La guerra di propaganda contro la Russia utilizzata per ricattare Trump

A pochi giorni dalla nomina ufficiale del presidente eletto Donald Trump e a due mesi di distanza dalla clamorosa sconfitta della candidata democratica Hillary Clinton, quella che era sostenuta da tutto l’Establishment USA (Wall Street-Rothshild-Soros-Looked-Boeing, ecc. ), la campagna mediatica scatenata dal fronte globalista/democratico si basa sul principale argomento già utilizzato nella fase pre elettorale che è sempre quello di “dare la colpa alla Russia” per l’ascesa di Trump e per la sconfitta della loro candidata.
In pratica i democratici USA stanno seguendo la stessa strategia che avevano perseguito nel corso della campagna presidenziale: screditare l’avversario, il candidato alternativo, e collegare questo ad una presunta interferenza (mai dimostrata) della Russia nelle elezioni.
Gli esponenti democratici del fronte globalista, a cui si assommano i clan familistici e di potere, Clinton/Bush, sembrano molto più interessati a sostenere questa campagna mediatica piuttosto che fare una seria analisi dei motivi per cui una gran parte dell’America profonda dei lavoratori della classe media (e residenti negli Stati danneggiati dalla crisi industriale) hanno voltato le spalle alla candidata dell’establishment democratico e globalista.
Gli oligarchi democratici statunitensi, legati a doppio filo agli interessi delle lobby di nato_polandriferimento, preferiscono utilizzare Vladimir Putin come capro espiatorio piuttosto che analizzare le cause dell’allontanamento delle classi lavoratrici dai loro totem propagandistici della globalizzazione = progresso.  Nel frattempo, mentre l’apparato dei media alimenta una crescente “russofobia”, l’Amministrazione Obama gestisce le sue ultime provocazioni spostando un imponente apparato militare USA di mezzi corazzati, missili ed artiglierie, direttamente ai confini della Russia.
Una situazione che rischia di diventar estremamente pericolosa e che potrebbe portare ad incidenti dalle conseguenze imprevedibili e potenzialmente nefaste.
 
La stessa portavoce russa  ha scritto sulla sua pagina FB che c’è da domandarsi se, le ultime azioni dell’Amministrazione di Barack Obama, tra le nuove sanzioni, la decisione di fornire altre armi letali ai ribelli siriani e la concentrazione di truppe NATO ai confini, rappresentino la volontà di Obama di distruggere il mondo negli ultimi 9 giorni che mancano alla sua presidenza.  (“Dio creò il mondo i 7 giorni. L’Amministrazione Obama dispone di 2 giorni in più per distruggerlo“).
Nei giorni scorsi, in una udienza presso il Comitato del Senato di Washington che si occupa delle US Forces, Jack Reed, un congressista democratico eletto nello Stato di Rhode Island, ha denunciato  quello che secondo lui è “il rifiuto della Russia dell’ordine internazionale della post-Guerra Fredda e le azioni aggressive contro i suoi vicini”, ed ha inoltre espresso una condanna contro “un regime (quello della Russia) i cui valori ed interessi sono incompatibili con i nostri”.
Superfluo rilevare che questo tipo di discorsi retorici rivelano il clima di nuovo maccartismo che risulta diffuso negli USA tanto da determinare una vera “caccia alle streghe” delle presunte quinte colonne della Russia che operano all’interno del paese. Il paradosso è che sono proprio gli USA il paese che più di ogni altro ha violato il diritto internazionale, ha operato ingerenza indebita, sobillazione e rovesciamento di governi legittimi con tutti i mezzi negli altri paesi di qualsiasi parte del mondo, quello che oggi punta il dito contro le presunte azioni di ingerenza della Russia al loro interno.
 
Gli esponenti democratici come Reed e quelli repubblicani come John McCain sono i primi della classe nel voler condurre gli USA verso una nuova Guerra Fredda mentre non risparmiano le loro accuse di guerra di hackeraggio fatta dai russi che, secondo loro, avrebbero sottratto informazioni dal Comitato Democratico e dallo staff della Clinton per rendere pubbliche le mail compromettenti di questa  signora e per diffondere notizie false e cospirazioni attraverrso i social media. Il governo russo, secondo la loro interpretazione, avrebbe hackerado il DNC ( Democratic National Committee)  e le caselle di posta e le avrebbe trasmesse a WikiLeaks (che ha smentito nettamente). Queste le loro supposizioni che non sono suffragate da prove, come hanno commentato alcuni analisti indipendenti.
 
In effetti si è avuta  la testimonianza di Robert Parry, un qualificato analista della Associated Press e di Newsweek, il quale ha condotto una approfondita analisi del materiale pubblicato dagli uffici di James Clapper, il direttore dell’Intelligence USA, ed ha argomentato che il rapporto di 25 pagine pubblicato dall’intelligence non presenta alcuna prova concreta ma si basa soltanto su illazioni e supposizioni che si sia verificata quella trasmissione di dati da parte della Russia a terzi per squalificare la campagna della signora Hillary, beniamina dell’establishment globalista. Vedi: US Report Still Lacks Proof on Russia ‘Hack’
Nonostante tutto, l’assenza di prove certe su queste mirabolanti accuse ha costretto alcuni media dell’establishment, fra cui il New York Times, ad ammettere che la campagna si basa esclusivamente su alcune supposizioni e lo staff dei democratici non è stato in grado di produrre le prove certe che parte dell’opinione pubblica si aspettava di avere a suffragio delle accuse.
 
