L’Italia del rancore

censis rancoreUn sentimento di rancore diffuso pervade l’Italia: la ripresa alimenta i profitti ma non i redditi di una popolazione afflitta da disoccupazione, precarietà del lavoro, declassamento sociale.
 Il Censis certifica: l’Italia è affetta da rancore, diagnosticato come un male sociale che alimenta populismo e sovranismo, se non il fantasma ricorrente del fascismo. I dati macroeconomici evidenziano una crescita del Pil nel 2017 intorno all’1,5%, ripresa trainata dal settore manifatturiero, dall’export e dal turismo. Tuttavia, cresce anche il dissenso sociale, si accentuano le diseguaglianze e il rancore diffuso contro le istituzioni, i partiti, l’Europa.
Questa ripresa, peraltro assai contenuta e non strutturale, dato che il tasso di crescita italiano è inferiore a quello degli altri paesi della UE, non ha dato luogo ad incrementi del reddito nella popolazione, né rimesso in moto la mobilità sociale, bloccata da decenni. Emerge infatti dal rapporto del Censis che oltre l’80% degli italiano ritiene assai improbabile salire nella scala sociale e circa il 70% teme ulteriori declassamenti.
La crisi ha determinato trasformazioni sistemiche: ha generato un modello socio – economico neoliberista, con evidenti sconvolgimenti nel corpo sociale, data la scomparsa progressiva del ceto medio e spinto sotto la soglia di povertà larga parte del vecchio proletariato.
Un diffuso senso di rancore pervade la popolazione, che, secondo il Censis nella società “è di scena da tempo, con esibizioni di volta in volta indirizzate verso l’alto, attraverso i veementi toni dell’antipolitica, o verso il basso, a caccia di indifesi e marginali capri espiatori, dagli homeless ai rifugiati. È un sentimento che nasce da una condizione strutturale di blocco della mobilità sociale, che nella crisi ha coinvolto pesantemente anche il ceto medio, oltre ai gruppi collocati nella parte più bassa della piramide sociale”. Inoltre, come viene rilevato da tale rapporto, “se la crisi ha avuto effetti psicologici regressivi con la logica del “meno hai, più sei colpito”, la ripresa finora non è ancora riuscita a invertire in modo tangibile e inequivocabile la rotta . La distribuzione dei suoi dividendi sociali appare finora adeguata a riaprire l’unica via che potrebbe allentare tutte le tensioni: la mobilità sociale verso l’alto”.
La gente comune non percepisce la ripresa, i cui effetti sembrano solo incrementare i profitti delle elites. Il disagio sociale, le tensioni latenti, alimentano un rancore generalizzato, che esprime un dissenso misto a rassegnazione, non prospettandosi soluzioni alternative ad un declassamento sociale che appare inarrestabile.
Contestare i partiti, la casta, i governi, è ormai considerato irrilevante. La politica è subordinata ai diktat della oligarchia finanziaria europea, quasi scomparsa la critica sociale e la militanza, perché non si riesce a concepire un futuro diverso da quello del capitalismo assoluto. La totale sfiducia nella politica è così espressa nel rapporto del Censis: “l’84% degli italiani non ha fiducia nei partiti politici, il 78% nel Governo, il 76% nel Parlamento, il 70% nelle istituzioni locali, Regioni e Comuni. Il 60% è insoddisfatto di come funziona la democrazia nel nostro Paese, il 64% è convinto che la voce del cittadino non conti nulla, il 75% giudica negativamente la fornitura dei servizi pubblici”.
I governi del PD e la destrutturazione del mondo del lavoro
 
E’ tuttavia errato sostenere che i governi targati PD, ossia Letta, Renzi e Gentiloni siano stati i governi dei grandi proclami e delle promesse mancate. Il programma di riforme dell’economia e della società imposto dalla UE è stato in larga parte realizzato, determinando rilevanti trasformazioni nella società italiana.
E’ stata infatti attuata una riforma strutturale del lavoro in Italia, mediante l’introduzione del Job Act. E’ stato abolito nei fatti, insieme con l’articolo 18, il contratto di lavoro a tempo indeterminato, estendendo la precarietà a tutti i settori occupazionali. Il contratto collettivo di lavoro è stato ormai quasi del tutto soppiantato dalla contrattazione aziendale che deroga in modo sostanziale alla normativa generale, i diritti sindacali sono di fatto largamente compressi. I casi di lavoratori sottoposti a sfruttamento intensivo con retribuzioni ai limiti della sopravvivenza sono all’ordine del giorno.
Il tasso di occupazione registra una debole risalita, ma trattasi nella stragrande maggioranza di lavoro precario. I voucher, introdotti dal governo Renzi per il lavoro occasionale, hanno in realtà legalizzato il lavoro nero e compresso al minimo le retribuzioni. L’abolizione dei voucher ha tuttavia comportato l’incremento esponenziale del lavoro intermittente o a chiamata. Si è estesa a macchia d’olio la cosiddetta “gig economy”, ossia i piccoli lavori offerti dalle piattaforme, svolti da lavoratori formalmente autonomi, ma pagati a cottimo e senza alcuna tutela retributiva e previdenziale.
Non a caso viene rilevato dal Censis l’aumento degli addetti alle vendite e servizi personali (+ 10,2%), il personale non qualificato (+11,9%), gli addetti alla logistica e al trasporto delle merci(+11,4%). Registrano invece un calo gli impiegati, gli artigiani, i liberi professionisti (specie tra i giovani).
 
Tra le riforme renziane va annoverata anche “la buona scuola”, con la quale viene introdotta l’alternanza scuola – lavoro, che, col pretesto di agevolare l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, comporta l’utilizzo dei giovani per lavori non qualificati presso le imprese senza alcuna retribuzione. Questo è l’ennesimo aspetto della formazione infinita cui sono sottoposti giovani che, effettuando continui stage presso le aziende, sono in realtà utilizzati come manodopera gratuita o quasi. Tale forma di sfruttamento è particolarmente diffusa presso la pubblica amministrazione. I giovani sono destinati ad arricchire infinitamente i loro curricula, senza altre prospettive di occupazione, se non quella del precariato a vita.
Occorre rilevare inoltre che l’innovazione tecnologica ha avuto un impatto decisamente negativo sull’occupazione e ha penalizzato soprattutto i gruppi sociali più disagiati. Ma il progresso tecnologico non ha oggi alcuna ricaduta sociale, produce solo l’incremento del profitto del capitale a danno del lavoro.
Scrive a tal proposito Marta Fana in “Non è lavoro è sfruttamento – Laterza 2017″: ” Livellare verso il basso i diritti e il lavoro non farà altro che aumentare i già inquietanti livelli di povertà in Italia (ma non solo), per tutti quelli che non hanno potere in questo sistema economico. Bisognerà tenerne conto senza distrazioni quando si discute di crescita economica, perché in un contesto simile, nella migliore delle ipotesi, lo sfruttamento di molti produrrà un aumento del reddito nazionale, del Prodotto interno lordo sulle spalle di quella maggioranza che non trarrà alcun beneficio da tale crescita. Quel che viene negato è il progresso sociale. Questo sistema deflattivo che impoverisce il lavoro è direttamente proporzionale alle disuguaglianze, nel lavoro e nella società, che si perpetuano nel tempo e aggrediscono l’intera sfera riproduttiva: dal welfare al consumo”.
Il rancore come condizione esistenziale permanente
La destrutturazione del welfare e la devoluzione alla UE della sovranità economica e monetaria degli stati, attuate mediante un processo riformatore tuttora in progressiva avanzata, hanno determinato l’abolizione di tutti i meccanismi di redistribuzione del reddito creati dagli stati onde preservare degli equilibri sociali consolidati.
In realtà, il declassamento dei ceti medi non è dovuto tanto alla fine delle politiche di redistribuzione del reddito (politiche abrogate dalla UE al fine di contenere la spesa pubblica, il deficit, ridurre il debito), ma al progressivo decremento del potere di acquisto delle retribuzioni. Alla classe lavoratrice non sono stati distribuiti negli ultimi 20 anni gli incrementi di produttività e di reddito scaturiti dalla innovazione tecnologica nella produzione, che sono invece stati assorbiti dai profitti e dalle rendite finanziarie.
Il capitalismo non è inclusivo, ma elitario, non genera progresso né emancipazione sociale. La classe lavoratrice non ricava alcun beneficio da questa ripresa: ecco la causa del rancore diffuso nel popolo italiano. Il rancore è il prodotto dell’individualismo strutturale prodotto dalla società neoliberista. Il rancore non determina rabbia sociale, ma è solo conseguenza dell’interiorizzazione di un disagio individuale, una sorta di permanente astio interiore scaturito dal senso di impotenza che pervade una società frantumata dall’atomismo sociale. Esso non conduce alla organizzazione politica del dissenso sociale, ma esprime uno stato esistenziale depressivo, un senso di individuale incapacità a realizzare un cambiamento della propria condizione umana e sociale.
Il rancore è un fenomeno degenerativo del dissenso, spesso generatore di guerre fra poveri tra loro in lotta per la sopravvivenza. Conduce a forme di aggregazione politica con falsi obiettivi, quali gli immigrati: trattasi di forme di dissenso del tutto funzionali al sistema. Il rancore alimenta la conflittualità tra individui disagiati, è un fenomeno connaturato all’ordine oligarchico del capitalismo.
Senso di impotenza e rancore sono stati esistenziali tipici di un individuo smarrito, di una collettiva solitudine di massa, di una condizione di una umanità priva di valori comuni di riferimento. Il fondamento di ogni comunità si individua nei valori etico – morali di riferimento, in cui l’individuo perviene al proprio riconoscimento, sia individuale che sociale. E’ questa assenza di valori che genera la mancanza di riconoscimento.
La società di mercato riconosce solo il valore economico del lavoro – merce e quindi l’esclusione dal mercato determina l’emarginazione, l’isolamento dell’individuo – massa. Essere fuori mercato significa inoltre essere escluso anche dai diritti politici: le masse escluse dal mercato del lavoro non sono portatrici di interessi economici degni di rappresentanza politica. Gli esclusi dal mercato sono quindi politicamente ininfluenti.
Il rancore dominante, non può condurre di per sé forme di aggregazione politica alternative al capitalismo, ma comunque determina un distacco dal sistema di un dissenso non più governabile: dal rancore nasce il rifiuto di questo sistema, rifiuto irreversibile potenzialmente produttivo di nuovi orizzonti di dissenso sistemico.
 
