Contro ogni probabilità

no trumpIl grasso faccione di Michael Moore appare sempre indecente, come i genitali di uno di mezza età. Quello sciatto ciccione farebbe marciare le vecchie babbione anche senza il “pussyhat” (cappello rosa con orecchie da gatto, simbolo della protesta contro Trump – ndt). Basta la sua faccia. Sembra proprio George Soros: la stessa oscena Femminuccia. Secondo me è la sua faccia che lo condanna: come diceva Oscar Wilde, “tutte le creature brutte sono anche immorali”.
 
Basta guardare Madeleine Albright, altra Femminuccia.   Ma se vi serve qualche altro elemento diciamo anche che il suo “Stupidi Uomini Bianchi” è il libro più esecrabile pubblicato negli Stati Uniti in questo secolo. In esso sostiene che se i passeggeri degli aerei del’11 settembre fossero stati neri il dirottamente non avrebbe avuto successo.
E ora Femminuccia scopre i piani nascosti di Putin e chiede “l’insediamento della Clinton perché Trump é una spia russa”. Anni fa ha parlato contro la guerra in Iraq: ora invoca l’Armageddon nucleare. Con simili nemici intorno, non dobbiamo rinunciare a Trump.
Trump è finito, urlano sia i suoi fan che i suoi detrattori. E’ sconfitto, a terra, non si rialzerà più. E’ un’anatra zoppa e presto sarà messo sotto accusa. Presto lo si vedrà sgattaiolare fuori dalla Casa Bianca per infilarsi di nuovo nella sua gabbia dorata. O, meglio, correrà dal suo caro amico Vlad Putin.
E invece no, cari amici e lettori, Trump sta combattendo, non sta scappando, ma le cose richiedono tempo. Non è facile cambiare il paradigma, e fin dai primi momenti tutte le probabilità erano contro di lui. E’ arrivato fino ad oggi e continuerà a tenere duro. Il ragazzo è testardo e perseverante. Giudici corrotti tentano di legargli le mani, CIA e NSA rivelano le sue mosse al New York Times, alla CNN, e a NBC; ma lui si rialza, pronto a lottare di nuovo contro i suoi nemici – e i nemici degli americani, l’idra con tante teste a tre lettere.
 
Ci sono quelli che hanno fretta, che vorrebbero subito una vittoria e si disperano alle prima battute d’arresto. Un giudice intossicato di potere apre le porte dell’America all’avanguardia delle truppe ISIS, annullando un ordine esecutivo moderato e ragionevole, ed eccoli che già rabbrividiscono. Terribile, ma che avrebbe dovuto fare Trump? Doveva forse non fare niente di fronte a un suo ordine contravvenuto? Ha dovuto agire, così la gente avrebbe visto e giudicato i giudici. Allinearli con le spalle al muro all’alba lungo il muro del confine con il Messico? Non può farlo ancora, anche se in fondo avrebbe un senso.
 
Flynn ha dovuto lasciare, ed eccoli che esclamano: “tutto è perduto”. Sarebbe stato un errore se non avesse detto o fatto niente, invece ha agito. A una conferenza stampa molto pubblica e di grande copertura mediatica insieme al primo ministro Netanyahu, Trump ha detto: “Michael Flynn, il Generale Flynn è un uomo meraviglioso. Sono convinto che sia stato trattato molto, molto ingiustamente dai media – quelli che io chiamo i falsi media. E ‘molto, molto ingiusto quello che è accaduto al generale Flynn, il modo in cui è stato trattato, i documenti e le carte che sono trapelate illegalmente. E lo sottolineo: trapelate illegalmente. Molto, molto ingiusto.” Queste sono parole di un uomo che combatte, che ha perso una delle battaglie, anzi, solo una scaramuccia, ma che continua la sua guerra.
 
Forse sarebbe meglio tenersi Flynn, ma la politica è l’arte del possibile. E comunque le parole di Trump a sostegno del Generale erano già fuori luogo.
Trump ha incontrato Netanyahu, ed ecco i ‘deboli-di-cuore’ che già si lamentano che il Presidente ha ceduto alla lobby nefasta. Tutto il contrario. L’ADL, il potente gruppo di pressione ebraico, lo ha attaccato per aver rifiutato di pronunciare la loro parola preferita, “antisemitismo”. Haaretz ha dichiarato: “Sì, Trump è un antisemita“; il New York Times in un suo editoriale ha spiegato i motivi per cui il Presidente non ha voluto condannare l’antisemitismo, come richiesto; i rabbini hanno definito  “terrificanti” e “anti-sioniste” le sue osservazioni poiché Trump si è rifiutato di risolvere l’impasse con l’opzione da tempo battuta della “soluzione dei due Stati”.
Tra l’altro, i palestinesi sostengono la soluzione dello Stato unico proposta da Trump e non credono in quella ormai mitica dei due stati: l’equivalente mediorientale della quadratura del cerchio. Trump ha applicato abilmente la sua arma preferita, sostenere Bibi Netanyahu; con quest’arma ben spianata Trump è riuscito ad azzittire i cacciatori di anti-semiti, senza fare quello che volevano.
 
Sarebbe meglio ignorare gli ebrei del tutto, ma non si può fare dal momento che possiedono tutti i falsi-media e il cuore della gente comune americana. Rifiutare di condannare ufficialmente l’antisemitismo per un politico americano è come voler camminare sulla terra in assenza di gravità.
Dopo questo preambolo, possiamo affermare che il primo mese del mandato presidenziale di Trump è stato tutto in salita. Speravamo nella ragionevolezza degli sconfitti che gli avrebbero consentito di attuare il suo programma, invece hanno continuato dalle retroguardie a portare avanti le loro battaglie. Il suo è un compito arduo: Trump sta tentando di seppellire il capitalismo globalizzante prima che questo seppellisca i lavoratori europei e americani. Senza Trump, America ed Europa sarebbero invase da milioni di persone senzatetto che fuggono dalle guerre R2P. Senza Trump, i lavoratori americani ed europei finirebbero a lavorare nei fast-food, mentre i finanzieri continuerebbero a spremerli come limoni. Una simile inversione di tendenza non poteva passare senza opposizioni.
 
Guardiamoci indietro e ricordiamo le persone che nella storia hanno conseguito cambiamenti radicali di tale portata.  Non voglio citare nomi per non farvi spaventare. Nessuno di loro aveva una personalità particolarmente piacevole, ma avevano il carisma, una volontà di ferro, una buona memoria, la visione e la perseveranza; erano maestri di tattica, cioè sapevano quando era il momento giusto per ritirarsi e quando avanzare. E forse anche Trump ha queste qualità. Ma oltre a questo, avevano dietro di loro un partito leale e solidale, o un esercito e dei servizi segreti a loro disposizione. Trump questi non li ha.
Questi strumenti aggiuntivi sono necessari per superare gli elementi antidemocratici e non eletti del governo. Negli Stati Uniti, la magistratura e i media, due “poteri” su quattro, sono profondamente non o addirittura anti-democratici. I media sono di proprietà dei Signori dei Media, solitamente ricchi ebrei che portano avanti la loro agenda. I giudici sono naturalmente anti-democratici: disprezzano la democrazia e l’opinione pubblica.
 
La magistratura è anche fortemente ebreicizzata: tre su nove (o quattro su nove) giudici della Corte Suprema sono ebrei. Il presidente Obama aveva tentato di inserire un ulteriore giudice ebreo: ora gli elementi filo-ebrei si batteranno per evitare che un non-ebreo si “rubi” quel posto. Sono tantissimi gli avvocati e gli insegnanti di legge ebrei, tanti da metter l’imprimatur su questa professione. Nessun cambiamento radicale potrà essere possibile finché non si porrà un limite a questi poteri.
Trump non ha dietro di sé alcun partito leale, nessun servizio segreto a lui fedele. Il processore Intel Unit è contro di lui, le spie sono contro di lui e ‘passano la merce’ ai suoi nemici politici. Il partito è sospettoso nei suoi riguardi. Ci sono in giro troppi repubblicani intenti ad affilare i coltelli e pronti a colpirlo alla schiena, a cominciare dal vecchio traditore, John McCain  Senatori e Rappresentanti hanno un debito enorme verso i loro generosi donatori (per lo più ebrei); e hanno bisogno del sostegno dei media per poter essere rieletti.
 
Trump dovrebbe stabilire il controllo sul suo partito, mettendoci dei suoi fedelissimi ed estirpando i suoi avversari dal partito, dal Senato e dal Congresso. Vorrei consigliargli di non esitare a stroncare, spodestare e umiliare un senatore repubblicano, anche a costo di dare il suo seggio a un democratico. Non è impossibile. Basta infondere un po’ di paura nei cuori miti.
 