In realtà gli esponenti democratici non si aspettano di trovare la “pistola fumante ” per inchiodare il Cremlino a quello che McCain ha definito un “atto di guerra” contro gli USA, ma piuttosto utilizzano la presunta azione di hackeraggio russa come una arma politica che permette loro di spostare l’attenzione dal loro fallimento e dalla perdita di crediblità del Partito Democratico, quello che  si è perso per strada il consenso di buona parte del suo elettorato, oltre a voler dirottare l’attenzione verso la “minaccia russa”. La minaccia russa viene utilizzata come una clava per squalificare Trump, il nuovo presidente eletto che rischia di mettere in questione molti dei provvedimenti presi dall’Amministrazione Obama ove sono in gioco enormi interessi dell’apparato lobbistico industriale, militare e finaziario che erano ben rappresentati  dalla Hillary.
La novità è rappresentata dal fatto, mai successo prima, che contro Trump si è mobilitato tutto l’apparato delle vari agenzie di Intelligence, rappresentato non sono soltanto dalla CIA ma che include altre circa 17 altre agenzie, fra organismi militari e civili. Probabile che sia in corso una lotta senza quartiere fra questi organismi, divenuti estremamente possenti, al centro di tutte le trame condotte dagli USA all’estero ed all’interno, tanto che osano sfidare apertamente Trump, prima ancora che entri in carica, di sicuro per intimorirlo, condizionarlo o ricattarlo.
Sarà Michel Flynn, ex direttore della DIA, il nuovo consigliere per la sicurezza nazionale, prescelto da Trump, rivale di Clapper (fatto dimissionare da questi) colui che avrà l’incarico di ridimensionare e ristrutturare i servizi di intelligence che sono divenuti troppo politicizzati e troppo influenti, come aveva detto lo stesso Trump. Questo spiega il nervosismo e la lotta di potere che si è scatenata a Washington.
Il vero problema è rappresentato dal fatto che tanto i congressisti democratici come l’apparato dell’intelligence di Washington stanno utilizzando l’ostilità e le accuse pretestuose contro la Russia per i loro fini interni senza curarsi dei rischi che questo gioco comporta per la sicurezza mondiale.
 
Ancora peggio se si considera che a questo gioco interno della superpotenza USA, si prestano i vassalli europei, con la Germania in testa, nell’assecondare le politiche belliciste e le provocazioni del Dipartimento di Stato USA contro gli interessi alla stabilità e la pace in Europa.
 
Sembra che la cancelliera Angela Merkel non abbia nessuna remora nel ripercorrere la strada già seguita dal suo predecessore Hadolf Hitler nello schierare le sue divisioni corazzate sul bordo dei confini russi, questa volta al fianco delle armate USA che, al momento giusto, se il conflitto dovesse scoppiare in Europa, manderanno avanti i soldati tedeschi e polacchi a fare da carne da cannone da sacrificare sull’altare degli interessi imperiali di Washington.
Fra gli altri ci saranno anche alcune centinaia di militari e di mezzi italiani, nell’ambito NATO, a fare da bersaglio ai missili e cannoni dell’armata russa, schierata a difesa dei confini russi e decisa a non far violare il loro territorio dalle armate della NATO.
La Storia, maestra di vita, ai fantocci del potere imperiale USA, accecati dal loro servilismo, non ha insegnato nulla.
di Luciano Lago – 11/01/2017
 
Fonte: controinformazione

ODDIO!? ARIECCO I SINISTRATI….

operazione riciclo, se veramente andremo ad elezioni prepariamoci al fracassamento di zebedei con le sinistre tanto tanto rivoluzionarie ed alternative, quelle che cambiano brand ad ogni tornata elettorale per nascondere le solite porcate. Ovvio che Left anna-falcone-510-psponsorizzi quest’altra sceneggiata, Left la voce del dip di stato Usa delle guerre di Obama.
ODDIO!? ARIECCO I SINISTRATI….
Che la schiacciante vittoria del NO avrebbe, come effetto collaterale, ringalluzzito la sinistra sinistrata —non solo quella intruppata in parvenze di partiti (quella sellina e rifondarola)— era facilmente prevedibile. Oltre alle due conventicole di cui sopra c’è a sinistra una costellazione di associazioni, correnti, soggetti che pensa di entrare o rientrare in partita —ove per partita s’intende (appare meschino ma così è) la competizione elettorale. E siccome le elezioni incombono è tutto un tramestio di iniziative, appelli, tentativi di dare vita ad un cartello elettorale per andare a coprire lo spazio elettorale a sinistra di Pd e M5S.
 
