Astigiano assunto per 1,95 ore a settimana “Una vergogna, ma è l’unico contratto che ha”

ma come, con tutti i “lottatori per il popolo”, per la solidarietà, per i diritti degli ultimi che polettici governano e che abbiamo nelle istituzioni come mai siamo a questi punti? Sarà colpa di casa pound, dei populisti e di chi minaccia questa splendida democrazia? Ma gli italiani non erano choosy? Se si può campare lavorando 2 ore a settimana per quelle cifre corrispondenti, perché non ci campano i nostri governanti mostrandoci come si fa?


Negli ultimi 10 anni il lavoro precario ha registrato un incremento del 45,5%
È l’unico lavoro che ha, dopo mesi di disoccupazione, e non può certo permettersi di perderlo. Quindi sceglie l’anonimato, ma non davanti al sindacato al quale denuncia «le condizioni vergognose» che ha dovuto accettare
 
Il «monte ore»
 
Il contratto che gli è stato proposto da una grande azienda astigiana prevede un impiego nel settore dei servizi per 1,95 ore a settimana per un totale di 8 ore e 44 minuti al mese. Nessun arrotondamento: si lavora per tre giorni a settimana, per 65 minuti a giornata. Non un minuto in più, nè uno in meno. «Ha firmato il contratto perchè è l’unica offerta che si è concretizzata dopo mesi di ricerche – spiega il segretario generale Nidil Cgil Asti, Giorgia Perrone -. Ci ha detto che sperava anche le ore potessero aumentare, prima o poi. Ma ad oggi così non è stato. Il contratto è stato prorogato, ma il monte ore è rimasto lo stesso, purtroppo».
Il «micro lavoro»
tabella paghe minime
Si chiama «micro lavoro» ed è la nuova frontiera del precariato. Quando la domanda supera l’offerta, si è disposti ad accettare qualunque impiego a qualunque condizione pur di scrollarsi di dosso il peso della disoccupazione.
«Questo non è l’unico caso del genere che ho dovuto trattare – aggiunge Perrone -. Ad Asti come in altre parti d’Italia. Soprattutto nell’ultimo periodo assistiamo ad un moltiplicarsi di questa forma di lavoro disumana in cui la persona è chiamata ad esercitare pratiche di vita estreme per arrivare alla fine del contratto di lavoro, per quanto indecente questo possa essere».
Una recente indagine dell’università di Oxford ha mappato il microlavoro nel mondo. I Paesi con la più alta concentrazione di microlavoratori sono Filippine, India, Bangladesh e Pakistan. «Come fare a pagare l’affitto, le bollette, con 8 ore e 44 minuti al mese? – chiede Perrone – siamo in presenza di condizioni di lavoro disumane in cui la persona è chiamata ad accettare condizioni di vita estreme per arrivare alla fine del contratto di lavoro. Chi si affaccia ora al mondo del lavoro, così come chi ci si ritrova improvvisamente dopo 20-30 anni di servizio, può trovarsi a dover valutare queste offerte indecenti».
 
Qualche dato
« Proprio oggi (ieri, 10 dicembre, ndr) sono stati pubblicati i dati sul lavoro precario della Fondazione Di Vittorio – aggiunge Perrone –. Sono 4 milioni 492mila gli italiani che si trovano nella cosiddetta area del disagio occupazionale (vale a dire coloro che in modo involontario svolgono un lavoro temporaneo o a tempo parziale), con un incremento del 45,5% rispetto al 2007». Il più alto degli ultimi dieci anni.
Pubblicato il 12/12/2017 Ultima modifica il 12/12/2017 alle ore 17:39 laura secci
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Mattarella difende le banche. “Si è lavorato per risanarle”

mattarellaBravo kompagno antifa……sempre dalla parte degli ultimi. Salvare le banche è un diritto costituzionale? Ed i senzatetto che muoiono di freddo, muoiono letteralmente, non devono essere salvati?
 
Mattarella difende le banche. “Si è lavorato per risanarle”
Articolo tratto dall’edizione in edicola il giorno 16/12/2017.
 
L’Italia sta facendo il suo, e in futuro continuerà a farlo. Di certo, non siamo un paese rassegnato, allo sbando. Quest’anno abbiamo messo a segno progressi perfino dove nessuno se li sarebbe attesi, cioè sulle banche. Nella sala dei Corazzieri, davanti a 137 ambasciatori stranieri, Sergio Mattarella cita «il lavoro compiuto nell’ambito del settore bancario» che ha contribuito al «rafforzamento di un settore strategico per lo sviluppo». I riflettori, anche della stampa internazionale, sono tutt…continua
ugo magri

L’Italia è il Paese con più poveri in Europa, seguono Francia e Romania

senza lavoro 1chissà chi dobbiamo ringraziare per questi grandi traguardi. La Ue non era il templio del benessere? Chissà come siamo arrivati a questo punto, con tutti questi guardiani della democrazia, dei signori lotta dura senza paura, per il popolo. Secondo il pennivendolo de La stampa, chi ci ha messo in questa situazione ora parrebbe voler magicamente “rimediare”. L’importante è importarli da fuori i poveri per “salvarli”, noi possiamo anche morire di stenti, chi se ne frega.


L’Italia è il Paese che ha più poveri in Europa. Sono loro quelli ad avere maggiori difficoltà a far fronte a spese impreviste, a garantire che la propria casa sia sempre adeguatamente riscaldata, a far sì di avere almeno due paia di scarpe (estive e invernali), o ancora evitare di finire in arretrato con l’affitto o sostituire abiti lisi con capi più nuovi. Tutti indici di quelle che vengono definite «privazioni sociali e materiali», ma che al netto di espressioni politicamente corrette rilevano il grado di povertà delle famiglie. A livello europeo e nazionale il fenomeno si sta riducendo, ma nell’Ue ci sono ancora 78,5 milioni di persone che vivono stentatamente, e più di dieci milioni di loro sono italiani.
I dati Eurostat diffusi oggi e relativi al 2016 indicano il tasso di privazioni sociali e sociali. Cifre percentuali che lette così come presentate vedrebbero l’Italia undicesima in questa graduatoria. Romania (49,7%) e Bulgaria (47,9%) sono gli Stati membri in condizioni più problematiche, dove praticamente una persona su due ha difficoltà economiche. Ma in termini assoluti, il 17,2% italiano indica più di 10,4 milioni di persone (10.457.600) alle prese coi sintomi di povertà. Letti in quest’altro modo i numeri mostrano un’altra Europa, con l’Italia, sempre pronta a rivendicare la sua grandezze economica, a fare più fatica di tutti. Gli italiani soffrono anche più dei romeni (9,8 milioni) che pure in termini percentuali si trovano davanti a tutti quanto a privazioni. Salta all’occhio, in questa classifica, anche il dato francese. I cittadini d’oltralpe sono i terzi più in difficoltà a livello Ue (8,4 milioni, dietro Italia e Romania).
 
