Chi lavora dietro le quinte per destabilizzare la Turchia ed il regime del presidente Erdogan?

Da quando Erdogan ha licenziato i tagliagole che armava, supportava, addestrava insieme all’Occidente e si è avvicinato alla Russia gli è successo di tutto. Mentre per i pennivendoli nostrani la colpa sta solo da attribuirsi all’epurazione nelle forze dell’ordine e di sicurezza dei complici del tentato golpe poi fallito.  vedi la busiarda
Ali Ozcan: le purghe di generali e agenti hanno creato buchi ovunque. Non esiste prevenzione
Attentato di capodanno a Istambul
Attentato di capodanno a Istambul
Dopo l’ultimo sanguinoso attentato terroristico di Instambul, avvenuto nella notte di capodanno, dalla condanna espressa dai governi occidentali e dal commento prevalente che viene fatto dai grandi media, si tende a spiegare come il terrorismo sia finalizzato a creare un clima di paura e di vendetta e come questo  rappresenti una strategia del terrore svolta da alcuni fanatici invasati che colpiscono seguendo una loro ideologia fanatica e distorta.
 
Se qualcuno domanda (ingenuamente) quali possono essere i reali obiettivi dei terroristi, i commentatori cercano di convincere il loro pubblico con argomenti risibili quali, ” ci colpiscono perchè odiano le nostra libertà” indicando i terroristi islamici come dei fanatici che commettono azioni di brutalità insensata, finalizzate ad una strategia per creare l’inferno nelle città dove si svolge una vita normale.  Gli atti di terrorismo, secondo alcuni, sarebbero una forma di “punizione” riservata agli “infedeli”, che siano occidentali, turchi o arabi di fede diversa rispetto a quella islamica salafita.
 
In realtà è facile osservare come questa sia una interpretazione riduttiva e deviante di quanto avviene in quanto gli attacchi terroristici rappresentano in effetti soltanto una tattica dietro la quale ci sono precise strategie dei mandanti, che quasi sempre corrispondono a degli Stati ed ai relativi servizi segreti che agiscono per raggiungere determinati obiettivi.
Per comprendere il contesto di azioni come quelle che avvengono in Turchia, bisogna chiedersi innanzi a tutto a chi giova? Chi guadagna da questi eventi?
I massacri che vengono effettuati dai jihadisti radicali devono sempre essere ricondotti alle centrali di arruolamento e di coordinamento di questi gruppi che non sono quasi mai dei “cani sciolti” ma sono miliziani addestrati in modo efficiente e pianificato. Le centrali di formazione dei terroristi si trovano in paesi quali l’Arabia Saudita, il Qatar, la stessa Turchia (salvo aver cambiato campo di recente), e negli USA, sotto lo schermo della CIA.
Questa non è una novità ma un fatto accertato ed ammesso dagli stessi funzionari di alto grado dell’establishment USA. I gruppi terroristi jihadisti sono stati da anni finanziati ed addestrati dalla CIA e dagli altri organismi di intelligence degli USA (e GB) per essere utilizzati come arma tattica nei vari contesti di conflitto, in Siria, in Iraq, in Libano ed adesso in Turchia.
Addestramento terroristi
Addestramento terroristi
L’utilizzo più frequente dei gruppi terroristi jihadisti è stato quello finalizzato al rovesciamento di governi ostili agli interessi USA, questo è avvenuto con Al Qaeda in Libia, ultimamente in Siria con i gruppi di Al Nusra e Jabhat Fatah al-Sham, che sono stati scopertamente armati e pilotati dalla CIA e dalla NATO (come si è reso evidente nella battaglia di Aleppo).
 
Si può facilmente dedurre come la Turchia sia oggi nel mirino della strategia USA, da quando il presidente turco Recepit Erogan è riuscito a bloccare il tentato golpe, chiaramente istigato da Washington e dalla fazione gulenista ispirata e protetta dagli USA . Risulta evidente che può essere conforme a questa strategia la destabilizzazione del paese, mediante l’attivazione della rete terroristica che opera sotto i simboli dell’ISIS o di AL Nusra e che deve colpire obiettivi indiscriminati in Turchia per seminare il terrore e l’insicurezza. La finalità di questa strategia è quella di indebolire Erdogan e di consentire un rovesciamento del suo Governo, colpevole, agli occhi di Washington, di volersi allontanare dalla stretta alleanza con gli USA e con la NATO per essersi avvicinata all’asse russo-iraniano.
Significativi due fatti:
1) il vertice trilaterale tenutosi il 20 Dicembre a Mosca tra i ministri degli Esteri di Turchia-Russia-Iran ove i tre paesi hanno concordato che i prossimi colloqui di pace sulla Siria verranno tenuti nella capitale del Kazakhstan, Astana, per risolvere la crisi siriana (esclusa la partecipazione USA);
2) Le dicharazioni di Erdogan in cui accusa gli USA di aver sostenuto l’ISIS e di averne le prove documentate.  Vedi: Erdogan accusa: gli USA hanno sostenuto l’ISIS, ho le prove
Questi due fatti hanno fortemente irritato Washington che, come si può facilmente immaginare, ha meditato le sue contromosse contro Erdogan. La Posta in gioco è troppo importante: in sospeso la permanenza nella NATO e nell’orbita occidentale della Turchia (80 milioni di abitanti) paese cerniera tra Europa e Asia, gli statunitensi non potrebbero tollerare una perdita di questo livello.
 
Questo spiega che le centrali di potere USA debbano ricorrere, per forza di cose, ad una strategia occulta che ha visto, fra i vari episodi, l’omicidio dell’ambasciatore russo ad Ankara, chiaramente pianificato per mettere in difficoltà Erdogan con la Russia ed adesso l’incremento di attentati terroristici in pieno Istambul.
Da non trascurare anche il ruolo e gli interessi dell’Arabia Saudita che è la potenza araba che rimarrebbe maggiormente pregiudicata da un riavvicinamento della Turchia all’Iran (il suo maggiore nemico nella regione) ed alla Russia. Non è raro che il “lavoro sporco”, quello di seminare attentati e terrorismo contro la Turchia possa essere stato affidato anche ai potenti servizi di intelligence sauditi che dispongono di molte entrature in Turchia in quanto, fino a pochi mesi addietro, operavano in alleanza militare con Ankara per rovesciare il Governo di Damasco.
 
Da tutto questo si capisce che ci sono varie potenze interessate a destabilizzare il Governo di Erdogan e non ci sono esclusioni di mezzi per ottenere questo obiettivo. Non si può dire quindi che manchi del lavoro per gli agenti dei servizi segreti, un settore che, di questi tempi, non conosce crisi.
di Luciano Lago
Da Redazione Gen 01, 2017

LA TERRIBILE CRONISTORIA DELL’OMICIDIO DI GHEDDAFI

ed i diritto umanisti tanto politically correct sedicenti antirazzisti pacifisti si sono dati tanto da fare ad organizzare sit in in favore dei cosiddetti ribelli moderati, a diffamare la Jahmayria, a fornire racconti epici eroici di questi “combattenti” per la libertà contro il despota e GUAI A DUBITARE, ad inventare fantomatiche fosse comuni mentre occultavano gli eccidi, stupri e sterminio dei neri di Tawerga per esempio (strano per dei sé dicenti antirazzisti)…e poi come non pensare alla malafede ed al loro servizio e devozione verso i liberatori di sempre della NATO ? Ora non dovrebbe essere complicato capire subito chi lavora per i guerrafondai assassini a stelle e strisce, il copione della primavera o rivoluzione colorata è identico, Libia, Ukraina, Siria, ora Polonia e ..gli stessi stati uniti anti – Trump (che non gradisce i piani di espansione militare tanto cari alla Kilary e seguaci).
Il pezzo di Jean Paul Pougala del 14 aprile 2011 su Pambazuka News titolava “Le bugie dietro la guerra occidentale in Libia” descrive come l’Africa inizialmente avesse sviluppato il proprio sistema di comunicazioni transcontinentali comprando un satellite il 26 dicembre 2007: l’African Development Bank aveva sborsato 50 milioni di dollari dei 400 necessari, la West African Development Bank ne aveva aggiunti 27.ghedafi
La Libia aveva contribuito con 300 milioni, rendendo l’acquisto possibile.
Pougala scrive quando tutto è già in opera, il nuovo sistema “connetteva tutto il continente a livello telefonico, radiofonico e televisivo, oltre ad altre applicazioni tecnologiche come la telemedicina e l’insegnamento a distanza”.
Dopo 14 anni di perdite di tempo del FMI e della Banca Mondiale, la generosità del leader libico Muammar Gheddafi aveva permesso l’acquisto, che aveva evitato alle nazioni africane di richiedere un prestito di 500 milioni per avere accesso ad un satellite ed aveva privato le banche occidentali di potenziali miliardi in prestiti ed interessi.. al tempo, Gheddafi stava anche cercando di creare un sistema bancario trans africano basato sull’oro, per liberare il continente dai vincoli finanziari con il FMI e la Banca Mondiale – questo avrebbe gravemente danneggiato i due predatori.
 