Vi ricordate RIVOLUZIONE CIVILE Ingroia candidato? E la sberla elettorale che quella lista subì nel 2013? Vi ricordate L’ALTRA EUROPA CON TSIPRAS? I cascami di quei mondi, in autonomia apparente sia da Sel che da Prc, stanno tentando di rimettere in piedi un carrozzone elettoralistico.
Prendete ad esempio l’assemblea svoltasi a Bologna il 18 dicembre. Da lì dovrebbe partire una “carovana per l’alternativa di sinistra in Italia”. Di mezzo ci sarebbe anche De Magistris, che ha inviato un suo emissario. Contenuti zero, la solita aria fritta. Rompere con l’euro non se ne parla nemmeno.
L’assemblea di Bologna era stata preceduta da un incontro svoltosi a Roma l’11 dicembre, aperto da Sandro Medici (c’erano Ferrero, Fratoianni, Fassina…) col titolo freudianoRICOMINCIAMO DA NO (i)“.
Poi è venuta un’intervista di Anna Falcone, che per aria fritta e zero contenuti è davvero niente male. Se non ci credete e non avete cose più interessanti da fare, ve la alleghiamo qui sotto. Siamo alle solite, alle prese con una sinistra incorreggibile, che non riesce a cambiare né paradigma, né linguaggi, né postura. Il fatto che merita di essere sottolineato è la mossa tattica a cui la Falcone allude: dare vita ad una lista elettorale di sinistra passando per il Coordinamento Democrazia Costituzionale, l’organismo dei giuristi a cui va dato il merito di essersi battuto per il NO, ma i cui errori clamorosi non si debbono dimenticare.
Che la Falcone e i sinistrati che gli stanno dietro riusciranno nel loro tentativo di trascinare il Coordinamento dei giuristi —quindi le centinaia di Comitati per il NO  che a quel coordinamento han fatto riferimento— ne dubitiamo. Di sicuro essi ci proveranno in occasione dell’assemblea nazionale di quei comitati che si svolgerà a Roma il prossimo 21 gennaio.
Un’assemblea che ha la sua importanza, non fosse perché si farà sentire la componente migliore, quella che mentre difende la Costituzione ne segnala la sua incompatibilità con l’Unione europea. Che quindi pone il problema della conquista della sovranità popolare-nazionale.
Anna Falcone: “Né Pd né M5S, esiste un nuovo spazio politico”
intervista a Anna Falcone di Giacomo Russo Spena
Partiamo dal 4 dicembre. Qual è il segnale principale che si evince da quel voto? Come si spiega una così alta affluenza?
I cittadini partecipano al voto quando hanno la possibilità di incidere realmente sulla res publica, così come è stato sulla Costituzione. Al contrario, l’astensione aumenta quando il consenso è direzionato verso opzioni chiuse e non soddisfacenti. Dal 4 dicembre giunge un messaggio di grande partecipazione unito al desiderio di libertà e “liberazione” dalle vecchie pratiche della politica politicante.
Una vittoria della Costituzione ma anche un chiaro segnale politico di sfiducia nei confronti del governo Renzi, il quale è stato costretto a dimettersi. E’ stato un voto politico?
Il contesto politico influenza sempre i referendum ma la motivazione principale che ha spinto i cittadini alle urne è stato il voto “per” la Costituzione e non “contro” il governo Renzi. Il nostro “Comitato per il No” ha rifiutato ogni tentativo di strumentalizzazione e personalizzazione politica del voto, respingendo al mittente la strategia renziana e puntando all’informazione sulla riforma e sui suoi effetti di indebolimento del sistema democratico. Ciò detto, è innegabile che il governo Renzi abbia deluso molti prima del voto, per il fallimento delle sue politiche sociali ed economiche, e continui a deludere adesso, per l’assoluta incapacità di fare un’analisi obiettiva e costruttiva della bocciatura referendaria.
Siamo al tramonto del renzismo o è ancora presto per sancire la sua fine?
Non so se siamo di fronte al suo definitivo declino, di certo la sua sconfitta non è stata un problema di comunicazione – come sostiene Renzi – ma di contenuti. Aggiungerei di umiltà e di coerenza con la matrice progressista a cui il Pd dice di ispirarsi. Invece di ascoltare la disperazione popolare, si è cercato prima di demolire, con le riforme sul Jobs Act o la “buona scuola”, quei diritti – appunto il lavoro, l’istruzione, la salute – che rendono i cittadini protagonisti e soggetti liberi di uno Stato di diritto, poi di approfittare di quella stessa disperazione per estorcere un voto su una riforma della Costituzione, su cui la propaganda renziana spostava la causa di tutti mali del Paese. Gli italiani non ci sono cascati e, con grande coraggio e dignità, hanno saputo dire No a questa riforma truffa e ne hanno approfittato per rilanciare quei valori costituzionali che rappresentano, al contrario, l’ultimo baluardo per la difesa dei loro diritti sociali, civili e di libertà. Il programma della nostra democrazia è scritto tutto lì.
Il governo Gentiloni è un Renzi bis? E, secondo lei, quanto durerà?
Lo è nei fatti e nella fonte da cui promana la sua legittimazione. Del resto, abbiamo sempre sostenuto, e i fatti ci danno ragione, che la vittoria del NO non avrebbe determinato alcun stravolgimento politico: viste le maggioranze in Parlamento e la solida supremazia renziana nel Pd, non sarebbe stato possibile aver alcun governo non sostenuto da Renzi. Siamo alla copia di un vecchio governo caratterizzato sempre dagli stessi limiti. La modernità e il futuro del Paese viaggiano su altre corde e non può che passare dalla progressiva attuazione di una democrazia partecipativa: quello di cui il governo ed i poteri che lo sostengono hanno più paura. Forse hanno ragione.
Passiamo alla legge elettorale. Il Pd ha proposto il Mattarellum, un sistema maggioritario che favorisce le coalizioni. Che ne pensa? La convince la proposta?
Sicuramente visto l’esito referendario, il Parlamento ha il dovere di dare agli italiani una legge elettorale nuova che rappresenti un salto di qualità e una discontinuità rispetto al passato. Non più solo e prioritariamente la governabilità – il che sarebbe in contrasto con il principio sostenuto dalla Corte costituzionale nella ormai nota sentenza n. 1/2014 che dichiarato la parziale incostituzionalità del “Porcellum” – ma soprattutto una legge elettorale che responsabilizzi gli eletti nei confronti dell’elettorato, non che ne vincoli il mandato all’obbedienza verso il segretario/presidente del partito da cui dipende la rielezione. E andando oltre, una legge che consenta agli elettori di scegliere i propri rappresentanti e partecipare alla selezione delle candidature. La governabilità passa, innanzitutto, dalla qualità dei nostri rappresentanti e dalla capacità di lavorare insieme per il bene dal Paese, al di là delle convenienze politiche e dai desideri del “capo”.
Il prossimo 21 gennaio si terrà a Roma un’assemblea pubblica nazionale a cui parteciperanno tutti i comitati territoriali del “No” alla riforma. Qual è la proposta politica in discussione?
Siamo un’organizzazione plurale e democratica: decideremo insieme su come proseguire e su quali priorità. Insisto: molti, se non tutti, ci chiedono di andare avanti per rilanciare l’azione politica su un doppio binario: attuazione della Costituzione e riaffermazione dei diritti sociali, a partire dal lavoro. Per questo abbiamo già annunciato il nostro impegno per il prossimo referendum sul Jobs Act promosso dalla Cgil.
 
