Salvini: “I missili Usa sulla Siria sono una pessima idea e un regalo all’Isis”

1491330593558.jpg--_assad_fa_strage_di_bambini_col_gas___la_fonte__un_organismo_bufala__la_denuncia_di_salvini“Qualcuno a Washington vuol ripetere i disastri dell’Iraq, della Libia e delle primavere arabe con tutte le devastanti conseguenze per Italia ed Europa?”
Aprile 2017 alle 11:07
 
“I missili Usa sulla Siria sono una pessima idea e un regalo all’Isis”: così Matteo Salvini ha commentato il lancio di 59 missili cruise statunitensi su una base aerea siriana. “Forse per i problemi interni, forse mal consigliato dai guerrafondai che stanno ancora cercando le armi chimiche di Saddam Hussein, Trump in Siria – ha sottolineato il leader leghista – fa la scelta più sbagliata e riapre una guerra contro il terrorismo islamico che era già stata vinta. Forse qualcuno a Washington vuol ripetere i disastri dell’Iraq, della Libia e delle primavere arabe con tutte le devastanti conseguenze per Italia ed Europa?” è la considerazione del segretario della Lega.
Marine Le Pen si dice sorpresa dalla decisione americana, ritenendo che fosse prima necessaria un’inchiesta internazionale su quanto realmente accaduto. “Quello che è successo in Siria è terribile, lo condanno fermamente” ha twittato la candidata all’Eliseo. La leader del Front National, intervenuta in mattinata a una trasmissione televisiva su France2, si interroga però sulla reazione: “È troppo chiedere di aspettare i risultati di un’inchiesta internazionale indipendente prima di procedere a questo tipo di attacchi?”. La Le Pen ha inoltre ricordato che era stato il presidente Trump ad aver annunciato di “non voler più fare degli Stati Uniti il gendarme del mondo”.
Il presidente della Duma, Viacheslav Volodin, ritiene che l’attacco Usa alla base area siriana sia una vittoria per i terroristi islamici: “L’Isis oggi applaude gli Stati Uniti”, ha detto alla stampa. A suo dire, gli Usa di fatto hanno garantito all’Isis una tregua e la possibilità di rafforzare le loro fila. Volodin ha poi denunciato che tutti gli sforzi compiuti dalla Russia e da chi l’ha sostenuta per distruggere il terrorismo, “anche gli Usa erano in questo dialogo”, vengono così vanificati. Dobbiamo fare di tutto per fermare gli Stati Uniti; il ruolo di poliziotto del mondo che agisce in violazione della legge è carico di conseguenze negative” ha concluso.
Il Cremlino parla di un “attacco significativo” alle relazioni tra Usa e Russia: “È una grave battuta d’arresto per la creazione della coalizione antiterrorismo e un atto di aggressione contro uno Stato sovrano che viola il diritto internazionale”. Il ministero degli Esteri russo sostiene che la decisione di attaccare la Siria fosse stata presa già prima di quanto avvenuto a Idlib, ritenuto dai russi solo un pretesto: “È chiaro a qualsiasi esperto che la decisione di colpire è stata presa da Washington prima degli eventi di Idlib, che sono stati utilizzati semplicemente come scusa per una dimostrazione di forza”, ha affermato il ministero in un comunicato.

Siria, la bufala dell’attacco chimico: è stato colpito un deposito dell’Isis

isis-765814Conferme anche da Mosca Siria, la bufala dell’attacco chimico: è stato colpito un deposito dell’Isis
L’esercito siriano ha in realtà centrato un magazzino e una fabbrica di armi, all’interno dei quali gli integralisti avevano messo le sostanze chimiche
5 Aprile 2017 alle 20:17
Il ministero della Difesa russo ha confermato quanto era già stato anticipato dalle forze armate siriane, smentendo la bufala del presunto raid con armi chimiche nella provincia siriana di Idlib: in un comunicato, Mosca ha spiegato che l’aviazione del regime di Bashar al-Assad ha in realtà colpito “un magazzino terroristico” contenente “sostanze chimiche” nei pressi di Khan Sheikhun, negando quindi categoricamente che sia stato sferrato alcun attacco con armi chimiche. “Secondo i dati obiettivi del controllo russo dello spazio aereo, l’aviazione siriana ha bombardato vicino Khan Sheikhun un enorme magazzino terroristico che conteneva sostanze chimiche”, si legge nella nota. La menzogna, ripresa da quasi tutti i media mondiali, era stata come al solito diffusa dal fantomatico “Osservatorio Siriano per i Diritti Umani”, generatore di menzogne con sede in Gran Bretagna.
Mosca conferma quindi che da parte di Damasco non c’è stato nessun raid con armi chimiche, ma spiega che gli agenti tossici erano contenuti nel deposito di una fabbrica di armi controllata dalle milizie dello Stato Islamico, contro il quale è stato sferrato un attacco da parte dell’esercito siriano. Il portavoce del ministero russo, il generale maggiore Igor Konashenkov, ha detto mercoledì mattina che le attività militari russe hanno registrato un attacco delle forze aeree siriane sul deposito e sulla fabbrica nella periferia orientale della città di Khan Sheikhoun. Il comando dell’esercito siriano aveva già negato “categoricamente di aver utilizzato armi chimiche o sostanze tossiche a Khan Sheikhun” sottolineando di non averne mai fatto uso né di volerlo fare in futuro”.
Gli agenti tossici che hanno fatto strage a Khan Sheikhoun provenivano quindi da un arsenale dei ribelli, come ha spiegato in modo dettagliato il portavoce del ministero della Difesa russo, il generale maggiore Igor Konashenkov. Gli attacchi dei jet di Damasco avrebbero messo nel mirino depositi di armi e una fabbrica di munizioni nella periferia est della città, senza poter immaginare che i ribelli dello Stato islamico vi avessero prodotto e immagazzinato anche delle armi chimiche. Konashenkov ha sottolineato che il tipo di armi chimiche prodotte nella fabbrica colpita dai raid aerei erano già state utilizzate in Iraq ed erano state usate precedentemente dai ribelli di Al Nusra ad Aleppo, come dimostrerebbe il fatto che le vittime avevano sintomi analoghi a quelli osservati nelle immagini arrivate da Khan Sheikhoun.