Fin dal 2003 Gheddafi aveva lavorato sodo per ristabilire la sua reputazione di finanziatore del terrorismo, rinunciando a qualsiasi futuro supporto alle organizzazioni terroristiche e creando un fondo per le vittime dei voli Pan Am 103 e UTA 772, entrambi abbattuti da attacchi terroristici, dei quali si sospettava un finanziamento libico. Il 10 dicembre 2007 Gheddafi si era recato in Francia per un incontro con il Presidente Nicolas Sarkozy.
Durante il loro incontro dell’11 dicembre all’Eliseo, Gheddafi E Sarkozy avevano siglato accordi per un valore di 15 miliardi di dollari riguardo forniture militari e la costruzione di una centrale nucleare, ma ciò che più contava oltre al commercio era già in agenda. In un report del 12 marzo 2012, il consorzio di giornalismo investigativo Mediapart dichiarava “Secondo informazioni contenute in un report confidenziale preparato da un esperto francese di terrorismo e finanziamenti al terrorismo stesso, la campagna elettorale presidenziale del Presidente Sarkozy del 2007 aveva ricevuto almeno 50 milioni di euro di fondi neri dal regime del dittatore libico Muammar Gheddafi”. Documenti diffusi da Mediapart l’11 settembre 2016 confermano che le relazioni finanziarie tra Sarkozy e Gheddafi risalivano almeno al 10 dicembre 2006.
 
(Appena diffuse queste informazioni nel 2012 Sarkozy aveva negato di aver ricevuto denaro libico come finanziamento – pratica illegale in Francia, che lo avrebbe potuto condurlo al carcere – e aveva tentato di denunciare Mediapart. Tuttavia, parte un’investigazione ufficiale sulla condotta di Sarkozy era trapelata sul sito di Mediapart e le prove riconducevano direttamente al fatto che il Presidente francese aveva ricevuto il denaro).
Gheddafi aveva capito che a causa dell’iniziativa del satellite e della sua proposta di un sistema bancario panafricano (delle quali sicuramente l’occidente era a conoscenza), la sua popolarità presso i leader occidentali era in terribile calo, tanto da renderlo un possibile obiettivo di un “cambio di regime”, perciò aveva sperato che finanziando il leader francese si sarebbe comprato un’assicurazione sulla vita.
 
Nel frattempo aveva fatto del suo meglio per apparire come un uomo di stato pro-occidente. Nell’agosto del 2008 Gheddafi aveva firmato accordi con gli USA formalizzando la compensazione per le vittime del terrorismo di stato e nel settembre 2008 Condoleeza Rice aveva visitato la Libia e dichiarato che le relazioni tra le due nazioni stavano entrando in una “nuova fase”.
 
Nel febbraio 2009, però, Gheddafi era stato eletto Presidente dell’Unione Africana e per la prima volta aveva reso pubblica la definizione “Stati Uniti d’Africa” e aveva suggerito la possibilità di un sistema bancario panafricano. (Profeticamente il 12 marzo 2009 Sarkozy aveva introdotto la Francia nella NATO, violando una tradizione risalente ai tempi di De Gaulle). Successivamente, in Agosto del 2009, Abdelbaset Ali al-Megrahi – pregiudicato per aver partecipato al bombardamento del volo Pan Am 103 – fu rilasciato dal carcere in Scozia ed accolto come un eroe al suo ritorno in Libia, più tardi lo stesso anno la Libia aveva siglato un accordo con la Russia per l’acquisto di 1.8 miliardi di dollari in armi. Questi eventi non migliorarono la posizione di Gheddafi agli occhi dei leader occidentali.
Per di più, il piatto era molto ricco. Prima della caduta di Gheddafi, la Libia aveva riserve liquide per 150 miliardi di dollari, oltre alle 143 tonnellate di oro nelle casseforti di Gheddafi. Come aveva scritto Pougala “[Larga parte di questo denaro] era stata accantonata come contribuzione libica per tre progetti fondamentali che sarebbero serviti a dare l’ultimo tocco alla Federazione Africana – la African Investment Bank a Sirte, Libia, la creazione, nel 2011, del Fondo Monetario Africano, e la creazione della Afrcan central Bank ad Abuja in Nigeria, che iniziando a stampare valuta africana avrebbe suonato un requiem per il franco CFA, attraverso il quale Parigi aveva tenuto al giogo vari stati africani per più di 50 anni”.
 
Il 7 giugno 2016, Bob Fitrakis scrive su Black Opinion:
 
le vere ragioni dell’attacco sono state spiegate da uno dei più famosi sicari economici statunitensi, John Perkins.
Perkins spiega che l’attacco alla Libia, come quello all’Iraq, ha a che fare solo con il controllo delle risorse, non solo petrolio, ma anche oro. La Libia ha il più alto standard di vita in Africa. Secondo il FMI, la Banca Centrale Libica è al 100% di proprietà statale. Il FMI stesso stima che la banca abbia riserve in oro per quasi 144 tonnellate.
La NATO è andata in Libia come un moderno pirata per saccheggiarne l’oro. I media russi, oltre a Perkins, hanno scritto che il panafricanista Gheddafi, l’ex Presidente dell’Unione Africana, sosteneva che l’Africa avrebbe usato l’abbondante oro presente in Libia e Sud Africa per creare una valuta africana basata sul dinaro aureo.
 
È significativo che nei mesi che hanno portato alla risoluzione dell’ONU che ha permesso agli USA ed ai loro alleati di invadere la Libia, Muammar al-Gheddafi parlava apertamente della creazione di una nuova valuta che avrebbe rivaleggiato con dollaro ed euro. Infatti questi invitava le nazioni africane e musulmane ad unirsi in un’alleanza che avrebbe dato vita alla nuova valuta, il dinaro aureo, la forma principale di scambio internazionale. Avrebbero venduto petrolio e altre risorse in dinari aurei.
 
Nel dicembre 2010, una rivoluzione in Tunisia abbatté il governo. In seguito, nel 2011, incominciarono le “Primavere arabe”: rivolte popolari in Oman, Yemen, Egitto, Siria e Marocco. Mentre queste avevano portato al cambio di regime in Tunisia, in Egitto erano state brutalmente soppresse, mentre in Siria e Yemen avevano scatenato guerre civili non ancora estinte. Quelle in Oman e Marocco si erano spente da sole.
In Libia le cose stavano diventando quasi buffe,. A partire dal 15 febbraio 2011, una serie di proteste che chiedevano la cacciata di Gheddafi iniziò a scoppiare in Libia. Il 20 febbraio 2011 si parlava di 300 civili morti e del fatto che Gheddafi avesse sguinzagliato l’aviazione contro i dissidenti a Tripoli. Sarkozy a quel punto aveva trovato il modo di salvare i suoi amici banchieri e di coprire i finanziamenti illegali ricevuti da Gheddafi. Il 10 marzo 2011 Sarkozy decise di riconoscere come governo libico il “Consiglio Nazionale di Transizione”, l’ombrello sotto cui operavano i ribelli, e dichiarò l’istituzione di una no-fly zone, nel caso in cui Gheddafi avesse deciso di utilizzare armi chimiche contro la propria popolazione.
In un report del Guardian dell’11 marzo 2011:
 
La decisione unilaterale di Sarkozy di riconoscere il consiglio di transizione della Libia come legittimo rappresentante del popolo libico era grossolanamente prematuro. “Sarkozy sta agendo da irresponsabile” aveva avvermato un diplomatico europeo.
 