Dati alla mano non c’è da stare allegri, ma ci sono comunque motivi per guardare la situazione con spirito ottimistico. La buona notizia è che tutto questo, seppure a fatica, si sta invertendo. A livello europeo il tasso di persone con privazioni sociali e materiali si sta riducendo, e questo vale anche per l’Italia. Tra il 2015 e il 2016 si sono contati nel territorio dell’Unione europea circa 8,9 milioni di persone con difficoltà economiche in meno. Nello Stivale l’indice si è contratto del 4,4%, un dato che si traduce in 2,6 milioni in meno di cittadini alle prese con ristrettezze economiche. Un segnale che mostra come la ripresina per qualcuno c’è stata, ma che per qualcun altro deve ancora arrivare.
Pubblicato il 12/12/2017 Ultima modifica il 12/12/2017 alle ore 17:55 emanuele bonini

L’Italia del rancore

censis rancoreUn sentimento di rancore diffuso pervade l’Italia: la ripresa alimenta i profitti ma non i redditi di una popolazione afflitta da disoccupazione, precarietà del lavoro, declassamento sociale.
 Il Censis certifica: l’Italia è affetta da rancore, diagnosticato come un male sociale che alimenta populismo e sovranismo, se non il fantasma ricorrente del fascismo. I dati macroeconomici evidenziano una crescita del Pil nel 2017 intorno all’1,5%, ripresa trainata dal settore manifatturiero, dall’export e dal turismo. Tuttavia, cresce anche il dissenso sociale, si accentuano le diseguaglianze e il rancore diffuso contro le istituzioni, i partiti, l’Europa.
Questa ripresa, peraltro assai contenuta e non strutturale, dato che il tasso di crescita italiano è inferiore a quello degli altri paesi della UE, non ha dato luogo ad incrementi del reddito nella popolazione, né rimesso in moto la mobilità sociale, bloccata da decenni. Emerge infatti dal rapporto del Censis che oltre l’80% degli italiano ritiene assai improbabile salire nella scala sociale e circa il 70% teme ulteriori declassamenti.
La crisi ha determinato trasformazioni sistemiche: ha generato un modello socio – economico neoliberista, con evidenti sconvolgimenti nel corpo sociale, data la scomparsa progressiva del ceto medio e spinto sotto la soglia di povertà larga parte del vecchio proletariato.
Un diffuso senso di rancore pervade la popolazione, che, secondo il Censis nella società “è di scena da tempo, con esibizioni di volta in volta indirizzate verso l’alto, attraverso i veementi toni dell’antipolitica, o verso il basso, a caccia di indifesi e marginali capri espiatori, dagli homeless ai rifugiati. È un sentimento che nasce da una condizione strutturale di blocco della mobilità sociale, che nella crisi ha coinvolto pesantemente anche il ceto medio, oltre ai gruppi collocati nella parte più bassa della piramide sociale”. Inoltre, come viene rilevato da tale rapporto, “se la crisi ha avuto effetti psicologici regressivi con la logica del “meno hai, più sei colpito”, la ripresa finora non è ancora riuscita a invertire in modo tangibile e inequivocabile la rotta . La distribuzione dei suoi dividendi sociali appare finora adeguata a riaprire l’unica via che potrebbe allentare tutte le tensioni: la mobilità sociale verso l’alto”.
La gente comune non percepisce la ripresa, i cui effetti sembrano solo incrementare i profitti delle elites. Il disagio sociale, le tensioni latenti, alimentano un rancore generalizzato, che esprime un dissenso misto a rassegnazione, non prospettandosi soluzioni alternative ad un declassamento sociale che appare inarrestabile.
Contestare i partiti, la casta, i governi, è ormai considerato irrilevante. La politica è subordinata ai diktat della oligarchia finanziaria europea, quasi scomparsa la critica sociale e la militanza, perché non si riesce a concepire un futuro diverso da quello del capitalismo assoluto. La totale sfiducia nella politica è così espressa nel rapporto del Censis: “l’84% degli italiani non ha fiducia nei partiti politici, il 78% nel Governo, il 76% nel Parlamento, il 70% nelle istituzioni locali, Regioni e Comuni. Il 60% è insoddisfatto di come funziona la democrazia nel nostro Paese, il 64% è convinto che la voce del cittadino non conti nulla, il 75% giudica negativamente la fornitura dei servizi pubblici”.
I governi del PD e la destrutturazione del mondo del lavoro
 
E’ tuttavia errato sostenere che i governi targati PD, ossia Letta, Renzi e Gentiloni siano stati i governi dei grandi proclami e delle promesse mancate. Il programma di riforme dell’economia e della società imposto dalla UE è stato in larga parte realizzato, determinando rilevanti trasformazioni nella società italiana.
E’ stata infatti attuata una riforma strutturale del lavoro in Italia, mediante l’introduzione del Job Act. E’ stato abolito nei fatti, insieme con l’articolo 18, il contratto di lavoro a tempo indeterminato, estendendo la precarietà a tutti i settori occupazionali. Il contratto collettivo di lavoro è stato ormai quasi del tutto soppiantato dalla contrattazione aziendale che deroga in modo sostanziale alla normativa generale, i diritti sindacali sono di fatto largamente compressi. I casi di lavoratori sottoposti a sfruttamento intensivo con retribuzioni ai limiti della sopravvivenza sono all’ordine del giorno.
Il tasso di occupazione registra una debole risalita, ma trattasi nella stragrande maggioranza di lavoro precario. I voucher, introdotti dal governo Renzi per il lavoro occasionale, hanno in realtà legalizzato il lavoro nero e compresso al minimo le retribuzioni. L’abolizione dei voucher ha tuttavia comportato l’incremento esponenziale del lavoro intermittente o a chiamata. Si è estesa a macchia d’olio la cosiddetta “gig economy”, ossia i piccoli lavori offerti dalle piattaforme, svolti da lavoratori formalmente autonomi, ma pagati a cottimo e senza alcuna tutela retributiva e previdenziale.
Non a caso viene rilevato dal Censis l’aumento degli addetti alle vendite e servizi personali (+ 10,2%), il personale non qualificato (+11,9%), gli addetti alla logistica e al trasporto delle merci(+11,4%). Registrano invece un calo gli impiegati, gli artigiani, i liberi professionisti (specie tra i giovani).
 