Portare i servizi segreti sotto il suo controllo è relativamente semplice: dare inizio a una caccia alle streghe, individuando i traditori che fanno trapelare il contenuto di conversazioni telefoniche riservate ai media. Questo è alto tradimento; tante persone di dubbia fedeltà possono essere fermate anche solo in caso di sospetto. Un biglietto di sola andata a Guantanamo aiuterà a schiarire le idee a molti potenziali traditori. Devono essere trattati severamente come il povero Bradley Manning. E comunque, i servizi segreti sono esagerati: gli Stati Uniti non possono sostenere un milione di spie. L’ottanta per cento se ne dovrebbe andare. Dovrebbero entrare nel mercato del lavoro ed iniziare a rendersi utili. Quelli che rimangono saranno solo fedelissimi.
I media possono essere soggiogati con vari mezzi. Di solito le grandi società d’informazione non sono mai altamente redditizie e sono suscettibili di acquisizioni ostili; alcune aziende possono essere fermate con la legislazione anti-trust. I Signori dei Media ostili si possono colpire facilmente spulciando le loro dichiarazioni dei redditi. Nel caso del New York Times, il suo sistema di azioni multi-livello è chiaramente ingiusto e può essere attaccato dagli azionisti. La misura migliore e più radicale sarebbe separare la pubblicità dai contenuti vietando il contenuto politico in pubblicazioni di carattere pubblicitario, come ho già detto altrove, ma per questo sarebbe necessaria l’approvazione del Congresso.
I giudici sono umani; quei giudici ostili che pensano di essere al di sopra del Presidente e del Congresso possono essere sottoposti a indagini approfondite con qualche pregiudizio. E sia nei tribunali che nelle università si dovrebbe abolire il mandato a vita.
Il compito del Presidente Trump quindi è decisamente arduo ma non impossibile. Tagliare i servizi di sicurezza a misura di quello britannico o francese (ed è anche molto). Ricordiamoci che dopo la prima guerra mondiale, gli Stati Uniti non avevano alcun servizio segreto e hanno prosperato comunque.  Terrorizzare un Signore dei Media e un senatore repubblicano. Portare alla luce la corruzione dei giudici distrettuali. Scoperchiare il barattolo pieno di vermi della Fondazione Clinton. Denunciare alcuni neoconservatori per aver mentito al Congresso. Ristabilire un ponte con Bernie Sanders. Invitare i suoi sostenitori ad arruolarsi nel partito repubblicano e conquistare la maggioranza alle primarie. E sì, ci vorrà del tempo.
 
Ora comprendete perché le valutazioni pessimistiche dei nostri colleghi Paul Craig Roberts e The Saker sono alquanto premature. Di fronte all’ ostilità del vecchio regime, Trump avrà bisogno di almeno sei mesi solo per regolarizzare la situazione alla Casa Bianca. Proprio per fare un confronto: Putin ci ha messo quasi cinque anni a consolidare il suo potere, e altri cinque per consolidarlo, anche se lui ha goduto del pieno appoggio dei servizi di sicurezza russi e ha potuto contare su una Costituzione più autoritaria scritta dagli americani per il loro tirapiedi, Eltzin.
Putin se lo ricorda bene: ci vuole tempo. Per questo non è affatto preoccupato per il ritardo da parte di Trump nel regolarizzare i rapporti USA-Russia. Le false notizie circa il disincanto russo nei confronti di Trump sono proprio questo: notizie false. I Russi sono fiduciosi nello sviluppo positivo delle relazioni USA-Russia, e non trattengono il respiro.
Perché credo che alla fine Trump avrà la meglio? Gli Stati Uniti non sono un’isola, sono parte integrante dell’Occidente e l’Occidente sta vivendo un cambiamento del paradigma. Le Femminucce hanno perso e i Deplorevoli hanno vinto, e non per un semplice colpo di fortuna. Ricordiamolo: Trump non è stata la prima vittoria; la Brexit l’ha preceduta. Tra la vittoria della Brexit e l’elezione di Trump, il governo britannico ha esitato e ha rinviato qualsiasi azione. Gli inglesi non erano sicuri se quel voto fosse un segno di cambiamento o un semplice colpo di fortuna. Dopo la vittoria di Trump, gli inglesi si sono messi davvero in marcia.
I giudici britannici – corrotti tanto quanto quelli americani – hanno tentato di fermare la Brexit, insistendo sul fatto che il caso sarebbe stato rinviato al Parlamento e che questo avrebbe archiviato il caso, facendo restare il Regno Unito nell’U.E., come chiedevano a gran voce i media. Ma si sbagliavano. Anche se il pubblico britannico ha votato per la Brexit con 52% su 48%, i parlamentari britannici l’ hanno approvata con 83% su 17%. I deplorevoli hanno stravinto.
Ora attraversiamo la Manica. La Francia ha preferito François Fillon (di centro-destra, un repubblicano moderato, in termini americani) per ereditare la poltrona di presidente di Femminuccia Hollande. Ora, la vittoria di Fillon sembrava assicurata, ma mentre si preparava al passaggio all’Eliseo, ecco che viene rivelato un fatto spiacevole. Una modesta appropriazione indebita (rubato, in poche parole) di circa un milione di dollari dei contribuenti francesi, oltre ad aver fatto lavorare la propria moglie come assistente parlamentare.
 
Ora tutti lo scansano quasi fosse un lebbroso, e la probabilità che la Regina dei Deplorevoli, Marine Le Pen, vinca le elezioni di maggio al primo turno è diventata altamente plausibile. Dovrà vedersela solo con un morbido socialista Emmanuel Macron che non rappresenta minimamente una minaccia. La sua retorica nel definirla “aspra” e “nemica di liberté-égalité-fraternité”, poiché non è molto appassionata di immigrazione araba, probabilmente cadrà nel vuoto. E’ la gente che è aspra e non è più tanto sicura che gli arabi rientrino nel concetto di uguaglianza. Così Marine potrà vincere e la Francia diventerà un alleato dell’America di Trump.
Fillon ha accusato forze “oscure” di tentare di schiacciarlo e probabilmente non ha torto. Le rivelazioni sul suo conto sono avvenute al momento giusto, proprio come nel caso delle e-mail DNC. In entrambi i casi, il crimine, o almeno le azioni disoneste denunciate, era reale, e lui (o lei) meritavano la sconfitta. In entrambi i casi, dietro un tale perfetto tempismo nelle rivelazioni, ci può essere soltanto una vera e propria forza “oscura”. E non parliamo di Russia. La Russia ancora non partecipa a questo ‘campionato’.
Parliamo di una forza occidentale “ombra” che promuove il capitalismo nazionalista, contro la forza globalista liberale che “invita ad invadere”. E’ questa forza che ha permesso a Trump di raggiungere la Casa Bianca, che ha consentito la Brexit e ha fatto fuori Fillon per dare spazio a Le Pen. Probabilmente Frau Merkel perderà alle prossime elezioni, facendo crollare quel piano assurdo di Obama di fare della Germania la pietra angolare del mondo globalizzato liberale.
 
In tutto l’occidente i Signori del Discorso si ritrovano sconfitti. E le piccole battute di arresto di Trump di certo non fermeranno questa tendenza. Il capitalismo produttivo nazionalista è collegato ai finanziari, ai Signori dei Media, ai promotori delle minoranze, ai servizi igienici transgenici e agli studi sulle donne. La battaglia non è ancora finita, ma finora pare che i Deplorevoli stiano vincendo e le Femminucce perdendo.
Non sappiamo chi sostiene i Deplorevoli. Quando ha vinto la Brexit i Signori del Discorso hanno detto che è stato grazie ai pensionati, ai proletari e ai poveracci delle periferie. Ma poi, il Parlamento l’ha approvata. La Signora Clinton deplorava i deplorevoli, ma oggi Trump siede alla Casa Bianca. Con Francia e Germania che seguono a ruota, sta nascendo una nuova forza. E’ sostenuta dalle maggioranze native. Chi li guida? Industriali, gente di spirito o forse solo lo Spirito del Tempo, lo Zeitgeist? Chiunque e qualunque cosa sia, questa forza aiuterà Trump, se terrà duro.
 
 
Israel Shamir adam@israelshamir.net
Fonte: www.unz.com
Link: http://www.unz.com/ishamir/against-all-odds/
 
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SKONCERTATA63
Questo articolo è apparso originariamente su The Unz Review.

