dato che le accuse al traffico/collusione scafisti/Ong sono state più che provate, è utile ricordare l’inizio e chi, ancora oggi, sputa sui magistrati che indagano GLI INTOCCABILI
Dai migranti a Soros, ormai è delitto di lesa ONG. Ma Amiens ha varcato il Rubicone dell’ideologia
Ho dovuto darmi un pizzicotto, stamattina, perché credevo di stare ancora sognando. Eppure no, ero sveglio da un po’, stavo bevendo il secondo caffè, la sigaretta era accesa ma qualcosa mi diceva che era una dimensione onirica quella che stavo vivendo: un giornalista del “Fatto quotidiano” aveva detto di non credere alle accuse di un magistrato! Non scherzo, è successo davvero ad “Agorà” su Rai3 ed è successo poco fa: penso che a Lourdes si provino sensazioni simili. Il giornalista in questione è tale Ferruccio Sansa e il procuratore non degno di fiducia investigativa da parte di una redazione che immagino dorma con il codice penale e la foto della Boccassini sul comodino è quello di Catania, Carmelo Zuccaro. Qual è la sua colpa? Indagare sui presunti intrecci tra ONG e scafisti rispetto agli sbarchi record sulle coste italiane, con i mezzi navali delle organizzazioni umanitarie che operano come taxi dalle coste libiche a quelle del nostro Paese.
E perché costui non è credibile? Di più, perché anche le indagini analoghe aperte anche dalle procure di Trapani e Palermo vengono trattate come argomenti kafkiani? Perché siamo in pieno in quello che si configura come reato di lesa ONG. Non importa che ci siano più indizi sospetti in queste inchieste che in tre quarti di quelle condotte in Italia e beneficiare di prime pagine e apologia del pm di turno, chi aiuta le risorse a sbarcare in Italia gode di una sorta di immunità mediatica che punta a garantirgli anche quella penale. E non parlo solo di “Agorà”, tre quarti delle trasmissioni tv e dei servizi giornalistici hanno tesi innocentiste, salvo rare e pesanti eccezioni, per onore di verità, come “La Stampa”, la quale ha pubblicato un filmato che mostra come gli scafisti scortino le barche dei migranti con le moto d’acqua fino a quando le navi delle ONG non li prendono in carico. Capito, con le moto d’acqua: difficile siano lontanissimi dalla riva libica, cosa dite? Ormai siamo all’Aquafan dell’invasione, ci pigliano pure per il culo.
“Così gli scafisti scortano i migranti sulle navi delle Ong”
Ieri sera a “Matrix”, il direttore del periodico cattolico “Vita”, Riccardo Bonacina, ha così smontato le tesi accusatorie: chi parte dalla Libia ha già saldato il suo conto con gli scafisti, è “un vuoto a rendere”, quindi perché i trafficanti dovrebbero preoccuparsi che le ONG li prendano in carico? Il Pulitzer è dietro l’angolo per uno così, ne sono certo.
Magari perché al terzo scafo che cola a picco, ammazzando qualche centinaio di persone, diciamo che la pubblicità al tuo servizio va un po’ a puttane e ci si rivolge altrove? Oppure, magari, perché c’è un tacito patto con chi, sulla sponda italiana, attende a braccia aperte chi andrà a infoltire la schiera dei beneficiari della mitologica “accoglienza”, il famoso business che rende più della droga, stando a quanto dichiarato da Salvatore Buzzi nella famosa intercettazione che è stata architrave fondativo dell’inchiesta “Mafia capitale”, quella sì capace di eccitare gli spiriti colpevolisti della stampa? Dai Bonacina, sforzati che ce la fai.
Se poi è addirittura Frontex a segnalare delle anomalie, allora diciamo che il sospetto cresce. Io non so se le ONG tramino con gli scafisti, anche se il fatto che circolino in troppe tasche di migranti numeri di cellulari degli stessi e dei membri di queste organizzazioni mi fa propendere per un forte dubbio ma so per certo che esiste una corsia prioritaria per far sbarcare clandestini (perché tali sono) nel nostro Paese: i numeri parlano chiaro. E so che questo argomento è tabù, chiunque osi dire che occorre vederci chiaro, è da annoverare tra le fila “di chi vuole vedere i profughi in fondo al mare”, come ha dichiarato nel fine settimane il sempre sobrio e lucido Roberto Saviano per ribattere alle accuse di Luigi Di Maio, il grillino partito lancia in resta a difesa delle indagine siciliane (sentendo odore di urne, vista la poca chiarezza dell’M5S in materia).