Tra le riforme renziane va annoverata anche “la buona scuola”, con la quale viene introdotta l’alternanza scuola – lavoro, che, col pretesto di agevolare l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, comporta l’utilizzo dei giovani per lavori non qualificati presso le imprese senza alcuna retribuzione. Questo è l’ennesimo aspetto della formazione infinita cui sono sottoposti giovani che, effettuando continui stage presso le aziende, sono in realtà utilizzati come manodopera gratuita o quasi. Tale forma di sfruttamento è particolarmente diffusa presso la pubblica amministrazione. I giovani sono destinati ad arricchire infinitamente i loro curricula, senza altre prospettive di occupazione, se non quella del precariato a vita.
Occorre rilevare inoltre che l’innovazione tecnologica ha avuto un impatto decisamente negativo sull’occupazione e ha penalizzato soprattutto i gruppi sociali più disagiati. Ma il progresso tecnologico non ha oggi alcuna ricaduta sociale, produce solo l’incremento del profitto del capitale a danno del lavoro.
Scrive a tal proposito Marta Fana in “Non è lavoro è sfruttamento – Laterza 2017″: ” Livellare verso il basso i diritti e il lavoro non farà altro che aumentare i già inquietanti livelli di povertà in Italia (ma non solo), per tutti quelli che non hanno potere in questo sistema economico. Bisognerà tenerne conto senza distrazioni quando si discute di crescita economica, perché in un contesto simile, nella migliore delle ipotesi, lo sfruttamento di molti produrrà un aumento del reddito nazionale, del Prodotto interno lordo sulle spalle di quella maggioranza che non trarrà alcun beneficio da tale crescita. Quel che viene negato è il progresso sociale. Questo sistema deflattivo che impoverisce il lavoro è direttamente proporzionale alle disuguaglianze, nel lavoro e nella società, che si perpetuano nel tempo e aggrediscono l’intera sfera riproduttiva: dal welfare al consumo”.
Il rancore come condizione esistenziale permanente
La destrutturazione del welfare e la devoluzione alla UE della sovranità economica e monetaria degli stati, attuate mediante un processo riformatore tuttora in progressiva avanzata, hanno determinato l’abolizione di tutti i meccanismi di redistribuzione del reddito creati dagli stati onde preservare degli equilibri sociali consolidati.
In realtà, il declassamento dei ceti medi non è dovuto tanto alla fine delle politiche di redistribuzione del reddito (politiche abrogate dalla UE al fine di contenere la spesa pubblica, il deficit, ridurre il debito), ma al progressivo decremento del potere di acquisto delle retribuzioni. Alla classe lavoratrice non sono stati distribuiti negli ultimi 20 anni gli incrementi di produttività e di reddito scaturiti dalla innovazione tecnologica nella produzione, che sono invece stati assorbiti dai profitti e dalle rendite finanziarie.
Il capitalismo non è inclusivo, ma elitario, non genera progresso né emancipazione sociale. La classe lavoratrice non ricava alcun beneficio da questa ripresa: ecco la causa del rancore diffuso nel popolo italiano. Il rancore è il prodotto dell’individualismo strutturale prodotto dalla società neoliberista. Il rancore non determina rabbia sociale, ma è solo conseguenza dell’interiorizzazione di un disagio individuale, una sorta di permanente astio interiore scaturito dal senso di impotenza che pervade una società frantumata dall’atomismo sociale. Esso non conduce alla organizzazione politica del dissenso sociale, ma esprime uno stato esistenziale depressivo, un senso di individuale incapacità a realizzare un cambiamento della propria condizione umana e sociale.
Il rancore è un fenomeno degenerativo del dissenso, spesso generatore di guerre fra poveri tra loro in lotta per la sopravvivenza. Conduce a forme di aggregazione politica con falsi obiettivi, quali gli immigrati: trattasi di forme di dissenso del tutto funzionali al sistema. Il rancore alimenta la conflittualità tra individui disagiati, è un fenomeno connaturato all’ordine oligarchico del capitalismo.
Senso di impotenza e rancore sono stati esistenziali tipici di un individuo smarrito, di una collettiva solitudine di massa, di una condizione di una umanità priva di valori comuni di riferimento. Il fondamento di ogni comunità si individua nei valori etico – morali di riferimento, in cui l’individuo perviene al proprio riconoscimento, sia individuale che sociale. E’ questa assenza di valori che genera la mancanza di riconoscimento.
La società di mercato riconosce solo il valore economico del lavoro – merce e quindi l’esclusione dal mercato determina l’emarginazione, l’isolamento dell’individuo – massa. Essere fuori mercato significa inoltre essere escluso anche dai diritti politici: le masse escluse dal mercato del lavoro non sono portatrici di interessi economici degni di rappresentanza politica. Gli esclusi dal mercato sono quindi politicamente ininfluenti.
Il rancore dominante, non può condurre di per sé forme di aggregazione politica alternative al capitalismo, ma comunque determina un distacco dal sistema di un dissenso non più governabile: dal rancore nasce il rifiuto di questo sistema, rifiuto irreversibile potenzialmente produttivo di nuovi orizzonti di dissenso sistemico.
 
di Luigi Tedeschi – 04/12/2017 Fonte: Italicum

“HA FAVORITO LE BANCHE”: FINALMENTE INDAGATO MARIO MONTI, IL TRADITORE DEL POPOLO ITALIANO!

 
Monti indagato
ma no, il tecnico favorisce le banche? E che sarà mai, se ci ha indebitato estorcendo sempre più tasse? Il vero pericolo sono i “fascisti” e le loro “Inaudite violenze” (leggere un volantino e manifestare contro due testate giornalistiche) E’ un governo bella-ciao, vuoi che non faccia gli interessi delle masse? (ah già sarebbe da populisti)

Il governo di Mario Monti e due ex ministri dell’Economia sono sotto inchiesta.
L’operazione derivati traMorgan Stanley e il Tesoro chiusa tra il 2011 e il 2012 avrebbe provocato danni erariali per circa 4 miliardi di euro. La procura regionale del Lazio della Corte dei conti, dopo aver terminato la fase istruttoria, ha presentato alla banca Usa e ad alcuni ex dirigenti del Tesoro quello che in gergo si chiama l’invito a dedurre. Tra i nomi interessati dalla procedura ci sono Maria Cannata, attuale direttore del Debito, il suo predecessoreVincenzo La Via,Domenico Siniscalco, direttore generale del Tesoro poi passato proprio a Morgan Stanley e Vittorio Grilli, anche lui ex direttore generale del Tesoro. Siniscalco e Grilli sono poi diventati ministri dell’Economia.
 