Un bel salto per i comitati del No: dalla difesa della Costituzione alle questioni riguardanti il lavoro e la precarietà…
L’attuazione di un modello pienamente democratico passa dall’attuazione dei diritti fondamentali e dalla garanzia dei diritti sociali, prima ancora che dagli equilibri fra i poteri. Non è un caso che nella Costituzione la parte sul riconoscimento e la tutela di tali diritti, preceda quella sui poteri e l’organizzazione dello Stato: senza i primi non può esservi una declinazione democratica dei secondi.
E’ favorevole all’introduzione del reddito di cittadinanza?
Si può discutere sulle forme ma è innegabile che una società fondata, ormai, sulle diseguaglianze e sul tramonto del lavoro come fonte di reddito ed emancipazione sociale non possa fare a meno di misure redistributive della ricchezza, che garantiscano, almeno, la dignità, quando sia tanto pervicacemente inibito il diritto al futuro.
 
E per quando auspica il ritorno al voto? A settembre, dopo il referendum?
Non appena ci sarà una nuova legge elettorale, auspicabilmente ispirata ai principi di cui parlavo sopra, che dia cioè valore alle scelte popolari e spazio ai suoi migliori rappresentanti, non ai più servili vassalli del leader di turno o di altri poteri che ne siano espressione. Però, a meno di una vittoria del Sì al referendum sull’abrogazione del Jobs Act, o di altri scossoni politici, temo non si tornerà a votare prima del prossimo autunno, se non nel 2018.
 
A livello nazionale il Pd perde consensi e il M5S non sembra approfittare del governo Gentiloni vedendo come si è impantanato a Roma con la sindaca Virginia Raggi: sembrano due soggetti in forte crisi. Pensa che alle prossime elezioni nazionali ci sarà un alto tasso di astensionismo? La gente ormai non è del tutto sfiduciata nei confronti delle istituzioni?
Dipende da quanto i cittadini penseranno di poter contare con il prossimo voto politico: se si continuerà a reiterare modelli politici ed elettorali di mera ratifica o investitura di governi preconfezionati e candidati opachi, o che brillano solo per l’altissimo tasso di “fedeltà al capo”, ma il cui valore o passione civile e politica restano ignoti, l’astensionismo non potrà che aumentare.
Per Lei c’è spazio per la nascita di un nuovo soggetto, a sinistra, alternativo sia al Pd che al M5S capace di dare la speranza di cambiamento ai cittadini?
La politica non sopporta vuoti, e in questo momento, più che mai, un soggetto che sapesse interpretare la “fame” di diritti, la volontà di partecipazione attiva dei cittadini e selezionare una classe dirigente all’altezza del Paese, avrebbe praterie aperte davanti a sé.
Che pensa della prospettiva dell’ex sindaco di Milano, Pisapia, di un “campo progressista” capace di dialogare col Pd e far nascere un nuovo centrosinistra nel Paese? I Comitati del NO possono essere attratti da tale progetto?
Prima di parlare di progetti, bisogna guardare alla credibilità di chi li propone e agli obiettivi politici reali, quelli, ancora una volta, calibrati sulla riconquista dei diritti, più che sulle strategie di potere. Non è dalla sommatoria di tanti che può nascere una nuova sinistra larga, nei consensi, prima ancora che nel nome, ma dal coraggio di rilanciare battaglie innovative e decise contro un’ideologia – il “turboliberismo” – che ha decapitato libertà e diritti, in nome di un fantomatico progresso materiale, riuscendo solo a distribuire ricchezza per pochi e miseria per tanti. Il declino dello Stato democratico e di diritto è iniziato da lì. Non vedo in quel campo, ancora (forse), tale coraggio.
Infine, qual è il rapporto coi partiti e volti storici della sinistra classica? Non è giunta l’ora che emergano nuove forze dalla società civile?
E’ un rapporto di rispetto, ma critico. Siamo tutti consapevoli dei limiti del modello partito che si è sviluppato a dispetto del “metodo democratico” sancito in Costituzione, e delle responsabilità di chi quel modello minimo e ipocritamente insofferente a ogni regolamentazione conforme a Costituzione. Quanto alla società civile, il salto di qualità sta nell’annullare la separazione fra società civile e società politica: la democrazia partecipativa impone un impegno costante di tutti e la fine della delega di potere in bianco che metta nelle mani di pochi le decisioni sul futuro di tanti. Penso sia già emersa una forte volontà di partecipazione, che può convogliarsi in una nuova stagione di attivismo politico, ma serve, adesso, dimostrare di saperla coniugare con un altrettanto grande senso di responsabilità. Sono processi che richiedono tempo e impegno da parte di tutti. Eppure, mai come adesso, è necessario che questo salto di qualità si realizzi.
Adesso Lei è in procinto di partorire ma è proprio sicura che, nei prossimi mesi, non sarà interessata a “scendere in campo”? In molti sembrano volerla tirare per la giacchetta…
Sono già scesa in campo. E nel modo, credo, più libero e utile a quella res publica a cui teniamo in tanti, senza paura di definirci indomabili, quanto pragmatici, idealisti. Perché, vede, non c’è niente di più innovativo e rivoluzionario di un ideale, di un impegno condiviso e portato avanti da tanti per cambiare il corso degli eventi e – a volte – della Storia di un Paese. Questo referendum lo ha dimostrato contro ogni previsione. Noi cercheremo di trasformare questa vittoria in un nuovo inizio per la “discesa in campo” non di singoli leader, ma dei cittadini tutti, i veri protagonisti di questa vittoria e gli unici che possono animare, insieme, una nuova stagione politica. Saranno loro, devono essere loro a sceglierne i volti e gli obiettivi che vi daranno corpo e concretezza.
(28 dicembre 2016)