Nessuno tocchi i migranti. E, soprattutto, nessuno tocchi quegli angeli delle ONG, incarnazione laica del bene, nuova icona dell’illuminismo pietoso e pietista che ti garantisce una accurata ripulitura della coscienza con soli 2 euro tramite sms. Cazzo, un affarone! Se poi quel bambino con la pancia gonfissima e le gambine da merlo ti fa così pena, caccia pure di più attraverso un bonifico o un bollettino postale. Insomma, nel Paese in cui l’istituto giuridico del “non poteva non sapere” è stato fondamento di un’attività giudiziaria ventennale contro Silvio Berlusconi e tanti altri, più o meno conosciuti e in grado di pagarsi avvocati di grido, quella inchiesta non s’ha da fare.
In compenso, occorre mettere sotto indagine l’Ungheria di Viktor Orban, uno che sull’immigrazione ha detto subito chiaramente quale fosse la sua posizione, inimicandosi i papaveri di Bruxelles. E perché? Medesimo reato, lesa ONG. In questo caso, la madre di tutte le ONG, visto che parliamo di un’istituzione legata alla galassia di George Soros. E cosa ha detto ieri la Commissione UE con tono grave? La legge sull’istruzione superiore approvata nelle scorse settimane dal Parlamento di Budapest, che mette a rischio la sopravvivenza della Central European University di George Soros, “non è compatibile con le libertà fondamentali del mercato interno e con il diritto alla libertà accademica garantito dalla carte dei diritti UE”. Me cojoni! Roba da arresto immediato!
Per ora, invece, siamo solo all’avvio del primo passo verso una procedura di infrazione nei confronti dell’Ungheria: l’esecutivo di Bruxelles ha inviato, infatti, al premier ungherese “una lettera di messa in mora sulla legge sull’istruzione superiore”. Cosa ci abbia fatto Orban con quella missiva, immagino lo sappiate benissimo da soli. Si tratta, di fatto, del primo colpo assestato da Jean-Claude Juncker al premier ungherese, visto che nel mirino della Commissione non ci sarebbe solo la legge che porterebbe alla chiusura dell’Università ma, guarda caso, anche le leggi sul diritto d’asilo, sulla registrazione delle ONG e la consultazione pubblica lanciata dal governo magiaro e denominata “Let us stop Brussels”, i cui contenuti sono stati definiti “scorretti e altamente ingannevoli” dalla Commissione. Difendendosi di fronte al Parlamento Europeo, Viktor Orban ha definito le accuse “assurde e infondate”, visto che “la modifica tocca 28 università straniere che operano in Ungheria, limita la possibilità di abusi e pone fine ai privilegi che sono accordate alle università straniere rispetto a quelle europee”.
Ma, come si conviene al personaggio, non si è limitato all’uso del fioretto, definendo Soros “uno speculatore americano che attacca l’Ungheria e che ha distrutto la vita di milioni di europei con le sue speculazioni. Ed è anche nemico dell’euro, nonostante sia tanto stimato qui e ricevuto da leader europei”. Infine, la stoccata sull’immigrazione: “I migranti vogliono transitare in Ungheria per andare in Austria, in Germania e in Svezia, noi rispettiamo le regole di Schengen per l’interesse degli austriaci, dei tedeschi e degli svedesi, pensiamo di meritare un ringraziamento, non un attacco”. Roba da aprire un’inchiesta, che screanzato. In questo caso, la grande stampa sarebbe sicuramente sulla barricata colpevolista.
Ma attenzione, perché per quanto i media possano imbastire campagne di canonizzazione laica delle ONG e benedicano l’immigrazione come un dono del Cielo, la gente ha cominciato a ragionare con la sua testa. E, soprattutto, mandare allegramente a fare in culo gli schemi polverosi del pensiero politico novecentesco: in un mondo che vuole ancora come sacro l’assioma in base al quale la sinistra è il progresso e la destra invece l’abiezione assoluta, qualcosa sta cambiando. Anzi, è già cambiato. Guardate questa cartina della Francia, ci mostra come il Paese sia politicamente spaccato dopo il voto al primo turno delle presidenziali: un qualcosa di polarizzato al massimo, tanto che verrebbe da dire che l’unica cosa che abbia in comune quella gente sia la lingua che parla. Rischio di scollamento sociale, tale da poter dar vita a prodromi di guerra civile? Una polveriera politica che va a sovrapporsi a quella sociale delle banlieue e della crisi economica? Le basi ci sono tutte e il potere non ha fatto nulla per disinnescarle, in base al sempre valido motto del “divide et impera”, peccato che questa volta si siano spinti un pochino oltre, facendo saltare quel tacito patto sociale in base al quale il popolo si fa prendere per il culo ma, quantomeno, in cambio di salario e smartphone a rate.