In piena tempesta spread – L’istruttoria è stata avvita dalla Corte dei conti all’inizio del 2016. A far scattare la macchina della magistratura è stata la procedura che ha consentito a Morgan Stanley di chiudere anticipatamente, dall’oggi al domani, contratti stipulati con lo Stato italiano per un valore di 3,1 miliardi. L’operazione è stata resa possibile da una clausola, che permetteva appunto alla banca di recedere dai contratti stipulati nei primi anni del 2000, nel caso in cui si fossero verificate particolari situazioni. Clausola che l’istituto di credito ha deciso di utilizzare nel pieno della crisi del 2011, che ha portato lo spread italiano ha raggiungere numeri da capogiro, ottenendo 3,1 miliardi di euro. *A questa cifra si dovrebbero poi aggiungere gli interessi, legati al costo del finanziamento che è stato aperto per coprire il buco creato, che porterebbero il totale a 4 miliardi di euro.
“Il governo favoriva le banche” – Nella relazione dei giudici si leggono accuse pesanti: i comportamenti del ministero a volte sembravano volti “unicamente e senza un valido motivo, a favorire” le banche. Si nota poi “l’anomalo collegamento tra i giudizi di rating e la formazione dei contratti di derivati, cui a volte consegue l’emersione di una situazione di conflitto d’interessi tra le società di rating e gli istituti bancari”. Sullo sfondo, il caos politico che portò alla caduta di Silvio Berlusconi e all’arrivo del governo tecnico targato Monti, con l’occhio benevolo di Ue, Bce e Fmi.
 
dicembre 1, 2017

Manifestanti si scontrano con la polizia greca nell’aula di tribunale dove si svolgono le aste per le case pignorate

Grecia proteste case pignorate
ssh il silenzio è calato sulla Grecia. La sorte dei cittadini della Grecia non interessa più, o meglio, NON deve interessare, l’importante è che grazie al kompagno Tsipras il “ribelle antitroika” i “populisti” , quelli sbagliati, sono stati “contenuti”.
Però i mercati hanno riammesso la Grecia i loro bonds…..BRAVO kompagno, i banchieri ti perdonano…Hai pure mandato i poliziotti a caricare la gente che hai lasciato AL FREDDO.  Gli attivisti di sinistra aiutano queste persone vittime, sono in cerca di verginità? All’epoca delle elezioni il contrasto era diretto ai “nemici” di Syriza

Caos e scontri in un tribunale di Atene, nel primo giorno della messa all’asta di prime case di proprietari morosi nei confronti di banche, dopo che attivisti del movimento “Non pago” sono entrati nell’aula cercando di bloccare l’operazione.
La polizia in tenuta antisommossa è intervenuta e ha usato gas lacrimogeni all’interno dell’edificio per disperdere i dimostranti e impedire loro di entrare nell’aula del tribunale.
Tra i manifestanti – riferisce l’agenzia ufficiale greca Ana-Mpe – c’era anche il capo del Partito di Unione popolare Panagiotis Lafazanis (ex ministro nel primo governo Tsipras) e membri del sindacato Pame, legato al Partito comunista greco Kke. Alcune persone sono rimaste ferite negli scontri. Insomma è stato uno scontro tra componenti di Syriza al governo ed ex ministri fuoriusciti dal partito di sinistra radicale.
La polizia greca ha usato gas lacrimogeni per disperdere i manifestanti da un’aula del tribunale di Atene dove hanno cercato di fermare decine di aste di prime case di proprietari morosi nei confronti di istituti di credito.
Le aste di pignoramento sono una condizione chiave del terzo piano di salvataggio internazionale del paese mediterraneo, ma sono state ripetutamente interrotte dagli attivisti di sinistra per i quali si tratterebbe di provvedimenti ingiusti che prendono di mira soprattutto le categorie sociali più povere.
Un filmato televisivo trasmesso dalle tv greche ha mostrato manifestanti che lanciavano oggetti alla polizia in un corridoio pieno di fumo mentre la polizia li spingeva indietro. I notai, che gestiscono le aste, li hanno boicottati a causa di problemi di sicurezza, ma sono tornati a lavorare solo oggi dopo che il governo di sinistra ha detto che avrebbe migliorato il processo e aumentato la sicurezza.
 
La Grecia ha anche accettato di utilizzare le cosiddette aste elettroniche che sono iniziate sempre oggi dopo essere state respinte di due mesi. Il governo del primo ministro Alexis Tsipras è salito al potere due anni fa con la promessa di proteggere le prime case dal pignoramento e di cancellare le riforme impopolari e l’austerità. I creditori avevano invece chiesto che gli immobili posti a garanzia del mutuo, anche la prima casa, tornassero nel mercato immobiliare nel più breve tempo possibile.
 
Atene successivamente ha firmato un nuovo piano di salvataggio e ha acconsentito a stringere di più la cintura con nuove misure di austerità, sebbene si sia impegnata a proteggere le prime abitazioni delle persone. Promessa poi delusa nel prosieguo delle trattative con i creditori.
Tuttavia, le banche greche sono gravate da centinaia di miliardi di crediti in sofferenza dopo anni di crisi finanziaria, principalmente a causa dell’incapacità delle persone di rimborsare i mutui. Una recessione provocata dalle misure di austerity che hanno tagliato i posti di lavoro e bloccato gli investimenti delle imprese.
 
I prestiti in sofferenza sono in cima all’agenda dei colloqui della Grecia con i suoi creditori. Attualmente i creditori stanno esaminando i progressi della Grecia in materia di energia, lavoro e riforme del settore pubblico, riforme concordate nell’ambito del terzo piano di salvataggio internazionale che vale 86 miliardi.
 
Atene vuole accelerare l’attuazione di alcune riforme concordate per concludere presto la sua operazione di salvataggio. Il governo greco spera di iniziare i colloqui con i creditori sui termini dell’uscita dal piano di salvataggio del prossimo anno e su un’ulteriore riduzione del debito che viaggia al 180% del Pil, una richiesta greca di vecchia data ma che è rimasta inascoltata soprattutto dall’intransigenza tedesca.
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SVELATA LA LISTA DEI 226 PARLAMENTARI EUROPEI CONSIDERATI ‘AFFIDABILI’ DA GEORGE SOROS

Soros-networki tirapiedi del “filantropo”…ecco come certe politiche diventano “irreversibili, imprescindibili”. Ma no certo, è solo per puro amore fraterno e solidale che uno speculatore finanziario vuole accogliere

Affidabili perché? Amichetti di chi? I parlamentari italiani affidabili per George Soros e la sua Open Society, ma soprattutto per i suoi progetti di diffusione di immigrati e profughi in tutta Europa, sono 14, dei quali 13 del Partito Democratico, che a Bruxelles e Strasburgo sta nel gruppo che ora si chiama “alleanza progressista democratici e socialisti”, e 1 della lista Tsipras, che è Barbara Spinelli.
Gli altri sono Brando Maria Benifei, Sergio Cofferati, Cecilia Kyenge, Alessia Mosca, Andrea Cozzolino, Elena Gentile, Roberto Gualtieri, Isabella De Monte, Luigi Morgano, Pier Antonio Panzeri, Gianni Pittella, Elena Schlein, Daniele Viotti.
 