“nessun attacco chimico a Khan Sheikhun” Strage di bambini in Siria, arriva la smentita

tuta gasL’Osservatorio-bufala siriano riesce nel suo intento di screditare Assad. La Mogherini chiede la deposizione del presidente e non sa che l’accusa è tutta un’invenzione
5 Aprile 2017 alle 11:14
Che l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani fosse un organismo-bufala che semina menzogne propagandistiche per danneggiare Assad era già stato denunciato martedì da Matteo Salvini, che aveva ripreso quanto già scoperto a suo tempo da alcuni importanti quotidiani internazionali (ma evidentemente non da quelli nostrani). Ma adesso arriva anche la smentita dei diretti interessati, l’esercito siriano.
Il comando generale delle forze armate siriane “smentisce categoricamente” di avere compiuto un attacco chimico a Khan Sheikhun. Lo si legge in un comunicato diffuso nella serata di martedì dall’agenzia governativa Sana. Le forze armate “non hanno e non useranno mai questi materiali in nessun luogo o momento”, si legge ancora nella nota, in cui si afferma che lo stesso comando generale “ritiene responsabili per l’uso di sostanze chimiche e tossiche i gruppi terroristi e quelli che sono dietro a loro”.
In altre parole, è l’Isis che, nel conflitto sta usando armi proibite, addossandone poi la colpa ai propri avversari. Ed il mondo occidentale abbocca come un pesce alla propaganda del Califfato. Dalla Mogherini a Gentiloni, tutti sono saltati sulla sedia chiedendo giustizia per le atrocità successe in Siria, la prima chiedendo che “la Siria risponda per i suoi crimini di guerra” (e chiedendo la deposizione di Assad, che è proprio quanto l’Osservatorio Siriano cerca di ottenere), il secondo parlando di “orrore senza fine”. Peccato che entrambi se la siano presa con la persona sbagliata.

Israele corre in soccorso dell’Isis in Siria Iran: l’attacco israeliano è “aggressione flagrante” alla Siria

IsJetUn diplomatico iraniano ha denunciato il recente attacco israeliano in Siria e ha chiesto all’ONU di prendere misure per impedire la sua ripetizione. Avigdor Lieberman, ministro israeliano della Difesa, ha minacciato di distruggere le difese antiaeree della Siria.
Bahram Qassemi, portavoce del Ministero degli Affari Esteri iraniano, ha condannato l’invasione dello spazio aereo siriano e l’attacco perpetrato nel territorio del paese arabo, venerdì scorso, da diversi aerei israelianiun aggressione a cui Damasco ha risposto abbattendone uno e colpendone un altro, secondo le informazioni ufficiali diffuse da fonti militari siriane. Israele nega l’abbattimento di qualsiasi aeromobile.
L’attacco, sferrato nella parte orientale della provincia di Homs, presumibilmente per distruggere armamenti destinati al movimento di resistenza libanese Hezbollah, è stato definito dalle autorità siriane un’ “aggressione” e un “tentativo disperato”, da parte di Tel Aviv, di “sollevare il morale” di Daesh, “distogliendo l’attenzione dalle vittorie che l’Esercito Arabo Siriano sta ottenendo contro le organizzazioni terroristiche”, si legge in un comunicato ripreso da Press TV.
 
Nelle dichiarazioni rilasciate sabato, Qassemi ha anche detto che si è trattato di “un’aggressione del regime sionista contro la Siria”, sottolineando che essa avviene “nel momento in cui l’Esercito e il fronte antiterrorista sono in vantaggio nella loro lotta contro i terroristi”.
L’aggressione mette in evidenza “gli interessi comuni e i comportamenti simili” che continuano ad esistere tra “l’usurpatore israeliano e i terroristi”, ha sostenuto il portavoce della diplomazia iraniana, che ha chiesto all’ONU una presa di posizione allo scopo di impedire la ripetizione di queste azioni, che “violano la pace e la sicurezza regionali”, informa Prensa Latina.
Preoccupazione a Mosca
 
In dichiarazioni a una radio israeliana, il ministro della Difesa sionista, Avigdor Lieberman, ha affermato che, la prossima volta che i siriani useranno il loro sistema di difesa antiaereo contro l’aviazione israeliana, “noi lo distruggeremo senza esitazioni”, sottolineando il diritto di Israele di invadere lo spazio aereo della Siria. Queste minacce sono state profferite il giorno dopo che il leader del suo governo, Benjamin Netanyahu, aveva detto che Israele continuerà a promuovere azioni militari contro Hezbollah in territorio siriano.
Il 20 marzo, il viceministro degli Affari Esteri della Russia, Mikhail Bogdanov, ha confermato all’agenzia di stampa Interfax che l’ambasciatore israeliano a Mosca è stato chiamato a fornire chiarimenti sull’attacco aereo di venerdì nei pressi di Palmira, nel centro della Siria. Secondo l’agenzia, citata da Press TV, il diplomatico russo ha espresso “la sua preoccupazione” per l’incidente.
da abrilabril.pt | Traduzione di Marx21.it

Londra: attentato contro la Brexit

attentato BrexitIsis, la creatura dell’Occidente per servirlo.


Ormai pare accertato: a colpire Londra è stato il Terrore. Ancora non si sa se l’assassino di turno abbia agito da solo o in collegamento diretto con la rete dell’Isis, ma il suo scopo è stato raggiunto egualmente. L’attentato segue il quasi-attentato in Francia di una settimana fa, quando a Orly un tizio ha rubato l’arma a una soldatessa ed è stato prontamente freddato. Queste ultime iniziative del terrorismo sono ben diverse dalle precedenti, molto più elaborate e ben più tragiche (vedi Nizza e Charlie Hebdo in Francia e Orlando negli Stati Uniti).

Il che segnala una certo indebolimento della rete del Terrore, che risulta meno efficace di un tempo (anche se può riprendere vigore). D’altronde di colpi ne ha subiti, e molti: in Siria e Iraq gli sciiti (iracheni, siriani e iraniani) e i russi stanno flagellando le bande armate affiliate alla jihad globale.

Un’azione martellante nella quale stanno trascinando anche, sebbene a strappi, gli Stati Uniti, il cui intervento è stato finora alquanto ambiguo e contrastato, forse perché l’azione di tale jihad nei due Paesi, per una eterogenesi dei fini alquanto palese, collimava con i piani dei neconservatori (alquanto influenti nell’esercito Usa) che prevedono, tra le altre cose, la partizione di Iraq e Siria in più Stati.

Nonostante questo, la rete del Terrore ha dimostrato di essere purtroppo ancora vitale, capace cioè di iniziative come quella londinese.
A essere preso di mira è stato il Parlamento, che è il cuore della democrazia in quanto simbolo della sovranità popolare. Quella sovranità popolare che si era espressa nel referendum dello scorso giugno, decretando la Brexit. Un esito imprevisto della consultazione popolare, che ha trovato non poche forze ostative alla sua attuazione, a vari livelli.