Non vogliono evitare bufale, vogliono il controllo del dissenso

UN-internet-censorshipIl professore di Informatica giuridica all’Università degli Studi di Milano commenta il disegno di legge presentato al Senato. Un “testo confuso che non stabilisce neanche con quali criteri definire una falsa notizia”
Un testo confuso, che punta ad attaccare il libero dissenso in rete e confonde fake news e pedopornografia. In più, Internet non è il far west, ma un luogo già “iper regolamentato” dove non deve essere un legislatore o un provider “sceriffo” a censurare le informazioni. Giovanni Ziccardi, professore di Informatica giuridica all’Università degli Studi di Milano, commenta il ddl contro le fake news presentato nei giorni scorsi al Senato (qui il testo). Una proposta “liberticida” che vuole imporre nuove regole a siti e forum, applicando anche l’aggravante della diffusione a mezzo stampa.
Da esperto di diritto delle nuove tecnologie, cosa pensa del ddl?
Credo sia inopportuno, pericoloso e censorio. Nasconde le sue reali intenzioni di controllo del dissenso. Lo trovo soprattutto impreciso, sia dal punto di vista tecnico che giuridico. Punta a soffocare il dibattito in rete caricando di responsabilità, burocrazia e sanzioni gli utenti e i provider. Dall’altra parte “salva”, per molti versi, i due principali vettori di odio, notizie false e disinformazione di oggi, cioè molti grandi media e politici. Ed equipara fenomeni eterogenei tra loro che richiedono, invece, regolamentazioni specifiche. Infatti nella relazione introduttiva si fa riferimento a “fake news”, a espressioni che istigano all’odio e alla pedopornografia. Tre universi molto diversi tra loro.
Quali sono i punti più critici?Partiamo dalle pagine della Relazione introduttiva, dove si spiegano le motivazioni del provvedimento: sono molto chiare, fanno capire bene quale sia l’intento. Già nel titolo, s’individuano tre scopi eterogenei tra loro: prevenire la manipolazione dell’informazione online, garantire la trasparenza sul web e incentivare l’alfabetizzazione mediatica. Tutti temi con esigenze differenti e che richiedono approcci originali e ben calibrati.
Il testo nasconde le sue reali intenzioni di controllo del dissenso. Ed è impreciso, sia dal punto di vista tecnico che giuridico
Nelle stesse pagine vengono elencati anche i pregi di Internet, sottolineando quanto sia importante per la democrazia.
Sì, per poi passare a giustificare una regolamentazione, per occuparsi del “lato più oscuro”. Bisogna sempre diffidare di chi tratta la regolamentazione della rete elencandone, prima, i pregi, a partire dalla sua natura di grande strumento di libertà. Di solito a questo segue la scure della regolamentazione selvaggia.
Di fatto, già dopo poche righe leggiamo la parola “controllo”.
Sì, come in questo passaggio: “La libertà di espressione non può trasformarsi semplicemente in un sinonimo di totale mancanza di controllo, laddove controllo, nell’ambito dell’informazione, vuol dire fornire una notizia corretta a tutela degli utenti”.
Non si capisce, però, chi debba stabilire quali notizie siano o meno corrette.
Si parla di notizie sbagliate e distorte o, peggio, manipolate, che non sarebbero “mai circolate alla velocità con cui circolano oggi”. Di un’informazione che diventa disinformazione a fini di propaganda e influenza l’opinione pubblica, di una Rete contaminata da notizie inesatte e infondate. Viene disegnato un quadro terrificante. Ma si dimentica che non sono solo gli utenti, oggi, a far circolare simili notizie, ma anche organi di stampa e politica. Da tempo sostengo che l’odio e le fake news si siano “istituzionalizzate”. Provengono, in sintesi, dai soggetti che, al contrario, dovrebbero dare l’esempio. In particolare media e politica: hanno scoperto che possono essere usate come “valuta” per guadagnare consenso, voti, click e lettori.
Nel ddl non ci sono soltanto le fake news. Si parla anche di istigazione all’odio, cyberbullismo e pedopornografia.
Tutti temi che non c’entrano nulla con la manipolazione delle notizie, ma che sono suggestivi e vengono aggiunti per disegnare un quadro ancora più fosco dove è necessaria, dunque, una regolamentazione. Il testo carica di responsabilità i provider con obblighi di monitoraggio e di rimozione dei contenuti falsi e chiede loro di utilizzare non meglio identificati “selettori software” per rimuovere i contenuti falsi, pedopornografici o violenti. Anche in questo provvedimento si intravede la crociata contro il Web e Facebook e la domanda di sanzioni nei confronti dei gestori di piattaforme.
Al di là della relazione introduttiva, cosa prevedono gli articoli del provvedimento?
Viene punito chi pubblica o diffonde notizie false, esagerate o tendenziose che riguardino dati o fatti manifestamente infondati o non veritieri attraverso social media o altri siti che non siano espressione di giornalismo online. Già questa distinzione è significativa: non si vuole toccare il giornalismo online con l’assunto che sia maggiormente garantita una qualità dell’informazione. Cosa che non è sempre vera. Si vogliono evitare allarmi infondati e, in caso di diffamazione, la vittima potrebbe chiedere anche una somma a titolo di riparazione in base al grado di diffusione della notizia. Si applicherebbe, poi, l’aggravante della diffusione a mezzo stampa, cosa che sinora non è mai stata fatta e che è concettualmente sbagliata. L’attenzione è rivolta anche alla diffusione di notizie false che possano destare pubblico allarme o fuorviare settori dell’opinione pubblica. O che hanno come oggetto campagne volte a minare il processo democratico, quindi esplicitamente connesse all’opinione delle persone.
Vuole introdurre per siti e forum l’aggravante della diffusione a mezzo stampa, cosa che sinora non è mai stata fatta e che è concettualmente sbagliata
La novità riguarda anche chi vuole aprire un sito o un forum.
L’amministratore dovrebbe comunicare via posta certificata entro 15 giorni i dati alla sezione per la stampa e l’informazione del tribunale per aumentare la trasparenza e contrastare l’anonimato, garantendo così la tracciabilità. Un registro, in sintesi, di tutti coloro che scrivono. Se a questo si aggiunge un diritto di replica e di rettifica entro due giorni dalla richiesta, un processo di rimozione dei contenuti (diritto all’oblio) e un programma di alfabetizzazione mediatica con l’ingresso del “buon giornalismo” nelle scuole al fine di creare piccoli giornalisti ben attenti alla verità, il quadro di controllo è completo. Su tutto, ovviamente, la responsabilità dei provider, tenuti a effettuare un costante monitoraggio e un’azione di rimozione anche per i commenti degli utenti e per le frasi offensive che diventano di tendenza.
Viene citato anche il whistleblowing.
Sì, ma a sproposito, perché non c’entra nulla con le procedure di segnalazione degli utenti all’interno di una piattaforma.
In tutto questo, c’è qualche punto di forza nel testo, anche se da riformulare?
No, nessuno. Il testo nasce sbagliato, con un approccio liberticida. Intervenire nella circolazione delle idee in rete è un processo che può solo fare danni. L’approccio al diritto deve essere equilibrato, non costruito attorno a sanzioni e responsabilità quasi oggettive, istituzione di registri e allargamento delle ipotesi penali, e deve sempre essere coordinato con un’azione tecnologica rispettosa del dna della rete.
Intervenire nella circolazione delle idee in rete è un processo che può solo fare danni E rimane un’incognita anche come intervenire a fronte di una “fake news”.
È facile individuare bufale o notizie false clamorose, ma c’è un’area grigia difficilissima da disciplinare e che rientra nell’ambito dell’interpretazione soggettiva. In base a quali criteri stabilire che è una fake news? In che rapporto starebbe, ad esempio, con la satira? E chi dovrebbe stabilire cosa è falso o no? Il governo?
Nel complesso il testo è scritto da persone competenti?
Non lo so. Noto solo molta confusione nell’affiancare temi molto diversi tra loro e che richiedono approcci ad hoc (notizie false, espressioni d’odio, pedopornografia), il solito disvalore nei confronti dell’anonimato, il provider “sceriffo” al centro del sistema di responsabilità. E poi l’equiparazione alla stampa con un’estensione della ipotesi di diffamazione aggravata a mezzo stampa – procedimento non corretto – e la creazione di un elenco di siti tenuto in tribunale per individuare chi scrive e per evitare l’anonimato. Non mi sembra certo un approccio moderno, rispettoso del mezzo tecnologico e consapevole dei pregi della rete.
Il testo chiede a chi vuole aprire un sito di comunicare con posta elettronica certificata – ed entro 15 giorni – cognome e nome, domicilio, codice fiscale alla Sezione per la stampa e l’informazione del Tribunale competente. L’obiettivo, come dichiarato dalla Gambaro, prima firmataria, è che così si può “accrescere la trasparenza e contrastare l’anonimato” e “agevolare chi ha bisogno di rettifiche”. Sarebbe utile in questo senso?
Non credo. Già in rete, oggi, l’identificazione è estremamente semplice. E questi obblighi sarebbero facilmente aggirabili utilizzando strumenti che permettono di aprire siti o blog su provider esteri in servizi nascosti, o utilizzando strumenti per il vero anonimato. La registrazione di tutti coloro che scrivono in rete è già operata in alcuni regimi “non democratici”, ma si è dimostrata facilmente aggirabile.
 
La registrazione di tutti coloro che scrivono in rete è già operata in alcuni regimi “non democratici”, ma si è dimostrata facilmente aggirabile
Chi diffama e offende da anonimo non è individuabile?
Il vero anonimato è estremamente complesso da raggiungere ed è estremamente difficile da portare avanti per un lungo periodo. Oggi, spesso, chi diffama o chi odia lo fa con nome e cognome, come vediamo scorrendo i social network. La polizia postale, oggi, è in grado di individuare i soggetti che scrivono o commentano con toni violenti.
Perché la lotta all’anonimato è sempre stata un chiodo fisso in tutte le proposte di leggi in Italia?
Perché si pensa che l’esposizione delle reali identità possa portare a cambiare i comportamenti, ma non è corretto. Oggi gran parte dell’odio viene veicolato con nome e cognome. In più perseguire chi diffama richiede l’avvio di un complesso percorso giudiziario. Che spesso i personaggi pubblici non vogliono portare avanti per motivi di immagine, per non apparire come un “Davide contro Golia” che se la prende con i più deboli.
In rete ci sono davvero profili “anonimi”?
Ci sono strumenti per l’anonimato, ma non sono quelli comunemente utilizzati nelle discussioni su larga scala, nei gruppi, sui social e nei commenti in coda agli articoli.
Il legislatore non dovrebbe intervenire. Mi sembra più un tentativo di soffocare il dissenso, di reagire alle critiche, di cercare di uniformare il pensiero
Dal punto di vista legislativo, dovrebbero essere messi a punto nuovi strumenti e norme per ostacolare la diffusione di fake news?
Ci sono già strumenti che intervengono se una notizia falsa risulti diffamatoria o possa generare danni nel contesto sociale. Non mi sembra ci sia bisogno di altre leggi. Internet è già regolamentato. Viene presentato come un Far West ma, in realtà, è disciplinato in ogni suo aspetto.
E soprattutto: è un legislatore che deve pensare a come sanzionare chi diffonde false informazioni?
No, secondo me il legislatore non dovrebbe intervenire. Mi sembra più un tentativo di soffocare il dissenso, di reagire alle critiche, di cercare di uniformare il pensiero. È un disegno di legge che alterna approcci di controllo orwelliani – come il registro di chi scrive – a strumenti kafkiani – la burocratizzazione dell’attività dei provider – per controllare la qualità dell’informazione che circola. Ma in tutto questo non si specificano i criteri da adottare. Lasciando così a chi governa il compito di decidere cosa sia verità e cosa non lo sia.
di Giovanni Ziccardi – Eleonora Bianchini – 26/02/2017 Fonte: Il Fatto Quotidiano

