di Caserta.
Il caso è venuto alla luce grazie alla fuga di una 17enne che, scappata dalle grinfie dei suoi aguzzini, ha rivelato il suo calvario agli inquirenti. Giunta in Italia nel 2016, riuscì a “sparire” nell’agosto del 2017, raggiungendo il Nord Italia. Qui ha rivelato ai poliziotti quello che era stato il suo incubo. La giovane ha raccontato di essere stata costretta a prostituirsi dalla “magia nera” praticata dalla maman, la donna che l’aveva “ospitata” in casa sua in Campania. Quando e se si ribellava, però, le minacce diventavano vere e proprie aggressioni fisiche. La “padrona” arrivò, come la giovane ha raccontato agli investigatori, a stringerle le mani alla gola per soffocarla. A condividere la sua sorte, ha raccontato la ragazza, c’erano anche altre due giovanissime che però gli inquirenti non sono riusciti ancora a rintracciare.
 
A dare aiuto alla “maman”, 48enne, c’erano il suo compagno di 32 anni e un’altra donna di 38, il cui ruolo sarebbe stato quello di supervisione sulle ragazze in strada. Doveva, cioé, osservare i comportamenti delle giovani e riferire eventuali problemi e insubordinazioni. Adesso rispondono, a vario titolo e in concorso tra di loro, dell’ipotesi di reato di riduzione in schiavitù pluriaggravata.
 
Gli arresti in Campania confermano che quello della prostituzione continua a rappresentare un affare lucroso e importante che arricchisce le cosche criminali africane.
Giovanni VassoGio, 15/02/2018 – 10:46

Allarme a Ferrara: “La mafia nigeriana è qui, occhio alle risse”

profughi FerraraPiù organizzata? Alla nostra danno il 41bis (giustamente), a questi asilo politico.

estratto:

L’informativa è datata 20 luglio 2016 ma arriva alla procura di Fermo solo il 17 agosto. All’interno, come riporta oggi il Fatto Quotidiano, il vicequestore di polizia della Commissione territoriale per lo status di rifugiato scrive di aver saputo “da fonte confidenziale ritenuta attendibile che al funerale di Emmanuel sono intervenuti membri della setta Black Axe riconoscibili perché tutti indossanti abiti del colore rosso e nero al fine, verosimile, di rendergli manifestatamente onore e che la loro presenza rivelerebbe che il deceduto faceva parte della stessa confraternita”.
Allarme a Ferrara: “La mafia nigeriana è qui, occhio alle risse”
L’esperto: “Si occupa di droga e prostitute. Ragazze marchiate come bestiame”
 
Negli ultimi anni Ferrara ha registrato un incremento della presenza di nigeriani
 
Un’ombra arriva dal cuore del Continente Nero e cala sulle nostre periferie. Stiamo parlando della ‘Black Axe’ (ascia nera), la mafia nigeriana. Ne abbiamo parlato con Roberto Mirabile, presidente dell’associazione ‘La Caramella Buona’ (Onlus che si occupa di pedofilia) ed esperto di criminalità organizzata africana.
Mirabile, un fenomeno nuovo?
«Tutt’altro. In Emilia la mafia nigeriana è storicamente radicata».
 
Anche a Ferrara?
 
«Negli ultimi anni la città estense ha registrato un incremento della presenza di nigeriani dediti a due settori: spaccio e prostituzione».
 
Cosa ci rende attrattivi?
 
«Alla mafia nigeriana piacciono città marginali rispetto alla grande cronaca nera ma con importanti Università. Che vuol dire relativa tranquillità e tanti giovani a cui spacciare».
Quali sono i segni che indicano la presenza della ‘Black Axe’?
«Il primo indizio sono le risse. Iniziano con scontri fra tre o quattro persone. Poi diventano dieci o quindici. Usano armi rudimentali: bottiglie, coltelli, bastoni».
Fatti che però vengono spesso ‘derubricati’ a zuffe tra balordi.
«Errore clamoroso. Sono scontri tra fazioni diverse che si contendono il territorio. Guai minimizzare. Loro cercano il morto».
 
Gli altri indizi?
«Attenzione alle donne. Nella mafia nigeriana hanno un ruolo di primo piano. Spesso sono le compagne dei boss. Fanno le maman oppure le troviamo nei minimarket o nei money transfer. Che spesso sono ‘lavanderie’ per il denaro illecito dell’organizzazione».
 
I loro business principali?
 
«Spaccio di droghe pesanti, cocaina ed eroina, e prostituzione».
 
Parliamo di spaccio. Come si riforniscono?
 