Proprio in questi giorni, vinte a fatica tali forze ostative, la premier Theresa May ha annunciato l’avvio della procedura per tagliare il cordone ombelicale che lega Londra alla Ue, che inizierà il 29 marzo. Si può immaginare che la coincidenza temporale dell’avvio vero e proprio della Brexit con l’attentato a Londra sia una mera coincidenza. Ma il Terrore globale non conosce coincidenze, solo obiettivi e simbolismi (esoterici, come detta la sua natura). Nel caso specifico si è voluta colpire la sovranità popolare, che si è affermata contro le ragioni della Finanza globale, che aveva puntato tutto sul Remain. Non che tutti i broker e i dipendenti di banca inglesi abbiano votato Remain, anzi. Ma la Finanza in quanto tale non poteva accettare l’opzione Brexit perché mina alla radice la globalizzazione, quell’ordine costituito ormai dato per permanente che l’ha resa forza egemone del mondo, relegando la politica (e la sovranità popolare) alla marginalità.

Non solo la Finanza, anche il Terrore ha nella Brexit un nemico esistenziale. Il Terrore globale, infatti, è nato proprio a seguito e grazie alla globalizzazione. Ne è un prodotto necessitato.La globalizzazione, almeno quella conosciuta finora, vampirizza il ceto medio, crea masse di emarginati, abbatte barriere, confini, destabilizza società e Stati, creando l’humus perfetto nel quale può allignare e alimentarsi la Paura e il terrorismo. Non solo, se la Finanza non è più libera di vagare a suo piacimento, anche la Finanza oscura, quella creata dal Terrore globale e ad esso destinata, vede erodere i propri margini di manovra.

Ancora: la fine della globalizzazione, che si compirebbe se l’onda di marea iniziata con la Brexit e montata con la vittoria di Trump si abbattesse sull’Europa, creerebbe nuovi scenari geopolitici.

Uno di questi scenari vede la possibile convergenza dell’Occidente e dell’Oriente, Russia e Cina in particolare, contro il Terrore globale. Scenario peraltro probabile, se si sta ad esempio a quanto annunciato da Trump nella campagna elettorale che l’ha visto vittorioso. Per una bizzarra eterogenesi dei fini, infatti, la globalizzazione crea una rete di Terrore globale ma, allo stesso tempo, alimenta divergenze tra Est e Ovest.

Alla radice di tale divergenza la volontà di Mosca e Pechino di non subordinate le ragioni di Stato a quelle della Finanza globalizzata, della quale pure usano.

Il Terrore globale ha una capacità di elaborare molto sofisticata. Sa bene chi sono i propri nemici irriducibili. E sa bene le conseguenze della Brexit. Così ha colpito al cuore dell’Inghilterra. A monito e futura memoria (a breve si decide il destino della Francia: le elezioni possono determinare la Frexit e quindi la fine della Ue). Gli agenti della Paura sanno perfettamente che la Brexit, ponendo non poche criticità alla globalizzazione, mina anche la loro sopravvivenza. Da qui il suo nervoso attivismo.

Un attivismo che ha ricordato un po’ l’infausto 11 settembre, con la povera premier Theresa May portata via dalla sicurezza come allora avvenne per l’imbelle George W. Bush. Ma l’Inghilterra ha alle spalle una storia diversa da quella degli Stati Uniti. Durante la seconda guerra mondiale il Parlamento continuò a riunirsi anche sotto i bombardamenti nazisti. Un pregresso che conforta.
Notizia del: 24/03/2017 PICCOLE NOTE

http://www.lantidiplomatico.it/dettnews-londra_attentato_contro_la_brexit/16658_19443/

 

Guerra NATO in Sicilia

Exercise Dynamic Manta 15

Exercise Dynamic Manta 15

meglio tenersi pronti sia mai che in Europa tornino i fascismi/populismi al potere…meno male che i liberatori non ci abbandonano e proteggano la troika.


 
Il belpaese? Ridotto dallo zio Sam ad una colonia bellica a stelle e strisce, da cui far decollare la guerra contro mezzo mondo. I codardi italidioti ingrassano, ma a ribellarsi è soltanto l’Etna con le sue recenti eruzioni. Mentre i politicanti – inclusi gli onorevoli grullini volati in gita turistica al Muos di Niscemi  – si trastullano ben pagati dai fessi dei contribuenti, l’alleanza atlantica sta svolgendo l’ennesima prova di guerra nel Mediterraneo di casa nostra.
Ecco il comunicato stampa numero 18 emesso dalla Marina Militare italiana:
«L’esercitazione NATO “DYNAMIC MANTA 2017 (DYMA 17)” si svolgerà al largo delle coste siciliane, dal 13 al 24 marzo, con mezzi aeronavali ed equipaggi provenienti da 10 Paesi Alleati, riuniti nel Mediterraneo Centrale per un addestramento alla lotta anti sommergibile e alla lotta contro i mezzi di superficie. I sommergibili provenienti da Francia, Grecia, Italia, Spagna, Turchia e Stati Uniti, sono sotto il controllo del Comando Sommergibili NATO (COMSUBNATO) e opereranno con 10 navi militari di Francia, Grecia, Inghilterra, Italia, Spagna, Turchia e Stati Uniti. L’Italia, oltre a partecipare con il cacciatorpediniere  Luigi Durand De La Penne, il sommergibile Pietro Venuti, e un elicottero SH90 della Marina Militare, fornirà supporto logistico attraverso il Comando Marittimo della Sicilia, la Base Navale di Augusta e la Base Aerea di Sigonella.
La DYNAMIC MANTA 17 rappresenta la principale esercitazione della NATO nel Mediterraneo, dedicata all’addestramento anti sommergibile con l’obiettivo di affinare capacità e tecniche dei sommergibili e delle navi dell’Alleanza Atlantica.
 
Scenari realistici ed eventi con difficoltà crescente caratterizzeranno i temi addestrativi per incrementare la capacità di combattimento in contesti operativi multinazionali. Le navi in addestramento saranno supportate da 14 aerei da pattugliamento marittimo ed elicotteri di Canada, Francia, Germania, Inghilterra, Italia, Norvegia, Spagna, Turchia e Stati Uniti che opereranno dalla base di Sigonella e da bordo delle navi. Il numero di nazioni partecipanti all’esercitazione di quest’anno, è una dimostrazione dell’impegno della NATO per la sicurezza marittima, in particolare, per lo sviluppo di capacità nella lotta anti sommergibile».
La base navale di Augusta e quella aerea di Sigonella (dove c’è un arsenale nucleare USA in violazione del trattato di non proliferazione (TNP) – come di consueto, forniranno il supporto logistico alle complesse manovre in mare delle forze armate d’Italia, Francia, Inghilterra, Spagna, Grecia, Turchia, Germania, Usa, Norvegia e Canada. L’obbiettivo di capacità di combattimento in contesti multinazionali, attraverso una simulazione di “caccia” tra sommergibili che si alterneranno nei ruoli di “cacciatore” e “cacciato”, con il supporto di navi, elicotteri e aerei da pattugliamento.
Tra le unità navali impiegate, a preoccupare maggiormente è la presenza di sottomarini a propulsione nucleare, già partecipanti all’edizione dello scorso anno. Per l’ipotesi d’incidente atomico, infatti, manca ad oggi un piano di emergenza esterna – aggiornato e accessibile al pubblico – nonostante il porto di Augusta sia periodicamente interessato dal transito e dalla sosta del naviglio nucleare di Stati Uniti e altri Paesi Nato.
 