Il vocabolario italiano di pulizia etnica legato a Soros

soros sovversione
signor sì. E poi negano di essere nella realtà orwelliana
 

Su input dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), di cui era portavoce la presidente della Camera, Laura Boldrini, nasceva l’associazione Carta di Roma nel dicembre del 2011, per dare attuazione al protocollo deontologico per una informazione corretta sui temi dell’immigrazione, siglato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti (Cnog) e dalla Federazione Nazionale della Stampa italiana.
La Carta di Roma inizia il suo iter, richiamata su Facebook dalla Presidente della Camera che ne sottolinea l’importanza, per l’opinione pubblica che “forma le proprie convinzioni attraverso i media… perché il livello di coesione di una società dipende anche dall’uso corretto e responsabile delle parole.
 
Laura Boldrini e l’associazione Carta di Roma continuano a difendere una corretta informazione sui temi dell’immigrazione, proponendo in un glossario termini corretti da utilizzare, come “richiedente asilo”, “rifugiato”, “avente diritto alla protezione internazionale” e “migrante irregolare”.
Non è tanto importante che i nuovi termini proposti facciano sorridere chi si esprime comunemente con termini come vucumprà, clandestini, extracomunitari, terroristi islamici, oppure abbiano causato prese di posizione come quella di Matteo Salvini che in un post su Fb del 21 febbraio parla di associazione buonista, di boldriniana “pulizia etnica lessicale”, con una calata di tono seguita da un’altrettanta calata di tono del presidente dell’associazione Carta di Roma che esordisce nell’editoriale della prima pagina dell’Unità: “Il leader della Lega Nord, Matteo Salvini, è uno stronzo. E anche se, per questa affermazione ingiuriosa, un giudice dovesse condannarmi, mi sentirei in obbligo di ripeterla”.
Acquista maggior peso la home page dell’associazione Carta di Roma.org, che in alto a sinistra riporta il logo dell’Agenzia dei rifugiati delle Nazioni Unite (Unhcr) e in alto a destra il logo della Open Society Foundation, il cui fondatore e filantropo è George Soros.
Acquistano maggior peso pagine web di giornalisti stranieri che parlano della Carta di Roma come di un’associazione fondata con i soldi di Soros. Così l’articolo di Thomas Williams, attivo a Roma dal 2014 come l’uomo di Breitbart, la testata di estrema destra diretta dal consigliere politico di Donald Trump, Steve Bannon, discusso sito web che sta per aprire i battenti anche in Germania e in Francia. Il giornalista parla dell’associazione Carta di Roma, “an italian lobby group”, finanziata da Soros che sollecita i giornalisti ad un vocabolario di pulizia etnica.
Poco prima della presentazione del Quarto Rapporto della Carta di Roma alla Camera dei Deputati il 19 dicembre scorso, introdotta dal saluto di Laura Boldrini, Presidente della Camera dei deputati del Parlamento italiano, Putin ufficialmente dichiarava il miliardario George Soros uomo ricercato in Russia, citando lui e le sue organizzazioni come “una minaccia alla sicurezza nazionale, e l’Ungheria prevedeva di reprimere e spazzare via le organizzazioni non governative legate al miliardario Soros.
Dopo la Russia e l’Ungheria anche la Macedonia si appresta ora a vietare tutti gli Enti non governativi finanziati da George Soros e a tale proposito è stata lanciata l’operazione Sos, Stop Operation Soros, con la motivazione che le organizzazioni finanziate da Soros hanno monopolizzato la società civile in Macedonia e sopprimono tutte le notizia che il magnate ungherese ritiene scomode. Una pesante accusa è fornita dal capo editore dell’agenzia statale di notizie, Mia news, secondo cui la fondazione Open Society di Soros danneggia l’indipendenza della Macedonia.
Sta di fatto che Soros da tempo cerca di destabilizzare governi democraticamente eletti, finanziando proteste che portano a guerre civili come in Ucraina. L’Italia farebbe bene a tutelarsi da interferenze nefaste di organizzazioni che non solo operano apertamente alla luce del sole ma sono anche all’interno delle istituzioni.
Mar 05, 2017
di Cristina Amoroso

60 anni dei Trattati di Roma

ue filo spinatoil 25 marzo festeggeranno i 60 anni dei Trattati di Roma che contribuirono al’istituzione del regime totalitario denominato EUROPA. Ci saranno almeno 4 cortei, (due dei tirapiedi di Soros, quel movimento federalista europeo che vive di dollari americani)  di cui almeno un paio a contestare i trattati e parlano di infiltrazioni, terrorismo violenze e tutto il corollario di fregnacce di regime atte ad autorizzare la REPRESSIONE PREVENTIVA DEL DISSENSO di chi non ci sta a SUICIDARSI per il progetto di oligarchi senza scrupoli. Ci scapperà un false flag per CHIUDERE LA BOCCA  a tutti coloro che contestano questa dittatura tanto cara alla finanza? Tanto per capire che significa libertà di espressione per la tanto “civile” Ue nata per contrastare gli “oscurantismi”.

Il finanziere/ banchiere Visco è tanto preoccupato perché non siamo ancora troppo uniti come Europa ( esistono ancora i fastidiosi parlamenti, ormai insopportabili ed inutili per le elites anche se vi hanno collocato sempre i loro scagnozzi).

Per questo motivo la Ue non riesce a fare tanto bene ai popoli, come promesso dall’astuta quanto falsa propaganda dell’epoca,  perché è troppo “paralizzata” e poi quell’euroscetticismo che toglie il sonno ai Visco e Boldrini…


Sono quattro i cortei e due le manifestazioni statiche in programma sabato 25 marzo, in occasione dell’anniversario dei Trattati di Roma.  Alle 11 i partecipanti al corteo del Movimento federalista europeo si ritroveranno alla Bocca della Verità per poi raggiungere l’Arco di Costantino, al Colosseo; qui ci sarà il ricongiungimento con il corteo di Nostra Europa, partito sempre alle 11 da piazza Vittorio. Ai due cortei, secondo la questura, dovrebbero partecipare complessivamente circa 6.500 persone. Nel pomeriggio, alle 14 il corteo di Euro Stop partirà da piazza Porta San Paolo, percorrendo via Marmorata, via Luca della Robbia e lungotevere Aventino: tappa finale, Bocca della Verità. Il corteo di Euro Stop è quello che si annnuncia più folto, con circa 8 mila partecipanti. Un’ora più tardi, alle 15, partirà da piazza dell’Esquilino il corteo di Azione Nazionale5mila le persone attese – che terminerà in via dei Fori Imperiali. Le due manifestazioni statiche sono promosse da Fratelli d’Italia (dalle 10 alle 15 all’Auditorium Angelicun) e dal Partito comunista (dalle 15 in piazzale Tiburtino). Saranno due le zone di ‘massima sicurezza’ nella Capitale in occasione del 60° anniversario dei Trattati di Roma, il 25 marzo. La “zona blu”, una sorta di “eurozona”, dove graviteranno i leader politici e la “zona verde”, un’area ‘cuscinetto’ con 18 varchi di accesso per i controlli.

http://roma.repubblica.it/cronaca/2017/03/17/foto/anniversario_dei_trattati_di_roma_zone_di_sicurezza_cortei_e_sit_in_ecco_la_mappa-160781373/1/#1

Trattati Roma, rischio black bloc nei cortei: il 25 marzo centro storico blindato
Quattro cortei, due sit-in, 30mila persone in piazza, almeno 3mila uomini delle forze dell’ordine in campo. Dai numeri del 25 marzo, data clou delle celebrazioni del 60esimo anniversario dei Trattati di Roma, emergono una certezza e una paura. La certezza e’ che per romani e turisti, tra zone off limits, deviazioni di traffico e controlli rigorosissimi, sara’ l’ennesimo fine settimana di passione.
La paura e’ che la protesta targata ‘no Europe’ sia infiltrata dai professionisti degli scontri di piazza, magari d’importazione. A scongiurare quest’ultimo, preoccupante scenario lavorano da giorni i responsabili dell’ordine pubblico, che hanno cercato – e ottenuto – la collaborazione degli stessi promotori delle manifestazioni ufficiali. Numerose, e ravvicinate, le riunioni tecniche operative volute dal neo questore della citta’, Guido Marino.
 
Giovedi’ scorso, dal Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica, presieduto al Viminale dal ministro dell’Interno Marco Minniti, e’ arrivato l’input a “intensificare le attivita’ di controllo e di vigilanza a tutti gli obiettivi ritenuti sensibili” e a garantire “il massimo coordinamento tra tutte le componenti impegnate nelle attivita’  di prevenzione controllo”; venerdi’ dalla questura sono stati ufficializzati perimetri delle “zone di sicurezza” e divieti.
 