M5S VERSO LA RESA DEI CONTI 

« Il regno dei cieli si può paragonare a un uomo che ha seminato del buon seme nel SCATOLETTAsuo campo. Ma mentre tutti dormivano venne il suo nemico, seminò zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi la messe fiorì e fece frutto, ecco apparve anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: Padrone, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene dunque la zizzania? Ed egli rispose loro: Un nemico ha fatto questo. E i servi gli dissero: Vuoi dunque che andiamo a raccoglierla? No, rispose, perché non succeda che, cogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Cogliete prima la zizzania e legatela in fastelli per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio».
(Dal Vangelo secondo Matteo 13,24-30)
 
 
Sull’accordo politico tra Grillo e Guy Verhofstadt, abbiamo già detto. C’è solo un aggettivo possibile sul testo di quell’accordo: INFAME. Il modo furtivo come è stato sottoposto a referendum è VERGOGNOSO. Il fatto che sia saltato a causa delle resistenze dell’ala liberista più oltranzista di ALDE copre infine di RIDICOLO gli alti papaveri alla guida di M5S. Dove il ridicolo, però non nasconde le parti più intime, pornografiche, del regime interno del Movimento. La cupola ha chiamato gli attivisti a votare su un accordo già deciso, per di più tenendone nascosto il testo —che sarebbe invece dovuto essere l’oggetto del plebiscito. Attivisti trattati come sudditi. La sociologia non qualificherebbe questo regime interno altrimenti che come ARISTOCRATICO/OLIGARCHICO. Come qualificare questi oligarchi? Non c’è che l’imbarazzo della scelta: maggiorenti, notabili ottimati, dignitari, decurioni.
 
C’è una domanda secca che ci rivolgono lettori, amici e nemici: “Volete ammetterlo ora che vi sbagliavate? Che M5S è una forza gatekeeper, un movimento costruito ad arte in qualche pensatoio di regime, per deviare su un binario morto l’indignazione popolare, come guardiano di ultima istanza del sistema neoliberista?”
No, il M5S non è stato ideato sul Britannia, non è nato da qualche macchinazione del potere, né (lo dimostra la rottura con Farage) da qualche complotto anglo-americano di Cia/MI5. E’ nato nella testa allucinata di Gianroberto Casaleggio, in cui veniva a condensazione una cultura politica anarco-capitalista, che vedeva coabitare in una promiscuità improbabile libertarie e anti-stataliste idee sessantottine con perversi dogmi neoliberisti. Una brodaglia culturale figlia tipica del tempo, da tempo diventata “senso comune”. Un “senso comune” che chiedeva solo di essere rappresentato. Casaleggio non è stato grande per aver prodotto chissà quale alta sintesi teorica ma per aver convinto Beppe Grillo a fare da portabandiera. Per dire che non c’è bisogno di ricorrere a qualche turpe dietrologia per dire che M5S nasce come frazione del campo borghese, con una visione del mondo in ultima istanza liberale.
 
Non fosse stato per la crisi sistemica e le sue devastanti conseguenze sociali, quell’ M5S lì, sarebbe stato una reincarnazione del Partito radicale di Pannella. Non ci fosse stato Beppe Grillo l’operazione Casaleggio avrebbe avuto i numeri modesti del Partito radicale. Che Casaleggio, mentre reclutò Grillo, fosse stato un agente di qualche intelligenze, di qualche massoneria occulta, alla fine della fiera, poco cambia. Quel che conta è che M5S è diventato in Italia un partito con influenza di massa, il punto di riferimento delle speranze di cambiamento di una larga parte del popolo. E’ questo popolo che deve interessarci. E’ questa speranza di cambiamento, per chi intenda la politica come pratica di massa, azione sui corpi sociali, con cui ci si deve misurare, non con gli inquietanti utopismi di Gaia.
 
Una precisazione, poi, ci sarà consentita. Chi scrive non fa parte del Movimento 5 Stelle. Chi scrive ha sostenuto che M5S, in quanto diventato (1) il canale dove confluiva l’indignazione di massa contro il regime neoliberista; e (2) il principale luogo di attivazione di migliaia di cittadini, anzitutto giovani, meritava il sostegno tattico da parte dei rivoluzionari. E ciò per due ragioni: (a) l’eventuale avanzata di M5S era la sola maniera, nel concreto contesto italiano, per dare una spallata al regime bipolare di “seconda repubblica”; (b) era necessario, anzi doveroso, per forze rivoluzionarie ma estremamente minoritarie, stare di fianco a M5S, sostenere le sue battaglie ove fossero giuste, per aprirsi un varco tra la eterogenea base del Movimento, nella vasta ed eterogenea area dell’indignazione sociale.
 