di Luigi Tedeschi – 04/12/2017 Fonte: Italicum

Prende a bastonate l’amico, poi stupra la sua fidanzata: arrestato 29enne di Turbigo

stuproandava in Francia per cercare una vita migliore anche lui

In manette è finito un ragazzo tunisino di Turbigo. I carabinieri lo hanno fermato in Francia

13 dicembre 2017
Prima ha colpito a bastonate l’amico che gli aveva aperto le porte di casa sua. Poi, minacciandola con un coltello, ha violentato la sua compagna. Quindi, per garantirsi una via di fuga rapida, ha rubato la loro auto ed è espatriato. La sua latitanza, però, è stata interrotta dai carabinieri che lo hanno trovato e fermato.

Un ragazzo di ventinove anni, un tunisino residente a Turbigo, è stato arrestato dai militari di Legnano ad Annecy, in Francia, in esecuzione di mandato di arresto europeo per violenza sessuale, rapina e spaccio di droga emesso dal Tribunale di Busto Arsizio.

Il ventinovenne, stando alle indagini, la notte tra il 21 e il 22 novembre scorsi si sarebbe scagliato contro una coppia di italiani – ventisei anni lui, diciannove lei -, che lo stavano ospitando nel loro appartamento di Turbigo. L’arrestato, dopo aver venduto cocaina al ventiseienne, lo avrebbe preso a bastonate per stordirlo e avrebbe poi abusato della sua compagna, puntandole contro un coltello. Il tutto, hanno ricostruito gli investigatori, mentre nella stanza accanto dormiva un bimbo di un anno e mezzo, figlio delle vittime.

Dopo l’aggressione e lo stupro, il ragazzo avrebbe rubato l’auto della coppia e sarebbe andato in Francia. Lì, in cooperazione con la polizia transalpina, i carabinieri lo hanno arrestato il 23 novembre, mentre dormiva a bordo della macchina rapinata. Il ventinovenne è stato estradato nel pomeriggio di martedì 12 dicembre e portato nel carcere Le Vallette di Torino.
http://www.milanotoday.it/cronaca/violenza-sessuale-turbigo.html

 

Ragazza di Acerra violentata da due marocchini. Ci sono nuovi particolari

stupro acerraa suo dire….praticamente si è inventata lo stupro da come racconta sto pennivendolo. Meglio screditare le vittime di stupro, seminerebbe odio altrimenti. Eppure i medici lo vedono se c’è stato o meno.

Ragazza di Acerra violentata da due marocchini. Ci sono nuovi particolari
Nuovi particolari emergono sulla vicenda della ragazza di Acerra violentata, secondo il suo racconto, da due marocchini. Ecco quali sono.
 
Stando al suo racconto, la ragazza è stata violentata bei pressi della Variante che collega Nola con Villa Literno.Dopo essere stata lasciata dal ragazzo in strada a Castelvolturno. Così si è avviata verso una zona di passaggio dei mezzi pubblici. Come, però, ha poi raccontato alle forze dell’ordine nei pressi della Variante che collega Nola con Villa Literno, di essere stata aggredita e stuprata da due cittadini. A suo dire, di nazionalità marocchina. Dopo aver subito l’abuso, la ragazza ha avuto la forza di rialzarsi e chiedere aiuto. Successivamente è stata soccorsa e trasportata da un’ambulanza all’ospedale Pineta Grande di Castel Volturno per un primo intervento. Poi trasferita al.reparto di ginecologia dell’ospedale Sant’Anna e San Sebastiano di Caserta.
 
Ora emergono nuovi particolari su quanto accaduto. La ragazza non sarebbe stata in grado  di comunicare il luogo esatto dello stupro. Quasi sicuramente a causa dello stato di choc in cui versa dopo la violenza subita. Spetta ora alle forze dell’ordine effettuare i riscontri tra il racconto fornito dalla vittima e le analisi cliniche alle quali si è sottoposta. Sulla vicenda c’è il massimo riserbo, trattandosi di una materia molto delicata. Gli investigatori stanno cercando ogni elemento utile per risalire all’identità dei due aggressori. Si lavora anche sulla ricostruzione fornita dalla stessa ragazza.
Di Luigi Lo Regio Il 19 Dic, 2017

Zizek e Chomsky scaricano l’antifascismo: “Un feticcio”

zizek chomskyZizek e Chomsky contro l’isteria antifascista. La paranoia degli ultimi tempi imposta dall’opinione pubblica liberal sta segnando il dibattito politico, dagli Stati Uniti al Vecchio Continente, Italia compresa.

Dalle polemiche sui monumenti fascisti alla recente manifestazione di Como, anche il nostro Paese è impantanato in una discussione surreale e artificiosa sugli spettri del ventennio e dei suoi eredi. Ma esiste davvero il pericolo di un ritorno del fascismo oppure si tratta di un’isteria montata ad arte? Se i progressisti sono sordi ad ogni tipo di critica mossa da destra, ora sono due importanti intellettuali di riferimento della sinistra mondiale come il filosofo sloveno Slavoj Zizek e il grande linguista americano Noam Chomsky a scaricare gli antifascisti, con due articoli usciti a pochi giorni di distanza sul quotidiano britannico The Independent.

“Antifascismo l’oppio dei popoli”
Per Zizek, il nuovo “oppio dei popoli” di marxiana memoria non è più la religione ma l’antifascismo militante. “Un nuovo spettro sta perseguitando la politica progressista in Europa e negli Stati Uniti, lo spettro del fascismo. Trump negli Stati Uniti, Le Pen in Francia, Orban in Ungheria – sono tutti dipinti come il nuovo male verso il quale dovremmo unire tutte le nostre forza. Ogni minimo dubbio e riserva è immediatamente additato come segnale di collaborazione segreta con il fascismo”, osserva il filosofo marxista. L’antifascismo dunque non è altro che un feticcio agitato in maniera strumentale per incanalare i consensi contro il nemico: “L’immagine demoniaca di una minaccia fascista serve chiaramente come nuovo feticcio politico; feticcio nel senso freudiano del termine, ovvero di un’immagine affascinante la cui funzione è quella di offuscare il vero antagonismo”, afferma il Zizek.