 I loro nomi compaiono in un documento interno della Open Society che è una mappa dettagliata fino alla maniacalità sul Parlamento Europeo e la sua struttura, le sue ramificazioni, al centro della quale ci sono 226 parlamentari sui 751 dell’intero Parlamento, 7 vicepresidenti, decine di coordinatori e di questori, i membri di 11 commissioni e 26 delegazioni, tutti definiti affidabili alleati già dimostratisi tali o che tali possono diventare, assieme al gruppo dei loro assistenti, collaboratori, funzionari e portaborse a titolo vario.
 
La maggioranza, 82, è nel partito dell’Alleanza progressista dei socialisti e democratici, ma ci sono circa 38 del Partito Popolare Europeo e 36 del gruppo Liberale, 34 della Sinistra Nordica, fino a 7 conservatori e conservatori e riformisti europei. Un appoggio trasversale.
 
Per carità, le grandi compagnie nell’organizzare attività di lobby così fanno, individuano le persone avvicinabili in una istituzione per disponibilità e per competenza. Ma se si trattasse solamente di individuare chi è vicino a certe opinioni, certe battaglie, a certe campagne in modo ideale, per appartenenza politica e sentimento, perché solo 226 presi nell’intera area progressista del Parlamento, e non solo? Perché solo 14 italiani, quando si suppone che tutti e 31 gli eletti del Partito Democratico dovrebbero condividere le stesse opinioni? Perché nessuno dei 17 eletti dei 5 stelle? Nessuno sensibilizzabile fra I 13 di Forza Italia?
È un bel malloppo quello preparato dalla Open Society che DCleaks ha reso noto, e che il governo ungherese, gran nemico di George Soros, ora ritiene di poter utilizzare nella sua furibonda battaglia contro i progetti della Open Society di riempire di profughi e di immigrati tutti i Paesi europei.
I 226 parlamentari sono elencati per incarichi, competenze, interessi, background, appartenenza politica, Paesi di provenienza, ruoli nelle varie commissioni passati presenti e futuri; c’è Martin Schulz, non più presidente perché si è candidato nel partito socialdemocratico tedesco e ha sfidato la Merkel portando il suddetto partito al suo minimo storico. C’è l’italiano Gianni Pittella, che del gruppo Socialista è il presidente. Ci sono nomi famosi come Sergio Cofferati e Barbara Spinelli, e meno noti al pubblico, ma segnalati come influenti nel loro partito e nel Parlamento europeo, come Roberto Gualtieri.
 
Sull’autenticità del rapporto non c’è il minimo dubbio; su reazioni, annunci e speculazioni che fanno gli ungheresi alcune premesse sono necessarie perché il rapporto tra governo di Budapest e George Soros e’ di guerra. A dir la verità siamo prossimi alla guerra anche tra gli organismi che dirigono l’Unione Europea e Budapest, ma anche Varsavia, Bratislava e Praga, a cui aggiungere Vienna.
Lo scontro ruota intorno alla politica di accoglienza indiscriminata, causa principale anche dell’uscita dell’Inghilterra, sarà bene ricordarlo. Con Soros, Budapest e il governo nazionalista di Viktor Orban hanno un conto doppio, perché George Soros è nato in Ungheria, nel 1930, da ebreo del ghetto di Budapest ai nazisti, imparando magistralmente fin da bambino l’arte della sopravvivenza a modo suo, denunciando ai nazisti i luoghi nei quali altri ebrei erano rifugiati. Da lì è partita la sua straordinaria avventura di finanziere e speculatore, con pelo sullo stomaco come pochi, basta ricordare la svalutazione della Sterlina e della Lira nel 1992.
 
La Open Society e la filantropia sono venute dopo, ma non sono meno aggressive nei metodi e nei finanziamenti di certi partiti e di certi candidati piuttosto che di altri. Open Society Foundation si propone di “far accettare agli europei i migranti e la scomparsa delle frontiere”,cito il titolo di un progetto. Progetto finanziato di recente per 18 miliardi di dollari con il passaggio di una parte del patrimonio di Soros a Open society.
Sara’ complottismo, impazza anche negli Stati Uniti, visti i rapporti strettissimi tra Barack Obama e Hillary Clinton e Soros, e lo smacco subito con l’elezione di Donald Trump che proprio non era prevista visto il fiume di soldi profusi, ma l’idea è che per raggiungere l’obiettivo basterebbe negli Stati europei un milione di migranti l’anno, con la collaborazione attiva della sinistra “no borders”, della finanza apolide, dei neoguelfi al potere in Vaticano. Tutte colonie.
Nelle parole di Viktor Orban, giudicato pericoloso autocrate nelle capitali dell’Europa occidentale ma estremamente popolare nel suo Paese, l’Europa potrebbe diventare presto ostaggio di “un impero finanziario e speculativo che promuove l’invasione orchestrata di nuovi immigrati”.
Magari Orban è pazzo, ma come mai senza un appuntamento prestabilito né un argomento dichiarato, George Soros può incontrare Jean Claude Juncker? Se è per questo, ha lungamente incontrato anche il premier italiano, Gentiloni, l’estate scorsa, in piena crisi di barconi. Insomma, a 87 anni compiuti, ma evidentemente ancora sostenuto da un’energia indomabile, il vecchio speculatore si muove come un leader politico mondiale. E liste come questa del Parlamento Europeo aiutano lui ma non aiutano la considerazione e la fiducia degli elettori.
 
Maria Giovanna Maglie

“L’UE prevede miliardi di spesa per la mobilità militare in Europa”

Si capisce perché la stampa per nni li ha sbeffeggiati definendoli burattini di Grillo, ora che si sono smarcati, sono liberi di essere omologati e plasmati come come piace al sistema, liberi di fare marcette per la legalità insieme al Pd (ad Ostia per esempio dove il comune fu sciolto per infiltrazioni mafiose della giunta PIDDINA) che tanto professano di combattere.
Vedi anche il comunicato della Ue con il quale annuncia tale decisione per ovviamente difendere i propri cittadini (liberazione dei paesi baltici..) …che cara la dolce Ue, quanto ama i suoi popoli…. E tu cittadino europeo paga le tasse, spilorcio evasore populista!