La notizia è stata confermata indirettamente, nel mese di gennaio, dalla stessa prefettura di Siracusa che, in risposta alla richiesta di alcuni attivisti, aveva negato l’accesso al piano d’emergenza attualmente in vigore, proprio perché «in fase d’aggiornamento». E ciò malgrado le informazioni sul rischio nucleare, in base alla legge, «devono essere fornite alle popolazioni interessate senza che le stesse ne debbano fare richiesta», rimanendo «accessibili al pubblico, sia in condizioni normali, sia in fase di preallarme o di emergenza radiologica» (Decreto legislativo 230/95).
Regole che, ad Augusta come nei restanti porti militari e nucleari italiani, da sempre rimangono lettera morta. E questo, già da solo, offre la misura dei pericoli a cui sono esposti i territori a causa della militarizzazione e delle operazioni di guerra che vedono tristemente protagonista la Sicilia e il Mediterraneo.
In questo quadro s’iscrive anche la Dynamic Manta, che però non sarà l’unico war game previsto, per questo mese, a largo delle coste siciliane. Difatti, quasi del tutto in contemporanea all’esercitazione Nato, le forze speciali statunitensi (Special Forces Group USA) saranno impegnate in esercitazioni di tiro a fuoco presso il poligono marittimo di “Pachino Target Range E321”. Una serie composta di 5 sessioni d’addestramento, partita il 20 febbraio per concludersi il 22 marzo, che sta provocando l’interdizione assoluta della relativa zona di mare «alla navigazione, alla sosta, alla pesca e ai mestieri affini», come da apposita ordinanza della Capitaneria di Porto di Siracusa. Compresa tra Punta delle Formiche e Punta Castellazzo, all’estremo sud della Sicilia orientale, quella coinvolta è un’incantevole area naturalistica, marina e terrestre, da tempo asservita alle periodiche e intense prove belliche della Nato e dei marines, anche tramite l’utilizzo dei famigerati droni (micidiali aerei senza pilota) ospitati a Sigonella. Così, mentre per uomini, donne e minori migranti il Mediterraneo è frontiera da sfidare per la sopravvivenza, gli eserciti Usa-Nato stanno trasformando questo stesso specchio d’acqua in un laboratorio di guerra permanente, che si affianca al ruolo operativo assunto dalla Sicilia come piattaforma offensiva proiettata nei teatri bellici africani, mediorientali e asiatici.
 
Un ruolo, quest’ultimo, aggravato dalla recente conferma del dissequestro del Muos di Niscemi da parte della Cassazione, mentre è in programma l’allargamento della base dei droni-killer di Sigonella  Le continue esercitazioni militari nell’Isola, oltre a danneggiare l’ambiente e a iniettare nei territori una sub-cultura militarista di violenza e prevaricazione, bruciano ingenti risorse economiche sottratte alla scuola, alla cultura, alla sanità, al risanamento e alla messa in sicurezza dei territori. Gli stessi settori colpiti dai continui tagli prodotti dalle politiche di austerità imposte dall’Unione europea e dal Fondo Monetario Internazionale.
riferimenti:
Gianni Lannes, Italia, Usa e getta, Arianna editrice, Bologna, 2014.
di Gianni Lannes – 20/03/2017  Fonte: Gianni Lannes

La Turchia taglia l’acqua alla Siria dopo l’incontro tra McCain ed Erdogan

Fonti-dacqua-Siria
nessun pennivendolo e dirittoumanista, attorucolo o cantantucolo si è INDIGNATO o ha alzato la voce. Ah si è colpa di Assad ovviamente. Gli unici paesi che ammazzano i propri popolo sono quelli che obbediscono alla TROIKA

Fonti d’acqua in Siria
Solo alcuni giorni dopo l’“insolito” viaggio di John McCain in Siria e Turchia, il governo turco ha tagliato le forniture di acqua dal fiume Eufrate nel nord della Siria, violando le convenzioni internazionali sul diritto all’accesso all’acqua.
Anche se è tornato un certo grado di stabilità in parte della Siria settentrionale in seguito alla recente liberazione da Al-Qaida di Aleppo e altre zone ad opera dell’esercito siriano, le forze esterne sembrano determinate a mantenere la regione instabile, a prescindere dalle conseguenze.
 
Nell’ultimo esempio di aggressione straniera in Siria, la Turchia, che a lungo ha svolto un ruolo da antagonista nel conflitto siriano che dura da quasi sei anni, ha interrotto il corso del Fiume Eufrate in Siria, privando il paese di una delle suoi fonti primarie di acqua.
Secondo la curda Hawar News Agency [in Inglese], la Turchia ha interrotto l’approvvigionamento idrico in Siria intorno al 23 febbraio, cosa che ha successivamente costretto alla chiusura un impianto idroelettrico della Diga di Tichrienne, ma anche a ridurre in modo significativo il livello dell’acqua della riserva ad essa associata. La diga fornisce sia l’acqua che l’elettricità a parti chiave della Siria settentrionale, come ad esempio la città di Manbij e altre parti del Cantone di Kobanê a maggioranza curda.
Diga sull’Eufrate e postazione combattenti curdi
 
La diga è una delle numerosi grandi dighe lungo il fiume Eufrate. Proprio a valle di Tichrienne si trovano la Diga di Tabqa e il suo bacino, il Lago Assad, che forniscono ad Aleppo la maggior parte dell’elettricità e dell’acqua potabile, così come l’acqua per irrigare oltre 640.000 ettari [link ad un file word in Inglese] di terreno agricolo. Un funzionario della città di Manbij ha detto all’Hawar News Agency che la città fornirà ai civili generatori a benzina per affrontare il black-out causato dall’interruzione del fiume. Lo stesso funzionario ha aggiunto che la Turchia “interrompendo il corso dell’Eufrate ha violato le convenzioni internazionali sull’energia idroelettrica, tagliando l’acqua dell’Eufrate”.
 