Il filoso Zizek: “Il panico antifascista uccide la speranza

Secondo il filosofo sloveno, infatti, la “figura del fascista” è funzionale “a nascondere le situazioni di stallo alla base della nostra crisi”. Una strategia mirata a compattare il fronte progressista:

“Quando ho richiamato l’attenzione su come parti dell’alt-right stavano mobilitando le questioni della classe lavoratrice trascurate dalla sinistra liberale, sono stato, come previsto, immediatamente accusato di invocare una coalizione tra sinistra radicale e destra fascista, cosa che non ho mai fatto”, rileva il filosofo. La triste prospettiva che ci attende, secondo Zizek, “è quella di un futuro in cui, ogni quattro anni, saremo gettati nel panico, spaventati da una qualche forma di pericolo neofascista, e in questo modo ricattati a esprimere il nostro voto per il candidato civilizzato in elezioni prive di significato. […]

L’ oscenità della situazione è da mozzare il fiato: il capitalismo globale ora si presenta come l’ultima protezione contro il fascismo, e se cerchi di farlo notare sei accusato di complicità. Il panico antifascista di oggi non porta speranza, la uccide”.

Chomsky: “Il fascismo non c’entra nulla con la destra di oggi”
La critica mossa da Naom Chomsky contro gli antifascisti è ugualmente potente. Il professore emerito del Massachusetts Institute of Technology sostiene che il movimento antifascista odierno non può essere paragonato a quelli del passato. Insomma, guai a confondere lo stato attuale dell’alt-right negli Stati Uniti con la crescita del fascismo in Europa all’inizio del XX secolo. “Le differenze sono radicali”, dice Chomsky, “negli anni ’30, i nazisti governavano la Germania, il fascismo si era stato stabilito per anni in Italia e vi erano potenti movimenti fascisti altrove. Oggi ci sono molti sviluppi minacciosi, ma nulla di paragonabile. In particolare, negli Stati Uniti non è certo un caso che la classe lavoratrice si sia avvicinata all’estrema destra”. Per il professore, “gli antifa sono un dono all’estrema destra e alla repressione dello stato americano”.

di Roberto Vivaldelli – 13/12/2017  Fonte: Il Giornale

https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=59896

L’antifascismo psichiatrico pre-elettorale del cane di Pavlov

cani pavlovChi trova un nemico trova un tesoro. Rovesciando il detto popolare, questo ci sembra il commento più adatto all’ondata di antifascismo di ritorno che sta pervadendo l’Italia ufficiale.

Colti di sorpresa da qualche inatteso successo elettorale “nemico”, nudi di fronte al loro fallimento politico, lorcompagni e l’esercito ausiliario progressista hanno trovato la soluzione, la solita: antifascismo, ancora antifascismo, ogni giorno di più, a dosi omeopatiche. E’ diventata una dipendenza e, come per gli alcolisti irrecuperabili, basta un solo bicchiere per ubriacarsi. In qualche caso, è sufficiente l’odore del vino. Il neo- antifascismo è ormai giunto a questo stadio penoso.

Ricorda assai il povero cane di Pavlov. Per dimostrare le sue teorie sui riflessi condizionati, lo scienziato russo del primo Novecento Ivan Pavlov realizzò un esperimento in cui ad un cane era offerto un succulento boccone di carne mentre un campanello veniva fatto suonare. Dopo varie ripetizioni, Pavlov dimostrò che il cane iniziava a produrre saliva già al trillo del campanello, prima cioè della comparsa del cibo. Lo stimolo condizionava, producendola, la risposta del cane, ovvero la salivazione che anticipava il piacere del boccone di carne. Siamo esattamente allo stesso punto: opportunamente attivate le aree neuronali dell’antifascista tipo, la risposta è immediata e scontata. Si manifesta attraverso l’immediato corrugamento della fronte, il linguaggio non verbale dell’indignazione a comando, poi in lunghe intemerate sul tema della democrazia violata, per sfociare in manifestazioni di moralismo politico da operetta, interrogazioni parlamentari, “spontanee” adunate di piazza, richiesta di “pene esemplari”, intimazione di escludere i reprobi dal consorzio umano.

Potremmo cavarcela affermando che si tratta di convulsioni, rigurgiti uguali e contrari a quelli di coloro che davvero pensassero di resuscitare il fascismo attraverso bandiere, simboli trapassati, abbigliamento o parole d’ordine del tipo di quelle di Catenacci, la macchietta neofascista di Alto Gradimento o di Fascisti su Marte di Corrado Guzzanti. Potremmo anche liquidare tutto come un caso di ubriachezza molesta di gruppo (ricordate il “botellòn”, la riunione del sabato in piazza dei giovani spagnoli per bere e sballare in branco?).

Temiamo che le cose stiano diversamente e che non regga del tutto neppure la spiegazione psicanalitica secondo cui l’antifascismo rappresenta la coperta di Linus (l’unica, l’autentica) delle sinistre. Per il personaggio di Peanuts, la coperta è un oggetto transizionale, ovvero quella cosa prediletta ed insostituibile scelta come sostituto simbolico della mamma. Linus recupera la sua serenità soltanto accanto all’amata coperta. In parte è così’, poiché il popolo progressista (qualunque cosa significhi il termine) perplesso, disilluso e scoraggiato si rianima ed insorge come un sol uomo alla semplice parola fascismo, anzi, all’apparire o balenare di qualunque cosa, simbolo, persona, allusione che richiami l’odiato, ma sepolto regime. Non serve neppure il suono del campanello perché scatti il riflesso, ma la sua semplice vista o evocazione. Pavlov aveva ragione e i cuochi del ristorante di sinistra lo sanno bene, apparecchiando la solita rancida minestra e trovando ancora commensali.

Ecco dunque le giornate intere a deprecare, le paginate di giornali, le pensose tirate televisive contro un gruppetto di stupidi ragazzini tifosi della Lazio (uno ha solo tredici anni, un bambino) che hanno travestito da romanista l’immagine di Anna Frank. Cretini insensati, figli di questo tempo senza ritegno, poiché la morte ingiusta di una ragazza di 16 anni non può essere oggetto di sfottò, lazzi o insulti tra tifoserie. Ma da qui a farne oggetto di terribili revival ideologici ce ne corre. Specialmente se passano inosservate le blasfemie quotidiane, l’ostentazione sfrontata di qualunque porcheria spacciata per liberazione, la bestemmia, l’esibizione di ogni vizio in nome della libertà.

Poi abbiamo avuto lo sdegno telecomandato per “l’irruzione” di un gruppo di giovani in un centro di aiuto agli immigrati. Meglio se avessero fatto altro, ma sono entrati da una porta aperta, hanno letto un loro documento, non hanno torto un capello a nessuno, né hanno danneggiato o asportato beni o suppellettili, quindi se ne sono andati. Esattamente come i gentili esponenti dei centri sociali, anzi i “ragazzi”, quando svolgono le loro attività ludiche, consistenti in genere in devastazioni, imbrattatura di muri, intimidazioni, insulti e cariche alle forze dell’ordine. Loro non fanno irruzione, bensì usano spazi dialettici di libertà.

L’ultima prodezza del cane di Pavlov è la segnalazione (la delazione, il dito accusatore puntato restano marchi di fabbrica indelebili di lorcompagni) di una bandiera nazista in una caserma dei Carabinieri. Si è mosso persino il ministro della Difesa, disinteressato a difendere le frontiere dalle invasioni di clandestini che arrivano dal mare e non solo. Donna Roberta Pinotti, ex girl scout di Genova Sampierdarena, ha promesso pene esemplari per il ventenne carabiniere, i telegiornali hanno aperto le loro edizioni con il terribile episodio (in Italia non succede mai nulla, non c’è corruzione, delinquenza, disoccupazione, degrado), convocando alla bisogna persino un superstite partigiano fiorentino, che ha definito “infame” l’accaduto.