DUE LE ZONE DI SICUREZZA
 
Niente “zona rossa”, come previsto: l’area interdetta, ovvero riservata alle sole celebrazioni ufficiali, sara’ “blu” (in omaggio ai colori della bandiera europea) e includera’ piazza Venezia, piazza dell’Ara Coeli, piazza San Marco, via Petroselli fino a via delle Tre Pile per chiudersi attraverso i
 
Fori Imperiali e piazza Madonna di Loreto. Quest’area sarà’ presidiata sin dalle prime ore del 24 marzo, mentre dalla mezzanotte dello stesso giorno scatteranno le chiusure al traffico veicolare e pedonale per le bonifiche, concentrate nella notte prima del vertice. Ventuno i varchi di accesso. La “zona verde” comprendera’ invece via 4 novembre, largo Magnanapoli e via Nazionale, costeggera’ piazza delle
 
Repubblica e ridiscendera’ fino a via del Corso lungo tutta via del Tritone: l’area, operativa dalle 7 del 24 marzo, non sarà’ chiusa al traffico ma ciascuno dei 18 varchi di accesso sarà’ presidiato dalla polizia che potra’ procedere a identificazioni e controlli. All’interno dell’area verde non ci sara’ alcuna manifestazione. Centro impraticabile o quasi, insomma, ma altre vie saranno interessate da chiusure improvvise per il passaggio delle delegazioni dei 40 capi di Stato e di governo provenienti da tutta Europa. In campo anche tiratori scelti, cani anti esplosivi e artificieri; scontato il divieto di sorvolo.
 
RISCHIO BLACK BLOC
Due, sostanzialmente, i pericoli piu’ temuti: quello di attentati terroristici, con i quali peraltro l’Occidente ha imparato a convivere, e quello che le celebrazioni possano diventare la vetrina di black bloc e simili. Nell’ultima Relazione al Parlamento, sono stati proprio gli 007 ad evocare il rischio che gli effetti perduranti della crisi possano “favorire l’insorgere di una maggiore conflittualita’ sociale a sua volta alimentata e strumentalizzata da parte di componenti antagoniste”: fenomeni da monitorare con attenzione “tenuto anche conto del fatto che l’Italia ospitera’ numerosi eventi internazionali di rilievo, tra cui quelli legati alla Presidenza di turno del G7”. Roma come prove generali per
 
Taormina? La prospettiva non si puo’ escludere, e nessuna segnalazione viene ignorata: alle proteste si unira’ anche la destra, e un altro rischio da evitare e’ quello di contatti ravvicinati tra le opposte fazioni. I cortei autorizzati, come detto, sabato saranno quattro: alle 11 i partecipanti al corteo del Movimento federalista europeo si ritroveranno alla Bocca della Verita’ per poi raggiungere l’Arco di Costantino, al Colosseo; qui ci sara’ il ricongiungimento con il corteo di Nostra Europa, partito sempre alle 11 da piazza Vittorio. Ai due cortei, secondo la questura, dovrebbero partecipare complessivamente
circa 6.500 persone. Nel pomeriggio, alle 14 il corteo di ‘Euro Stop’ partira’ da piazza Porta San Paolo, percorrendo via Marmorata, via Luca della Robbia e lungotevere Aventino: tappa finale, Bocca della Verita’. Il corteo di Euro Stop e’ quello che si annuncia piu’ folto, con circa 8mila partecipanti. Ed e’
 
anche quello, secondo gli esperti, a maggior rischio di infiltrazioni: “Pensiamo che il 25 marzo non sia una giornata di festa ma debba divenire una giornata di lotta e mobilitazione contro il vertice”, scrivono i promotori nel loro appello anti euro, Ue e Nato, “per la democrazia e i diritti sociali”, raccolto tra gli altri dal sindacalismo di base, dal movimento no tav, dalla galassia dei centri sociali e dalla Rete dei comunisti. Un’ora piu’ tardi, alle 15, partira’ da piazza dell’Esquilino il corteo di Azione Nazionale – 5mila le persone attese – che terminera’ in via dei Fori Imperiali. Le due manifestazioni statiche sono promosse da Fratelli d’Italia (dalle 10 alle 15 all’Auditorium Angelicum) e dal Partito comunista (dalle 15 in piazzale Tiburtino).
 
NIENTE CASCHI E PETARDI – I partecipanti – prescrive la questura – dovranno “lasciare, prima delle manifestazioni, caschi e copricapi”; vietato l’utilizzo di “vestiario idoneo al travisamento o utile ad impedire l’identificazione”; non consentito “l’utilizzo di petardi o altro materiale esplodente”; “gli zaini e le borse saranno tutti controllati dagli agenti di polizia”; “ogni oggetto atto ad offendere sarà’ sequestrato”. Tali divieti saranno fatti rispettare, fin dall’ingresso in citta’, gia’ nei giorni precedenti il vertice: per singoli soggetti valutati pericolosi potra’ scattare il
foglio di via. Tutte le fasi dei cortei saranno filmate dalla scientifica e successivamente vagliate in caso di incidenti per risalire ai responsabili.
 
19 marzo 2017

 

Cosa c’è che non va nel globalismo?

globalismIn base a quello che sino ad ora ho capito, il globalismo è uno schema elaborato dalle elites per distruggere la classe operaia e quella media attraverso la finanza globale imperialista.
Ho anche il sospetto che il globalismo sia una trama ordita per eliminare le culture nazionali e le vere differenze umane sotto le ingannevoli spoglie del «multiculturalismo» e della «diversità».
E’ per questa ragione che mi confondo ogni volta mi capiti di sentire una persona dire di odiare «i ricchi», di essere opposta «all’imperialismo» e di supportare «la classe operaia», pur sostenendo incondizionatamente allo stesso tempo le frontiere aperte ed un governo globale.
Come il sogno irrealizzabile del Marxismo (un’inevitabile ed irreversibile dittatura del proletariato), la seduzione più pericolosa del globalismo consiste nell’idea della sua assoluta necessità storica. La tecnologia ci ha resi un pianeta sempre più interconnesso, per cui (così dicono) l’unica vera soluzione realmente logica e morale dovrebbe essere l’istituzione su scala globale di un’autorità governativa benevola, dotata dell’autorità di tassare, imprigionare, torturare ed abusare.
 
Ma il comunismo ci ha mostrato di essere tutt’altro che inevitabile. Dopo l’apogeo raggiunto il secolo scorso, è praticamente scomparso dalla faccia della terra. Vorrei tanto pensare la stessa cosa dei progetti di un governo monolitico mondiale sottesi a quanto viene amabilmente definito come «globalismo».
Suppongo che feticizzare una sciocca astrazione internazionalista della «classe operaia» globale permetta al globalismo stesso di adattarsi perfettamente alle vostre istanze emozionali e ai vostri complessi borghesi incentrati su un «senso di colpa da ricchi». Tuttavia, se si supporta concretamente la classe operaia statunitense (o ancora meglio: se si appartiene a questa classe), non si può non comprendere che il globalismo è il nostro peggior nemico. Chi ha passato la maggior parte della propria esistenza sotto la pressione di una scelta tanto semplice quanto triste (lavorare o morire di fame) avverte distintamente il disprezzo che le subdole élite globali provano non solo verso la sua persona, ma anche per la sua cultura, la sua umanità e la sua stessa esistenza.
Indipendentemente dai posti di lavoro che questi schizofrenici resi folli dall’avidità confezionino e spediscano all’estero, il loro sogno maggiore è ridurre drasticamente i salari negli stessi USA importando (per vie sia legali che illegali) «migranti» che non hanno niente in comune con la vostra cultura e sono stati istruiti a deridervi come uno scarto evolutivo se vi permettete di lamentarvi che le elites si stanno prendendo gioco di voi mentre distruggono le basi su cui si regge la vostra vita.
Il globalismo sostituisce operai del Mondo Sviluppato con operai provenienti dal Terzo Mondo e chiama i primi «razzisti» (l’equivalente moderno di «negri») se osano avanzare la minima protesta a riguardo. Quindi… se il globalismo può essere una manna dal cielo per le multinazionali e gli operai malesi, per quelli occidentali si è rivelato una botola da cui possono pendere impiccati in qualsiasi istante.
Per la classe operaia occidentale, il globalismo significa regresso, disfatta, dislocazione.  Dopo le elezioni di novembre, il maggiore stratega della Casa Bianca, Steve Bannon, ha descritto cosa è realmente successo: «I globalisti hanno distrutto la classe operaia statunitense ed hanno creato una classe media in Asia. Il problema principale ora consiste in come gli statunitensi possano evitare di essere definitivamente rovinati».
Ma come molti di noi stanno imparando, il semplice comprendere che si sta venendo rovinati (non dico cercare di evitarlo attivamente!) ci rende automaticamente dei nazisti, degli antisemiti, dei suprematisti bianchi e dei patetici provinciali che devono essere sostituiti nella linea di produzione da gente con più melanina e meno soldi.
 