Mark Rutte, Primo Ministro olandese, affermò “La trovo una mossa folle da parte della Francia. Fare un passo avanti e sostenere ‘Riconosco un governo di transizione’ a sfregio di ogni pratica diplomatica non è la giusta soluzione per la Libia”
 
Il 19 marzo 2011 Sarkozy diresse i caccia francesi in missione contro la Libia e ordinò alla portaerei Charles de Gaulle di recarsi in acque libiche. I Francesi non erano soli. Prima nella stessa settimana – il 15 marzo – un F15 statunitense si era schiantato in Libia. Il 29 marzo gli USA avevano confermato che A-10 Warthog e elicotteri d’assalto A-130 erano stati inviati in Libia. Il 16 aprile il giornalista Jeremy Scahill, intervistato a The Eld Show:
Scahill: gli agenti della CIA sul campo in Libia sono in stretta relazione con i ribelli. Questa, come ha detto il Colonnello Jacobs, è la normalità. Ciò che mi preoccupa maggiormente è che sicuramente ci sono già operazioni speciali statunitensi sul territorio, che si preoccupano di marchiare gli obiettivi che dovranno essere colpiti dagli attacchi aerei. Ed, devo dirti che lo scenario di cui parli – quando parli di armare i “combattenti per la libertà”, mi porta alla mente le disastrose guerre sporche degli anni ’80, cioè, gli USA che vengono direttamente coinvolti in una guerra su territorio libico, con un pugno di ribelli … questi non hanno addestramento militare. Voglio dire, tu mi sta dicendo che gli USA sono nettamente schierati con una delle due parti di una guerra civile.
Il 7 giugno 2016 Fitrakis scrive:
in un documento del Dipartimento di Stato declassificato, inviato ad Hillary il 2 aprile 2012, l’assistente Michael Blumenthal conferma che Perkins aveva ragione e che l’attacco sulla Libia non aveva nulla a che fare con il fatto che Gheddafi potesse essere una minaccia per la NATO o gli Stati Uniti, ma che l’unico obiettivo era razziarne l’oro.
Il governo libico possiede 143 tonnellate d’oro e una quantità simile di argento. Nel tardo marzo 2011, queste riserve vennero spostate a Sabha (verso il confine sud occidentale con Niger e Ciad); Blumenthal aveva informato la Clinton, sottolineando l’importanza di quell’oro, che veniva accumulato come riserva per la creazione di una valuta panafricana legata al dinaro aureo libico. Questo piano avrebbe permesso ai paesi francofoni africani di avere un’alternativa al franco francese (CFA).
Blumenthal rivela la ragione dell’attacco NATO e del saccheggio imperiale francese, l’intelligence francese è venuta a conoscenza di questo piano poco dopo lo scoppio della ribellione, questa è stata una delle ragioni che ha spinto il Presidente Sarkozy a sferrare l’attacco.
 
5 erano le ragioni della guerra illegale della NATO contro la Libia. Secondo Blumenthal Sarkozy cercava: a. di ottenere una maggiore fetta della produzione libica di petrolio, b. di aumentare l’influenza francese in nord africa, c. di migliorare la sua posizione in Francia, d. di fornire all’esercito francese un modo di mettersi in luce, e. di soddisfare la preoccupazione dei suoi consiglieri nei confronti del piano a lungo termine di Gheddafi, di soppiantare la Francia come potenza dominante nell’Africa francofona.
 
È ovvio che Blumenthal avesse inteso il bisogno di Sarkozy di proteggere i banchieri francesi dal piano di Gheddafi, ma sicuramente non poteva avere idea dell’ulteriore motivo – eliminare le prove del proprio coinvolgimento nei finanziamenti illegali. Va altresì notato – e sottolineato – che nessuna delle ragioni elencate nell’e-mail di Blumenthal potrebbe giustificare un’invasione di uno stato sovrano.
Il 30 marzo 2011 il governo britannico espulse 5 diplomatici dall’ambasciata libica, visto che le relazioni tra Libia e occidente continuavano a peggiorare. Nei mesi successivi la guerra imperversò in tutta la Libia. Ad un certo punto si promosse una tregua tra governo libico e Consiglio Nazionale di Transizione (NTC), che non durò e in agosto la nazione era nuovamente messa a ferro e fuoco dalla guerra civile.
 
Dopo il 31 marzo 2011 gli USA avevano applicato la no-fly zone sui cieli libici, apparentemente per aiutare una rivolta legittima e togliere dal suo trono un dittatore sanguinario, ma i risultati degli attacchi andarono ben oltre il cambio di regime di Gheddafi. Il 18 giugno 2011 la NATO ha attaccato il Grande Fiume Artificiale, un enorme progetto per l’irrigazione che portava l’acqua ad immense distese aride. I caccia colpevoli di questo crimine non solo hanno distrutto un pezzo vitale delle infrastrutture libiche, ma il 22 luglio hanno fatto a pezzi anche l’unica fabbrica che poteva costruire i pezzi per le riparazioni necessarie. Questa mossa malvagia non aveva alcuno scopo, se non quello di punire tutta la popolazione libica.
Aiutati e sostenuti dalle potenze occidentali, i “ribelli” assediarono Tripoli e il 21 agosto 2011 la città cadde nelle mani dell’NTC. Gheddafi e il suo staff volarono immediatamente a Sirte. Poco dopo le 8 di sera il 20 ottobre 2011, con i “ribelli” che incalzavano, Gheddafi tentò di abbandonare Sirte su un convoglio di 75 veicoli, ma la sua fuga fu scoperta da un velivolo della RAF. Un drone predator statunitense guidato da qualcuno seduto nel deserto del Nevada lanciò i primi missili contro il convoglio, lo stesso fece il velivolo della RAF. 10 veicoli furono distrutti. Gheddafi sopravvisse all’attacco, ma fu immediatamente catturato dall’NTC, che lo aveva trovato in un canale di drenaggio. Gheddafi su crivellato di colpi e una baionetta gli fu infilata nel retto.
Prima della morte di Gheddafi la Libia era una nazione stabile, se non una tradizionale nazione stato. Secondo un report intitolato “La Libia di Gheddafi era la più prospera democrazia africana” di Garikai Chengu, apparso il 12 gennaio 2013 “La Libia era divisa in innumerevoli piccole comunità che di base si comportavano come piccoli stati autonomi all’interno di uno stato più grande. Questi avevano il controllo sui propri distretti e potevano prendere una serie di decisioni tra cui come allocare gli introiti della vendita di petrolio. All’interno di questi mini-stati, i tre principali organi della democrazia libica erano Comitati Locali, Congressi Popolari e Consigli Rivoluzionari Esecutivi”. Chengu spiega come i Comitati Locali facessero riferimento ai Congressi del Popolo, che poi passavano le decisioni ai Consigli Rivoluzionari Esecutivi, creando così un consenso diffuso sulle decisioni che riguardavano tutta la popolazione. “La democrazia diretta in Libia utilizzava la parola ‘elevazione’ più che ‘elezione’, ed evitava le campagne politiche, che sono una caratteristica tipica dei partiti e beneficiano solo delle promesse elettorali. A differenza dell’occidente, i Libici non votavano solo ogni 4 anni per il Presidente e un parlamento centrale che prendesse tutte e decisioni per loro. Tutti i Libici prendevano decisioni riguardo la politica interna, quella estera e quella economica.” Rovesciare Gheddafi ha fatto a pezzi un sistema di governo che aveva funzionato bene – e tranquillamente – per quasi 50 anni.
 
Sarkozy rimane un uomo libero. Deve ancora essere perseguito per aver ricevuto illegalmente denaro libico per finanziare la propria campagna elettorale e per aver scatenato una guerra illegale per coprire la propria relazione illegale con Gheddafi.
Molto è stato scritto circa la catastrofe caduta sulla Libia a seguito dei criminali attacchi francesi e statunitensi – 400.000 persone strappate alle proprie case, violenze e repressioni, la creazione di un nuovo stato fantoccio in seguito ad un’iniziativa di politica estera degli USA. Ma il vero danno è stato arrecato all’Africa stessa, se la proposta di Gheddafi di un sistema bancario trans africano fosse giunta a compimento, quello sfortunato continente per la prima volta in secoli avrebbe avuto una vera libertà e una vera indipendenza a portata di mano, una circostanza che le potenze occidentali non si sarebbero potute permettere. Libertà e giustizia non hanno mai fatto parte dell’agenda occidentale.
 