Il problema è che quella bandiera è solo l’insegna di guerra della marina dell’Impero tedesco, detto anche Secondo Reich, anno 1871. Non sapevamo che Bismarck e l’imperatore Guglielmo II fossero vietati, ma evidentemente i nervi sono scossi e la cultura (di cui pure sono depositari esclusivi) non li soccorre.

Un ultimo episodio tra i tanti: la richiesta di un consigliere municipale della Spezia di vietare e rimuovere ciò che riguarda la Decima Mas dal Museo Navale della città. Peccato che la Decima flottiglia abbia fatto parte della marina nazionale, che il museo sia dedicato ad una medaglia d’oro al valore militare, Mario Arillo, un ufficiale che si rifiutò di consegnare ai tedeschi il sommergibile che comandava ed ebbe un ruolo centrale nel convincere gli stessi, nel 1945, a non far esplodere le mine che avrebbero distrutto il porto di Genova, come gli riconobbe pubblicamente un giovane monsignore che sarebbe diventato il grande cardinale Siri. Ma tant’è, l’odore, anzi il fumo del fascismo avvolge tutto in un’atmosfera da incubi notturni: lavoro per il dottor Freud.

Ecco perché occorre porsi qualche domanda in più rispetto ad un fenomeno anacronistico, alimentato ad arte e con aspetti tragicomici. A noi sembra che il sistema di potere abbia bisogno, come in tutti i momenti di crisi, di un capro espiatorio. Il fascismo ed i neofascisti, veri o presunti fa lo stesso, rispondono egregiamente alla bisogna. Sono il nemico assoluto, i malvagi per definizione ufficiale ed indottrinamento coatto, sono pochi, deboli e dispersi. Splendide condizioni per fungere da nemico pubblico e ricompattare la folla dei buoni e dei giusti, i membri del gruppo.

Ne parlò con grande acutezza René Girard, antropologo e filosofo francese scomparso nel 2015, autore de La violenza e il sacro. Il capro espiatorio ha la funzione di restituire la comunità a se stessa: la folla si raccoglie unanime attorno alla vittima designata e la distrugge. L’eliminazione fa sfogare la violenza e la frenesia che era stata indotta ed ha un enorme impatto emotivo sulla comunità, il gruppo lacerato. La vittima è insieme responsabile della crisi ed insieme causa del miracolo della concordia ritrovata. La coazione a ripetere evoca la speranza che ogni volta si riproducano i taumaturgici effetti di sutura delle ferite sociali, e comunque sotto lo strato sottile della lotta contro il Male serve a suscitare e sublimare i più bassi sentimenti di violenza o vendetta della massa congregata.

Questa sembra essere il ruolo assegnato al fascismo fantasmatico da alcune menti pensanti (oggi si dice influencer) che lottano per riconquistare l’egemonia perduta sul pensiero comune.

Sono ingegni finissimi a cui tuttavia è sfuggito di mano il presente.

Essi sanno di aver perduto l’esclusiva, di non essere più in sintonia con lo spirito del popolo, temono di essere sorpassati dalla realtà.

Fascista è per loro qualunque idea, persona, attitudine, discorso, sentimento che non coincida con la loro visione del mondo.

Il fondo totalitario e poliziesco dell’animo loro si manifesta nell’imposizione del linguaggio politicamente corretto come nell’esigere leggi e sanzioni penali per chi non sia d’accordo con la vulgata “sinistra” sui temi che contano, con particolare riguardo alle questioni morali, etiche, identitarie, politiche e, innanzitutto sui due temi tabù della nuova narrazione: la santificazione dell’immigrazione e la promozione dell’omosessualismo.

I loro argomenti sono screditati e la gente comune – non a caso tacciata di “populismo” nonché di ignoranza – non li segue, nonostante l’immenso spiegamento di risorse mediatiche ed economiche. Serve un nemico, uno spauracchio, come ci vuole pane per gli affamati: niente di meglio dell’Uomo Nero, il cattivo ideale, valido per tutte le stagioni.

Hanno potere, fanno leggi sempre più repressive ma hanno bisogno di testarne l’esito a partire da quelle destinate a colpire il Capro Espiatorio più facile ed immediato. Di qui il tentativo (vedi legge Fiano) di proibire persino i calendari del deprecato ventennio, le immagini, ogni iconografia anche detenuta in privato. Se funziona, andranno avanti, e la repressione colpirà tanti altri soggetti, giacché il neo antifascismo psicanalitico e pavloviano non è che una “false flag”, un’operazione sotto falsa bandiera dietro la quale si nascondono operazioni di normalizzazione e divieto del dissenso assai più serie.

Adesso tocca ai fascisti, nessuno si lamenterà, anzi molti applaudiranno. Domani andranno a cercare altri non conformi. Abbiamo capito, però, e “benché il parlar sia indarno” rispondiamo ai cani di Pavlov rammentando loro un brano che dovrebbero apprezzare, pronunciato da un pastore protestante al tempo della Repubblica di Weimar ed attribuito erroneamente ad uno dei loro venerati maestri, Bertolt Brecht.

“Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare. “

Meditate, democratici, progressisti e cani di Pavlov, meditate. Con un po’ di impegno, potete farcela, passata la sbornia, esaurita la salivazione, scesi dal lettino dello psicanalista e pagata la parcella

di Roberto Pecchioli – 06/12/2017  Fonte: Ereticamente

https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=59855

L’algoritmo verità dei padroni della menzogna

algoritmo veritàNon si sa se ridere o piangere. Purtroppo, è una cosa seria, se il termine si può applicare alle questioni riguardanti il governo italiano. “Stiamo lavorando con uno scienziato di fama internazionale alla creazione di un algoritmo verità che, tramite l’intelligenza artificiale, riesca a capire se una notizia è falsa”. Non si tratta di una battuta o della fanfaronata di qualche dottor Stranamore, bensì delle parole di Marco Carrai, potente esponente del cosiddetto giglio magico, l’accolita degli intimi di Matteo Renzi, considerato tra i massimi esperti italiani di cybersicurezza. Imprenditore del ramo, fu a un passo dalla nomina ai vertici dei servizi di sicurezza informatica del governo del Rottamatore fiorentino.

Il giornale Il Fatto Quotidiano adombra una sua vicinanza ai servizi segreti israeliani. Un brano di un’intervista del marzo scorso è illuminante, con la descrizione di una cena presso l’ambasciatore dello Stato ebraico in Italia, che presentò così Carrai ai suoi commensali romani: “Non sapete neanche il suo nome, ma vi assicuro che è tra gli uomini più importanti del vostro Paese.

Apparve lei. Quali interessi ha in Israele, perché viene accostato al Mossad?” Risposta: “Sono molto legato a Israele e mi riconosco nella sua storia e identità. È un luogo sempre sull’orlo di una guerra, dove però si riesce a creare innovazione come solo in California. Le mie società trovano lì larga parte del loro sapere. Non sono purtroppo il primo né sarò l’ultimo che, essendo vicino a Israele, viene dipinto come vicino al Mossad. Preferisco essere accostato impropriamente al Mossad piuttosto che al Ku Klux Klan. E quindi me ne faccio una ragione.”

ansa – renzi – Matteo Renzi partecipa al tradizionale scoppio del carro Con Marco Carrai (sx) 20 aprile 2014 ANSA/MAURIZIO DEGL INNOCENTI

Valuti il lettore se prestar fede ai dubbi del giornale di Travaglio e Padellaro o all’imprenditore renziano originario del Chianti. Fatto sta da qualche giorno, rilanciata addirittura dal New York Times, è esplosa una polemica che accusa di diffusione di bugie, false notizie (adesso è obbligatorio chiamarle fake news) piattaforme informatiche e siti di informazione legati – guarda caso – all’opposizione italiana, Lega e Movimento 5 Stelle. Nel frattempo, qualcuno, con ammirevole tempismo – honni soi qui mal y pense (sia punito chi fa cattivi pensieri, è il motto dell’Ordine della Giarrettiera) – ha presentato in Senato un disegno di legge volto a colpire con pesanti multe e gravi peni detentive i propalatori “di notizie false che suscitano allarme sociale, spesso immesse nel circuito dei social network per condizionare l’opinione pubblica di un Paese”. Obiettivo dei proponenti, i benemeriti senatori democratici Luigi Zanda, antico collaboratore di Cossiga, ergo stretto conoscitore del mondo dei “servizi” e delle barbe finte, e Rosanna Filippin, avvocato di Bassano del Grappa prestata al servizio della Patria, è sanzionare chi commette questo tipo di delitti contro la Repubblica.