Gatekeeper o no, questo approccio politico è stato corretto. Darà i suoi frutti? Lo vedremo, è ancora presto per dirlo. Un fatto è sicuro: non sorgerà in questo Paese una forza rivoluzionaria di massa senza strappare a M5S quella parte di attivisti e di base sociale che preme per una radicale svolta sociale e politica, ovvero antiliberista e antieurista. Poiché, gatekeeper o no, è indiscutibile che M5S sia un contenitore di diversi interessi sociali, di diverse visioni del mondo. Se è così confermiamo come giusta la modalità relazionale: dividere il grano dal loglio. Chi ha seguito MPL prima e P101 poi, ci darà almeno atto che ogni volta che i “grillini” hanno fatto una porcheria, non solo lo abbiamo segnalato, ma duramente biasimato. Ovvero, ci siamo mossi in base al binomio unità e critica, mai attestandoci su una posizione codista, mai essendo reticenti nei casi eclatanti di opportunismo o ambiguità politici.
 
Gatekeeper o non gatekeeper al centro della nostra analisi vi era questo assioma: strada facendo, con l’approfondirsi della crisi e la crescita della rabbia sociale, M5S sarebbe stato sottoposto a spinte opposte e inconciliabili, sarebbe accaduto, prima o poi, che il contenitore si sarebbe rotto. Che quindi occorreva fare presto nel costruire sul fianco sinistro di M5S un granaio cui si potesse riporre il frumento buono. Per quanto riguarda la zizzania, esistono già sul fianco destro la Lega Nord ed altre formazioni.
 
Abbiamo sbagliato? Non lo penso affatto. Non c’è dubbio che l’accordo saltato con ALDE ha prodotto uno shock nel Movimento 5 Stelle. Agitarsi istericamente, lanciare anatemi, non serve. Proprio adesso occorre mantenere la calma. Si dia tempo al tempo. I miracoli in politica non avvengono. Ogni corpo politico, sottoposto ad uno shock, reagisce e metabolizza a suo modo. Continuiamo a credere che diavolo e acqua santa non possono stare assieme. Sarà questo dell’accordo saltato con ALDE l’evento scissorio? Vedremo.
 
Se gli amici ed i compagni che militano in M5S (non diciamo dirigono, poiché ora non c’è più alcun dubbio su chi davvero abbia il timone) e che sentiamo vicini ci chiedessero un consiglio, diremmo loro che dovrebbero darsi prima possibile un’organizzata e valutare l’ipotesi di promuovere, non alle calende greche, presto invece, un incontro di tutti gli oppositori. Il ferro va battuto quando è caldo.
 
Dato il regime interno non ci vuole solo coraggio, ma l’esser preparati ad un contrattacco degli oligarchi che sarà durissimo. E’ comprensibile che gli oppositori si muovano con circospezione. Avessimo già costruito fuori da M5S una luogo politico forte e non minoritario che facesse loro da sponda, le cose andrebbero quasi certamente più veloci. Ma questo luogo ancora non c’è. E qui c’è poco da sbraitare contro Casaleggio e Grillo. Qui c’è da prendere atto che tutti sono buoni a strillare in rete, a gridare al lupo, ad elucubrare, pochi a fare qualcosa di positivamente concreto. Invece di perdersi in lamentazioni e invettive, diamoci una mano, adesso, adesso che la crisi di M5S è conclamata e si allarga lo spazio per una forza politica patriottica e rivoluzionaria.
 
Ps
Fioccano le letture di questa mossa disastrosa della cupola di M5S (accordo con ALDE). Io gettò sul piatto la mia, per quanto spietata essa possa essere. La tesi più accreditata è che accettando quel testo vergognoso di accordo con Guy Verhofstadt la cupola abbia voluto lanciare un segnale ai poteri forti per dire loro, state tranquilli che se saliamo al governo in Italia, non sfasceremo il sistema, faremo come Tsipras. Quindi: lasciateci andare, ci normalizziamo (quindi per carità, niente avvisi di garanzia alla Raggi).
Invece c’è un’altra spiegazione possibile, mi rendo conto, dietrologica. E se fosse che la cupola di M5S non vuole affatto prendere il potere?  Se fosse che essa è terrorizzata all’idea di dovere andare al governo? I perché sono facili da intuire: non solo la conclamata insipienza politica (vedi Roma), ma la totale mancanza di coraggio, il terrore di trovarsi al potere sull’onda di una spinta popolare al cambiamento, di dover rispondere alle grandi e pressanti aspettative dal basso. La cupola avrebbe quindi compiuto la sua scellerata mossa per seminare disorientamento e scontento alla base, distacco degli attivisti più radicali, totale confusione e disincanto tra gli elettori. Un gesto insomma anzitutto sedativo. Senza escludere che sia volto anche a far venire fuori la fronda degli oppositori per isolarli e colpirli.
 