La sera del 20 ottobre 2011, durante un’intervista alla CBS alla notizia della morte di Gheddafi, il Segretario di Stato Hillary Clinton si lasciò scappare una battuta con il suo staff, affermando “Siamo venuti, abbiamo visto, lui è morto”, poi applaudì e rise fragorosamente. Questa rimane la più vile e degradante immagine di sempre di un membro del governo USA.
 
Chris Welzenbach è uno scrittore (“Downsize”), che per anni è stato membro del Walkabout Theater di Chicago. Può essere contattato a incoming@chriswelzenbach.com.
DI CHRIS WELZENBACH
05.10.2016
 
Il testo di questo articolo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali, citando la fonte comedonchisciotte.org e l’autore della traduzione FA RANCO

State calmi, è strategia della tensione + Omicidio Karlov: un’esecuzione in diretta, opera di cani rabbiosi

Ankara, Zurigo, Berlino.  Il più grosso è ovviamente a Berlino, 9 morti una cinquantina di feriti – modus operandi simile all’attentato di Nizza del 14 luglio;  è la prima volta che un vero attentato “alla francese” colpisce la Germania. La Francia ha ed ha avuto le mani in pasta in Siria, fa i giochi sporchi da anni; Berlino è rimasta neutrale.   A Zurigo, uno sconosciuto ha sparato in  un centro islamico.  State calmi, è strategia della tensioneAd Ankara, ucciso da un poliziotto l’ambasciatore russo.
 
E’ troppo presto per dire qualcosa di più preciso. L’assassinio di Ankara è stato rivendicato, più precisamente esaltato, dall’IS e da Al Qaeda, certo come no:  attraverso il SITE di  Rita Katz. E’ un indizio abbastanza precisoAnche Obama, anche al Dipartimento di Stato, e alla Cia, hanno ottime ragioni per esaltare l’omicidio,  prima   di dover traslocare.
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A che scopo?, mi chiede qualcuno. Che domanda: uno degli scopi  della strategia della tensione,  l’ondata sincrona di attentati l’ha già ottenuto  dentro di  voi: vulnerabili, esposti ad un’aggressione che può colpirvi in ogni momento, perché il nemico, musulmano, è folle . Lo è, infatti; solo pensate che è quel nemico musulmano che vi hanno imposto di accettare a centinaia di migliaia,  masse troppo subitanee  che manca il tempo di integrare, giovani maschi per lo più, per cui le fanciulle europee sono una provocazione sessuale; quanti di loro sono criminali e pregiudicati? Jihadisti?
 
Ma  se provate a fare questa domanda siete razzisti, egoisti, privi di carità.
La centrale che vi obbliga ad accoglierli tutti, è la stessa che vuol farvi paura –e giustamente – per questa invasione inassimilabile. Contraddizione? Ma questa  è uno dei suoi strumenti più preziosi nella strategia della tensione, vi lacera fra due pulsioni opposte,   due discrasie cognitive, fra senso di colpa e urto irrazionale di rabbia, voglia di uccidere. E’ un successo.
Perché la strategia della tensione in Europa, in queste ore? Mentre Aleppo è liberata? Mentre Obama fa’  le valige?
 
Putin,  limpido, ha spiegato: “L’assassinio (dell’ambasciatore) è una provocazione mirante a impedire il miglioramento delle relazioni russo-turche, minare il processo di pace in Siria promosso da Russia, Turchia, Iran ed altri paesi interessate a risolvere il conflitto in Siria”.
 
Per noi europei, la strategia della tensione ha uno scopo quasi tradizionale:  farci  travolgere dal terrore  che è dovunque,  odiare i musulmani mentre ci obbligano ad accoglierli, significa che ci sentiamo insicuri – e perciò chiediamo un governo forte, autoritario, con una polizia che censuri i siti – non solo gli islamici, anche i nostri: ne va  della nostra vita!  Leggi speciali d’emergenza, legge marziale.  O stringiamoci tutti sotto l’ombrello della NATO, che ci  difende dai jihadisti…
L’oligarchia di Bruxelles  travolta dalle critiche e contestazioni,  dal crescere del “populismo”,  l’Unione Europea   che vede incagliato il suo progetto sovrannazionale, può trovarvi il suo  tornaconto: imporre ordine e disciplina, recuperare “autorità”.  E’ presto per dirlo. Aspettiamo i media di domani, cosa dicono, quali ricette invocano, quale capo o “fratello”  per l’emergenza, capace di calmare i nostri terrori: sono le parole d’ordine  a cui  ci faranno obbedire.  Quale il prossimo “Je suis Charly”? Aspettiamo domani.
 
Un  camion chiamato Ariel
 
(dall’Ansa: l camion era partito dall’Italia per fare rientro in Polonia. Lo scrive il Guardian, per il quale il mezzo doveva fermarsi a Berlino per consegnare il carico ed il conducente, cugino del proprietario dell’azienda di trasporti polacca, aveva detto di volersi fermare per la serata. Ci sono forti sospetti, afferma il Guardian online, che il mezzo si stato rubato durante il viaggio. L’autocarro è di un’azienda di trasporti di Danzica, che dice di aver perso il contatto con il mezzo attorno alle 16 del pomeriggio.
 
Il proprietario dell’azienda, identificato solo come Ariel Z, è stato intervistato dall’emittente polacca Tvn24 e ha detto che il mezzo era guidato da suo cugino, che aveva intenzione di passare la serata a Berlino. Ha escluso che il suo parente, che guida camion da 15 anni, possa aver provocato lo schianto.
FonteBlondet & Friends dicembre 20 2016
Omicidio Karlov: un’esecuzione in diretta, opera di cani rabbiosi
È stato vittima di un’esecuzione quasi in diretta l’ambasciatore russo in Turchia, Andrei Karlov, freddato con una raffica di colpi alla Galleria d’Arte Moderna d’Ankara: le grida dell’omicida, un poliziotto poco più che 20enne, inducono i media a parlare di terrorismo di matrice islamista, una vendetta per le vicende di Aleppo. Diversi elementi suggeriscono che la pista dell’esOmicidio Karlov: un’esecuzione in diretta, opera di cani rabbiositremismo religioso sia solo un paravento e che dietro l’assassinio si nascondano i servizi atlantici, ancora radicati in Turchia grazie alla rete dell’imam Fethullah Gülen. Difficilmente tra Russia e Turchia scenderà il gelo, perché così facendo il Cremlino il gioco dei mandanti: l’omicidio dell’ambasciatore Karlov è però una spia dell’attuale clima internazionale. L’establishment atlantico agisce sempre più come un cane rabbioso.
 
NO, NON CI SARÀ NESSUNA ROTTURA RUSSO-TURCA
 
Lunedì 19 dicembre, Ankara, Galleria d’Arte moderna: l’ambasciatore russo in Turchia, Andrei Karlov, sta tenendo un discorso all’inaugurazione della mostra “la Russia vista dai Turchi”. Prima che inizi a parlare, si posiziona alle sue spalle unassassino-spalle uomo: è vestito con camicia bianca e cravatta nera, giovane, ben rasato e composto. L’ambasciatore russo si cimenta nel classico discorso di routine per simili occasioni.
 
 
Il ragazzo alle sue spalle estrae la pistola e gli scarica diversi colpi in corpo, in una drammatica sequenza immortalata dalle telecamere rivolte verso Karlov1.
 
L’attentatore non fugge, né esce dal campo delle telecamere, ma rivendica platealmente il gesto: “Allaha Akbahar”, “Non dimenticate Aleppo, non dimenticate la Siria”, “noi moriamo in Siria voi morite qua”, etc. etc. A quel punto il racconto video si interrompe: intervengono le forze di sicurezza, liquidano il terrorista e, per soddisfare il pubblico che ama il feticcio dei cadaveri, sarà pubblicata solo la sua foto dopo il blitz, riverso a terra e sanguinante, sullo sfondo di un muro crivellato.
Andrei Karlov è dichiarato ufficialmente morto poco dopo, ottenendo così il triste primato di primo ambasciatore russo ucciso in servizio in quasi due secoli di storia: bisogna infatti risalire all’assalto alla delegazione russa a Teheran, nel 1829, per trovare un caso analogo. Trascorrano poche ore ancora e anche l’omicida riceve un nome: è Mevlut Mert Altintas, 22enne, di professione poliziotto. Sfruttando il tesserino, Altintas ha potuto introdursi armato in sala, posizionarsi alle spalle dell’ambasciatore e freddarlo al momento opportuno.
 