Il bue dà del cornuto all’asino: il potere, nella sua versione politica, così come i suoi rappresentanti nel sistema informativo, tecnologico, finanziario e multinazionale, è infatti il maggior fornitore di notizie false al mondo. Poiché la grande rete Internet ha dimostrato la capacità di aprire spazi di libertà, dibattito, diffusione di notizie non filtrate dagli interessi del potere, attitudine a offrire visioni dei fatti diverse, spesso divergenti dalla verità ufficiale, basta libertà, occorre chiudere la porta ad ogni sorta di opposizione al sistema. La verità non deve essere più ricercata né indagata: si torna alla Pravda di sovietica memoria – che significa appunto verità- e si passa alle maniere forti, poiché verità è menzogna, libertà è schiavitù e ignoranza è forza. Principi invertiti, scolpite nel marmo della sede del Partito al potere nella distopia di Orwell, che fanno il paio con un’altra intuizione dello scrittore inglese, nella Fattoria degli animali: in tempi di menzogna universale, dire la verità è un atto rivoluzionario. E sempre più pericoloso, aggiungiamo noi.

La cosiddetta e sedicente democrazia è diventata feroce quanto e più delle dittature classiche, allorché si tratta di reprimere chi si discosta dalla Verità/PravdaIl filosofo Diego Fusaro ha scritto che l’ordine dominante non reprime il dissenso, ma opera affinché esso non si costituisca. Fa in modo che il pluralismo del villaggio globale si risolva in un monologo di massa. (Pensare altrimenti). Evidentemente, siamo entrati in una fase ulteriore, di vera e propria proibizione, mascherata, ovviamente, da buone intenzioni, virtuose profferte di protezione dei cittadini dai nuovi cattivi, ovvero i diffusori di falsità, “fake news”.

Strano davvero che i proprietari, divulgatori, controllori dell’intero sistema tecnologico, informativo e di intrattenimento generale sentano il bisogno di sprangare le poche porte aperte al dissenso. Da un lato, è un fatto positivo, il segno che nel mondo non tutto è sotto il controllo dell’Impero, e che la controinformazione ha centrato i suoi obiettivi, ha colto alcuni bersagli. La reazione è pesante, e non resta che sperare, come Holderlin, che “dove cresce il pericolo, cresce anche ciò che salva”.

Facciamo qualche esempio pratico. Uno dei cavalli di battaglia dell’aggressiva campagna contro le “fake news” è il ruolo della Russia. L’ossessione americana contro il Cremlino, la Russia e Vladimir Putin ha raggiunto estremi che, se non fossero frutto di un preciso, criminoso, cinico disegno geopolitico, dovrebbero essere affidati alla psichiatria. La Russia avrebbe determinato, attraverso false notizie, l’elezione di Donald Trump, la Russia è dietro la Brexit, valanghe di “trolls”, ossia messaggi informatici pirata provenienti dalla steppa volti a disturbare o fomentare gli animi invadono la rete in Inghilterra, Putin è il suggeritore del separatista catalano Puigdemont e via delirando.

Premesso che i russi sono effettivamente ottimi conoscitori dei segreti delle reti tecnologiche, come sanno milioni di utenti dei loro antivirus, l’attacco mosso dall’Occidente agli interessi politici, strategici, economici e nazionali della Russia da quando, dopo oltre un decennio di sottomissione seguita alla dissoluzione dell’Unione Sovietica , l’Orso moscovita si è svegliato dal letargo, non conosce soste, non si ferma davanti a nulla – tanto meno dinanzi alla verità- ed è oggettivamente il più grave elemento di rischio per la pace mondiale. Nulla da stupirsi, dunque, se da Mosca usano le armi che hanno per fare controinformazione, e sono diventati così bravi che la galassia multilingue Russia Today ha superato, per utenti e credibilità, i grandi canali informativi sedicenti indipendenti d’ oltre atlantico, come la CNN. Per il resto, devono essere davvero dei geni, in riva al Volga e al placido Don, per decidere l’esito delle elezioni presidenziali della capitale dell’Impero, gettare fuori dall’Unione Europea l’ex potenza egemone del passato, l’Inghilterra, ed essere i registi occulti e direttori d’orchestra di tutto ciò che non piace dalle parti di New York (e Tel Aviv).

E’ sin troppo ovvio ricordare le pesanti intromissioni statunitensi, dirette sfacciate e di lunga durata nella politica, nell’ economia e nelle contese elettorali di mezzo mondo, sino all’organizzazione di colpi di Stato, utilizzo delle reti sociali per fomentare le primavere arabe, le rivoluzioni arancione nell’area ex sovietica, il finanziamento provato ad organizzazioni islamiste. Agli immemori, dovremmo rammentare la fake news più grande, cioè la bugia sfacciata con tanto di polverina mostrata al mondo intero, relativa alle armi di distruzione di massa di Saddam che hanno giustificato una guerra le cui devastazioni sono ancora vive sulla pelle di quanto resta dell’Irak.

Da anni, dominano la scena delle informazioni ed operazioni riservate le Organizzazioni Non Governative, quasi tutte americane, finanziate senza risparmio da ambienti economici e finanziari globalisti o direttamente da fondi riservati delle agenzie spionistiche occidentali. La loro capacità di influenzare le opinioni pubbliche del mondo, orientare il taglio delle notizie, costruire verità di comodo sono risapute. Lavorano per loro ben retribuiti gruppi di pressione con al vertice i migliori cervelli del pianeta, i famosi pensatoi o “think tank”.

In uno di essi ci siamo imbattuti cercando notizie di prima mano su eventi internazionali. Si chiama European Values, Valori Europei, ha come simbolo un cavallo rampante ed ha sede nella Repubblica Ceca. Il Pegaso praghese riconosce di ricevere sovvenzioni da donatori privati (oh!) e di essere proclive alla politica degli Stati Uniti. Il suo compito (“un duro lavoro, ma qualcuno deve pur farlo”, dicevano i Blue Brothers) consiste nello svelare le mene del Cremlino contro l’Europa. Periodicamente, gli imparziali studiosi cechi, sempre a caccia di “fake news”, anzi trattandosi di questioni russe, di disinformacija, conferiscono un polemico premio Putin al politico o intellettuale preso di mira, definito, alla sovietica d’antan, utile idiota.

Stavolta è toccato al catalano Puigdemont, che, nella scala elaborata dai “debunkers” cechi (debunker è colui che smaschera le bugie dei cattivi) ha ottenuto ben 4,25 punti su un massimo di 5. Insomma, anch’egli è un agente al soldo dei torvi moscoviti nemici dei “valori europei”. Al contrario, in un passato recente, sono giunti pubblici segnali assai condiscendenti verso il separatismo catalano da parte israeliana; gli interessi di alcune monarchie arabe del Golfo sono fortissimi nella regione di Barcellona; recentissima è stata la pubblica celebrazione, nella Generalitat catalana, dei trecento anni dalla fondazione della massoneria. La presidente Forcadell, nel corso della cerimonia solenne, ha esaltato il debito dell’indipendentismo locale nei confronti della libera muratoria regionale, la più influente della Spagna, tra i cui esponenti figurano i massimi dirigenti politici e finanziari della Catalogna.