“L’UE prevede miliardi di spesa per la mobilità militare in Europa”
(Notizie dal Deutsche Wirtschafts Nachrichten) L’UE  è diventata la  NATO
 mogherini-stoltenberg
L’UE vuole semplificare la mobilità militare in Europa con miliardi di spesa. Il generale degli Stati Uniti Hodges chiede la libera circolazione per le forze armate NATO
“[…]  …Il generale Hodges  pone come obiettivo strategico militare della NATO in Europa: “È di enorme importanza strategica che le forze armate in Europa possano muoversi liberamente e senza ostacoli. Dobbiamo essere in grado di muoverci più velocemente  delle forze russe…. in caso di emergenza come ad esempio, una guerra di liberazione nei Paesi Baltici. “Hodges non spiega quali alternative militari la NATO vede nei confronti della Russia.
[.Ovviamente] Federica Mogherini, Alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ha affermato che la mobilità militare tra i paesi dell’UE dovrebbe essere ulteriormente rafforzata in cooperazione con la NATO.
[..]  L’iniziativa PESCO (“Cooperazione strutturata permanente”) riguarda l’approfondimento della cooperazione militare UE nel settore della sicurezza.Coinvolgerà 23 su 28 stati. Non saranno coinvolti: Regno Unito, Malta, Portogallo, Danimarca e Irlanda.
Per finanziarlo,  la Commissione europea scrive: “Entro il 2020, la Commissione assegnerà fondi al Fondo europeo di difesa per un importo di 590 milioni di euro. La Commissione propone di stanziare almeno 1,5 miliardi di euro all’anno dal 2020 in poi. Il Fondo non è destinato a sostituire gli investimenti nel settore della difesa degli Stati membri  [dunque vi si aggiunge ma a consentire e accelerare la loro cooperazione. Insieme ai contributi finanziari degli Stati membri a progetti di sviluppo congiunti, il Fondo potrebbe generare un investimento totale annuo nella ricerca e nello sviluppo delle capacità nel settore della difesa di 5,5 miliardi di euro segue i seguenti obiettivi:
– Aumentare il bilancio della difesa di ogni paese dell’UE
 
– Aumento del 20% della spesa militare per il bilancio della difesa
 
– Finanziamento congiunto di progetti di difesa da parte del Fondo europeo di difesa
 
– Aumentare la spesa per la ricerca  nella difesa  al 2%
 
– Migliorare l’interoperabilità delle forze armate nazionali e dei loro sistemi d’arma
 
– Finanziamento congiunto delle missioni della politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC)
 
 
  • Rafforzare la cooperazione nella difesa informatica
 
[AEI: la centrale della lobby israeliana che ha concepito l’11 Settembre, ndr.]) ha affermato in un’analisi che il governo degli Stati Uniti dovrebbe sostenere la PESCO e chiedere ancora di più agli europei. L’AEI ha dichiarato: “In concomitanza con il modesto Fondo europeo di difesa lanciato all’inizio di quest’anno, il PESCO rappresenta un passo nella giusta direzione e nell’interesse degli Stati Uniti. Un approccio europeo comune agli impegni di difesa è un presupposto necessario perché il “pilastro europeo” della NATO mostri il suo peso “.
 
MB.:
 
Dunque la NATO e la UE ci stanno per  lanciare in una “guerra di  liberazione dei paesi baltici”. Occorre sapere – perché mai ve l’hanno detto – che  –    mentre la UE  l’ONU e El Papa esigono da noi italiani che accogliamo tutti  i clandestini negri che sbarcano qui, e diamo loro la cittadinanza per jus soli –   l’Estonia e gli altri baltici negano  impunemente  il passaporto e il diritto di voto alle elezioni politiche –  dunque la cittadinanza piena –  alla minoranza  nata lì, che ha la colpa di parlare russo In pratica i russi abitanti in Estonia sono prigionieri nel paese.    Una odiosa discriminazione  basata sulla lingua, su cui la UE non ha niente da eccepire – mentre s’ingerisce di come noi trattiamo gli immigrati  e gli LGBT.  Non dobbiamo discriminare  i sodomiti, ma è normale   per i baltici discriminare i russofoni. Insomma, l’ennesima dimostrazione che la UE è una organizzazione criminale, che stupra i principi del diritto  che lei stessa si è data,  imponendoli ad alcuni e non ad altri, viola il principio di uguaglianza politica e sociale  all’interno della sua compagine.
 
Mosca sta facendo di tutto per allentare la paranoia dei baltici:  Putin quest’anno ha presenziato alla celebrazione del centenario dell’indipendenza di Finlandia, ricevuto con le premure del casoda presidenbnte Ninisto. All’Estonia, un “alto funzionario russo” ha fatto sapere che Mosca gradrebbe l’invito per il prossimo centenario dell’indipendenza…
 
Altri titoli interessanti sul Deutsche Wirtschafts NAchrichten: GEOPOLITICA
Il Pentagono rifiuta di riferire sull’accordo USA con l’IS
La BBC riporta un accordo americano con la milizia terrorista IS. Il Pentagono rifiuta il rapporto come falso.
Migliaia di proteste contro Siemens per la perdita di posti di lavoro
A Siemens  comincia  l’ondata di proteste contro lo smantellamento di quasi 7.000 posti di lavoro e la chiusura di diversi stabilimenti . A Offenbach, circa 600 impiegati e sindacalisti hanno protestato contro i piani minerari per la divisione di centrale elettrica di venerdì, che li ha visti soli a minacciare 700 posti di lavoro,
BCE: la protezione dei depositi può essere sospesa in caso di crisi
la Banca centrale europea (BCE ) discute l’abolizione dei sistemi di garanzia dei depositi in vigore attualmente  nei paesi dell’area dell’euro . La relazione è stata preparata su richiesta del Consiglio dell’UE e del Parlamento dell’UE e intende presentare le opinioni della BCE su questioni finanziarie quali la protezione dei depositi, gli obblighi di riserva bancaria, il rischio di controparte e il rischio di mercato.
 
 
La BCE sembra essere in procinto di sospendere l’accesso dei clienti delle banche ai loro risparmi per un certo periodo di tempo e di consentire loro solo di ritirare importi “per soddisfare le loro esigenze quotidiane. “
 
Ormai da diversi mesi, nell’Unione europea sono in corso dei piani su come le banche possano essere congelate per diversi giorni in caso di bancarotta. Il capo dell’Amministrazione bancaria europea, Elke König, vuole fare un ulteriore passo in avanti. Martedì, chiede che in caso di minaccia di bancarotta, le banche dovrebbero essere completamente congelate con tutti i loro conti attivi e passivi
Secondo il  regolamento per le banche dell’area dell’euro ,  in vigore dall’inizio del 2016, è previsto  che  incombenti carenze finanziarie presso le banche devono prima essere mitigati con prestiti creditori subordinati, crediti azionari e risparmi  dei clienti  fino all’8% del patrimonio totale della banca prima che possa essere utilizzato il denaro delle imposte”.
18 novembre 2017

E SE LA UE FOSSE IN RECESSIONE DEL -3%?

ma non è vero, la Ue è il templio dei popoli….vive per far star bene i popoli, ah ma alleuro-symbol-recession-graph-drawingora è populista?
 