Questa non è la prima volta che la Turchia ha privato i Siriani dell’acqua per promuovere i propri obiettivi politici nella regione. La Turchia ha precedentemente interrotto il corso del fiume [in Inglese] nel maggio del 2014, facendo diminuire il livello dell’acqua del Lago Assad di oltre 20 piedi e creando il potenziale per un genocidio per mezzo della disidratazione. Bloccando il fiume, la Turchia minaccia anche i civili iracheni. I principali centri urbani come Mossul, le cui forniture d’acqua dipendono in gran parte dagli invasi [in Inglese] alimentati dall’Eufrate, potrebbero subire gravi conseguenze se il fiume continuerà ad essere bloccato.
L’atto di interrompere il corso del fiume non è senza precedenti, ma la sua tempistica è peculiare. Solo pochi giorni prima dell’atto della Turchia, il senatore americano John McCain ha visitato “in segreto” [in Inglese] il Cantone di Kobanê, la stessa regione che ora si trova senz’acqua, prima di dirigersi verso la Turchia, dove ha incontrato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Secondo l’ufficio del senatore [in Inglese], “La visita del senatore McCain è stata una preziosa opportunità per valutare sul terreno l’andamento della situazione in Siria e Iraq”, e aggiunge che McCain si auspica di lavorare con l’amministrazione Trump e i capi militari “per ottimizzare il nostro approccio” nella lotta allo Stato Islamico.
 
Anche se gli Stati Uniti hanno sostenuto i Curdi nella loro lotta perché mantenessero i loro territori lungo il confine Turco-Siriano liberi dall’influenza terrorista, lo hanno fatto al costo di complicare notevolmente le relazioni diplomatiche tra gli Stati Uniti e la Turchia.
 
Ad esempio, nei primi mesi del 2016 Erdogan ha chiesto in modo teatrale [in Inglese] agli Stati Uniti di scegliere tra un’alleanza con la Turchia o con i Curdi siriani. Lo scontro diplomatico da allora ha raggiunto nuove vette di tensione, con la Turchia che meno di due settimane fa ha minacciato di invadere la città di Manbij tenuta dai Curdi [in Inglese]. Manbij è la città che soffre di più dal blocco dell’Eufrate operato dalla Turchia, il che suggerisce che la mossa potrebbe essere destinata a destabilizzare i Curdi prima che avvenga qualcosa di più drastico.
Vale anche la pena ricordare che, nonostante le affermazioni di Erdogan e di McCain di essere desiderosi di “sconfiggere” lo Stato Islamico e le altre fazioni terroristiche, entrambi hanno stretto legami con quegli stessi gruppi. Questo, naturalmente, suggerisce che la visita di McCain, così come le recenti mosse da parte della Turchia, abbiano secondi fini, che devono ancora essere espressi pubblicamente.
 
Ad esempio, McCain è stato così solerte nello sforzo di rimuovere Assad dal potere che ha favorito i rapporti con i ribelli “moderati” siriani e le forze d’opposizione più note, come lo Stato Islamico. A confermare ciò ci sono prove fotografiche, con una famigerata foto [in Inglese] che mostra McCain in posa con Khalid al-Hamad – un ribelle “moderato”. McCain ha ammesso l’incontro con ISIS anche sulla televisione nazionale, arrivando a riconoscere che egli è ancora in contatto col famigerato gruppo terroristico.
 
Erdogan, da parte sua, si è rivelato essere un giocatore importante nel contrabbando di petrolio dello Stato Islamico [in Inglese] dalla Siria per la vendita sul mercato globale. Sono state queste vendite di petrolio che hanno consentito allo Stato Islamico di crescere fino a quello che è oggi e di diventare uno dei gruppi terroristici meglio finanziati al mondo [in Inglese].
Sen. John McCain visited rebels in Syria on Monday, his communications director confirmed to CNN, making the Arizona Republican the highest ranking elected official from the United States to visit the war-torn country since its civil war began over two years ago.

Sen. John McCain visited rebels in Syria on Monday, his communications director confirmed to CNN, making the Arizona Republican the highest ranking elected official from the United States to visit the war-torn country since its civil war began over two years ago.

Senatore McCain con i terroriti protetti dagli USA

 
Con tali collegamenti ormai ben documentati, sembra improbabile che McCain ed Erdogan abbiano discusso di come sconfiggere lo Stato islamico. Sulla base delle prove, sembra molto più probabile che entrambi rimangono ansiosi di destabilizzare la regione per il loro comune obiettivo di deporre Assad. Con la Turchia già al lavoro per destabilizzare la Siria settentrionale col taglio delle risorse chiave, vedremo presto quali altre misure potrebbero essere state discusse nel corso di questo incontro “segreto”.
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Articolo di Whitney Webb pubblicato su Mint Press News il 3 marzo 2017.
Traduzione in Italiano a cura di Raffaele Ucci Per SakerItalia.

Francia: vendita di 445 milioni di armi all’Arabia Saudita per bombardare lo Yemen

bambini, yemeniti, sempre musulmani ma non sono vittime di un nemico degli Usa. L’indignazione non è permessa. Il compagno Hollande contribuisce alla causa dello sterminio dei musulmani yemeniti. E’ cosa giusta in quanto politically correct.

 
Bambini fra le rovine in Yemen
 
PARIGI (Pars Today Italian) – Il presidente francese Francois Hollande ha approvato la vendita di armi all’Arabia Saudita, intenta all’aggressione dello Yemen.
Secondo il sito del settimanale Le Point, lunedi Hollande ha emesso l’ordine di vendita di 455 milioni di euro di armi alla monarchia saudita, che dal 26 marzo 2015 a questa parte ha ucciso oltre 14 mila yemeniti, quasi totalmente civili, proprio grazie alle armi ed alle bombe acquistate dalle potenze occidentali.
La Francia, nel 2016, ha ricevuto ordini militari per un ammontare di 20 miliardi di euro, un qualcosa che ha suscitato proteste anche all’interno della nazione.
NotaFrancois Hollande, il presidente socialista che si erge spesso e volentieri a garante dei “diritti umani” e che sale sul piedistallo per dare lezioni a quelli che lui (e l’Occidente) considera “dittatori” da Valdimir Putin a Bashar Al-Assad, ancora una volta si distingue per la sua colossale ipocrisia.
La Francia di Hollande si dimostra come sempre alleata e complice dell’Arabia Saudita, il paese governato dalla Monarchia dei Saud, che sta attualmente conducendo, assieme agli Stati Uniti e con la complicità di altri paesi europei, una campagna di bombardamenti indiscriminati contro la popolazione indifesa dello Yemen, il più povero paese del Medio Oriente.
La Francia fornisce le bombe e gli armamenti, garantendosi mega contratti con i sauditi, indifferente al fatto che quelle bombe e quegli armamenti vengono impiegati per bombardare le case, le scuole, i mercati e persino gli ospedali nello Yemen dove sauditi e statunitensi stanno attuando quella che si può ben definire una “macelleria messicana”. Uno sterminio della popolazione civile che, oltre ai bombardamenti, deve subire un blocco aereo navale che sta portando la popolazione letteralmente alla fame con circa 5 milioni di persone, in maggioranza donne e bambini, che sono sull’orlo della morte per inedia, privi di alimenti, di medicinali e di acqua potabile.
 