A corroborare la pista jihadista interviene, come sempre in questi casi, l’israeliana Rita Katz e la sua società Site Intelligence Group, che sondano la rete alla ricerca di ciò che l’ISIS pensa e dice: il loro lavoro è così prezioso che, in sua assenza, il Califfato sarebbe senza voce. La galassia dell’ISIS, dice la Katz, è in grande fermento per l’assassinio di Karlov e saluta il terrorista come un eroe, caduto difendendo gli eroi di Aleppo.
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La matrice “islamista” dell’attentato è credibile? L’assassinio è il secondo, drammatico, atto di un’escalation tra Russia e Turchia dopo l’abbattimento del Su-24 russo nel novembre 2015? C’è da attendersi un repentino deterioramento delle relazioni russo-turche?
La risposta a tutte le domande è: no.
 
Seguendo il classico ragionamento deduttivo, partiremo dal generale per scendere al particolare, dimostrando come la clamorosa uccisione dell’ambasciatore russo in Turchia non sia opera di un fanatico isolato, ma dei servizi atlantici, decisi a sabotare qualsiasi intesa tra Mosca ed Ankara in un momento cruciale del conflitto siriano. Partiremo quindi dall’analisi geopolitica per scendere ai dettagli dell’omicidio di Karlov: sarà un percorso agevole e lineare, che non lascerà alcun dubbio sulla matrice “NATO” dell’attentato.
 
La Russia e la Turchia sono state, per quasi cinque anni, sul lato opposto della barricata nella guerra siriana: Mosca a sostegno di Bashar Assad, Ankara a fianco dell’insurrezione armata e poi dell’ISIS. La prima difendendo uno storico alleato regionale, la seconda allettata da sogni neo-ottomani, sapientemente alimentati dagli angloamericani che hanno sfruttato la Turchia per i loro piani di destabilizzazione del Medio Oriente. Dalla Turchia, partono armi e terroristi, verso la Turchia, viaggiano i camion cisterna carichi di petrolio da cui il Califfato trae il suo sostentamento.
 
Mosca, nell’autunno 2015, scende direttamente in campo inviando una spedizione militare che nel volgere di poche settimane sposta gli equilibri del conflitto a favore di Damasco. Ankara, sobillata dagli angloamericani (che promettono probabilmente a Recep Erdogan di schierarsi a fianco dell’alleato NATO qualsiasi cosa capiti), reagisce abbattendo il Su-24 russo nei cieli siriani: i rapporti tra Ankara e Mosca precipitano ed il Cremlino adotta una serie di misure economiche in rappresaglia.
 
L’appoggio angloamericano, però, non supera all’atto pratico qualche tiepido pronunciamento da parte del segretario della NATO, Jens Stoltenberg, e del presidente degli Stati Uniti, Barack Obama: Ankara è sostanzialmente lasciata sola dinnanzi ad una superpotenza nucleare, avvelenata per la pugnalata alle spalle. Non solo. Più i mesi passano e più Recep Erdogan intuisce quali siano i progetti più reconditi “dell’Occidente”: smembrare Siria ed Iraq, a vantaggio di un nascente Kurdistan nel cuore del Medio Oriente. La prospettiva è inquietante per Ankara, perché una simile entità finirebbe, presto o tardi, col cannibalizzare le regioni turche a maggioranza curda.
Tradito ed isolato, il “sultano” Erdogan cambia radicalmente strategia: licenzia Ahmet Davutoglu, artefice della politica neo-ottomana ed anti-russa, e nomina un nuovo premier che, il 13 luglio, apre alla riconciliazione con la Siria e Bashar Assad. Come impedire la defezione di Ankara ed una ricomposizione tra Erdogan e Putin? Semplice:destabilizzando la Turchia. Scatta così il colpo di Stato del 15 luglio che, come analizzammo a suo tempo, non mirava tanto a defenestrare Erdogan per sostituirlo con una giunta militare quanto, piuttosto, a scatenare una guerra civile così da gettare il Paese nel caos, sul modello delle insurrezioni in Libia e Siria.
 
C’è chi dice che durante le concitate ore del golpe Erdogan fosse nascosto in una base russa; chi dice che Mosca abbia giocato un ruolo di primo piano nello sventare il putsch: di certo sappiamo soltanto che Recep Erdogan, represso col pugno di ferro il colpo di Stato, vola il 9 agosto a San Pietroburgo per incontrarsi con Vladimir Putin, per la prima visita dopo la rottura diplomatica dell’anno precedente. In parallelo, i rapporti con gli USA precipitano: ministri e giornali vicino al governo accusano direttamente Washington di essere all’origine del putsch, mentre lo stesso Erdogan chiede con insistenza l’estradizione dell’imam Fethullah Gülen, suo vecchio padrino politico oggi residente in Pennsylvania e padrone di un impero mediatico-religioso benedetto dalla CIA.
Lo scenario per gli strateghi angloamericani volge al peggio: si è passati dall’auspicato guerra civile tra sciiti e sunniti ad riappacificazione tra Ankara e Teheran, benedetta da Mosca, in chiave anti-curda ed anti-occidentale. “Iran and Turkey agree to cooperate over Syria” scrive con rammarico la qatariota Aljazeera nell’agosto 20162, presagendo il rischio di un’intesa tra i due Paesi a discapito dell’ISIS e dell’insurrezione islamista.
Grazie al disimpegno di Ankara dal dossier siriano (non totale, perché urterebbe troppi interessi nazionali ed internazionali, ma comunque determinante), russi ed iraniani possono infatti stringere il cerchio intorno ad Aleppo, sino alla totale riconquista del 12 dicembre. Il colpo per Washington e le altre cancellerie occidentali che hanno investito un enorme capitale politico sulla caduta di Assad (Londra, Parigi e Tel Aviv) è durissimo: il “regime di Bashar” riporta una vittoria decisiva e Mosca, galvanizzata dal successo, si afferma come il nuovo dominus del Medio Oriente a discapito delle vecchie potenze occidentali. Gli equilibri regionale si decidono ormai al Cremlino che si assume l’onore e l’onore di conciliare gli interessi, spesso divergenti, dei diversi attori.
A distanza di poco più di una settimana dalla liberazione di Aleppo, è in programma infatti a Mosca una trilaterale tra Russia, Iran e Turchia per discutere sul conflitto siriano alla luce degli ultimi sviluppi: “Russia, Iran and Turkey to hold Syria talks in Moscow on Tuesday” scrive la Reuters il 19 dicembre. Nelle stesse ore in cui esce l’agenzia, l’ambasciatore russo Andrei Karlov è ucciso ad Ankara, nella Galleria d’Arte Moderna, per mano del poliziotto Mevlut Mert Altintas.
 
Possiamo quindi dedurre senza difficoltà l’identità dei mandanti dell’attentato: ad armare la mano dell’assassino di Karlov sono gli stessi che dal 2011 in avanti hanno tentato di rovesciare Assad, gli stessi che hanno inoculato il germe dell’ISIS in Siria, gli stessi che hanno ordito il putsch militare in Turchia della scorsa estate, gli stessi che sognavano un zona d’interdizione di volo sopra la Siria, gli stessi che hanno interesse a sabotare un’intesa tra Turchia, Russia ed Iran. Sono Washington ed i suoi alleati.
 