Pps
Non dimentichiamo quanto accadde il 20 aprile 2013, quando Grillo fece dietrofront ubbidendo al Ministero degli interni, dopo aver chiamato alla mobilitazione di piazza:
«Mentre scrivevo l’articolo si svolgeva la annunciata manifestazione a Piazza SS. Apostoli. Vien fuori che Grillo, non appena raggiunta la manifestazione, la abbandona. Manifestanti basiti. Verso le 19:30 il nostro, intervistato da “La Cosa”, candidamente rivela che se se n’è andato lasciando tutti a bocca aperta è “… perché me lo ha chiesto la Digos, che temeva incidenti”. Ci risiamo! Cambiare da cima a fondo un paese è una cosa troppo seria per farla fare a chi si illude di poter fare la frittata senza rompere le uova». di Moreno Pasquinelli – [ 10 gennaio]

Mosca spiega perchè non sono stati espulsi i diplomatici USA in risposta a sanzioni Obama

rodi ex presidente Usa premio Nobel per la pace. Hai ancora 18 gg per scatenare una guerra, sappiamo che farai di tutto, come falsificare le prove del presunto attacco hacker partito dalla russia contro quell’angelo della Killary, quando abbiamo pure la confessione dello staff di SANDERS (che dalla dolce signora ne ha subite di ogni).
Mr Obama che ne pensi dell’influenza degli ambasciatori Usa nella politica del paese dove essi sono dislocati? RICORDI WIKILEAKS, l’ambasciatore Spogli??? Le spie della NSA in Germania invece che facevano? RIcreazione?
 
Mosca spiega perchè non sono stati espulsi i diplomatici USA in risposta a sanzioni guida-al-cremlino-di-moscaObama
Decidendo sulla risposta all’espulsione dei diplomatici russi dagli Stati Uniti, Mosca ha tenuto conto degli interessi dei diplomatici americani e dei loro figli, ha dichiarato la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova.
“Comprendendo che la diplomazia si basa su risposte e misure simmetriche, abbiamo preso in considerazione molto seriamente e con molta serietà abbiamo tenuto conto di come si sarebbero sentiti i nostri colleghi americani e le loro famiglie. Soprattutto dei loro figli, che ora si preparano alle feste di Capodanno e che sono in vacanza, di come si sarebbero sentiti se fossero stati strappati da questo processo e avessero dovuto raccogliere tutte le loro cose in 72 ore per tornare in patria in questo modo. Per questo abbiamo preso questa decisione”, — ha detto.
Giovedì l’amministrazione del presidente uscente Barack Obama ha imposto nuove sanzioni contro 9 agenzie, aziende e persone fisiche russe, colpendo anche l’FSB (servizi segreti russi, ndr) per “l’interferenza nelle elezioni” e “la pressione sui diplomatici statunitensi” che lavorano in Russia.
 
Gli Stati Uniti hanno inoltre confiscato 2 complessi residenziali, le cosiddette “dacie” dell’Ambasciata russa a New York e Washington di proprietà della rappresentanza diplomatica russa. Sono state dichiarate persone non gradite 35 diplomatici russi, che sono obbligati a lasciare il Paese.
 
Il presidente russo Vladimir Putin ha detto che Mosca non manderà via nessuno diplomatico americano in risposta alla decisione di Obama, nonostante la parte russa abbia tutte le ragioni per rispondere adeguatamente.
30.12.2016 (aggiornato 10:41 31.12.2016)

Attenzione: stanno tentando di rovesciare Trump!

i simpatici paladini della democrazia detestano quando il popolo sbaglia a votare e si impegnano a mettere una pezza, certo per il bene di quei popoli che tanto disprezzano

Quella di lunedì, negli Stati Uniti, dovrebbe essere una tranquilla giornata di democrazia. I Grandi elettori si riuniscono nella capitale di ogni Stato per eleggere il presidente, rispecchiando il voto popolare. Di solito è una formalità ma questa volta rischia di non essere tale.

Uno dei migliori commentatori americani, Paul Craig Roberts, denuncia apertamente un tentativo di un colpo di stato (leggi qui), altri giornalisti nei giorni scorsi avevano evidenziato lo stesso pericolo, come Michael Snyder. Ma ieri sera anche la Washington Post ha dato conto di quel che sta avvenendo: i grandi elettori di ogni Stato, che dovrebbero semplicemente ribadire il risultato delle urne, stanno ricevendo incredibili pressioni al fine di indurli a non votare per Trump.

mappa-elettorale-USA-2016Sono letteralmente bombardati di email e di telefonate in cui si evidenzia la pericolosità di Trump e in cui vengono evidenziati i rischi dell’America,mentre la Cia, l’Fbi e ovviamente Obama continuano a denunciare le interferenze russe nell’elezione nel tentativo, vano, di dimostrare che l’elezione non era regolare. Tentativo vano, perché fino ad oggi non è stata presentata alcuna prova. Secondo il Washington Post anche i grandi elettori democratici sono sottoposti a pressioni analoghe da parte di attivisti repubblicani, di cui peraltro, però, non si capisce il senso, considerato che Hillary ha perso. Ci sarà qualche caso ma irrilevante.

Le pressioni sono esercitate sui Grandi Elettori degli Stati che hanno votato per Trump e il significato è fin troppo chiaro: le élite globaliste che hanno governato l’America e indirettamente il mondo occidentale, sta per uscire dalla stanza dei bottoni, visto che il magnate non ha piazzato i loro uomini nei dicasteri chiave. Quell’élite sta tentando di tutto per impedire che Trump entri davvero alla Casa Bianca a ribalti la politica estera e di sicurezza perseguita finora, a cominciare dai rapporti con la Russia e dalla lotta all’Isis e corregga quella sulla globalizzazione incentivando la riscoperta di un “patriottismo imprenditoriale” sugli investimenti e sui posti di lavoro.

Attenzione: quel che sta avvenendo in queste ore è gravissimo ed è assolutamente incompatibile con i principi democratici. Speriamo che i Grandi Elettori non si lascino suggestionare.
Se davvero Trump venisse rovesciato prima ancora di entrare in carica, gli Stati Uniti perderebbero qualunque legittimità di fronte al proprio popolo e al mondo.

Alle élite importa poco. A noi sì, tantissimo.