 Quanto più le elites finanziarie perdono le proprie radici e si internazionalizzano, tanto meno fanno finta di trovare un legame comune con gli zotici e le bestie dei paesi che le ospitano. Al contrario, deridono ormai apertamente queste masse.
Ma con sommo orrore e sgomento di questi cosmopoliti ultra-arroganti, i provinciali dei paesi di transito finanziario si stanno svegliando ed hanno realizzato che, nel migliore dei casi, sono visti come un ostacolo al progresso. Nel peggiore dei casi, invece, realizzano che gli architetti globali non avrebbero problemi di sorta a schiacciarli con le asfaltatrici pur di tracciare la via maestra per la loro versione di «progresso».
Chi critica aspramente «i ricchi» pur accettando ingenuamente il globalismo e tutte le sciocchezze utopistiche piazzate in rete non comprende che, quasi senza eccezione, la finanza globale, i mezzi di informazione globali e la cultura accademica globale sono solidamente dietro questo idiota movimento monolitico che predica il commercio libero, le frontiere aperte e la psicopolizia informatica.
Fondazioni umanitarie, organismi o gruppi analitici apparentemente indipendenti e le ONG affermano di perseguire una missione che dovrebbe alleviare i problemi delle masse e mettere i ricchi sotto controllo, tuttavia pochissime persone sembrano dubitare della sincerità dei loro intenti. «I ricchi» infatti stanno appoggiando dei movimenti da cui vengono demonizzati solo superficialmente: in realtà, le strutture appena menzionate stanno rendendo «i ricchi» ancora più ricchi, ma chi dice qualcosa a riguardo viene subito tacciato di nazismo.
Ma a parte la sfrenata ipocrisia economica, l’aspetto più odioso del globalismo selvaggio è il disprezzo infestante che i suoi divulgatori mostrano per le culture nazionali, soprattutto per quelle europee. Nonostante il tributo convenzionale offerto ai cosiddetti diritti di uomini che ritengono di essere donne e quindi vogliono fare i loro bisognini nei bagni delle signore, questi divulgatori mostrano una disinvolta indifferenza verso il seguente fatto: le loro devastazioni finanziarie e culturali, che nessuno ostacola, stanno spazzando via intere culture sul pianeta e le stanno sostituendo con una cultura consumatrice piatta, sradicata, omologata, ideologicamente caotica e compiacente.
Tuttavia, nella loro folle tensione ad un livellamento globale, le forze mondialiste non potranno mai risolvere definitivamente i motivi di conflitto. Il globalismo può solo sostituire le guerre tra nazioni con guerre tra ex-nazioni, trasferendole dai confini, dove prima tali conflitti avevano luogo, alle strade delle città. E’ possibile che, invece di un’armonia globale, sia proprio questo lo scopo finale del globalismo: un conflitto interminabile ed insanabile.
 
C’è un lato tremendamente ironico in tutto questo. Non so se per caso o destino. Il globalismo spesso è un antidoto umano ed una forma di retribuzione karmica in atto contro il colonialismo europeo. Durante i vari dibattiti, il fatto che la Francia abbia colonizzato parti del Maghreb in maniera criminale viene utilizzato come una giustificazione morale dei magrebini che stanno colonizzando demograficamente e culturalmente la Francia. Apparentemente, nessuno ha mai insegnato a questi scaltri sofisti del globalismo che la somma di due mali non dà mai il bene, il risultato sarà piuttosto un inasprirsi dei conflitti e degli spargimenti di sangue.
Essendo io un anticollettivista per natura, trovo orrendo lo spettro di un governo globale retto da figure ufficiali non elette che non tengano in conto alcuno la volontà mia e quella della maggioranza degli esseri umani. Non ho assolutamente voglia di far controllare ogni microsecondo della mia esistenza a persone che si trovano a 5000 miglia lontano da me. Persone a cui non delegherei nemmeno il compito di scaccolarmi.
 
John Lennon può essere ritenuto a buon diritto la prima pop-star globalista, il suo candido «Imagine» del 1971 è venerato come un vero inno al globalismo. In questa canzone Lennon immagina un mondo senza nazioni, senza proprietà privata, senza omicidi, un mondo dove tutti gli uomini cooperano. Mentre immaginava tutto questo, un pazzo ha premuto il grilletto e lo ha ucciso. Lennon cantava che abbiamo bisogno solo d’amore. In realtà, il giorno del suo omicidio lui aveva bisogno solo di un’arma per difendersi.
di Tyler Durden – 01/03/2017 – Fonte: oltrelalinea
(di Tyler Durden, ZeroHedge – Traduzione a cura di Claudio Napoli)

PD: RITRATTO DI OLIGARCHIA CORROTTA DAI MILIARDI. PUBBLICI.

pd corruzione elettaritratto di un partito tanto anti populista quanto contro la corruzione per la legalità…fidiamoci

C’è chi non ha capito in cosa consista la differenza tra Renziani e anti-renziani.  Sono due progetti per la nazione alternativi, quelli su  cui si sono scontrati?  Su cosa litigano? Si scindono o no?
 
I loro motivi possono essere sunteggiati così.   Renzi e  i renziani: “Se   quelli  si  scindono, meglio; così’ avremo più poltrone da assegnare ai nostri”. La “sinistra” in dubbio se scindersi o no, lo è per gli stessi motivi.  C’è chi dice: restiamo  dentro, almeno occupano le poltrone, e c’è chi invece dice: io di  sicuro non verrò ricandidato,  quindi ho più possibilità se mi metto con Boldrini e Pisapia.
Sono i pensieri di una oligarchia plutocratica, inamovibile, di “ricchi di Stato”, abituata a saccheggiare impunemente. Della popolazione italiana  se ne infischia,  della tragedia sociale che si aggrava se ne frega , perché, loro, prendono 15 mila euro al mese –  come minimo.
Non si può dir meglio di Enrico Mentana: sono come   quei “  fratelli che si odiano ma hanno ereditato un’azienda che continua a macinare utili. E non per modo di dire.
Basti dare un’occhiata al peso istituzionale del partito. Dal Pd viene il capo dello stato. Del resto tutti gli ultimi 4 presidenti della Repubblica sono del partito o dell’area.  Ma del Pd sono tutti i tre premier di questa legislatura, e 400 parlamentari su 945, nonostante il partito abbia ottenuto alle elezioni del 2013 meno del 26%. Del Pd è il nostro unico rappresentante nella commissione Ue. Del Pd la maggior parte dei governatori regionali e dei sindaci delle città capoluogo. Del Pd sono il ministro dell’interno, della giustizia, della difesa, dell’economia, delle infrastrutture, del lavoro, dell’istruzione. Scelti da premier del Pd sono i vertici di tutte le aziende strategiche di competenza statale”.
Sono miliardi di euro  – miliardi presi a prestito per  lo più sui mercati internazionali, perché la torchia fiscale, anche  se ormai al massimo, non copre che metà delle loro malversazioni.
 
Una oligarchia corrotta perché  miliardaria,  corrotta dai miliardi di denaro pubblico che arraffa, del tutto indifferente al fatto che la maggior parte della popolazione che gli paga gli emolumenti principeschi, sta  morendo letteralmente,  precaria, sottopagata quando non disoccupata e con reddito pari a zero.
Loro, non sentono il bruciore della crisi. Non se ne rendono conto. Come  i fannulloni di Versailles, che danzavano e s’ingozzavano occupati in questioni di precedenza e di onori – anzi molto peggio, perché i fannulloni  eleganti  di Versailles  non avevano  in mano nessuna delle lucrose leve di potere da cui questi non solo mungono, ma distorcono e intralciano l’economia dello stato e privata.  I fannulloni di Versailles non avevano Le  Regioni Sicilia che continua a incamerare miliardi benché sia in deficit di miliardi, in quanto le sue perdite sono rifuse a piè di lista dall’Italia che lavora. Non avevano un Quirinale che costa più di Buckingham Palace. No avevano un Viminale  che distribuisce alle sue clientele meridionali i miliardi per “l’assistenza agli immigrati”. Non avevano il sindaco a Milano o a Bergamo, a    fare da idrovora per   beneficare le clientele parassitiche e partitiche delle altre regioni improduttive.
 
Qui gli stipendi e i salari calano, puntano verso i 460 euro mensili; lassù, a meno di 15 mila non si sentono bene. E sono legittimati dalla UE – l’altra oligarchia –  e dalla Bce perché impongono a tutti noi la recessione continua  senza prospettive, ciò che si chiama “fare le riforme”. Le riforme consistono appunto nel  ridurre i salari in  modo che ridiventino “competitivi” rispetto a quelli cinesi.  La moneta unica non svalutabile obbliga a svalutare il lavoro.
L’Austerità, è per gli altri.
Come  hanno ridotto la società italiana l’ha spiegato Luca Ricolfi qualche giorno fa su 24 Ore.   Non c’è più solo la distinzione e  divisione iniqua fra “garantiti” (dipendenti pubblici, e privati protetti dai sindacati) e non-garantiti: lavoratori autonomi, di piccole imprese che rischiano la chiusura,  precari di ogni genere, micro-imprenditori “ non coperti in caso di licenziamento, infortunio, malattia, cassa integrazione, disoccupazione”.
 
No. Fra queste due categorie, ne è ingigantita una terza, la Terza Società.
 