Il nostro ragionamento si sposta quindi sulla dinamica dell’omicidio: afferrata le realtà a scala generale, grazie all’analisi geopolitica, non ci resta che calarla nel particolare, evidenziando tutte le peculiarità dell’omicidio Karlov che rivelano l’inconfutabile “zampino” dei servizi segreti atlantici:
  • il poliziotto Mevlut Mert Altintas non avrebbe mai potuto introdursi armato nella Galleria d’Arte moderna e posizionarsi alle spalle dell’ambasciatore, né quest’ultimo essere separato dai propri guardaspalle, se un’attenta regia non avesse pianificato nel minimo dettaglio l’operazione: qualcuno ha agito perché tutte le misure di sicurezza fossero aggirate;
  • la presenza di una regia nell’omicidio di Karlov è testimoniata dalla sua esecuzione “a favore di telecamera” e dalla velocità con cui il video ha lasciato la Galleria d’Arte Moderna per invadere la rete ed i media: è stato quasi un omicidio in diretta, così da aumentarne esponenzialmente l’impatto. Il filmato, in altre circostanze, difficilmente avrebbe lasciato la scena del crimine, certamente non così in fretta. Il killer è stato attentamente istruito per agire dentro il campo della telecamera, così da confezionare un video sulla falsariga di quelli prodotti dall’ISIS o da Al Qaida: il poliziotto Mevlut Mert Altintas è nell’inquadratura delle camere prima, durante e dopo l’omicidio;
  • l’attentatore non è un funzionario di polizia qualsiasi: membro delle unità anti-sommossa, ha fatto parte anche della scorta di Recep Erdogan3. Per avvicinare il presidente turco ed essere assegnato al suo corpo di sicurezza personale, Mevlut Mert Altintas deve aver superato un accurato esame psicofisico e politico. Ciò corrobora la tesi del sindaco di Ankara, Melih Gokcek, secondo cui l’attentatore fosse un membro della rete dell’imam Fethullah Gülen, radicata sia nella magistratura che nelle forze dell’ordine. Ricordiamo che Gülen, mentore di Erdogan e suo alleato fino al 2015, ha orchestrato dall’esilio dorato in Pennsylvania il putsch militare della scorsa estate;
  • la concomitanza dell’omicidio di Karlov con l’attentato di Berlino, una riedizione della strage di Nizza del luglio scorso, indica una comune regia ed un’attenta pianificazione: una serie di attacchi terroristici simultanei o separati da poco tempo, hanno un effetto stordente sull’opinione pubblica, che non ha il tempo per metabolizzare gli avvenimenti né la possibilità di porsi interrogativi su quanto stia realmente avvenendo. Lo si è già visto quest’estate in Francia: il 14 luglio muoiono un’ottantina di persone ed il 26 luglio, quando le domande senza risposta sulla strage abbondano ancora, l’attenzione è già dirottata sulla barbara uccisione del parroco di Rouen.
Quali conclusioni si possono quindi trarre dall’omicidio Karlov?
Difficilmente Mosca ed Ankara romperanno i rapporti come lo scorso novembre dopo l’abbattimento del Su-24, perché così facendo agirebbero secondo i piani di chi ha orchestrato l’attentato. L’assassinio dell’ambasciatore è però una spia del clima internazionale che si respira. Il 2016 è stato un annus horribilis per l’establishment euro-atlantico: il referendum inglese di giugno ha decretato l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, le presidenziali americane hanno incoronato il populista e filo-putiniano Donald Trump, le forze centrifughe in seno all’eurozona hanno raggiunto livelli allarmanti, la Russia si è imposta come potenza di primo piano in Medio Oriente, la guerra siriana ha svoltato a favore di Bashar Assad.
Cresce l’impotenza dell’oligarchia e ed aumenta, di conseguenza, la sua ferocia: attentati, omicidi e stragi sono ormai tanto frequenti e clamorosi quanto approssimativi e spudorati. L’esecuzione in diretta dell’ambasciatore Andrei Karlov confermare la sensazione che, avvicinandosi la fine, il Potere si comporti sempre più come un cane rabbioso.
 
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Federico Dezzani dicembre 20 2016
 
 
20.12.20161
DI FEDERICO DEZZANI
 
federicodezzani.altervista.org

Varsavia ha un problema ‘italiano’: i ricchi sovversivi di Stato

Manifestazioni violente.  Picchiatori che provano a rovesciare le auto dei deputati del PiS,il partito del governo che ha vinto le elezioni;   la polizia che respinge a manganellate e lacrimogeni  tentativi  dei rivoltosi di irrompere nella Dieta (Parlamento) per bloccare  l’approvazione di una legge; febbrili preparativi per organizzare anche in Polonia una piazza Majdan” all’Ucraina, con fredda pianificazione di “wc, centro-stampa, palco con audio” e “incidenti di sangue dopo due giorni”.  Insomma è la rivolta   democratica contro il governo reazionario di Beate Szilo,  creatura dell’appartato (ma presentissimo) Jarosław  Kaczyński ?

Così l’ha raccontata il Corriere della Sera: «Era dai tempi del primo sindacato libero del blocco comunista, Solidarnosc, che in Polonia non si creava un movimento così compatto e combattivo per la democrazia. In migliaia si sono ritrovati, Costituzione alla mano…”.

Tutto vero. Basta non dire che la punta di lancia della opposizione democratica, scesa in piazza a incendiare il paese, è costituita da 32 mila ex agenti dei servizi segreti e alti funzionari del periodo comunista   sovietico-polacco, in lotta contro la  minaccia di taglio delle loro pensioni.

La nuova legge – per votare la quale il Parlamento ha dovuto riunirsi in una sala diversa dall’aula solita, che era minacciata di irruzione “democratica” – pone un tetto alle pensioni di  costoro; un tetto che le parifica alla pensione media in  Polonia, pari a 2 mila zloty  mensili, circa 435  euro.  Un affronto per chi   fino ad oggi gode di una pensione anche di 20 mila zloty, 4.350 euro al mese.

Come mai? Il motivo è che in Polonia la transizione è stata non violenta, civile e umana; il che comporta che  i funzionari del regime comunista passato, anche quelli  addetti alla repressione, non solo non sono stati fucilati; gli  sono state lasciate le pensioni di prima: pensioni d’oro. Adesso il  governo del PiS (Diritto e Giustizia, Prawo i Sprawiedliwość)  , che ha vinto le elezioni nel 2015,  ha osato la parificazione.  Perché tra l’altro, molti dei pensionati da 400 euro mensili lo devono al fatto che hanno perso anni di contributi, o perché erano stati messi in galera come dissidenti da quelli che prendono  pensioni 10 volte superiori, o perché durante il regime  non potevano più trovare un lavoro pagato decentemente essendo segnati  dal carcere come oppositori.

Spero non sfugga l’analogia con la situazione italiana.  Anche se la nostra è molto più grave: non solo i “ricchi di stato”  da noi   sono  milioni, non solo hanno stipendi superiori in media al 17 per cento dei privati con mansioni simili,  con punte di privilegio da 200 mila  euro per diversi dirigenti pubblici, di 74 mila euro annui per il personale non-dirigente  (attenzione: NON dirigente) delle ‘autorità” tipo AGcom; e 48 mila per i NON dirigenti  della Presidenza del Consiglio, senza dire dei docenti universitari da 71 mila euro annui e del personale di regioni e comuni sui 40 mila annui – a fonte di una settore privato che, ormai, offre  salari da 400-600 mensili col voucher.

E’ sia chiaro, il problema che   distingue (nel male) il nostro paese da tutti quelli dell’Occidente capitalista.  In Usa, i veri grandi ricchi  (l’1% per cento che s’è accaparrato tutti i lucri  lasciandone niente al ceto medio) ,  producendo la più odiosa  iniquità sociale, sono comunque dei  privati  che guadagnano nel settore privato.   I nostri ricchi sono ricchi di Stato, che estraggono i loro lucri dal denaro pubblico, ossia dalla torchia fiscale che esercitano sui privati impoveriti;  inoltre, come constatiamo ogni giorno, sono inadempienti (non fanno ciò per cui sono lautamente pagati per fare), spesso parassiti (coprono posti inutili),  assenteisti e  truffatori di denaro pubblico: a Roma si  intascano il denaro per riattare gli  asili per rimodernare il loro appartamento,  dovunque approfittano in modo ladronesco di tutte le occasioni di lucro indebito che la loro posizione permette – senza alcun senso di responsabilità verso la comunità nazionale,  cui dovrebbero essere grati, e  che vedono come bestiame da mungere  e tosare.

Perché proprio gli stipendi scandalosamente alti –  che nella teoria mitica sono dati per togliere loro tentazioni di farsi corrompere  – sono invece la causa della loro corruzione, della loro insaziabile voglia di intascare sottraendo i soldi ai  cittadini poveri. In combutta coi politici che, essendo “Politici di mestiere”, si percepiscono come dirigenti pubblici anziché come rappresentanti del popolo,  e si spartiscono la torta coi funzionari.