La conferma ce l’ha data ieri la reazione dei lavoratori della fabbrica Whirlpool di Amiens, nel Nord della Francia, alla visita di Emmanuel Macron, politicamente di casa da quelle parti. E come è andata? Pesci in faccia, per il semplice fatto che quella fabbrica ha i giorni contati, visto che il gigante USA l’anno prossimo trasferirà la produzione in Polonia per abbassare i costi. La stampa, ovviamente, ha subito sottolineato come la reazione degli operai sia stata frutto del “colpo gobbo” giocato da Marine Le Pen, fattasi trovare sul piazzale della fabbrica, mentre Macron era chiuso con i rappresentanti sindacali a discutere. Si è parlato di “campagna elettorale ruvida” ma i fatti sono chiari: la Le Pen ha dichiarato che, se eletta, quella fabbrica non si muoverà dalla Francia.
E queste foto ci mostrano la reazione della gente. Piaccia o no, il potere ha talmente tirato la corda da rendere possibile che la leader di un partito di estrema destra venga accolta con cori e abbracci immortalati nei selfie fuori da una fabbrica. Emmanuel Macron, invece, ha subito una contestazione tale da non riuscire quasi a parlare, limitandosi – quando è tornata un po’ di calma – a dire alla gente di “non credere alle promesse della Le Pen”. Lui, invece, liberista, europeista rigido, estimatore dell’austerity e con un passato alla Banca Rothshield, gode di una credibilità enorme tra gli operai. Al netto del reato di lesa ONG e dei deliri di Bruxelles contro uno Stato sovrano che non vuole sobillatori in casa, visto l’alto numero di primavere colorate già sperimentate ad Est, quanto accaduto ieri ad Amiens equivale all’attraversamento di un Rubicone politico che si credeva invalicabile: la destra nelle fabbriche. E non in quanto storicamente e ideologicamente tale ma in quanto soggetto difensore di sovranità popolare e orgoglio di popolo, quindi trasversale e nazionalista: la stampa autorevole e i talk-show non lo ammetteranno mai, tacceranno di creduloneria quegli operai che si fidano di una fascista come la Le Pen e continueranno a dedicare fiumi di parole alle ONG – sante e martiri – ma il dado, in parte, è tratto.
E se le parole della stampa sono destinate a sparire nel vento, i numeri dei mercati parlano chiaro:
tutta questa certezza che Emmanuel Macron sbarchi in carrozza all’Eliseo la sera del 7 maggio non c’è. Magari è soltanto scrupolo, magari scaramanzia dopo le batoste di Brexit ed elezione di Donald Trump ma i segnali sono chiari. Certo, Jean-Luc Mélenchon ha invitato i suoi elettori, un bel 18% del totale, a scegliere formalmente tra votare Macron e astenersi al secondo turno ma quanti prototipi degli operai di Amiens ci sono tra loro? Quanti di loro, ancora oggi, in pubblico non hanno il coraggio di dire che non vogliono un banchiere all’Eliseo e che sono pronti al grande salto nel buio? Il francese Fernandel, impersonando il mitico Don Camillo di Giovannino Guareschi, diceva chiaramente che nel segreto dell’urna, Dio ti vede e Stalin no. In questo caso, non c’è da scomodare l’Onnipotente: chi non ti vede nel segreto dell’urna è l’establishment. Chi ti vede, invece, è la consapevolezza di non avere più nulla da perdere. L’arma letale contro il potere.
Don Camillo E L’onorevole Peppone!
Da qui al 7 maggio ne accadranno di tutti i colori, prepariamoci ma teniamo a mente quanto successo ad Amiens: destra e sinistra, nella concezione polarizzata e sclerotizzata dello status quo borghese, sono morte. La lingua è quella della difesa degli interessi, nazionali, sociali e personali: e per quanto possa sembrare populista, quelli di uno che ha lavorato alla Banca Rothshield e viene applaudito da tutto l’establishment europeo e mondiale, non saranno mai gli stessi di un operaio del Nord della Francia che tra pochi mesi sarà disoccupato in nome di quella delocalizzazione che Macron e i suoi sodali hanno benedetto e innalzato a modello di sviluppo. L’aria sta cambiando e non serve attendersi sorprese il 7 maggio per capirlo: basta guardare la foto di copertina. Non sprechiamo tutto, lasciamo i media a difendere le ONG e gli interessi del potere mondialista: c’è da cavalcare la tigre, adesso. O mai più.
di Mauro Bottarelli – 27/04/2017 Fonte: Rischio Calcolato