Fondamentalmente   sono gli esclusi dal  circuito del lavoro regolare. Della Terza società fanno parte i lavoratori in nero, i disoccupati in senso stretto (che cercano attivamente lavoro), e i disoccupati in senso lato (disponibili al lavoro, anche se non ne stanno cercando attivamente uno). In essa ci sono anche  “soggetti che non cercano attivamente lavoro perché possono permettersi di non lavorare, come accade per una frazione non trascurabile delle casalinghe e dei cosiddetti Neet (giovani Not in Employment, Education, or Training). La Terza società  è  fatta di ceti bassi, in condizioni di povertà assoluta o relativa, ma anche di ceti medi, che sopravvivono grazie al lavoro retribuito dei familiari e alle risorse accumulate dalle generazioni precedenti”.
La Terza Società –  sotto l’oligarchia PD  e la sua gestione della crisi secondo  il comando di Berlino  –  è diventata grande quasi come le prime due: 9 milioni di italiani.  “Oggi, fatta 100 la popolazione attiva o potenzialmente attiva, circa il 30% appartiene alla Terza società, ovvero si trova in una condizione di esclusione”.
FISCO-VIGNETTA
...gli altri no
Prima della crisi, questo segmento  contava sui 6milioni di persone. “ Tra il 2007  e il 2014  è letteralmente esploso, con un aumento del 40% in soli 7 anni”.
Una  patologia  senza eguali. “In Europa, solo Grecia e Spagna hanno una quota di esclusi superiore a quella dell’Italia, mentre paesi come Germania, Regno Unito, Francia, Austria, Olanda, Belgio, Svezia, Finlandia, hanno quote prossime a metà della nostra”.
Ovviamente, i  garantiti, fancazzisti pubblici  e “ricchi di Stato” sono il blocco che,  con le famiglie, clientele   e parentele,  continua a votare per “la Sinistra”, perché appunto essa garantisce la loro situazione di favore,  e ai loro stipendi la protezione dalla recessione mondiale in atto.
E’ per questi ricchi che la “Sinistra” fa le leggi   come  le nozze  gay, che  non sono, ammettiamolo, le istanze più   urgenti dei lavoratori;  ma sono voglie di  ricchi che hanno tempo e soldi da buttare, e  l’ozio è il padre dei vizi. Oggi sappiamo che l’oligarchia miliardaria, dalla Presidenza del Consiglio,    finanzia associazioni gay nei cui locali si  fa’ sesso a pagamento, oltre che spaccio di droga.
Non so cosa ci voglia di più per capire la natura marcia di questi parassiti, marci fino al midollo, marci per i miliardi che ci prendono – e che sono ormai l’unica ragione per cui si afferrano al potere.
LaTerza Società chi la rappresenta?
Come mandarli via? La “democrazia” garantisce loro un blocco di voti sostanzialmente maggioritario.  Ricolfi nel suo articolo si domanda: esistono partiti che possano e vogliano rappresentare la Terza Società? E qui casca l’asino.
“Considerata nel suo insieme, la Terza società si distingue dalla prima e dalla seconda per la sua preferenza per il Movimento Cinque Stelle e per la sua refrattarietà verso Pd e Forza Italia, i due architravi del sistema politico della seconda Repubblica. Se consideriamo separatamente i suoi tre segmenti, lavoratori in nero, disoccupati e scoraggiati, possiamo inoltre osservare che i lavoratori in nero prediligono anche l’estrema sinistra e Fratelli d’Italia, i disoccupati guardano con interesse alla Lega e ai piccoli partiti di centro, mentre i lavoratori scoraggiati (che hanno smesso di cercare lavoro) si orientano in modo più massiccio di qualsiasi altro gruppo sociale verso il movimento Cinque Stelle, che qui raccoglie oltre il 50% dei consensi”.
 
Maurizio Blondet 20 febbraio 2017

I legami tra l’anti-Trump George Soros e la Marcia delle donne

soros clintonSoros ha finanziato personalmente o ha legami finanziari con almeno 56 partner della Marcia delle Donne, alcuni dei quali sono nomi di peso
Non deve essere facile vestire i panni del miliardario George Soros, strenuo oppositore del presidente americano Donald Trump sin dal momento in cui quest’ultimo sembrava solo uno scherzo della democrazia americana.
Il filantropo americano in questi giorni ha dovuto assistere impotente (o quasi) al giuramento che ha portato il suo acerrimo nemico alla Casa Bianca.
Fedelissimo sostenitore della candidata democratica sconfitta Hillary Clinton, Soros ha perso quasi un miliardo di dollari come risultato del rally dei mercati che c’è stato dopo la vittoria di Trump alle elezioni presidenziali americane dello scorso 8 novembre, ma pur navigando ancora nell’oro, a 87 anni suonati, non ha raggiunto quella saggezza tale da consentirgli di accettare un risultato elettorale democratico e voltare pagina.
Prima ci sono stati gli attacchi dal forum di Davos, dove ha definito Donald Trump un “possibile dittatore”, ora si scopre un legame, anzi molti legami, con la Marcia delle Donne, considerata un vero e proprio attacco frontale al neopresidente.
A lanciare la bomba è il New York Times che in un lungo articolo, dopo una ricerca per la quale l’autore chiede anche un crowdfunding, ha scoperto come George Soros abbia molti legami con le organizzazioni definite sponsor o partner di una manifestazione che negli intenti si dichiarava apartitica e senza bandiere.
Soros ha finanziato personalmente o ha legami finanziari con almeno 56 partner della Marcia delle Donne, alcuni dei quali sono nomi di peso, come Planned Parenthood, che si oppone alla politica antiabortista di Trump e la National Resource Defense Council, che si oppone alle poliche ambientali del neopresidente.
Gli altri legami con le organizzazioni dietro la manifestazione a difesa dei diritti delle donne includono MoveOn.org (che è stata chiaramente a favore della Clinton durante la campagna elettorale), il National Action Network (il cui ultimo direttore esecutivo era stato lodato da Valerie Jarrett, consigliere di Obama, come “leader del domani”).
Altre associazioni “partner” della manifestazione e messe a libro paga da Soros sono l’American Civil Liberties Union, il Center for Constitutional Rights, Amnesty International e Human Rights Watch.
Poi ci sono anche i legami con le organizzazioni musulmane, come il Council on American-Islamic Relations e la Southern Poverty Law Center (SPLC), e quelli con le organizzazioni a tutela dei diritti degli afroamericani: almeno 33 delle 100 “donne di colore” che per prime hanno protestato dopo l’elezione di Trump, lavoravano in organizzazioni che hanno ricevuto finanziamenti da Sors.
Michele Ardengo – Lun, 23/01/2017

La Sinistra Mondialista non si rassegna alla nomina di Trump e organizza disordini e proteste

No-Trump-NYProteste contro Trump
Il discorso di investitura di Trump non è piaciuto ai commentatori e pseudo intellettuali dei grandi media, rimasti orfani di Obama e della Clinton.
Lo hanno giudicato grezzo, demagocico e troppo schierato a favore di un nuovo “protezionismo” americano. Personaggi che sono ogni sera in TV come Beppe Severgnini, hanno indicato come il linguaggio di Trump sia troppo povero, troppo semplicistico, non conforme a quello utilizzato dai globalisti che sono molto più forbiti e aristocratici nei loro discorsi.
In particolare quell’appellarsi al popolo di Trump non gli viene perdonato, si sa che il popolo non apprezza i  grandi temi che l’elite di potere sospinge come fondamentali: il mercato aperto, la globalizzazione, i diritti dei gay, l’immigrazione libera, ecc
Trump parla di ridare il potere al popolo e questo è un concetto totalmente estraneo alla sinistra mondialista.
D’altra parte lo aveva sostenuto scopertamente anche il vecchio Scalfari, uno dei grandi patron del globalismo: L’Oligarchia «è il governo dei pochi ma è la sola forma d’un governo democratico».
Non poteva mancare un intervento di George Soros, il grande magnate, longa manus della elite di potere, il quale, presente a Davos (il convegno dei potenti) ha dichiarato di considerare Trump come “un impostore, un truffatore ed un potenziale dittatore che farà tremare i mercati finanziari”.
Soros, che è stato uno dei grandi sponsor della campagna presidenziale della Clinton, ha manifestato fiducia che il Congresso e la Costituzione mettano un freno a Trump.
Nel frattempo Soros non si stanca di finanziare ed alimentare le manifestazioni di protesta violenta contro Trump nell’ambito di una campagna diretta a sfiduciare e screditare il nuovo presidente eletto, campagna a cui contribuiscono i grandi media che sponsorizzavano la Clinton, dalla CNN, al New York Times e Washingon Post. In Italia il Corriere della Sera, Repubblica, La Stampa e la RAI della Botteri e soci.
Il problema è che la sinistra, quella che ha sempre predicato globalizzazione, mercati aperti e immigrazione senza freni, si trova oggi spiazzata non solo dal cambio di passo dei due principali paesi da cui l’ideologia globalista è partita, gli USA e la Gran Bretagna, ma anche dalla massiccia crescita dei movimenti nazionalisti ed indentitari in tutta Europa, dalla Francia dove la Le Pen è la favorita nelle prossime elezioni, all’Austria, alla Germania ed alla stessa Italia dove la classe politica di governo, aggrappata al posti di potere, cerca di ritardare le elezioni per blindarsi le poltrone.
L’oligarchia tecnocratica della UE è ormai del tutto screditata e sono in molti a ritenere che questo organismo abbia ormai i giorni contati, visto che ha perso anche l’appoggio del potente alleato nordamericano e si trova oggi in un vicolo cieco.
Significativo che gli oligarchi della Unione Europea, orfani di Obama e della Clinton, nelle scorse ore, riuniti a Davos – sentendosi tanto soli – si sono fatti confortare dal premier cinese Xi Jinpin ( che ha difeso la globalizzazione, ovvio) ed hanno applaudito Georges Soros e le sue invettive contro Trump.
Il cambio di passo degli USA, con la presidenza Trump, rende fragile la posizione dei paesi come la Germania che si sono passivamente accodati al tutte le iniziative e provocazioni di Obama contro al Russia, dalle sanzioni alla concentrazione di truppe e mezzi alle frontiere russe, tanto che uno scongelamento dei rapporti fra gli USA e la Russia lascerebbe l’Europa della Merkel, di Hollande e di Gentiloni, con “il cerino in mano”.
Sconfessati dal loro alleato, contestati dalle opinioni pubbliche nazionali, screditati per la loro acquiscenza a tutte le peggiori operazioni belliche fatte dall’Amministrazione Obama, i premier europei dovrebbero ritirarsi e magari anche andare sotto processo per i guasti che hanno contribuito a creare: destabilizzazione di paesi come Libia, Siria ed Iraq, ondata epocale di profughi, conflitto in Ucraina e nuova guerra fredda con la Russia.
Agli apologeti della globalizzazione e dei mercati aperti, rimane la speranza, grazie al loro controllo dei grandi media, di sollevare l’opinione pubblica contro i “populisti” e riuscire a rimanere a galla di fronte al Tsunami da cui saranno presto investiti.
Soprattutto loro sanno che i possenti interessi delle grandi corporations e dei potentati finanziari (Wall Street) remeranno contro ogni possibile cambiamento e di conseguenza ci si potrà aspettare di tutto, anche fatti nuovi e drammatici per influenzare gli eventi.
Non si preparano giorni tranquilli, le oligarchie non molleranno la loro presa così facilmente e predispongono le loro contromosse.
Gen 21, 2017 – di Luciano Lago