Valori Europei monitora attentamente la catena informativa Russia Today e segnala ben 2.000 politici americani ed europei che vi sono stati ospitati. Indica l’attore Steven Seagal, letteralmente, come “fantoccio del Cremlino”. Dopo avere svelato le trame di Putin in Inghilterra, Austria, Ungheria e Repubblica Ceca, il sito pubblica una corposa guida dell’influenza russa con capitoli per ciascuno stato dell’Unione Europea. L’Italia non ne esce bene, in quanto “Kremlin friendly”, ma si cita con sollievo la presenza di alcuni istituti geopolitici attivi sul versante occidentalista, si deplora l’esito negativo del referendum costituzionale del 2016, perduto da Renzi. La presidente della Camera Laura Boldrini è vista di buon occhio in quanto punta di lancia nella lotta contro le false notizie.

La parte più interessante della guida – forse adottata come livre de chevet dagli incliti senatori Zanda e Filippin, difensori della Verità Ufficiale ed Imperiale e corrieri dello Zar democratico, riguarda la risposta dei paesi europei all’” aggressione russa in Ucraina”, la necessità, da parte degli Stati e della società civile di mobilitarsi per contrastare l’influenza ostile del Cremlino e “proteggere il processo elettorale democratico”. Ovviamente, si insiste sulla necessità di “contrarrestare il discorso di odio e le notizie false nelle piattaforme online”. E’ interessante osservare che una semplice ricerca in rete presenta European Values accanto ad organizzazioni come la potentissima Open Society, la struttura promossa da un noto cavaliere senza macchia della Democrazia, della Libertà e della Verità come George Soros, che recentemente vi ha fatto confluire gran parte del suo immenso patrimonio.

Insomma, è in pieno svolgimento una sistematica operazione di discredito, criminalizzazione del dissenso con annessa repressione penale e finanziaria di chiunque osi mettere in dubbio, criticare, sottoporre a verifica indipendente qualunque aspetto della “narrazione” ufficiale del sistema globalista di mercato fattosi impero. Nel mondo invertito, le vittime diventano carnefici, i padroni di tutto vengono presentati come i difensori del Bene, del Giusto e del Vero, impegnati in una lotta all’ultimo sangue contro un’improbabile Spectre planetaria che fabbrica e diffonde h. 24 menzogne per manipolare i gonzi contro il benevolo regime mondialista. Siamo dinanzi ad un totalitarismo inedito, soffice, avvolgente, apparentemente leggero come una piuma, ma diversamente spietato contro chi resiste.

Alla politica non è più assegnato neppure l’antico ruolo di cameriere di chi comanda davvero, ma solo quello di sgherro, poliziotto cattivo, giusto repressore non di un semplice dissenso, ma di un attentato alla verità, il cui unico depositario, alla faccia della libertà, della democrazia e del libero pensiero, è il Potere. Non pensarla come è prescritto si converte in delitto di odio, poiché il potere ha sempre la necessità di indicare un nemico assoluto, qualcuno cui revocare d’imperio e tra gli applausi del pubblico la qualifica di essere umano. Parole illuminanti, al riguardo, restano quelle di Carl Schmitt sul nemico assoluto nella Teoria del Partigiano. Un potere che, per restare nella metafora russa, dovremmo chiamare con affetto e deferenza batjuska, piccolo padre, premuroso, provvidente, pensa per noi e conosce ciò che è bene per tutti.

In Italia la marcia inarrestabile delle leggi penali contro il libero pensiero prosegue, coadiuvata dalla psico polizia del mondo accademico, giornalistico e dello spettacolo. Dopo la legge Mancino, dopo le norme che colpiscono le convinzioni legate alle inversioni sessuali ribattezzate omofobia, e naturalmente la legge Fiano che castigherà calendari e immagini di un regime finito tre quarti di secolo fa, arriva l’algoritmo verità!

La scienza schierata sulla trincea del bene: un sollievo. Un modello matematico preconfezionato da qualcuno su indicazione di qualcun altro identificherà la verità, la separerà dalla menzogna come il grano dal loglio. Utilizzeranno l’intelligenza artificiale, ovvero la disciplina che studia fondamenti, metodologie e tecniche atte a riprodurre i processi mentali umani. Viene voglia di cavarcela con una battuta, e concludere che c’è bisogno di un’intelligenza artificiale per inventare bugie sempre nuove e magari per fornire, in perfetta neolingua orwelliana, la definizione scientificamente inconfutabile e postmoderna della verità: ciò che conviene al potere!

In Germania, come sempre, sono arrivati prima di noi: infatti un giornalista è stato condannato a sei mesi di carcere per aver pubblicato una verità del passato. Ha postato in rete la fotografia – reale- del Gran Muftì di Gerusalemme durante il suo incontro con i gerarchi nazisti nel 1941. E’ un fatto storico, ma, dicono i giuristi tedeschi, indegni successori di Savigny e della scuola storica del diritto, è delitto di odio, giacché mette in cattiva luce i mussulmani. E’, dunque, una fake news sui generis, da reprimere penalmente. Questo non è il futuro che ci aspetta: è già il presente.

Del resto, anche in Italia le multe pesantissime previste dal duo Zanda-Filippin funzioneranno egregiamente da autocensura. Nessuno rischierà la rovina economica propria, della famiglia e della sua azienda per sfidare il Bene ed il Vero costituiti in pubblica accusa, tribunale, ufficiale giudiziario. Due minuti di odio obbligatorio a reti unificate verso i nemici di Lorsignori, i nuovi Emmanuel Goldstein avversi al Partito Liberale Universale dell’Impero della Verità, rassicureranno quotidianamente il Popolo Consumatore.

Tempi ancora più bui dei presenti si avvicinano a grandi passi, nell’indifferenza del gran ballo Excelsior di ciò che rimane di popoli che hanno fatto la scienza, la storia, la cultura, in una parola la civiltà. Ridotti a prestar fede all’algoritmo-verità dei padroni della menzogna, prigionieri dell’intelligenza artificiale, dopo aver gaiamente rinunciato a quella ricevuta dal Creatore, con la politica serva e complice ridotta a negare la verità di ieri per proclamare la menzogna di domani. Homo sapiens…

di Roberto Pecchioli – 01/12/2017  Fonte: Ereticamente

https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=59821

Il sindaco antifascista nega la sala all’atleta disabile: «È di CasaPound»

claudioi paladini della tolleranza e del rispetto delle diversità. E’ combattere il fascismo questo, mica censura.
Tra quanto renderanno obbligatorio il possesso di una tessera di un partito di sinistra, una tessera arci o l’iscrizione all’Anpi per non finire in galera ed avere revocato ogni diritto?

Claudio a 31 anni e un sogno: partecipare alla maratona di New York. Ma Claudio Palmuli è disabile e per riuscirci ha bisogno di comprare una handbike, una carrozzina speciale per competizioni agonistiche. Per farlo ha scritto un libro Il vento sulle braccia, che sta presentando in tutta Italia vendendolo come forma di autofinanziamento.
 
La prossima tappa sarà Pescara, dove due mesi fa è stata prenotata una sala circoscrizionale attrezzata per disabili che ora, però, l’amministrazione comunale, guidata dal Pd Matteo Ricci, non vuole più concedere: Claudio Palmulli è anche un militante di CasaPound e questo, a quanto pare, è “giusta causa” per cercare di boicottare il suo sogno. La presentazione, però, si farà lo stesso, solo che sarà in uno spazio privato: l’appuntamento è il 16 dicembre, alle 18, presso il Baia Flaminia Resort.
L’amministrazione Pd nega la sala all’atleta disabile
A denunciare il ripensamento dell’amministrazione, che arriva proprio nel pieno dei richiami della sinistra istituzionale alla mobilitazione antifascista, è stata CasaPound Italia Pesaro, spiegando che «siamo stati contattati da un’impiegata comunale che ci ha comunicato l’intenzione dell’amministrazione di impedire con ogni mezzo la presentazione del libro di Claudio nella sala circoscrizionale».
«Siamo costernati di fronte all’abuso perpetrato non solo nei nostri confronti, ma soprattutto nei confronti di Claudio, che – ha aggiunto il responsabile di Cpi Pesaro, Christiano Demontis – con entusiasmo portava a Pesaro la testimonianza di una vita non segnata dal fatalismo, ma dalla voglia di reagire alla disabilità diventando maratoneta». «Un messaggio positivo e costruttivo messo a tacere dall’arroganza e dal pregiudizio di un’amministrazione faziosa», ha proseguito Demontis, sottolineando l’indignazione per «una classe dirigente che si vanta di essere portatrice di cultura e valori democratici» e poi per «sterile polemica e peloso pregiudizio» arriva a «ridurre al silenzio la storia di un riscatto dalla condizione di disabilità».
 