“La   crescita accelera, ha raddoppiato le previsioni: erano dell’0,8%, la realtà sarà di una Italia che crescerà probabilmente dell’1,8%  non siamo  più il fanalino di coda della UE”, sta ripetendo in questi giorni Gentiloni come da istruzioni.  I loro ministri Padoan  e l’israeliano  Yoram Gutgeld, commissario alla Spending review e deputato Pd, sono tutti impegnati a  rimbeccare il finlandese Katainen, vicepresidente   della Kommissjia Evropeski  che gli ha dato  dei bugiardi: “La situazione in Italia non migliora. Tutti gli italiani dovrebbero sapere qual è la vera situazione economica in Italia” ossia che i conti pubblici non migliorano…. in Paesi dove ci sono le elezioni i cittadini meritano di sapere qual è la situazione in modo da poter scegliere liberamente”. In attesa che ci dica  Katainen chi dobbiamo votare, notiamo che probabilmente  anche lui non dice la verità. Non lui, non la UE, non la Banca Centrale, non Berlino,   che ci dicono che l’Europa è in ripresa,  che la Germania cresce del 2,2%, eccetera eccetera.
Ma quale crescita dell’1,8 e o del 2,2!  L’Europa sta calando del 3,2 % almeno. Ciò, secondo l’economista Charles Sannat.  Ha   letto un documento della banca centrale europea che  vanta  di aver aumentato – a forza di “stampa”  – la massa monetaria M1 (le banconote circolanti e i depositi a vista)  del 9%   all’anno, e  la massa monetaria M3 (oltre M1,  tutto ciò che la speculazione  crede “monetabile”)  del 5% annuo.
Ora, c’è un  rapporto diretto fra massa monetaria immessa nel sistema, e crescita di quel sistema.  “Quando si fa 1,8% di crescita mentre la  massa monetaria aumenta del 5%, equivale a dire che si è in recessione del 3,2”
Non so fino a che punto si possa stabilire una relazione così meccanica, ma certo Sannat coglie un punto e la sua uscita spiega molte cose. Spiega come mai,  nel  pieno della “rigogliosa crescita tedesca”,   il gigante Siemens sta tagliando 6900  posti di lavoro, di cui 6100 nella divisione elettrica, e 2600 in Germania – nonostante  un “anno record, 6,2 miliardi di profitti, in aumento dell’11 per cento, e 83 miliardi di euro di cifre d’affari”.  Spiega come mai in Francia, nonostante la crescita dell’1,8 per cento, il tasso di disoccupazione cresciuto anche il terzo trimestre, in  Lombardia –  Lombardia! –  portano i libri in tribunale aziende  leader di mercato mondiale in produzioni d’alto livello tecnologico
“il crollo della materie prime scuote le borse asiatiche per via dalla domanda cinese che si sta indebolendo” (così il Deutsche Wirtschaft  Nachrichten ….  E soprattutto mentre  Wall Street sale e sale in trionfo (alimentato dai padroni che con il denaro prestato dalla Federal Reserve comprano le proprie azioni), però  le azioni General Electric crollano. “E storicamente quando General Electric collassa, è   il preludio a  un crollo generale” dell’economia reale.
Chissà perché, con tutta questa ripresa, con tutta questa massa monetari iniettata da Draghi nel sistema. Una massa monetaria che poi le imprese, in Italia, mica vedono. Le banche non la mettono in circolo. Sarà che, come dice Sannat, “la natura stessa del capitalismo è deflazionista”. Sarà che quando diciamo che la BCE  crea liquidità “stampando”, usiamo una  vecchia  metafora che,  come sapete, non vale più: la moneta oggi si crea “indebitando”  qualcuno, che paga gli interessi.   E  questo è oggi “il prezzo reale della crescita: 1 euro  di crescita costa  oggi 3,57 euro di debiti”.
Magari c’entra un pochettino anche il fallimento dell’euro:  prometteva crescita aggiuntiva  (ricordate Prodi?) e invece ha apportato agli europei miseria e in  più,asservimento.
Un curioso servizio della AFP spiega come negli anni  ’90 ci fossero  nel mondo molti progetti di moneta unica: in Sudamerica stavano per farla i paesi del Mercosur,  in Asia quelli dell’Asean, ci  pensavano diversi paesi africani, la volevano ad ogni costo le sei monarchie del Consiglio di Cooperazione del Golfo  (pensate: Arabia Saudita e Qatar…). Piccole nazioni intendevano così acquistare importanza geopolitica, darsi una  politica monetaria indipendente e  non agganciata al dollaro –  guardavano con caldo interesse all’Europa, che stava lanciando   la prima unione monetaria del dopoguerra:  una delle zone più ricche del mondo,  la  più colta e civile,  con la classe politica più evoluta, gli economisti più intelligenti  e i tecnocrati più brillanti – un modello da seguire.
Ebbene: visti i risultati del “modello”,  tutti i progetti monetari di cui sopra  sono stati messi in frigorifero.  Hanno visto in corpore vili (il nostro) che “le unioni monetarie  sono complicate da costruire, ma anche da mantenere”,  che esse richiedono il totale abbandono della sovranità monetaria, ossia l’abbandono di un margine di manovra, di possibilità d’azione, in una parola di libertà di cogliere congiunture economiche.  Hanno visto che il prezzo  di questo sacrificio è stato  che “da un decennio gli europei hanno sofferto di difficoltà economiche e, con certi paesi che hanno sofferto di  terribile recessione e disoccupazione molto elevata”, ed hanno rinunciato alla moneta unica. Beati loro.

Goldman Sachs vuole far rivotare gli inglesi e l’UE tace

goldman-on-brexit
mannaggia questi popoli, si sbagliano sempre. Possibile che siano così ignoranti da non affidarsi ad illuminati affaristi che sanno loro cosa è meglio per le masse? Ma chissà perché non si fidano sti populisti..

Dal momento che i grandi giornali nazionali hanno curiosamente trascurato la notizia, che in caso contrario avrebbero avuto la scocciatura di dover commentare, tocca ancora a questo piccolo sito darvi conto dell’ultima uscita di Lloyd Blankfein che, per chi non lo conoscesse, è dal 2006 il Chief Executive Officer di Goldman Sachs.
 