Link: http://blog.ilgiornale.it/foa/2016/12/18/attenzione-oggi-potrebbero-rovesciare-trump-e-privarlo-della-vittoria/

JUNCKER CONDANNA COME IRRESPONSABILI GLI ELETTORI ITALIANI CHE HANNO VOTATO NO AL REFERENDUM COSTITUZIONALE

allarme allarme Sono euroscettici che avanzano, PERICOLO per la democrazia (quella che non consente le elezioni per il bene del popolo, s’intende) i populismi spaventano le elites tecnocratiche banchiere affariste.

junkerIl britannico Express commenta la reazione del presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker, alla vittoria del NO nel referendum costituzionale italiano. In una pervicace negazione della realtà, Juncker continua a parlare di irresponsabilità e populismo degli elettori del NO e però confida che alla fine il popolo “si renderà conto” che essere dentro la UE è una buona cosa.
(Di fronte a queste uscite delle istituzioni europee, quale migliore risposta di una distaccata ironia…)
di Rebecca Perring, 06 dicembre 2016
Jean-Claude Juncker ha decretato che gli elettori italiani che hanno votato “NO” al referendum costituzionale sono degli irresponsabili, e si è spinto a mettere in discussione il loro buon senso.
Ma il disperato boss di Bruxelles è ancora aggrappato al sogno del progetto europeo, quando afferma che “la gente si renderà conto che stiamo meglio se stiamo insieme“.
L’eurocrate capo ha fatto una serie di cupe osservazioni a seguito del risultato del referendum italiano, risultato che ha ulteriormente destabilizzato il già pericolante progetto dell’Unione europea.
Il duro verdetto del referendum, che ha portato il primo ministro italiano Matteo Renzi a presentare le dimissioni dopo che l’Italia ha votato contro la sua proposta di riforma costituzionale, si avvia a spianare la strada agli euroscettici del Movimento Cinque Stelle. La loro ascesa rappresenterebbe una spinta per il paese verso l’uscita dall’eurozona,  farebbe crollare l’euro e metterebbe in dubbio tutte le politiche economiche.
Dopo la sconfitta di Renzi, Juncker si è espresso così: “Il risultato italiano è una delusione, c’era la possibilità di rendere il paese efficiente e l’hanno sprecata. Viviamo in tempi pericolosi.”
Alla televisione pubblica olandese NPO ha detto: “Gli elettori del NO, i populisti, pongono dei quesiti ma non danno alcuna vera risposta.
A volte pongono le giuste domande, ma non hanno le risposte giuste. I populisti non si assumono responsabilità.
Le sue accuse sono giunte dopo aver sottolineato come alcuni leader euroscettici siano stati coinvolti nelle trattative per portare la Gran Bretagna fuori dal malridotto blocco europeo.
Ad ogni modo, nonostante i suoi commenti sensazionalisti, il presidente della commissione Ue non ha perso le speranze sul futuro dell’unione, e ha detto che il progetto sopravviverà.
Ha aggiunto: “Credo che alla fine dei conti prevarrà il buon senso europeo. La gente si renderà conto che stiamo meglio se stiamo insieme.
I commenti di Juncker arrivano dopo che una serie di politici di destra hanno esultato per la decisione dell’Italia e hanno acclamato la vittoria del NO come la fine della crisi della Ue.
dicembre 07 2016

MATTARELLA TUONA: ‘NO AD ELEZIONI ANTICIPATE, GOVERNO TECNICO CON PRODI E ALFANO’

elezioni? Siamo mica un paese democratico, il popolo poi sbaglia a votare

MATTARELLA TUONA: ‘NO AD ELEZIONI ANTICIPATE, GOVERNO TECNICO CON PRODI E ALFANO’

 I Presidenti di Camera e Senato annunciano a Sergio Mattarella l’elezione a Presidente della Repubblica
L’Italia si sveglia con un governo che si prepara alle dimissioni e con il presidente delvoto Consiglio Matteo Renzi che si prepara a rimettere il proprio mandato al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Un’ampia maggioranza degli italiani ha bocciato la riforma costituzionale che il segretario del Pd si è messo sulle spalle e alla quale ha affidato la propria faccia. Il dato definitivo dice che al No è andato oltre il 59 per cento dei voti, mentre al Sì il 40,4.
Il Quirinale cerca di frenare sul nascere l’ira funesta del premier Matteo Renzi, la sua sete di rifarsi sul tavolo verde della scommessa perduta con gli italiani. La possibilità che voglia imprimere un’accelerazione alla fine della legislatura, così da poter capitalizzare quel 40 per cento che sembra preludere a un partito totalmente «suo», e di maggioranza relativa di fronte ai grillini e a un centrodestra diviso tra le leadership di Berlusconi e Salvini.
Le dimissioni annunciate stanotte da Renzi secondo lo staff presidenziale sarebbero dovute essere ricondotte, smaltita la delusione, a mero «atto formale» senza alcuna ulteriore «drammatizzazione» verso crisi al buio. Invano era stato raccomandato al leader piddino di non farne una questione personale, un plebiscito su se stesso.
L’annuncio choc di Mattarella
Il governo, si ragiona, è pur tuttavia un’altra cosa. La prima intenzione del presidente Sergio Mattarella sarebbe quindi quella di formare un nuovo governo tecnico, rinunciando ad elezioni anticipate come chiesto da diverse fazioni politiche e schieramenti. Il presidente della Repubblica ha tuonato così: “Non andremo a elezioni anticipate, le uniche elezioni si terranno nel 2018 e fino ad allora sarà compito di Alfano e Romano Prodi guidare il Paese”.
5 dicembre 2016