Razzisti contro Trump

Già! Razzisti, ipocriti e menzogneri. Stampa fasulla e piazze pagate da chi ha preparato, con molto tempo a disposizione, un qualche migliaio di ridicoli cappellini rosa sciocco come le zucche in essi contenute. Crape vuote come un cesso abbandonato in discarica, che possono contare, però, nei tromboncini di certi giornalucci, cartacei e virtuali, che se la cantano e se la suonano fra di loro. Tutti contro il neoPresidente. Sono curioso di vedere quanti saranno a mantenere fede ai giuramenti di queste ore e a non correre a leccare il culo a Trump nei prossimi mesi.
Bergoglio compreso, ridicolo nelle sue esternazioni politiche delle ultime ore. Menzione d’onore, poi, per la nostra televisione di Stato, che utilizza per il suo tg ufficiale immagini di una manifestazione sportiva di un ventennio fa per “condire” un servizietto sulle donne che manifestano contro il 45° Presidente degli USA. Menzogna su menzogna. A imperitura vergogna del giornalista che l’ha confezionato e del direttore che l’ha autorizzato!!!
(Che mi tocca fare! Io, che non amo l’America, sono costretto a difenderne il Presidente. …  Fortunatamente, una delle cose migliori che le siano capitate negli ultimi mesi!)
E le “contestatrici”, dico loro, chi sono???donne anti trump
Mi rifiuto di credere che rappresentino anche solo lo 0,0000000001% del popolo femminile americano.
Si vede lontano un miglio che si tratti di quattro poveracce, stile punkabbestia, che avrebbero sfilato anche contro l’altezza della Statua della Libertà, contro la dentiera del Papa o la mutanda lenta di madonna… Disadattate prezzolate e galvanizzate, magari, da qualche regalino di polverine magiche.
Trump fa bene a fottersene. Come e quanto ce ne fottiamo noi, che lo aspettavamo!donne anti trump 2
(uno dei tanti post sui social)
L’America e il Mondo avevano bisogno di un controbilanciamento americano alla perfezione politica di Putin. Una sorta di nuovo asse Reagan Gorbaciov (quella bella accoppiata dei tempi d’oro del riavvicinamento e della pace), ma in tempo di guerra vera. Con la massomafia che la fa da grande, dopo la sciagura dell’ottennio del presidente di colore con signora finta ortolana al seguito. Smargiassa e gradassa sui mercati, la massoneria si è ingigantita con la nascita e il battesimo del terrorismo islamico, con le guerre sui territori del medio oriente e del nordafrica, con la destabilizzazione sociomorale dell’europa. Tutte partorite dalle menti malate di un establishment creato ad hoc nelle stanze del potere colorato di nero e biondo.
Però… Però! Obama e Clinton hanno perso. E, con loro, tutti quei potentati che ci hanno portati alla fame, all’umiliazione, alla schiavitù.
Talmente schiavi, che oggi ci impongono di andare a marciare e urlare contro Donald. Fortunatamente, a parte qualche demente e disadattato, qualche starletta invecchiata nel mito del pisello, qualche attore inguaiato con la salute e dedito, ormai, più alla pillola blu che all’amato alcool, qualche giornalista che venderebbe sua madre tumulata pur di apparire, tutti noi siamo lucidi e non ci caschiamo, nella rete delle provocazioni.
Restiamo rispettosi in attesa. Osserviamo. Per giudicare.
Cosa che consigliamo anche al frettoloso papampero, panzer senza pilota e che sta allontanando migliaia di veri Cristiani dalla sua chiesa razzista vera, ma non dalla Chiesa. #nonciriuscirà
Fra me e me.
23  gen 17

Se Trump cita Abramo Lincoln

De-Masi-a-Omnibuscosì ora sapete quanto i fantomatici “sociologi”, esponenti della società civile ripugnano il popolo, peccato che tali sedicenti difensori della democrazia ignorino o continuano a recitare la parte di paladini quando è evidente che sono disgustati dal popolo. Già, ma democrazia significa GOVERNO DEL POPOLO. Hanno buttato la maschera, prima ne prendiamo atto meglio è per tutti (ovvio non per le elites che sono al potere e lo vogliono mantenere, per il loro bene non certo per il nostro).


Se Trump cita Abramo Lincoln
“Unità” nel 2001, per il primo discorso inaugurale di George W. Bush. “Libertà” nel 2004, per il suo secondo mandato alla Casa Bianca. “Speranza” nel 2008, per l’irruzione sulla scena del mondo di Barack Obama. “Responsabilità” nel 2012 per la conferma del primo Presidente nero. E adesso, con Donald Trump? Non v’è dubbio, la parola-chiave che il tycoon diventato Presidente, ultimo colpevole di populismo, ha usato al momento di insediarsi a Washington è stata “protezione”. Protezione dei confini, del lavoro, della quiete pubblica, del benessere della classe media che Trump ha con ogni evidenza scelto come il proprio riferimento politico.
È un nemico esterno, quello da combattere? No, e Trump lo ha detto chiaramente. “Non dobbiamo avere paura. Siamo protetti e saremo sempre protetti. Protetti dai grandi uomini e donne delle forze armate e delle forze dell’ordine e, ciò che più conta, protetti da Dio”. Il nemico è quindi interno. E infatti il nuovo Presidente promette ai “cittadini” protezione soprattutto rispetto al cosiddetto “establishment” che negli anni ha pensato solo, dice lui, “a proteggere se stesso”.
Scatterà a questo punto, è chiaro, il ritornello ben noto: populismo, populista! Che ci può pure stare, a patto però di intendersi bene e di capire di quale populismo si tratti. Il discorso pronunciato da Trump è stato costruito con grande abilità e in esso si ritrovano echi nemmeno troppo flebili di quelli di John Fitzgerald Kennedy nel 1961, pure impregnato dello spirito della Guerra Fredda, e, più ancora, del primo di Ronald Reagan, quello del 1981, in cui l’attore diventato Presidente parlava (in modo inedito per l’occasione) di inflazione, tasse, disoccupazione, industria, proprio come Trump ha parlato di lavori pubblici, tasse, delocalizzazione.
Ma il vero populismo è emerso quando Trump con astuzia ha sollecitato il ricordo di un discorso passato alla storia e a tutti gli americani ben noto, un momento ritenuto decisivo nella costruzione del grande Paese. “Ciò che davvero conta non è quale partito controlla il Governo, ma se il Governo è controllato dal popolo”. È la parafrasi delle parole usate da Abramo Lincoln nel famoso Discorso di Gettysburg, tenuto il 19 novembre 1863, in piena Guerra di Secessione, nel luogo dove solo quattro mesi prima si era combattuta una battaglia costata la vita a 60 mila soldati del Nord e del Sud. In quell’occasione Lincoln esortò tutti gli americani, dell’una e dell’altra parte, a difendere “il governo del popolo, dal popolo, per il popolo”.
E gli storici dicono che quella frase gli fu ispirata dai discorsi di Daniel Webster, senatore del Massachussets, che del Governo federale diceva: “La gente lo ha fatto nascere… al fine di imporre restrizioni molto salutari alla sovranità dello Stato”.Più populismo di così!
Siamo molto lontani dal Barack Obama che nel 2008 diceva: “Non dobbiamo chiederci se il Governo sia troppo piccolo o troppo grosso ma se funzioni”. E altrettanto lontani dai neo-con convinti che gli spiriti animali della competizione bastassero a regolare la vita sociale.
Il populismo di Trump è il populismo delle praterie, quello di chi crede che un Governo debba proteggere la gente (in primo luogo dagli indiani dell’establishment) e poi tirarsi in disparte. È quello che Trump ha promesso in campagna elettorale e ribadito in questo primo discorso presidenziale, dove la parola “protezione” ha assunto tanto peso. Ha funzionato, tanto da farlo diventare Presidente. Ora tocca a lui trasformarlo in politica.
di Fulvio Scaglione – 22/01/2017 Fonte: Fulvio Scaglione