Infastidito dallo scherzetto della Brexit ma ancor più, si direbbe, dall’infantile ostinazione britannica a non voler disattendere il voto, Mr Blankfein ha approfittato di twitter – che, non essendo di cittadinanza russa, può usare liberamente per influenzare gli affari interni altrui – per suggerire alla signora May una soluzione choc.Riluttante a dirlo – premette, esibendo un insospettabile candore, il grande capo di Goldman Sachs -, ma molti si augurano un voto di conferma su una decisione così monumentale e irreversibile. La posta in gioco è alta. Perché non assicurarci che ci sia ancora consenso?”.
Eh già, perché prenderla tanto sul serio? In fondo lo sappiamo tutti che gli inglesi hanno dato la risposta sbagliata. Dunque organizziamo una bella rivincita e vediamo se, a ripetergli la domanda, questi zucconi stavolta votano come si deve…
E’ uno scherzo, direte voi. In effetti ci sarebbe di che ridere, se invece non ci fosse di che preoccuparsi pensando a cosa rappresenta Blankfein nel mondo globale e a cosa ha fatto la nosta cara Unione Europea con altri due referendum finiti nel modo “sbagliato”.
Mi riferisco ovviamente al referendum irlandese del 2008 sul Trattato di Lisbona, vinto dai “no” e fatto ripetere nel 2009 fino alla sospirata vittoria dei “sì”, ed all’orgoglioso “no” espresso nel 2015 dai greci contro il memorandum della Trojka che fortissime pressioni di Bruxelles indussero, poi, il fragile governo Tsipras ad ignorare.
Quanto all’influenza internazionale di Goldman Sachs e del suo capo, bé, c’è una lunga storia che parla per loro. Mr Blankfein, in effetti, meriterebbe un’attenzione maggiore di quella che sono soliti dedicargli i nostri media, se non altro per quel malcelato vezzo di ergersi a portavoce dell’Olimpo finanziario globale: il Dio di tutti gli Dei. In una famosissima intervista del 2009, del resto, fu lo stesso Blankfein a scomodare l’Altissimo. Eravamo alle prime fasi della crisi dei subprime ed un giornalista del Sunday Times gli chiese conto degli indecenti stipendi erogati ai super-manager da quelle stesse banche che, per opinione ormai generale, avevano innescato la catastrofe. “Noi – rispose Blankfein, regalando al movimento degli indignati la frase-manifesto di Occupy Wall Street – aiutiamo le aziende a crescere aiutandole a raccogliere capitali. Le aziende che crescono creano ricchezza. E ciò, in ritorno, permette alla gente di avere lavori che creano ancora più crescita e più ricchezza. Noi abbiamo uno scopo sociale. Noi facciamo il lavoro di Dio…”.
L’opinione pubblica americana, che solo un anno prima aveva maldigerito il salvataggio di Goldman Sachs con 10 miliardi di dollari di fondi pubblici, non la prese affatto bene. Blankfein fu costretto a scusarsi, a precisare che scherzava, ed un anno dopo, tornando sull’argomento davanti alle telecamere della Cnn, dovette pure ammettere che il lavoro di Dio non era stato fatto poi così bene: “Sì, abbiamo contribuito alla crisi finanziando progetti immobilliari con un livello di indebitamento troppo importante”.
Eppure c’era del vero in quel lapsus dal sapore freudiano. Avendo in mano il timone di Goldman Sachs, può capitare davvero di sentirsi onnipotenti. In primo luogo per la vertigine dei soldi, i tantissimi soldi che la super-banca americana può scommettere sul tavolo verde dei mercati, ma anche per la fitta rete di relazioni istituzionali che Goldman Sachs negli anni è stata in grado di allestire, dal momento che si fatica a tenere il conto dei suoi ex collaboratori diventati amministratori pubblici e degli ex amministratori pubblici diventati suoi collaboratori.
L’ultimo eclatante episodio di revolving doors, porte girevoli, riguarda, come noto, Josè Manuel Barroso. Dopo un decennio alla guida della Commissione Europea, speso a somministrarci testardamente la cura neo-liberista del rigore, il politico portoghese ha accettato l’incarico di presidente non esecutivo prontamente offertogli, alla scadenza del mandato, da Goldman Sachs International.
Ce n’era abbastanza da accreditare la screanzata vulgata populista “dell’Europa delle banche e dei banchieri”. L’imbarazzo, in effetti, fu tale che persino Jean Claude Juncker e l’intero corpo dei funzionari Ue dovettero stigmatizzare pubblicamente la disinvoltura di Barroso, il quale, dal canto suo, andò avanti serenamente per la propria strada. Con qualche buona ragione, essendo, l’ex presidente della Commissione Europea, in eccellente compagnia.
Prima di lui, infatti, numerosi altri personaggi avevano intrattenuto collaborazioni professionali, precedenti o successive alla carriera pubblica, con Goldman Sachs: il futuro governatore della Bce Mario Draghi, il futuro Commissario Europeo alla Concorrenza nonché presidente del Consiglio Mario Monti, il futuro premier e presidente della Commissione Europea Romano Prodi, l’ex membro del consiglio della Bundesbank e della Bce Otmar Issing, l’ex commissario europeo alla concorrenza Karel van Miert e l’ex procuratore generale d’Irlanda Peter Sutherland. Dunque che aveva fatto di tanto particolare il povero Barroso? Nulla, tanto più che passare dalla porta girevole è persino legale.
Inutile dire che è alla Casa Bianca, tuttavia, che Goldman Sachs ha consolidato la propria influenza sulla politica mondiale, avendo sacrificato alla patria risorse professionali del calibro di Henry Paulson (amministrazione Bush jr), Robert Rubin (Clinton), Timothy Geithner (Obama), Gary D. Cohn e Steven Mnuchin (Trump). Certo, finanziare generosamente le campagne elettorali dei candidati ha il potere di aumentare la considerazione dei manager di Goldman – come dei manager di tutte le altre grandi banche che finanziano la politica – ma il sistema democratico americano funziona così. E’ in Europa, semmai, che siamo abituati a pensare che il potere politico debba mostrarsi autonomo e indipendente dal potere finanziario.
Dico “siamo” per non arrendermi a dire “eravamo”. Oggi infatti il capo di Goldman Sachs propone pubblicamente di ripetere il voto sulla Brexit e la politica europea, anziché reagire a questa duplice ingerenza (della Finanza sulla Politica e dell’America sull’Europa), si rifugia in un imbarazzante silenzio. Come se non osasse scegliere tra la vox populi e la vox dei. Come se Blankfein, quella volta, non l’avesse poi spiegato …che scherzava.
di Alessandro Montanari – 21/11/2017 Fonte: Interesse Nazionale