Giorgio Napolitano, o della necessità dell’élite

Questione: il padre nobile della “riforma” ha dunque perso e, superati i 90 anni, si ritira con la coda fra le gambe, come scrivono alcune giornastute?
La risposta è già scritta nelle sue gesta durate già sette decenni: il grande commesso dei dominanti (a stelle e strisce, in this case) non solo non va mai in pensione, ma non conosce nemmeno giovinezza e maturità adulta. Per questa personificazione le età della vita non esistono: egli serve sempre coloro i quali deve servire (che ovviamente possono cambiare restando il mondo lo stesso) e non si arrende mai.
Se gli riesce (e spesso purtroppo è così), farà poi più danni da morto che da vivo.
Napolitano è incarnazione di tutto questo e non può “uscire dalla parte”: da quando magnificò le sorti dell’Operazione Barbarossa scrivendo nella rivista dei G.U.F. a quando conobbe Togliatti durante la “svolta” di Salerno, da quando terrorizzò la sua base operaia del PCI tuonando contro le barricate ungheresi del ’56 a quando diede addosso proditoriamente ex cathedra al valente fisico Marcello Cini a colpi di “materialismo dialettico”.
Senza dimenticare quando Napolitano fece da spalla a Berlinguer nella demolizione del partito mediante la “linea della fermezza” durante il sequestro Moro a quando lui stesso diventò il “comunista” preferito di Kissinger, di perlina in perlina golpista fin quando brigò per l’ennesimo alto tradimento della patria e della sua costituzione nel corso del 2011, che è la stagione nella quale ci muoviamo ancora oggi e che, purtroppo, non finisce adesso nonostante la sonora batosta inflittagli dal NO popolare.
A dimostrazione della tesi (Napolitano non uscirà di scena nemmeno dopo il 4 dicembre: anzi, colpirà ancora, e fortissimamente), giocano due pensierini che l’esimio “uomo delle istituzioni” ha provato a tradurre in esternazioni nelle ultime settimane.
In primo luogo, ci ha spiegato che lui stava lavorando per la riforma della costituzione “da oltre trent’anni”, tramando dai suoi mutanti ma sempre alti uffici: e guarda caso rimontiamo precisamente al periodo dell’affaire Moro e all’avvio della dissoluzione finale del “suo” PCI: un giro di boa cruciale per l’intera storia repubblicana, culmine degli esperimenti dei dominanti nel loro “laboratorio Italia”, dal quale si dipartiranno i sentieri che portano all’oggi, compresi quelli più direttamente economico-finanziari che passarono dall’accettazione dello SME al “divorzio” tra Tesoro e Banca d’Italia.
Credete voi che un simile lavoro di lunghissima lena possa essere messo in discussione dall’esito del referendum? Non sia mai: le “masse maleducate” se per caso votano contro i dominanti vanno riportate sulla retta via: Giorgio ‘o Sicco” conosce i metodi e sa giocare con più mazzi nella stessa mano… L’ètà tarda non conta granché: e anche Mattarella, presto e banalmente, dovrà avere il suo consiglio quale presidente emerito.
In secondo luogo, Napolitano non può proprio esimersi dal diffondere urbi et orbi le motivazioni finanche “filosofiche” delle sue condotte. Recentemente ha chiarito che «non esiste politica senza professionalità come non esiste mondo senza élite».
Sono le élite a fabbricare il (nostro) mondo: è il loro fardello, e non possono per nessuna ragione scaricarlo sui popoli, che non lo sopporterebbero. In Napolitano spunta sempre l’ombra del Grande Inquisitore, un altro figuro che non va mai in pensione… Il popolo voti come vuole: dell’élite non può fare a meno, nel suo stesso “interesse”, seguendo la logica della sua stessa “sopravvivenza”. La democrazia: e chi ce l’ha? (cantava Rino Gaetano): ce l’ha l’élite, per “necessità” della “nostra sociatà”, per sopravvivenza appunto.
Allora, dopo il 4 dicembre è tutto più chiaro se vogliamo guardare oltre lo schermo di fumo: l’establishment su suolo italico, con in testa i suoi servi più collaudati, lavorerà incessantemente alla sua agenda aggiornando le mosse e qualche nome sul davanti della scena.
Giorgio Napolitano è impegnato come mai prima, e nottetempo non disdegna di ritoccare il suo “testamento spirituale”: perché stavolta bisogna anche pensare ad un degno erede che ne perpetui i disegni senza cialtroneria da “lascia e raddoppia”: piccoli inquisitori cercasi.
La necessità dell’élite partorirà presto i traghettatori e i vestiti da far indossare ai novelli ciambellani dell’imperatore. Ma scordatevi che dall’interno dei suoi arcana possa essere uno come Napolitano a rivelare l’identità dei cavalli sui quali stanno puntando. La funzione è e verrà delegata a gente come il Financial Times o l’Economist: si sono già fatti avanti con i pentastellati e con il giovane nuovo “uomo delle istituzioni”: Luigi Di Maio.
Avete prurito all’orecchio o vi si aprono diversi pensieri?
Hasta la (buena) vista.
Da Redazione Dic 06, 2016  di Irene Corbacci