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Il sindaco antifascista parla di«libertà e tolleranza»
Sulla vicenda è intervenuto anche il segretario di CasaPound Italia, Simone Di Stefano: «Matteo Ricci sei ridicolo, vergognati!», ha scritto su Twitter Di Stefano, mentre Palmulli ha commentato ricordando che «il mio libro non parla né di politica né di CasaPound». «Al sindaco – ha aggiunto l’atleta – appena ci sarà occasione ne darò uno per farglielo leggere, almeno si fa un po’ di cultura!». Manca all’appello, invece, proprio la versione del primo cittadino, che in compenso sul suo profilo Twitter, mentre a Palmulli veniva negata la sala, cinguettava sulla «bellissima risposta da Como a intolleranza e neofascismo». «Libertà, uguaglianza e tolleranza sono valori della Costituzione italiana. I nostri valori», stata la sua rivendicazione con l’hashtag della giornata #equestoèilfiore. E questo, ci sarebbe da aggiungere, è il frutto.
di Valeria Gelsi sabato 9 dicembre 2017 – 19:10

Mentre i profughi stanno negli hotel a 3 stelle, guardate in che condizioni sono i terremotati

se a speculare sui terremotati non è il partito del satrapo di Arcore VA TUTTO BENE, SOPRATTUTTO SE E’ UNA COOP (di Buzzi tra l’altro)
boldrini concerto terremoto
VIDEO
Mentre i profughi stanno negli hotel a 3 stelle, guardate in che condizioni sono i terremotati
Queste sono le condizioni di abbandono dei terremotati.
Il fatto che privati e associazioni si stiano dando da fare per aiutarli è onorevole. Ma purtroppo il fatto che lo Stato li abbia dimenticati nella situazione precaria in cui si trovano, in inverno, con temperature che hanno sfiorato -8 o anche -15 gradi, è VERGOGNOSO.
 
Guardate il video, ospiti delle roulotte ci sono anche 8 bambini. E non vogliamo immaginare come staranno gli anziani sfollati…
 
Diffondete questo video dappertutto, fate sapere a tutti cosa fa questo governo di m…a! Nessun TG e nessun programma televisivo ha fatto vedere a tutta la Popolazione italiana la situazione attuale dei terremotati.
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Manifestanti si scontrano con la polizia greca nell’aula di tribunale dove si svolgono le aste per le case pignorate

Grecia proteste case pignorate
ssh il silenzio è calato sulla Grecia. La sorte dei cittadini della Grecia non interessa più, o meglio, NON deve interessare, l’importante è che grazie al kompagno Tsipras il “ribelle antitroika” i “populisti” , quelli sbagliati, sono stati “contenuti”.
Però i mercati hanno riammesso la Grecia i loro bonds…..BRAVO kompagno, i banchieri ti perdonano…Hai pure mandato i poliziotti a caricare la gente che hai lasciato AL FREDDO.  Gli attivisti di sinistra aiutano queste persone vittime, sono in cerca di verginità? All’epoca delle elezioni il contrasto era diretto ai “nemici” di Syriza

Caos e scontri in un tribunale di Atene, nel primo giorno della messa all’asta di prime case di proprietari morosi nei confronti di banche, dopo che attivisti del movimento “Non pago” sono entrati nell’aula cercando di bloccare l’operazione.
La polizia in tenuta antisommossa è intervenuta e ha usato gas lacrimogeni all’interno dell’edificio per disperdere i dimostranti e impedire loro di entrare nell’aula del tribunale.
Tra i manifestanti – riferisce l’agenzia ufficiale greca Ana-Mpe – c’era anche il capo del Partito di Unione popolare Panagiotis Lafazanis (ex ministro nel primo governo Tsipras) e membri del sindacato Pame, legato al Partito comunista greco Kke. Alcune persone sono rimaste ferite negli scontri. Insomma è stato uno scontro tra componenti di Syriza al governo ed ex ministri fuoriusciti dal partito di sinistra radicale.
La polizia greca ha usato gas lacrimogeni per disperdere i manifestanti da un’aula del tribunale di Atene dove hanno cercato di fermare decine di aste di prime case di proprietari morosi nei confronti di istituti di credito.
Le aste di pignoramento sono una condizione chiave del terzo piano di salvataggio internazionale del paese mediterraneo, ma sono state ripetutamente interrotte dagli attivisti di sinistra per i quali si tratterebbe di provvedimenti ingiusti che prendono di mira soprattutto le categorie sociali più povere.
Un filmato televisivo trasmesso dalle tv greche ha mostrato manifestanti che lanciavano oggetti alla polizia in un corridoio pieno di fumo mentre la polizia li spingeva indietro. I notai, che gestiscono le aste, li hanno boicottati a causa di problemi di sicurezza, ma sono tornati a lavorare solo oggi dopo che il governo di sinistra ha detto che avrebbe migliorato il processo e aumentato la sicurezza.
 
La Grecia ha anche accettato di utilizzare le cosiddette aste elettroniche che sono iniziate sempre oggi dopo essere state respinte di due mesi. Il governo del primo ministro Alexis Tsipras è salito al potere due anni fa con la promessa di proteggere le prime case dal pignoramento e di cancellare le riforme impopolari e l’austerità. I creditori avevano invece chiesto che gli immobili posti a garanzia del mutuo, anche la prima casa, tornassero nel mercato immobiliare nel più breve tempo possibile.
 
Atene successivamente ha firmato un nuovo piano di salvataggio e ha acconsentito a stringere di più la cintura con nuove misure di austerità, sebbene si sia impegnata a proteggere le prime abitazioni delle persone. Promessa poi delusa nel prosieguo delle trattative con i creditori.
Tuttavia, le banche greche sono gravate da centinaia di miliardi di crediti in sofferenza dopo anni di crisi finanziaria, principalmente a causa dell’incapacità delle persone di rimborsare i mutui. Una recessione provocata dalle misure di austerity che hanno tagliato i posti di lavoro e bloccato gli investimenti delle imprese.
 
I prestiti in sofferenza sono in cima all’agenda dei colloqui della Grecia con i suoi creditori. Attualmente i creditori stanno esaminando i progressi della Grecia in materia di energia, lavoro e riforme del settore pubblico, riforme concordate nell’ambito del terzo piano di salvataggio internazionale che vale 86 miliardi.
 
Atene vuole accelerare l’attuazione di alcune riforme concordate per concludere presto la sua operazione di salvataggio. Il governo greco spera di iniziare i colloqui con i creditori sui termini dell’uscita dal piano di salvataggio del prossimo anno e su un’ulteriore riduzione del debito che viaggia al 180% del Pil, una richiesta greca di vecchia data ma che è rimasta inascoltata soprattutto dall’intransigenza tedesca.
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Naziskin Como: Boldrini, mobilitazione

picchiatori nazi e democratici difende il business più redditizio della droga. Si certo, costituzione e democrazia, VOI AVETE CHIESTO AGLI ITALIANI IL PERMESSO DI FAR ENTRARE ALTRA GENTE? Non siete nemmeno stati eletti, ma cianciano di rispetto di democrazia
Quando le Sentinelle in Piedi manifestavano compostamente, sono state accerchiate, insultate, sputate e fatte oggetto di lanci di oggetti. La stampa ha per lo piu colpevolizzato “gli oscurantisti bigotti”. Un comitato che qui in città si offriva di scortare a casa le persone sole che non si sentono sentinelle aggreditepiù sicure nelle nostre strade infestate da feccia allogena e indigena, è stato assalito e picchiato dagli antifascisti perché “fomentava il razzismo”. Nulla o quasi sulla stampa.
 