Un disastro umanitario, denunciato anche dall’ONU, di grandi proprorzioni e totalmente ignorato dai media, stampa e TV occidentali. Non ci sono le organizzazioni come “Amnesty International” o “Human Right Wath”, quelle che lanciavano grandi appelli per i bombardamenti russi/siriani su Aleppo est, non ci sono servizi sulle TV europee sul dramma che vive la popolazione yemenita, come avveniva invece quando si volevano “salvare” i civili di Aleppo, mentre in realtà si volevano salvare i mercenari armati dall’Occidente e dall’Arabia Saudita che erano rimasti intrappolati nei quertieri est della città.
Ospedale nello Yemen bombardato dall’Arabia Saudita
Per lo Yemen e le sue vittime civili non si leva una voce, sembra si tratti di vittime di serie C per l’Occidente, mentre si sta completando il massacro con la complicità di tutti i leaders occidentali, incluso il nuovo presidente USA che continua tutte le guerre iniziate dal suo predecessore.
 
Di una cosa possiamo però essere sicuri: come spesso accade nella Storia, il sangue dei vinti ricadrà un giorno su tutti quelli che sono stati complici e che hanno chiuso gli occhi davanti alla strage della popolazione yemenita.
 
Fonte: Pars Today Nota di Luciano Lago Mar 21, 2017

Per i bambini di Mossul, la Goracci non piange. Chiediamoci perchè

Non abbiamo né pane né acqua”, dice la donna: “Facciamo appello alle organizzazioni umanitarie,   che ci invino aiuti, soprattutto pane e acqua, e anche beni come gas, combustibile, generatori elettrici”.  E’ una delle forse  centomila persone fuggite da Mossul, sottoposta ai bombardamenti americani dall’ottobre scorso per “liberare Mossul da Daesh”.
L’operazione  è stata chiamata “Inherent Resolve”, che sarebbe “determinazione innata”. Gli  americani però, agli sfollati non offrono alcun aiuto umanitario.   Migliaia  di sfollati si  affollano nel villaggio  di Hammam al-Alil, 30 chilometri a Sud di Mossul, dove non è nemmeno in allestimento un campo-profughi provvisorio:  mancano tende, tutti i generi di prima necessità;   i fuggitivi non hanno denaro – la donna che parla, insegnante, non riceveva lo stipendio da due anni nella città occupata dall’IS né piccoli beni da scambiare per il cibo e l’acqua. Non c’è nemmeno un qualche serbatoio dove raccogliere  l’acqua.  “L’aiuto umanitario non arriva fino a noi.  I pacchi sono aperti, saccheggiati e poi richiusi”.   La situazione igienica è ovviamente   critica. La catastrofe umanitaria è imminente.
Questa assenza  internazionale ha un motivo: il silenzio dei media. Le ONG sono assenti, perché il caso non è mediatico.  Nulla di simile alle lacrime sparse su Aleppo Est bombardata dai russi  spietati, che colpivano  gli innumerevoli ospedali pediatrici di una città che, occupata da Daesh,  era piena di bambini.  Eppure ci sono bambini anche  con gli sfollati di Mossul, oltre 50 mila secondo l’Unicef.
E in pericolo imminente. Niente: qui niente convogli Onu guidati dal valoroso Staffan de Mistura, niente Caschi Bianchi premiati ad Hollywood che  tiravano fuori i bambini di Aleppo dalle macerie e li fotografavano.  E  nessuna lacrima della inviata della Rai, la animosa Goracci: le ha spese tutte per singhiozzare su “L’ultimo ospedale di Aleppo eliminato” dai cattivi russi (era sempre l’ultimo rimasto),  per i bambini affamati e senza medicinali, che richiedevano assolutamente una tregua, perché Daesh si potesse riorganizzare.
Intendiamoci,  la Goracci c’è stata a Mossul: ai primi di novembre, embedded nelle truppe irachene . Ha fatto i servizi d’ordinanza su un quartiere  liberato, le necessarie foto-opportunity. Poi basta.  I bombardamenti americani stanno ammazzando civili, donne e bambini di Mossul, ma ciò non interessa più.
Il perché è spiegato in un saggio dal titolo Shadow Wars, Guerre-Ombra, scritto dal professor Christopher Davidson: il quale non esita a chiamare esplicitamente l’ISIS  un “patrimonio strategico” per l’amministrazione Obama.  Uno “strumento da utilizzare contro   i nemici”.
“IS, patrimonio strategico per gli Usa”
Magari i lettori del nostro blog lo sapevano già. Ma il punto è che il professor Davidson non è un alternativo: cattedratico di studi medio-orientali alla Durham University britannica, è consulente della NATO, del Parlamento Britannico, della British Petroleum (BP) e dei ministeri degli esteri di  Olanda e Nuova Zelanda. Secondo l’Economist, è “uno degli universitari meglio informati  sull’area del Medio Oriente”.  Il suo libro quindi è discusso e recensito sui media anglo-americani.
 