«Non hanno problemi. L’organizzazione è potente e ha contatti con i grandi narcos colombiani e con i trafficanti afghani e iracheni».
E la prostituzione?
«In questo settore sono specializzati e crudeli. Spingono giovani connazionali, spesso minorenni, sulla strada. Le ricattano con riti voodoo. Le marchiano».
Prego?
 
«Sì, come il bestiame. Cicatrici e amputazioni sono simboli di affiliazione. Da quel momento, sei legato all’organizzazione».
 
Se ne può uscire?
 
«Difficilissimo. Per arrivare in Italia con il miraggio di un vero lavoro si indebitano per decine di migliaia di euro. Se riescono a ripagarlo, non possono più tornare a casa, pena l’esclusione: le cicatrici le identificano come prostitute».
 
Non c’è altra via?
 
«Sì, quella criminale. Molte, una volta emancipate, diventano a loro volta maman».
Che peso ha l’immigrazione nell’espansione del ‘sistema’?
«Importante e crescente. Tra le migliaia di disperati troveranno sempre più manovalanza. Aprendo così la strada a nuovi affari».
Tipo?
«L’elemosina. Fino a pochi anni fa era difficile vedere questuanti africani. Oggi è pieno. E dietro c’è il racket. Tutto organizzato: non c’è un metro quadro libero».
 
Qual è la struttura della ‘Black Axe’?
 
«‘Black Axe’ è la cupola. Poi all’interno ci sono diversi altri gruppi affiliati, che a volte si pestano i piedi. La logica è quella tribale».
 
Quando nasce?
«Negli anni ‘80, con la crisi del petrolio. Spalleggiata dal governo che chiese aiuto alla ‘mala’ per sostenere l’economia».
 
Come è arrivata in Emilia?
«Le grandi inchieste sulle mafie ‘nostrane’ hanno lasciato liberi ampi spazi di mercato».
Che fare quindi?
 
«Non bisogna arrivare a capire il fenomeno troppo tardi. Le nostre comunità non meritano la disattenzione delle istituzioni».
 
di FEDERICO MALAVASI

Profughi si prostituiscono nei parchi per 15 euro

lavori che gli italiani non vogliono fare. Ci pagano i contributi su questi lavoretti? Tanto profughi-pordenoneper farlo sapere a Boeri.

Rimpinguare le fila dello sfruttamento della prostituzione per le nostre care ONG/TRAFFICANTI rientra nel concetto di “salvare loro la vita” e nel concetto boldriniano di arricchimento culturale. Ovviamente sono tutte balle e dicerie degli xenofobi

vedi anche  50 EURO AI PROFUGHI. MA PER PROSTITUIRSI – NEI PARCHI DI PORDENONE DORMONO E SI VENDONO DECINE DI MIGRANTI CHE NON TROVANO POSTO NELLE STRUTTURE CITTADINE, VISTO CHE LA CITTà OSPITA QUATTRO VOLTE LA QUOTA DI RICHIEDENTI ASILO PREVISTA DALLA LEGGE (SUO MALGRADO) – PER 50 (MA ANCHE 20) EURO, SI OFFRONO AI PASSANTI – VIDEO-INCHIESTA DEL ‘GIORNALE’

Profughi si prostituiscono nei parchi per 15 euro
PORDENONE – Si prostituiscono per pochi euro. Sono diversi ormai i casi segnalati di richiedenti asilo che vendono il proprio corpo in cambio di pochi spiccioli. Quindici – venti euro, non di più. Anche in questo caso fanno i lavori che gli italiani non vogliono fare: dare il culo agli anziani gay nei parchi. Che poi diffondono malattie esotiche nella società.
 
Il problema, rilevato soprattutto al parco Querini, di fronte alla stazione dei treni, è che questi giovani, arrivati soprattutto da Pakistan ed Afghanistan, tendono ad importunare anziani che, magari a passaggio con i nipotini, vorrebbero soltanto trascorrere del tempo all’aria aperta.
 
Il caso, anticipato nei giorni scorsi da Telepordenone, ma confermato anche dalle forze dell’ordine, sta generando un misto tra imbarazzo e sdegno. Qualcuno ha raccontato di essere stato avvicinato da un richiedente asilo, mentre stava leggendo il giornale seduto su una panchina, che gli proponeva sesso in cambio di soldi. «Non parlava italiano racconta un 65enne che abita in città e che ha voluto rimanere nell’anonimato ma si faceva capire chiaramente. Alla fine sono stato costretto ad allontanarlo anche in malo modo, dal momento che le sue richieste si stavano facendo sempre più insistenti. So però di altre persone che ci stanno e che, dopo un primo approccio con il giovane di turno, finiscono per appartarsi. Questo succede a tutte le ore del giorno».