Naziskin Como: Boldrini, mobilitazione
Misure adeguate ma anche difesa della Costituzione e democrazia
bliz como senza frontiere(ANSA) – FIRENZE, 30 NOV – “Ritengo che sia necessario ricorrere a delle misure adeguate ma anche che sia necessario che ci sia una mobilitazione civile su questo, perchè non possiamo permettere a questi gruppi di sporcare la nostra bella Costituzione e la nostra democrazia, che non è compatibile con questi estremisti”. Così la presidente della Camera Laura Boldrini ha risposto oggi a Firenze ai cronisti che le chiedevano un commento sul blitz dei naziskin in un circolo attivo sul fronte del sostegno dei migranti a Como.
Skinheads a Como, cresce la polemica
(ANSA) – MILANO, 30 NOV – E’ polemica sempre più esplicita tra le forze politiche per l’episodio avvenuto a Como, dove un gruppo di skinheads ha fatto irruzione nella sede di “Como senza frontiere”, associazione che si occupa di assistenza ai migranti. Per la presidente della Camera, Laura Boldrini, serve “una mobilitazione civile, non possiamo permettere a questi gruppi di sporcare la Costituzione”. Per Matteo Renzi, “su questi temi non devono esserci divisioni, ma la condanna è stata troppo timida”. Per Giorgia Meloni, invece, quanto avvenuto a Como è stato “un atto di intimidazione, dunque inaccettabile, ma è ridicolo l’appello di Renzi. Si è trattato di un atto di intimidazione, non di un atto di violenza”. Analoghe le dichiarazioni di Matteo Salvini: “Il problema dell’Italia è Renzi, non il fascismo che non può tornare. Ovvio che non si entra in casa d’altri non invitati e non è quello il modo di risolvere i problemi. Bene invece fanno i nostri sindaci che con azioni concrete combattono l’invasione di immigrati”.
Skinheads Como: 4 denunciati
(ANSA) – MILANO, 30 NOV – Sono quattro, per ora, gli appartenenti al Veneto Fronte Skinheads denunciati per violenza privata per l’irruzione dell’altra sera nella sede di un’associazione mentre stava tenendo una riunione la rete “Como Senza Frontiere”, attiva nell’accoglienza dei migranti. Si tratta dei quattro già identificati nel video girato dai partecipanti alla riunione, mentre è in corso l’identificazione di altre nove “teste rasate”. Gli agenti della Digos di Como, coordinati dal pm Simona De Salvo e dal procuratore Nicola Piacente, stanno ricostruendo il contesto in cui è maturata l’iniziativa degli esponenti neofascisti che, interrompendo la riunione dell’associazione, hanno fatto irruzione per leggere un “proclama” contro l'”invasione di immigrati e l’immigrazionismo”. Gli inquirenti stanno quindi cercando di capire come il gruppo di skinheads sia venuto a conoscenza della riunione e come sia nata l’idea del blitz.
vi han fatto la bua? Siete stati accerchiati? Da chi? Da gente armata? Le vostre risorse lo fanno continuamente con gli italiani, con le donne stuprate, ma non suscitano tutta questa attenzione e clamore. Chi vi finanzia a voi? Perché davvero suona strano che vi sia una “rete” il cui unico scopo è “cambiare la percezione” sul tema accoglienza, l’ansa scrive ” associazione che si occupa di assistenza ai migranti.”, con i vostri soldi lo fate?
Blitz Skinhead, il racconto di Como senza frontiere: “Ci hanno accerchiato, è stata intimidazione”
“Sono entrati e ci hanno accerchiato, è stata una vera e propria intimidazione”.
Inizia così il racconto di Annamaria Francescato, portavoce della rete Como senza frontiere, ancora scossa dopo l’incursione di quindici militanti di Veneto Fronte Skinheads alla riunione di martedì 28 novembre. Annamaria si trovava assieme ai rappresentanti di altre associazioni, sindacati e sigle politiche nella sede dell’associazione Artficio di via Terragni 4 quando gli skin “con atteggiamento squadrista” si sono presentati alla riunione e “dopo averci accerchiati hanno distribuito i volantini con la loro rivendicazione. Ci hanno insultati un po’. Noi non abbiamo reagito. Ci hanno sicuramente preso di sorpresa, ma non avremmo potuto fare altro che starcene seduti e buoni. Eravamo principalmente donne, con un’età media di 60 anni e persone che vanno dai 18 agli 80. Se le cose fossero degenerate ci avrebbero sopraffatti. Non è successo nulla di fisico, ma non è stato un momento piacevole”. La sede dell’associazione si trova al primo piano di un edificio nel centro di Como: “Il portoncino di ingresso era accostato, aspettavamo altri partecipanti alla riunione. Quando ho sentito i rumori provenire dalla scala ho aperto la porta e mi sono trovato davanti queste persone con le teste rasate che sono entrate con fare militaresco. Chiaramente ci siamo affidati ad un legale per denunciare l’aggressione e l’intimidazione che abbiamo subito. C’è tutta una componente non verbale in questa azione, tutta una parte che rimane non detta ma che si è sentita chiaramente. Questi individui entrando ci hanno fatto capire che loro ci seguono, sanno chi siamo e possono fare quello che vogliono. Sono spaventata e arrabbiata”.
Le reazioni politiche sono arrivate a livello nazionale. Ma le persone che hanno subito questa incursione sono rimaste stupite dal clima di indifferenza con cui l’episodio è stato accolto in città: “Dall’amministrazione comunale non ci ha contattato nessuno – spiega Annamaria – e in rete si leggono commenti di critica a noi, gente che plaude all’iniziativa di Veneto Fronte Skinheads e invoca la democrazia. Ci siamo sentiti dire che dobbiamo essere democratici e accettare le posizioni di tutti. Ma non c’è niente di democratico in quello che abbiamo subito. Non c’è niente di più lontano dalla democrazia”.
Un commento arriva anche da Giampaolo Rosso, vicepresidente dell’Arci di Como. Sedeva al tavolo di Como senza frontiere ed è l’autore del video che è circolato in rete fin dalle prime ore successive al blitz degli skinhead. “Abbiamo sottovalutato per troppo tempo questi gruppi, minimizzando le loro azioni e archiviandole come goliardate. E’ stata una sottovalutazione colpevole anche da parte delle istituzioni. Qui non c’è un normale conflitto delle idee, qui ci troviamo di fronte alla volontà di annullare altri, una cosa incompatibile con la democrazia. Idee che nemmeno tanti anni fa hanno prodotto orrori e tragedie inenarrabili. La sottovalutazione ha prodotto una sorta di sensazione di libertà di azione che si aggiunge all’effettivo scontento per la mancanza di welfare e l’enorme disparità tra ricchi e poveri”.
 
Como senza frontiere è un network di sigle che si riunisce da circa un anno con l’obiettivo dichiarato di cambiare la percezione del problema della migrazione tra la gente e, in seconda battuta, di supportare l’attività di accoglienza. Como è stata per molto tempo una piccola Ventimiglia, negli anni scorsi c’è stata una forte pressione migratoria al confine con la Svizzera. Decine di persone accampate in stazione, continui tentativi di passare il confine e molti respingimenti. Si è creato così un clima di ostilità da parte delle forze politiche di destra che ha alimentato la diffidenza da parte dell’opinione pubblica. Con il tempo la rotta svizzera ha attirato meno migranti e il problema è diventato meno evidente: “Le persone che vogliono andare in Svizzera oggi sono poche – spiega Annamaria Francescato -. Molti hanno rinunciato a passare il confine e hanno deciso di fermarsi in Italia. Si tratta di persone che hanno perso il diritto all’accoglienza e, pur avendo titolo per restare in Italia, vivono per strada”. Stiamo parlando di una sessantina di persone che, dopo essere state allontanate dai locali della parrocchia di San Martino di Rebbio che li ha ospitati per un periodo, da qualche tempo vivono in un autosilo abbandonato. “La presenza di queste persone in città non si nota, sono assolutamente marginali – spiega ancora la portavoce della rete – ma l’attività culturale che facciamo evidentemente dà fastidio. L’azione di Veneto fronte skinhead è indubbiamente una conseguenza della presenza dei migranti, ma spero anche una conseguenza del nostro lavoro che forse dà fastidio perché inizia ad aprire qualche breccia”.
di Alessandro Madron | 29 novembre 2017