Davidson racconta come l’operazione che sta “liberando Mossul” secondo i media, stia facendo anche un’altra cosa: “La concentrazione degli aerei dell’operazione Inherent Resolve nei cieli  della maggior parte dei territori occupati dallo Stato Islamico”, hanno costretto “le forze russe a restringere il perimetro dei loro attacchi nel Nord-Est della Siria”.  In altre parole,  coma ha confermato anche la rivista TheArabist.net, la Russia “è stata ostacolata nella sua capacità di bombardare Daesh, perché la coalizione diretta dagli Stati Uniti ha messo in essere una zona di esclusione  aerea effettiva”  a protezione del Califfato
Christopher Davidson
Davidson riconosce che, “a un anno dall’inizio di Inherent Resolve  nei cieli”,  di Irak e Siria durante l’estate del 2015, “lo Stato Islamico appare più libero che mai di percorrere la maggior parte del suo territorio. I suoi convogli, a volte formati da centinaia di veicoli ad ogni spostamento”  raggiunsero nel 2015  “gli avamposti del governo di Assad a Palmira”, e “in Irak […] riuscirono a impadronirsi di Ramadi […]  ancora una volta avendo attraversato un territorio largamente   allo scoperto”,  semidesertico.    
“Abbiamo  continuamente sentito le forze irachene e curde lamentare che  gli attacchi aerei del comando americano erano  largamente inefficaci, colpendo spesso costruzioni vuote e installazioni non occupate […]  In Irak, le autorità hanno parimenti denunciato che Daesh riceveva avvertimenti preventivi”.
Davidson ritiene  che anche l’ultima e più recente “riconquista” di Palmyra da parte di 4 mila guerriglieri di Daesh, nel dicembre 2016, “meriterebbe un’inchiesta approfondita”. Ciò  perché l’aviazione americana aveva avvertito i russi (come di routine per evitare  “incidenti” fra le due aviazioni) che “il Pentagono s’era ‘riservato’  quella data dell’8 dicembre per occupare lo spazio aereo  di Palmyra”  perché intendeva lanciare  “il più vasto bombardamento  dell’anno”  contro  le fonti petrolifere di finanziamento di Daesh. Di fatto, la US Air Force s’è accanita contro un convoglio di autobotti vuote e senza autisti (lo ha precisato Usa Today:    http://www.usatoday.com/story/news/world/2016/12/09/airstrike-syria-united-states-coalition-islamic-state/95210166/
“I russi erano stati informati che si dovevano tenere alla larga di Palmyra e della sua periferia, mentre i combattenti di Daesh avanzavano liberamente in direzione della città”. Il che ci dice  che gli Usa hanno aggiunto ai loro crimini di guerra e contro l’umanità, anche la voluta distruzione della zona archeologica  più preziosa della Siria,  al solo scopo – si direbbe – di azzerare una  fonte di onesti guadagni turistici futuri per la nazione.
Allungherei troppo a riferire tutte le altre volte in cui la zona di esclusione aerea di fatto imposta dagli Usa  sopra Daesh ha reso possibile, anzi agevolato,  le puntate offensive e  le conquiste dello Stato Islamico. Dato il continuo sorvolo di droni e aerei da ricognizione, “i pianificatori di Inherent Resolve hanno certo una conoscenza precisa dei movimenti dell’IS da trenta mezzi[…]. Secondo le mie fonti in Irak e Siria, che vivono per lo più  nelle  zone occupate da Daesh, è impossibile spostare imponenti colonne di combattenti da un luogo all’altro senza essere osservati”.
Per esempio nel giugno 2016, quando un  convoglio di centinaia di veicoli  in uscita dalla città di Falluja, lo stato iracheno chiese  agli americani di usare la forza aerea per distruggerlo. Il CENTCOM (il comando delle operazioni nell’intero Medio Oriente) addusse “il cattivo tempo” e ”la protezione dei civili” per non fare nulla:  i militanti di Daesh avevano  con loro donne, bambini, famiglie o scudi umani che fossero. Alla fine è stata la piccola aviazione irachena a  neutralizzare il convoglio.
La preoccupazione umanitaria del CENTCOM  si è manifestata vivamente anche nell’agosto 2014,quando non ha voluto incenerire le centinaia di camion-cisterna  che  portavano il greggio rubato da Daesh ai turchi (al figlio  di Erdogan), motivando con la sua paura di “colpire dei civili”  fra gli autisti delle cisterne.
Una delicatezza che dormiva nei vent’anni precedenti, quando la conquista dell’Irak ha  prodotto 4  milioni di morti, quasi tutti civili, e l’uso abbondante di uranio impoverito, che ha conseguenze catastrofiche  sulla discendenza degli iracheni e dei siriani, senza contare la disgregazione della società tutto sommato avanzata e   civile instaurata da Saddam Hussein,  con i servizi pubblici regolari e la sicurezza mantenuta fra sciiti e sunniti.
Adesso,  poi, la viva ansia umanitaria del Pentagono è  tornata nel sonno verso la popolazione civile dello Yemen:  perché la “coalizione” anti-IS, oltre  a garantire la esclusione aerea a  protezione di Daesh in Irak e Siria (Davidson ci spiega che l’aviazione francese ha tirato “una bomba al giorno in una regione grande come la Gran Bretagna”, perché Hollande combatte sì l’IS, ma, ha detto,  “Non voglio fare il gioco  di Assad”),  affianca l’Arabia Saudita nella sua guerra contro gli Houti. Dove il massacro  di civili dal cielo è quotidiano, e la loro uccisione per fame e distruzione delle poche infrastrutture è cosa fatta – ma senza strappare una lacrima al TG3.
Le scuole sono state colpite 800 volte. Perché fare questo, se non per uccidere più gente possibile?” si lamenta Kim Sharif, direttrice   del Centro per i diritti dell’Uomo nello Yemen.  Anche gli americani non sono stati di meno: “Quando i Navy Seals sono atterrati a Shabwah un mese fa, hanno sparato a tutto quello che si muoveva: le vittime sono state solo donne e bambini”.   L’impresa è stata motivata come la necessità di debellare, in Yemen, una base di Al Qaeda. Va a sapere: di fatto hanno ammazzato 25  persone, di cui 10 bambini e  9 donne.
Ma sono milioni i civili che rischiano di morire per fame. In Yemen  sta già avvenendo la catastrofe umanitaria   fra le più spaventose del secolo. Senza una lacrima della Goracci, della Merkel, della Mogherini, dell’ONU.
 
Il professor britannico evoca come nacque Inherent Resolve: agosto 2014, l’uccisione del giornalista americano James Foley.
Qualcuno dubita che sia vero.
 
Sgozzato, o almeno così pare, in un video da un tizio mascherato da jihadista a volto coperto, con un accento così  fortemente londoniano,  che verrà chiamato Jihadi John. In esso, Jihadi John  minaccia direttamente il presidente Obama.  Scoperto dal SITE di Rita Katz e amplissimamente diffuso dai media tv,  il video costringe Obama a lanciare l’operazione di “degradare e  infine  eliminare” l’IS. Primo effetto  della “risoluzione inerente”, precisa Davidson, è questo: Usa, Regno  Unito e Francia devo sospendere i tagli programmati alla difesa e anzi aumentare l’armamento  . e la vendita agli altri  alleati della coalizione anti-IS, specie i sauditi.
 
Grazie a ciò “le più grandi imprese americane hanno conosciuto  un boom importante, le loro azioni  hanno abbattuto record storici. Raytheon ha visto la sua quotazione passare da 75 […] a 125  dollari a fine 2015. Nello stesso periodo,  l’azione Northrop Grumman passò da 95  dollari a uno stupefacente 186,20 dollari. [..] a inizio del 2015, l’amministratore delegato di Lockheed Martin informò un esperto di Deutsche Bank che ogni riduzione di vendite di armi “non era certo prossima ad accadere”, a causa della “instabilità del Medio Oriente”  e delle opportunità di affari  corrispondenti. Questa regione restava “una zona di crescita” per la sua impresa”.
 