So già che qualche statale o regionale o provinciale mi manderà mail furenti.  Ma invece dovrebbe riflettere  – fra gli esempi che emergono ogni giorno –  sull’ultimo: quello del ministro Poletti  ( del lavoro, “de sinistra”) che ha   sputato sui cervelli italiani costretti ad emigrare   con frasi da despota saudita ( “Conosco gente che se ne è andata ed è bene che stia via, non soffriamo a non averli più fra i piedi”) e il cui  figlio, Manuel Poletti, non emigra perché dirige un settimanale della Provincia  di Ravenna (area Lega delle Cooperative)   – finanziato da chi? Dalle casse pubbliche: con 191 mila euro annui  nel 2015, 197mila nel 2014, e 133mila nel 2013. Più di mezzo milione.

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Poletti padre e figlio. Li manteniamo entrambi. Molto bene.

Ecco il Ricco di Stato, con la sua callosa coscienza di privilegiato arrogante,  sfrontato  nell’accaparrare il fondi pubblici per sé e  i suoi cari, senza alcun senso del dovere  sociale verso i cittadini che lo pagano. Come liberarci da questi oppressori?

Torno al  caso polacco perché è  istruttivo. Là,  i privilegiati che  il governo ha  tentato di disciplinare sono, essenzialmente pensionati  del passato socialismo reale, eppure hanno  messo la capitale a ferro e fuoco.  I nostri ricchi parassiti corrotti sono  “in servizio”, ossia hanno in mano  tutte le leve del potere, la macchina amministrativa, la “legalità”.  Non oso pensare  che cosa ci farebbero pur di proteggere i loro stipendi indebiti e i loro privilegi di parassiti.

L’altro fenomeno ricco di insegnamenti è  stato vedere come, a difesa dei  parassiti ex comunisti  polacchi, si sia schierato –  in quadrata legione –  l’intero mondo “liberal” progressista, che ha salutato entusiasticamente i sovversivi  come “opposizione democratica” in lotta per “la Costituzione”: la UE, Bruxelles, le centrali della globalizzazione,  e ovviamente i media mainstream.  Si è visto  benissimo che i media  di tutta Europa  erano pronti a sostenere con menzogne ed esagerazioni una imminente “rivoluzione colorata” polacca auspicata da Bruxelles  contro il regime “autoritario ed anti-immigrati”, xenofobo, reazionario (ha cercato di vietare l’aborto)  eccetera.

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Donald Tusk

Uno dei due partiti che hanno allestito in fretta  il “Comitato di Difesa della Democrazia” (KOD),  che i media cercano di far  passare come la nuova Solidarnosc, è il Platforma Obywatelska, PO,  ossia  il partito di Donald Tusk: presidente del Consiglio Europeo fino a due anni fa, neocon di tipo americano (a Washington è ospite fisso  dell’American Enterprise con Michael Ledeen),  liberista estremista in economia, e nonostante abbia perso le elezioni in Polonia,  eminenza grigia del potere europeista fra Juncker e Schulz. L’altro partito  è nato due anni fa, si è denominato da solo Nuovo (Nowoczesna); il suo fondatore , Ryszard Petru, ha un passato in università dell’URSS prima della caduta del Muro; dopo, prontamente , è passato banchiere d’affari nelle centrali del globalismo: prima alla  Banca Mondiale , poi alla Pricewaterhouse Coopers, ambasciatore informale di Tusk   preso il  Fondo  Monetario… il partito di Petru, alle elezioni,ha preso il 7 per cento.  Ora  è salutato da Bruxelles e da  CNN come il lottatore per la democrazia  contro il regime autoritario che (come sapete) si oppone ad accogliere  “la sua quota di immigrati islamici” dettata  da Berlino.

Segno inequivocabile che le  oligarchie, siano  comuniste siano”liberal”, si riconoscono a fiuto, si abbracciano,si adottano reciprocamente  si proteggono a vicenda. Con tutti  i mezzi.

CNN, Reuters, Washington Post hanno aiutato   la nascita rapidissima di una tv  polacca,  espresoTV ,  a difesa della “democrazia” insieme alla TVN, una tv polacca nata dopo il Muro, notoriamente allestita dai servizi segreti comunisti. La stella ne è stata Michal Broniatovski, figlio di un membro dei servizi,  poi redattore di Forbes (la rivista dei miliardari Usa) edizione polacca (per i miliardari locali).

Broniatovski “ha pubblicato un post su Facebook con il quale dà consigli su come scatenare una Majdan a Varsavia:

  1. Motivare i giovani. […] Ne bastano due-tremila disposti a passare la notte al freddo, ma ce ne vogliono decine di migliaia per sostenerli di giorno.
  2. Una grande piazza in centro alla città ed un grande edificio pubblico che può essere difeso sono essenziali per motivi logistici: WC, centro stampa…
  3. Le tende devono avere un cartello con scritto «Ufficio parlamentare» per garantirsi l’immunità.
  4. Le tende devono essere disposte come un accampamento fortificato; servono gabinetti portatili e mobili di legno.
  5. Dopo un paio di giorni servono incidenti sanguinolenti; un milione di persone accorreranno a manifestare in piazza e nelle zone circostanti.
  6. Bisogna organizzare i fondi per il cibo, la legna da ardere, l’impianto audio, un palco.
  7. Occorre un servizio d’ordine.
  8. È necessaria la presenza costante di artisti e di religiosi sul palco”.

(Roberto Marchesini, “Polonia, il rischio di una rivoluzione pilotata Media ed ex regime uniti contro il governo”, Nuova  Bussola Quotidiana, 19 dicembre)

E’ evidente il proposito di scatenare  una Majdan  polacca.  “Opposizione totale!”, è lo slogan dei “democratici” alla Tusk e Petru che difendono le pensioni dei funzionari sovietici.  Pronti a rovesciare il voto democratico con moti di piazza   “democratici” alla Soros?  Applauditi dal mondo “libero” e  dai suoi media.   E la benedizione di  “Bruxelles”, ben lieto essendo Juncker di veder finire  l’autonomismo del Gruppo di Visegrad.  E come sempre, le elites contro il popolo, denominato “populista”.

E sono, come il ministro Poletti, “liberal”,  progressisto-liberiste,  de’  sinistra diremmo in Italia.  A conferma di quel che si diceva qualche giorno fa: “la sinistra oggi ha tutti i caratteri di cui rimprovera Trump: intolleranza, odio della gente che non è ricca come lei, l’autoritarismo, il settarismo conformista del pensiero, e una gran prontezza alla violenza”.

FONTE

La favola dell’attacco hacker russo si rivela una totale bufala mediatica…le email provengono da un insider di Bernie Sanders

ma no, quella dolce, onesta, pacifica e democratica donna, impossibile abbia fatto scorrettezze nei confronti di Sanders.

Ed ecco che la gigantesca bufala della delirante teoria del complotto della sinistra ha cominciato a sgretolarsi. Dopo aver assistito per giorni a continue dichiarazioni da parte dei media di sinistra a proposito delle email dei democratici hackerate dai “russi” e consegnate a Wikileaks, risulta che le email in realtà sono state fatte trapelare da una persona interna al partito democratico in collera per l’eliminazione orchestrata di Bernie Sanders da parte degli agenti dei Clinton.

Il UK Daily Mail riporta ora che Craig Murray, ex ambasciatore britannico in Uzbekistan, ha incontrato personalmente il leaker (informatore) che gli ha fornito le email poi pubblicate da Wikileaks. Il leaker di email, una persona della cerchia di Bernie Sanders, sarebbe stato spinto dal “disgusto di fronte alla corruzione della Fondazione Clinton e al ribaltamento delle elezioni primarie contro Bernie Sanders,” scrive il Daily Mail.

Il passaggio di informazioni è avvenuto a Washington D.C. in un’area boschiva presso la American University, ha spiegato Murray. Scrive il Daily Mail:

Murray ha insistito nel dire che le email di Podesta e del partito democratico pubblicate da Wikileaks non provenivano dai russi e sono state consegnate al gruppo di whistleblowing da cittadini americani che avevano accesso autorizzato alle informazioni.

“Nessuno [dei leak] proveniva dai russi,”  ha detto Murray “La fonte aveva legale accesso alle informazioni. I documenti provenivano da leak interni, non da hackeraggi esterni.”