Nel settembre 2013,   Obama proclama che Assad ha superato la linea rossa “gasando il suo stesso popolo”: la reazione russa – che induce Assad a consegnare tutto il suo arsenale chimico all’Onu –  e il voto contrario del parlamento britannico, del tutto inaspettato, costringono Obama a rinunciare all’invasione diretta della Siria. E’ allora che viene lanciata, come ha raccontato lo stesso New York Times solo nel gennaio 2016,
la vasta operazione clandestina della Cia per formare, armare, stipendiare e istruire  decine di migliaia di mercenari anti Assad: Timber Sycamore”, costata “diversi miliardi di dollari”, in gran parte versati dall’Arabia Saudita, che è anche la più insaziabile compratrice delle  armi americane (sulla carta è  la seconda  potenza militare del mondo, prima di Russia e Cina). Secondo l’esperto Joshua Landis,  i vari stati impegnati hanno dedicato 15 miliardi di dollari allo scopo di rovesciare Assad.  Cifra da ritenere per difetto, perché  le avventure estere dell’Arabia Saudita (e del Katar)  non vengono certo iscritte nei bilanci  formali.
 
L’ingenuo lettore può  piangere al pensare che con quelle cifre si poteva  sviluppare la Siria, coprire d’oro i siriani invece di ammazzarli e farli ammazzare, per non dire del risollevare le sorti degli americani   che abitano sotto le tende avendo perso il lavoro e, quindi, la casa ipotecata da mutuo.
 
“Lo Stato Islamico esiste  come struttura politica la cui utilità supera i guadagni militari e politici  che conseguirebbero    alla sua sconfitta, e non solo per gli Stati Uniti ma per le monarchie del Golfo […]. Lo Stato Islamico combatte gli sciiti in Siria e Irak”. Si aggiunga  che le reti islamiste di arruolamento per la guerra santa in Siria e Irak hanno, per le petromonarchie, di “emasculare i sollevamenti popolari  che minacciavano  le monarchie del Golfo” dal 2011.
E in fondo, questo  razionale è validissimo anche per il capitalismo terminale trionfante: consumare  e vendere  enormi quantità di materiali, scongiurando quindi la riduzione della produzione industriale, senza allo stesso tempo aumentare il potere d’acquisto degli americani, e dei lavoratori occidentali in genere, che devono essere  tenuti a stecchetto, precari, minacciati  di disoccupazione.  La Goracci non ci piangerà sopra, perché lei “lavora per la Rai”,dove i giornalisti non conoscono austerità né stecchetto.
 
di Maurizio Blondet – 22/03/2017  Fonte: Maurizio Blondet

Ennesimo attacco di droni USA uccide bambini yemeniti

Yemeni children stand #UpForSchoolper loro non si indigna nessuno, mica è Razzi. I ricchi wahabiti sauditi non si contestano, possono uccidere chi vogliono che le anime belle hanno un prezzo e tacciono come tacciono i benpensanti contro l’islamofobia a corrente alternata.

Almeno due minori yemeniti sono stati uccisi lo scorso Lunedì  da un attacco aereo realizzato mediate un drone senza pilota diretto nella zona centrale dello Yemen.
I fratellini Ahmad e Mohamad Al-Jozba hanno perso la vita nel corso di un bombardamento attuato mediante un drone statunitense mentre camminavano per una via nella località dui Al-Yakla, nella provincia di Al -Bayda.
 
Questo percorso è da tempo oggetto di attacchi da parte degli USA per la presunta presenza di terroristi di Al-Qaeda, come hanno informato questo Martedì da media locali.
 
Inoltre, in un altro attacco simile attuato nella località di Qifa, situata nella stessa provincia, hanno perso la vita tre persone sospettate di appartenere alla rete terroristica di Al-Qaeda nella Penisola Arabica (AQPA), secondo le fonti locali.
In aggiunta a questi, la casa di un presunto componente di Al-Qaeda è stata bombardata da un drone teldiretto degli USA nella località di Nouyfan, nella stessa provincia, mentre nella stessa giornata un altro missile è esploso contro una zona montagnosa dove presumibilmente vi era un accampamento di addestramento dell’ AQPA, nell’ Al-Said, che fa parte  della provincia di Al.Shabwa (sud della penisola).
Anche altre persone, nella stessa giornata sono state eliminate per mezzo di un drone, nel sud del paese. L’apparato ha lanciato un missile contro un veicolo che si stava spostando, nel pomeriggio del Lunedì, nel distretto di Wadi Yashbum. Il veicolo è rimasto totalmente distrutto e bruciato e fra i resti sono  stati ritrovati i corpi calcinati di due uomini che presumibilmente erano membri di Al-Qaeda. Lo stato dei cadaveri ha impedito qualsiasi tipo di identificazione.
 
La strategia di Washington nello Yemen è quella di bombardare quelli che considera terroristi , la AQPA – una strategia che è stata oggetto di critica nella comunità internazionale per causa della morte procurata di centinaia di civili innocenti durante questi attacchi. Lo scorso mese di Gennaio l’operazione realizzata dalle forze militari degli Stati Uniti nella provincia di Al-Bayda ha causato la morte di 16 civili e 41 presunti integranti di Al Qaeda.
In conformità a quanto pubblicato da un rapporto del Think Tank ,”International Crisis” (IGC) , con sede a Bruxelles, gli attacchi statunitensi nello Yemen, oltre a produrre molte vittime civili, hanno contribuito a fortificare i gruppi di Al-Qaeda nel paese.
Nota: Gli attacchi mediante i droni sono attuati dalle forze statunitensi, partendo da basi militari USA in Sicilia (Sigonella), oltre che da Gibuti in Africa Orientale, e coinvolgono vari paesi fra cui lo Yemen, la Somalia, la Libia, la Siria e l’Iraq. Questi attacchi, che dovrebbero essere mirati, hanno prodotti alcune centinaia di morti fra i civili innocenti, colpendo in alcuni casi persone raggruppatesi per un funerale o per una festa di matrimonio e facendone strage. “Danni collaterali”, hanno dichiarato a Washington.
Si sono verificate molte proteste da parte delle popolazioni coinvolte ma questo non ha smosso alcun organismo sovranazionale, neppure quelle ONG come “Amnesty International” o “Human Right Watch” ed altre che erano molto solerti nel denunciare i bombardamenti ad Aleppo.
Le vittime dei droni per le ONG internazionali e per i media occidentali sono solo dei “fantasmi” che non hanno rilievo nelle periodiche sagre della commozione pilotata dai media, visto che non sono vittime di Assad o di Putin.
Fonte: Hispan Tv Traduzione e nota: Luciano Lago Mar 08, 2017