“Come ha chiarito Assange in modo inequivocabile, i leak non provengono dai russi,” scrive Murray sul suo sito web. “Come ho già spiegato innumerevoli volte, non si tratta di hackeraggi bensì di leak interni – c’è una notevole differenza fra le due cose. E dovrebbe essere ancora ribadito che se Hillary Clinton non avesse cospirato con il comitato nazionale dei democratici per stabilire il programma delle primarie in modo da sfavorire Bernie, se non avesse ricevuto anticipazioni sulle domande del dibattito da usare contro Bernie, se non avesse accettato cospicue donazioni alla fondazione Clinton e ai membri della sua famiglia in cambio di influenza sulla politica estera, se non avesse fallito nel tentativo di allontanare da se certi soggetti poco raccomandabili, allora non sarebbe accaduto nulla di tutto ciò. La continua abilità dei media mainstream nel sostenere che i leak sono costati le elezioni alla Clinton per colpa della “Russia” senza mai accertare le verità che essi rivelano, è veramente kafkiana.”

Il fondatore di Wikileaks Julian Assange ha già confermato in precedenza che le email in questione non provenivano dai russi. Il Washington Post, il New York Times ed altri ormai screditati portavoce della propaganda di regime continuano ad insinuare che i russi hanno in qualche modo alterato l’esito delle elezioni in favore di Donald Trump, ma non hanno prodotto uno straccio di prova reale a sostegno delle loro affermazioni.

L’obiettivo è creare il dubbio nelle menti dei “grandi elettori”

Nonostante la completa mancanza di prove, la totalità dei media di sinistra (spacciatori di propaganda) negli Stati Uniti ha ormai abbandonato qualunque parvenza di integrità giornalistica continuando a trasmettere la narrazione manifestamente falsa secondo la quale i russi avrebbero hackerato e divulgato le email del partito democratico a Wikileaks.

La delirante teoria della cospirazione è stata spinta attraverso una campagna mediatica coordinata con l’obiettivo di diffondere sufficiente disinformazione da causare un cambiamento del voto elettorale del 19 dicembre. Lo scopo è negare a Donald Trump 270 voti elettorali e per ottenere questo gli stessi media di sinistra che hanno mentito incessantemente su tutto durante la campagna continuano a mentire dopo la vittoria di Trump.

Se a Donald Trump possono essere negati 270 voti elettorali, la narrazione della sinistra dichiarerà “illegittima” la sua presidenza in quanto avrebbe fallito nel raggiungere i richiesti 270. Tutto questo è ridicolo, ovviamente, poiché la stessa disinformazione mediatica sarebbe la causa di un eventuale stravolgimento del voto elettorale. In questo modo, la propaganda si autoalimenta… e i grandi elettori saranno oggetto della più intensa psyop politica mai osservata nelle elezioni americane.

Le email rivelano sconvolgenti abissi di corruzione e collusione all’interno del partito democratico (DNC) e della campagna di Hillary

 Focalizzando l’attenzione sui russi, i media mainstream sono riusciti a distrarre completamente quasi tutti dalla sostanza delle email trapelate. Esse contengono schiaccianti dettagli sull’estrema corruzione e collusione all’intero del DNC, che ha tramato attivamente per utilizzare Bernie Sanders come fantoccio politico per poi “colpirlo alle spalle” nel momento più opportuno in modo da aprire la strada a Hillary Clinton.

Breitbart.com ha pubblicato una lista di 18 fra le più sconvolgenti rivelazioni emerse dalle email. Ma ce ne sono centinaia.

Quando Wikileaks ha cominciato a pubblicare le email, una delle storie create inizialmente dai media di sinistra allineati era dichiarare le email “false.” Così, ora sostengono fondamentalmente che i russi hanno alterato l’esito delle elezioni hackerando in qualche modo il DNC per acquisire false email pubblicate da Wikileaks. Non ha alcun senso, naturalmente, ma le narrazioni della sinistra non hanno bisogno di avere senso. Devono solamente sembrare emotivamente cariche e scandalose. (I liberali non pensano usando la logica. Prendono decisioni basate su emozioni e conformità sociale. Ecco perché non ci si può ragionare.)

WashPost, NYT e CNN hanno costruito una grande bufala per cercare di scippare le elezioni dopo averle perse

Le rivelazioni di Craig Murray mostrano che la teoria delirante di un “attacco informatico russo” non è che una gigantesca bufala portata avanti da Washington Post, New York Times e CNN. Niente di ciò che hanno dichiarato è vero. Tutto ciò che scrivono sull’argomento è una costruzione o una eco di qualche fonte che sta fabbricando simili assurdità.

Dal Daily Mail:

Murray ha affermato che ha deciso di parlare dopo le dichiarazioni dei funzionari dei servizi segreti secondo cui hacker russi avrebbero fornito i documenti a Wikileaks come parte di uno sforzo per aiutare Donald Trump a vincere le elezioni presidenziali americane.

‘Non capisco perché la CIA sostenga che le informazioni provengono da hacker russi quando dovrebbero sapere che non è vero,’ ha detto. ‘A prescindere da eventuali hackeraggi russi nel DNC, i documenti pubblicati da Wikileaks non provengono da lì.’’

Mike Adams Fonte: www.naturalnews.com

Link: http://www.naturalnews.com/2016-12-15-russian-hack-narrative-revealed-as-elaborate-media-hoax-email-leaks-bernie-sanders-insider.html

15.12.2016

Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org a cuta di EMANUELA LORENZI

Attenzione: stanno tentando di rovesciare Trump!

i simpatici paladini della democrazia detestano quando il popolo sbaglia a votare e si impegnano a mettere una pezza, certo per il bene di quei popoli che tanto disprezzano

Quella di lunedì, negli Stati Uniti, dovrebbe essere una tranquilla giornata di democrazia. I Grandi elettori si riuniscono nella capitale di ogni Stato per eleggere il presidente, rispecchiando il voto popolare. Di solito è una formalità ma questa volta rischia di non essere tale.

Uno dei migliori commentatori americani, Paul Craig Roberts, denuncia apertamente un tentativo di un colpo di stato (leggi qui), altri giornalisti nei giorni scorsi avevano evidenziato lo stesso pericolo, come Michael Snyder. Ma ieri sera anche la Washington Post ha dato conto di quel che sta avvenendo: i grandi elettori di ogni Stato, che dovrebbero semplicemente ribadire il risultato delle urne, stanno ricevendo incredibili pressioni al fine di indurli a non votare per Trump.

mappa-elettorale-USA-2016Sono letteralmente bombardati di email e di telefonate in cui si evidenzia la pericolosità di Trump e in cui vengono evidenziati i rischi dell’America,mentre la Cia, l’Fbi e ovviamente Obama continuano a denunciare le interferenze russe nell’elezione nel tentativo, vano, di dimostrare che l’elezione non era regolare. Tentativo vano, perché fino ad oggi non è stata presentata alcuna prova. Secondo il Washington Post anche i grandi elettori democratici sono sottoposti a pressioni analoghe da parte di attivisti repubblicani, di cui peraltro, però, non si capisce il senso, considerato che Hillary ha perso. Ci sarà qualche caso ma irrilevante.

Le pressioni sono esercitate sui Grandi Elettori degli Stati che hanno votato per Trump e il significato è fin troppo chiaro: le élite globaliste che hanno governato l’America e indirettamente il mondo occidentale, sta per uscire dalla stanza dei bottoni, visto che il magnate non ha piazzato i loro uomini nei dicasteri chiave. Quell’élite sta tentando di tutto per impedire che Trump entri davvero alla Casa Bianca a ribalti la politica estera e di sicurezza perseguita finora, a cominciare dai rapporti con la Russia e dalla lotta all’Isis e corregga quella sulla globalizzazione incentivando la riscoperta di un “patriottismo imprenditoriale” sugli investimenti e sui posti di lavoro.

Attenzione: quel che sta avvenendo in queste ore è gravissimo ed è assolutamente incompatibile con i principi democratici. Speriamo che i Grandi Elettori non si lascino suggestionare.
Se davvero Trump venisse rovesciato prima ancora di entrare in carica, gli Stati Uniti perderebbero qualunque legittimità di fronte al proprio popolo e al mondo.

Alle élite importa poco. A noi sì, tantissimo.

Link: http://blog.ilgiornale.it/foa/2016/12/18/attenzione-oggi-potrebbero-rovesciare-trump-e-privarlo-della-vittoria/